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It's All a Masquerade

« It's all masqueradeJust who is who, I can't sayDon't leave me in the coldJust who is fake, who's real??God bless me! »

...

Un effimero sguardo da dietro la maschera, profondo come il cupo fondale apparentemente inesistente di un pozzo. Un posto in cui cadere con una facilità disarmante e da cui risalire è oltremodo impossibile.

Si lasciò sfilacciare via l'anima da un sorriso obliquo, prima di sussultare sulle spalle e non sentire più il cuore in petto. L'ultimo battito muto lo aveva lasciato per un attimo senza fiato, le orecchie avevano fischiato e poi il nulla.

La musica aveva smesso di suonare; forse ne percepiva un debole accenno, nulla più. Il chiacchiericcio era ovattato, attutito dalle mura in marmo e gli specchi intorno alla sala, dalla quale il proprio riflesso pareva esonerato dall'apparire nitido.

Lo sconosciuto mosse qualche passo. Le sue gambe sicure sembravano dire ti ho trovato. Falciò la distanza tra di loro con grossi passi. Le scarpe a punta indirizzate verso di lui.

La maschera rossa e gialla che spiccava tra quelle nere e grigie degli altri commensali. Esattamente come la sua rossa e nera aveva attirato attenzione solo per un breve attimo di curiosità. Poi il nulla.

Trasparente, di nuovo.

«Sull'invito non era specificato che avremmo dovuto indossare maschere prive di colore, eppure tutti lo hanno fatto!», disse l'uomo, scuotendo la testa dopo una breve risata; una mano ai fianchi, sfrontato e sicuro. La schiena troppo dritta per farlo sembrare sicuro davvero. Una forzatura? Chissà...

«Tutti tranne noi...», rispose Peter, cercando nell'anima la stessa sfacciataggine.

Inutile cercare qualcosa che non c'era, comunque...

«Sono qui per questo», rispose l'uomo.

Doveva avere una quarantina d'anni, forse qualcosa di più. Da sotto la maschera poteva vedere una barba ben curata e scura. Castana come gli occhi, il cui colore fu visibile solo per un attimo, quando la luce di un faretto mobile li illuminò.

Ne rimase per un attimo ammaliato.

Per quello abbassò la testa, chiedendosi se anche per lo sconosciuto era stato chiaro chi aveva davanti. Se si era accorto di avere di fronte un ragazzino di moltissimi anni più piccolo di lui, che ora si stava mordendo le labbra nel tentativo di non esporre troppo al mondo l'interesse che stava provando. A pelle. Come se un'onda di ormoni lo avesse appena travolto e non gli era mai successo prima.

Non voleva nemmeno andarci, a quella stupida festa, eppure ci era andato con la convinzione che non sarebbe mai accaduto niente di niente. Che sarebbe stato una macchia come sempre.

«È la prima volta che vieni?», chiese quello, girando tra le dita un bicchiere pieni di ghiaccio e di una goccia annacquata di qualche liquore. Di quelli che Peter non amava per il sapore aspro e spesso pungente.

«Sì. In realtà è la prima volta che mi invitano».

L'uomo rise ancora, con un'affascinante e allo stesso tempo raccapricciante risata. Una di quelle che ti entra nell'anima e non sai se ti mette a tuo agio oppure no.

«Un novellino del campo. Sai come funziona?».

Peter assentì lentamente con la testa, non del tutto certo di aver capito bene. Poi cercò di sorridere.

«Mai rivelare la propria identità a nessuno. Mai dire il proprio nome, usarne uno fittizio. Mai togliersi la maschera, per nessun motivo al mondo. Mai legarsi troppo ad un altro invitato in maschera».

«Vedo che hai fatto i compiti», rispose quello e per quanto quel commento poteva sembrare ironico e canzonatorio, Peter non ci vide niente di tutto questo.

Per quello rilassò le spalle e fece un passo avanti e quello lo accolse accanto a sé facendone uno anche lui.

Aveva un completo scuro a righe, quello e una camicia bianca e una cravatta rossa come la maschera. Un'eleganza che poteva portare chiunque, ma difficilmente avrebbe trasmesso lo stesso fascino su qualcuno altro.

Si sentì a disagio, con la sua camicia nera con le maniche rigirate per colpa del caldo e quei jeans scuri tagliati sulle ginocchia. Avrebbe dovuto procurarsi un abito decente anche lui, ma dove? Con quali soldi, poi?

Aveva ricevuto un invito ad un gala di ricconi, quando lui era tutto fuorché quello. E ancora si chiedeva perché aveva accettato...

«Non è importante l'abbigliamento. Sono importanti le maschere», gli disse quello, accorgendosi forse del suo disagio quando si era guardato le sneaker scure, tossendo leggermente perché quelle erano state sicuramente l'ultimo motivo che lo aveva fatto sentire fuori luogo.

«Lo so. Sull'invito c'era scritto solo di indossare una maschera ma... avrei dovuto intuirlo che forse c'era bisogno di un abbigliamento più... come dire... a modo».

«Come se la gente potesse riconoscerti domani e dirti che hai fatto proprio una brutta figura», rispose l'uomo.

«Lo so... ma è imbarazzante lo stesso».

«Come ti chiami? Intendo... che nome hai scelto?», gli chiese ancora, spostando l'interesse della conversazione di nuovo su altro. Su qualcosa ad un livello già più intimo.

Peter rabbrividì.

«Nessun nome... non... ci ho pensato, visto che ero convinto che nessuno me l'avrebbe chiesto».

«Siamo a questi livelli di insicurezza?».

«Diciamo che l'aver decido di venire è il più grosso passo avanti che io abbia mai fatto. Chiamami Spider-Man, se ti va. Se ne hai voglia! Non... non ti obbligo, ammetto che è ridicolo, me ne rendo conto da solo», disse Peter, più che altro perché, la bocca dell'uomo, si storceva ogni istante di più in una smorfia confusa. Non aveva voglia di risultare lo strambo ragazzino di sempre anche in quell'occasione.

«Spider-Man? Come il tizio che se ne va in giro per il Queens a lanciare ragnatele e salvare persone?».

Peter annuì: «Sì, sono un suo fan. Un suo grande fan. Per quello la mia maschera è ispirata a lui».

L'uomo si ammutolì per qualche secondo, poi inclinò la testa di lato, nel tentativo forse di riuscire a capire cosa accidenti stesse dicendo. O forse era solo sconvolto dalla cosa. O magari...

«Dì un po': non sarai mica il vero Spider-Man? Dopotutto, siamo ad una festa in maschera, nessuno potrebbe riconoscerti, no?».

Peter rise subito, a quella battuta, che battuta non lo era nemmeno un po', nella sua testa. Si portò un dito vicino alle labbra, cercando di smetterla di ridacchiare nervosamente, poi scosse la testa e gli rimase un sorriso velato sul viso.

«No, anche se mi piacerebbe molto esserlo. Lui... lui è fico», rispose, ben sapendo di aver appena mentito per un buona causa e comunque chi avrebbe mai potuto credere che lui, proprio lui, era Spider-Man, quello vero.

«Rimarresti sorpreso nello scoprire quanti supereroi si nascondono dietro persone ordinarie come me e te», mormorò quello, avvicinandosi ancora; ancora un passo. Come se quella piccola confidenzialità si stesse man mano forgiando da sola.

«A me tu non sembri affatto ordinario», rispose lui, e allungò il collo verso il suo, nel solo ed unico tentativo di studiarne lo sguardo. Di capire solo dagli occhi, quanti segreti gli stava nascondendo e quante bugie gli aveva già raccontato anche lui.

Sembravano una montagna di balle, ogni singola parola che era uscita da quelle labbra fini e incorniciate da un pizzetto troppo curato. C'era troppo interesse in quelle ciglia lunghe che si incontravano ad ogni palpebra che si chiudeva.

L'uomo rise. Gli concesse quello studio attento, piegando soddisfatto le labbra. Lasciò il bicchiere ormai pieno solo d'acqua su un tavolino poco lontano, allungando semplicemente un braccio.

Sembrava volersi sbarazzare di quell'aggeggio inanimato il prima possibile.

Sembrava volersi sbarazzare di tutto il resto.

«Non lo sono affatto», risposte, troppo consapevole. Troppo chiaro che in quella delicata situazione che stava un po' spaventando Peter, l'unico ad avere le idee chiare era proprio l'uomo e il suo odore sapeva di ormoni pacati, tenuti a bada, ma visibile, anzi, palpabili al solo respirarli.

Nella mente gli attraversò un'immagine fatta di troppe maschere e pochi vestiti, gettati chissà dove in una stanza a caso di quella palazzina vittoriana.

Si sentiva catapultato indietro nel tempo, come se stesse vivendo una sorta di vita passata. Come se quelle maschere avessero mostrato, nella più totale verità, un'epoca diversa e persone abituate a tutto questo.

Persino l'uomo sembrava a suo agio, come se fare quel tipo di feste fosse all'ordine del giorno.

Per tutti, ma non per Peter.

Si lasciò scappare un debole sospiro quando l'uomo gli posò una mano sul braccio per tirarselo leggermente più vicini, poi tossì.

«E il tuo?».

Lo sconosciuto dalla voce profonda si bloccò. Le dita strette ancora al risvolto della camicia nera di Peter. Le labbra arricciate, un sussulto sulle spalle.

«Il mio?».

«Il tuo nome fittizio. Qual è?», chiese, il tono leggermente vibrante che tradiva la sua paura fino a quel momento già goffamente celata.

«Iron-Man».

Peter rise, subito: «Non sono l'unico nerd, a quanto pare. Almeno di Iron-Man conosciamo l'identità».

«E se fossi quello vero?».

Peter si sentì sfidato e quella era di certo l'ennesima bugia. Quel tono leggermente ironico e sfacciato con cui lo aveva detto, sembrava quasi una pantomima dell'ormai consueto e famoso carattere che Tony Stark - appunto Iron-Man - mostrava senza alcuna paura di non piacere alla gente.

Tutto il suo contrario, ed era per questo che Peter un po' era invidioso del fatto che lui non potesse essere così.

Scosse la testa, sorridendo in uno sbuffo che abbandonò le sua bocca, solleticandola. Le labbra gonfie di un adolescente che gli ormoni, in certi casi, non sa tenerli a bada nemmeno volendo.

Chissà se il suo odore era cambiato, e chissà se quell'altro se ne sarebbe accorto.

«No, non lo sei».

«Non lo sono», confermò quello, e parve una bugia anche quella. «Balliamo?».

Balliamo?, ripeté Peter, nella sua testa, alzando un sopracciglio che fu felice di non aver mostrato grazie alla maschera. Felice di non aver mostrato troppo di quel rossore sulla guance, che voleva dire sì, voglio ballare con te. Tutta l'accidenti di notte.

Non raggiunsero nemmeno il centro della sala, per farlo. Fu solo un momento ancora intimo, ancora in disparte, ancora celato al resto delle persone, anche loro nascoste dietro troppe maschere e troppe domande, eppure nessuno di loro sembrava mostrare un minimo di genuinità. Un minimo di umanità.

Sembrava tutto così finto, così irreale, a parte quella bolla che si era creata intorno a loro, che sembrava uno schermo protettivo contro ogni accidenti di menzogna. Persino quelle che avrebbero continuato a raccontarsi, per il tempo che li separava dal dover fuggire via e non incontrarsi forse mai più.

Un vero peccato, sebbene in qualche modo Peter provasse una gran voglia di scappare via.

Quella maschera non gli dava la medesima sicurezza del costume di Spider-Man, dopotutto. Con quello poteva defilarsi quando voleva, lanciando una ragnatela contro un palazzo e sparendo.

In quell'occasione no. Gli occhi erano celati da niente, e per quanto metà del viso riusciva a trovare sollievo dietro uno strato di carta e acrilico, gli occhi non potevano.

Erano lì, brillanti probabilmente, forse fin troppo. Vagavano per la stanza, quando quelli dell'altro diventavano troppo intensi, incatenati ai suoi. Troppo più sicuri, troppo diversi da quelli delle altre persone che occupavano quella stanza dalle luci soffuse.

Peter non ci stava capendo più niente, in effetti. Provava sensazioni troppo nuovo per poterle contenere; e quando l'uomo lo invitò a stringergli le braccia intorno al collo e gli posò le mani sui fianchi cominciando a dondolare, ebbe la certezza di non possedere più alcun controllo sui propri pensieri.

«Sei a disagio?», chiese quello, un sorriso sul viso, ora premuroso. La sfacciataggine delle labbra sempre oblique era sparita insieme alla scintilla strafottente, e si era insinuato nei suoi occhi un calore nuovo. Tiepido.

Peter scosse la testa, debolmente, mentre impacciato si avvicinava di più al corpo dell'altro; mentre le dita dello sconosciuto stringevano la sua vita con la sola intenzione di non procurargli alcun dolore.

«Non proprio... non sono abituato a certe cose. Io non... non ho mai ballato con nessuno prima d'ora».

«Che onore, il mio, dunque!», ridacchiò l'uomo.

«Sì, se vuoi chiamarlo onore, quello di ballare con uno come me piuttosto che con chiunque altro», rise Peter, sebbene in quel gesto ci fosse tutt'altro che allegria. Non si era mai sentito all'altezza di niente e di nessuno, figurarsi di un uomo del genere, che sembrava davvero la tipica persona in grado di ottenere tutto ciò che voleva in un battito di ciglia; donne, uomini, attenzioni particolari. Forse avrebbe potuto guadagnarsi una notte si sesso con una sola parola, e invece stava ballando con lui. Come se... come se dopotutto avesse sbagliato totalmente l'idea che si era fatto di quella persona.

«Chiunque altro non ha attirato la mia attenzione, come tu hai attirato la mia, Spider-Man», rispose quello, una piccola nota ironica in quel pronunciare il suo nome fittizio, «Pensi di non essere all'altezza?».

«Penso di non valerne la pena», rispose, di pancia. Un sospiro frustrato abbandonò le sue labbra, consapevole che la sua vita sarebbe ruotata sempre e solo dietro a quel concetto, ed ora quella convinzione si era crepata. Per colpa solo di uno sguardo diverso, dato da qualcuno di cui non conosceva nient'altro che un tocco sui suoi fianchi e un profumo dolciastro addosso.

«Sono convinto che non sia così. Sono convinto che ne vali decisamente la pena... sembri una persona intelligente».

«Questo non fa di me per forza una persona interessante», controbatté Peter, reclinando leggermente la testa all'indietro col solo intento di non esporre troppo la paura che aveva di aver già deluso le sue aspettative.

«Lo fa di te il fatto che tu non dia per scontato di esserlo... è intrigante».

Peter si ammutolì, dopo quella confidenza. Data con una semplicità e una sincerità che lo disarmarono. La prima e unica verità, autentica, che sentì quella sera uscita dalla bocca di uno sconosciuto che in qualche modo lo stava stregando.

Di un uomo che aveva appena reso quel suo pentimento di essere lì, tutt'altro che un pentimento e non capiva. Non capiva cosa c'era di così diverso, ora, da rendere quel ballo tanto dolce e necessario; così tanto che il resto della sala e degli invitati gli sparì dalla testa.

C'era solo lui, incatenato ad uno sconosciuto che lo faceva sentire diverso, su un piano diverso e l'altro, che lo teneva saldamente tra le mani per non farlo scappare via.; per non farlo cadere nella trappola della paura di non piacere agli altri, ancora una volta.

Accorciò ancora le distanze e chiuse gli occhi. Lo pervase un senso di completezza e tenerezza, di una delicatissima felicità che poche volte era riuscito ad avvertire. Si sentiva rilassato, così tanto che quando l'uomo avvicinò la bocca al suo orecchio, il brivido che sentì dietro la schiena fu solo una nuova premura.

«Un vero peccato che, finita questa serata, le nostre strade debbano dividersi», gli confidò. Il tono strafottente era sparito del tutto, smorzato forse anche dal sussurro con cui gli aveva rivelato quel segreto.

«Questa regola del doversi perdere di vista è davvero così importante?», chiese Peter, nella sua infinita ingenuità, desideroso di scoprire quanto potesse essere deleterio o risanatore, infrangere quella regola per cui quella festa sembrava non transigere.

«Fondamentale. Altrimenti le maschere sarebbero totalmente marginali. Invece sono loro le vere protagoniste. Sono loro che determinano quanto un incontro casuale che cela così tanto, possa invece rivelare molto di più», rispose quello, e gli lasciò un bacio sulla guancia, appena sotto la maschera, con un delicato colpo di labbra e saliva, che lasciò il segno caldo.

Un nuovo brivido, ed un altro ancora, quando i loro occhi tornarono a reclamarsi a vicenda.

«E se due persone trovano un feeling così forte da non voler limitare quell'incontro solo ed esclusivamente in questa notte?».

«Se il feeling è così forte, sono certo che avranno modo di vedersi anche al di fuori. Questo è solo il mezzo, come usarlo spetta a noi», rispose ancora quello, poi inclinò la testa e accorciò le distanze, studiandogli le labbra con una pacata e controllata avidità. Ancora troppo consapevole e Peter si perse ancora, «Sarebbe il tuo primo bacio?», gli chiese, in un sussurro che sbuffò fuori alito caldo contro le sue labbra.

Se le umettò, arricciandole, poi annuì debolmente, vergognandosi per non si sa quale ragione, a fare quella confessione.

«Non te lo ruberò, allora», continuò quello, e allontanò le labbra dalle sue, ricominciando a ballare, ad oscillare, a cullarlo come se gli servisse solo quello per stare bene, e forse era proprio così.

«Puoi farlo... non ho nulla in contrario», ammise Peter, cercando di nuovo un contatto visivo che non ricevette, ma che capì.

«Magari te lo do un'altra volta, Spider-Man», mormorò l'uomo, con una punta di premura e dolcezza nella voce, racchiusa in una piccola risata che cercava di nascondere quel suo lato fino a quel momento nascosto.

Peter comprese che, paradossalmente, fu proprio quel bacio non dato a rendergli cristalline troppe cose. C'era stato un corteggiamento che non gli era dispiaciuto così tanto; c'era stato un fascino che lo aveva ammaliato prima che potesse accorgersene ma... c'era stato un rispetto per la sua persona e le sue esperienze, che non avrebbe mai creduto.

Per quello, quando la musica cessò, e arrivò il momento di salutarsi, rimase a fissare quell'uomo senza sapere cose dire; per quello disse, nella totale consapevolezza, la cosa più stupida che potesse dire.

«Voglio rivederti», ammise.

Quello si esibì in una breve risata, poi gli passò il dorso della mano sulla guancia, per accarezzarla e lasciargli l'ennesimo e delicato brivido a percorrergli la spina dorsale e i denti.

«Succederà», disse, semplicemente, poi tornò ad illuminare il suo viso quel suo sorriso obliquo che voleva dire troppe cose, tranne quella che avrebbe voluto palesare. Un'altra bugia. «Ne sono assolutamente certo. Ci diamo la buonanotte qui, però».

La delusione si fece largo nel suo petto, e Peter si sentì stupido e capriccioso come un bambino. Voleva una certezza, voleva che quella serata a cui non voleva nemmeno andare, non divenisse vana. Non doveva. Aveva bisogno di sapere che un giorno, non troppo lontano, quell'incontro si sarebbe ripetuto in un luogo diverso, in una circostanza diversa e, soprattutto, senza quelle maschere a celare troppo di loro.

Lo sconosciuto parve capire e quando il brusio delle persone ora intente a scambiarsi dei saluti finti come quelle maschere, si chinò per lasciargli un debole, leggero e appena accennato bacio sulle labbra.

Le mani strette intorno alle sua spalle, quando piegò la schiena per raggiungerlo, e il sapore amarognolo del whisky stordì Peter per un attimo, poi le orecchie gli fischiarono di nuovo.

«Ti sei tolto lo sfizio?», chiese, senza alcuna cattiveria, consapevole di non aver ancora capito bene cosa accidenti fosse appena successo tra le sue labbra e quelle dell'altro.

«Prendilo più come una promessa. Una promessa vera. Ci rivedremo, Spider-Man», gli disse, lentamente. O forse fu lui a sentire quelle parole uscire dalla sua bocca con un ritmo lento tanto quanto quello del lento che avevano ballato.

Furono le ultime parole che Peter sentì, prima di ricevere di nuovo una carezza e vederlo andare via, girato, notando cose che prima non aveva notato.

Spalle protettive, gambe sode e sicure, un taglio corto dietro la testa, preciso e in ordine. Il collo lungo, sicuro. Le mani in tasca, che sembrarono tremare per un istante.

Peter avrebbe voluto urlare quell'aspetta!, più di ogni altra cosa, eppure non lo fece sebbene le sue gambe si mossero verso l'uomo e si fermarono poco dopo. Codarde...

La calca di gente che abbandonava la sala si infilò nella porta d'uscita, creando un imbuto di fronte a lui; rimasto in mezzo alla grande sala, con solo gli specchi a riflettere la sua confusione, che gli stava incidendo nell'anima qualcosa di nuovo. Qualcosa di bello.

Ed ebbe paura di non poterlo provare mai più, quando vide l'uomo sparire tra la folla, e fu certo che quella grande città non gli avrebbe mai permesso di incontrarlo di nuovo.

La sua prima occasione persa nella vita, e faceva tanto male.

...

Era la quarta volta che metteva sul suo mp3 Left Hand Free, ed era cosciente che nel giro di qualche giorno avrebbe iniziato a stufarsi, esattamente come ogni canzone che ascoltava a ripetizione fino a farsi venire il vomito.

Si odiava per quello, ma non poteva farne a meno. I brividi della musica erano qualcosa di cui non poteva fare a meno; almeno non si drogava, e questo faceva felice sia lui che zia May.

Attraversò il portone di vetro della palazzina che ospitava il suo appartamento, mentre guardava con un certo interessa una Lamborghini gialla parcheggiata proprio in uno dei posti macchina riservati ai condomini.

Cavolo, quanto gli sarebbe piaciuto averne una, un giorno...

Si infilò nell'ascensore, prendendo con una certa difficoltà le chiavi di casa dalla tasca posteriore dei jeans, mentre l'altra mano reggeva un vecchio lettore DVD che aveva trovato vicino ad un cassonetto. Strada facendo, al ritorno da scuola.

Il rientro a casa fu una specie di sollievo, era stanco morto, seppure quella giornata sembrava aver rimpiazzato per un attimo il senso di sconforto e inadeguatezza che lo attanagliava ogni istante, in ogni dove.

Persino il compito di algebra era andato da paura e l'autobus era passato subito, e non lo aveva perso. Stranamente.

Entrò in casa.

Un odore familiare, che rievocò un ricordo intenso, lo avvolse. Lo colpì alle narici e vi si insediò all'interno, raggiungendo il cervello, e si sentì mancare per un istante soltanto.

«Ehi, com'è andata a scuola?», chiese zia May, quando chiuse la porta e si sfilò le cuffiette per salutarla.

«Bene! C'è un'auto pazzesca parcheggiata qui fuo-».

Si bloccò. Ogni tentativo di capirci di nuovo qualcosa lo abbandonò, non appena si voltò verso il divano che zia May occupava, con accanto uno sconosciuto che così sconosciuto in fondo non era.

Tony Stark. Iron-Man. Tony Stark. Tony Stark?

Ci mise più di trenta secondi ad assimilare quel fatto, mentre cercava di infilare le mani tremanti da qualche parte, infine decise solo di incrociare le braccia e nasconderle così. Tra le pieghe di una felpa rovinata.

«Oh, signor Parker!», esclamò l'uomo.

Un biscotto tra le mani, gli occhi accesi non appena avevano incontrato i suoi e una familiare atmosfera che Peter cercava di collocare nelle sue esperienze di vita. Dove? Dove accidenti è già successo?

Okay, era Iron-Man. Okay era un uomo famoso, ed era ovunque. Ovunque davvero.

Ma no... c'era qualcosa. Qualcosa che li aveva già visti incontrarsi, oltre a quella volta durante la fiera Hi-Tech[1]. Non era quel caso, era troppo piccolo per ricordare certi dettagli, certi odori, certi contatti visivi così intensi.

L'uomo gli riservò un sorriso obliquo, sicuro, spavaldo, sfacciato.

La vera rappresentazione del suo famoso modo di essere, eppure c'era altro. C'era qualcosa che andava oltre. Qualcosa che c'era già stato.

Qualcosa che, a quanto pareva, stava continuando dopo aver tirato via delle maschere rosse, dopo quasi due mesi da quella festa...

Peter capì.

Capì che quella promessa che gli era stata fatta, era appena stata mantenuta. Capì che quell'uomo, non gli aveva mentito nemmeno una volta, mentre ballavano e così nemmeno lui.

Avevano nascosto le loro identità dietro l'unica bugia che si erano raccontati, eppure ora erano lì, probabilmente cercando di dirsi l'ultima verità, di cui era evidente entrambi avessero bisogno.

Si lasciò sfuggire un debolissimo sbuffo tra il divertito e l'emozionato. Lasciò che i battiti del cuore gli arrossassero le guance, senza alcuna vergogna.

Non ne provava più. Non con quell'uomo.

«Ehi, sono Peter», disse, semplicemente e capì che l'altro aveva capito, quando il suo sorriso obliquo si rilassò e lasciò palesare sul suo viso la sola voglia di non celare più nulla.

Si espose, e fu tiepido nel cuore e nelle mani, quella fiducia che gli diede.

«Tony. Non vedevo l'ora di conoscerti», di incontrarti di nuovo.

Giochiamo a fingere, ancora una volta, pensò Peter, abbassando lo sguardo per un istante; un debole sorriso ad illuminargli la vita, che tra un istante, non servirà farlo più, per fortuna.

« Take all this unhappiness from meSay, am I crazy?Well, god bless me! »Hyde - Masquerade

Fine

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[1] Parlo di Iron-Man 3, durante la fiera Hi-Tech, dove Tony salva un bambino con la maschera di Iron-Man... che hanno confermato fosse proprio Peter e di cui lui si ricorda, ovviamente.
La seconda parte della storia è ambientata in Civil War, proprio nella prima apparizione di Peter, nel film, dove appunto conosce Tony.
Ho voluto immaginare, nella mia testa, che l'invito in maschera lo abbia mandato proprio Tony, per incontrare Peter - Spider-man - prima del fantomatico vero incontro a casa Parker... come se avesse voluto studiarlo, prevederlo, capire come comportarsi una volta che lo avrebbe avuto davanti senza le maschere... e invece ne rimane stregato, così tanto che le cose cambiano inesorabilmente perché, per loro, è impossibile fingere che non ci sia quel magnetismo, nemmeno quando si prova a nasconderlo.
Spero di aver espresso bene il concetto, senza cadere nel ridicolo.   

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