Undyne
Continuo a trascinarla, lei non oppone resistenza. Non parla nemmeno: si limita a guardare i luoghi che la circondano. Rimane impressionata dalle Waterfall. Contenta lei...
Non capisco cosa ci trovi di bello o interessante nell'Underground, questa maledettissima prigione sotterranea in cui gli umani ci hanno rinchiuso. Maledetti.
Ma a breve tutto ciò finirà e loro capiranno cosa voglia dire essere prigionieri.
«Tutto bene? Hai il volto più tirato di Loredana Bertè».
La ragazza mi distoglie dai miei pensieri. Solo adesso mi accorgo che la sto osservando.
«Continua a camminare e fa' silenzio» Replico spingendola in avanti.
«Ok, ok. Rilassati».
«Non ti uccido adesso solo perché questi sono gli ultimi posti che vedrai».
«Sono commossa».
La colpisco forte sulla testa. Cade.
Il mio stivale si conficca nel suo fianco una, due, tre volte.
«Non parlarmi così, maledetta mocciosa!» Esclamo, la collera mi spinge a colpirla più forte.
L'umana si raggomitola su se stessa, il dolore sul suo volto mi fa fremere di gioia.
«Non credere di essere superiore a me solo perché sei umana!
Voi maledetti ci avete tolto tutto, ci avete sempre discriminato! La prima occasione è stata perfetta per liberarvi di noi! Maledetti!».
Non so come faccia, ma la ragazza rotola di lato e si alza in piedi tremante.
Respira a fatica e si tiene un braccio al petto, ma la collera nei suoi occhi è viva e potente. I nostri sguardi s'incontrano.
«Adesso basta, smettila!» Esclama l'umana.
La voce le trema, ma non vedo lacrime rigarle il volto.
«Smettila di addossarmi le colpe dell'intero genere umano!
So cosa accadde anni fa: ho fatto molte ricerche in questi giorni.
Beh, devi sapere che gli uomini sono creature tremende: si colpiscono a vicenda, combattono, si uccidono. Sono terribili, è vero.
Molti hanno commesso dei gravi errori, altri continueranno a farlo.
Umani, mostri: tutti sbagliano.
Anche se sono umana non puoi addossarmi le colpe di altre persone, perché io a voi mostri non ho mai fatto niente. Neanche sapevo della vostra esistenza e non mi importava.
Uccidimi se devi; a questo punto non m'importa più. Forse non mi è mai importato».
Rimango in silenzio.
Le sue parole, devo ammetterlo, mi hanno colpita.
«E poi tra tutti siete dei grandi ipocriti» Continua.
Non ha quasi più fiato, le gambe le tremano sempre di più e goccioline di sudore le colano lungo la fronte.
«Dite sempre che odiate gli umani perché, tra tutte le cose, hanno sempre discriminato i mostri.
Da quando sono caduta qui sono stata quasi uccisa, stuprata, fatta a pezzettini. Sono stata picchiata. Sono stata evitata.
Non è discriminazione questa?
Se non lo è, allora, credo di dover rivedere il significato della parola».
«Però siete stati voi a chiuderci qui».
«Non siamo stati noi. Sono state delle persone che un tempo hanno combattuto contro i mostri, ma che ora sono morte. Erano altre persone».
«Le persone non cambiano».
«Le persone hanno dimenticato! Se voi tornaste in superficie rimarreste delusi: nessuno sa della battaglia avvenuta anni fa!».
Stringo i pugni. «Stai forse dicendo che dovremmo rinunciare? Che dovremmo vivere qui, come topi in trappola?!».
«Credo che dovreste essere meno ipocriti».
Mi sento come se dovessi esplodere.
Come si permette questa mocciosa, questa umana di dirmi cosa devo pensare?!
«Tu non lo sai» Dico. «Tu non sai cosa voglia dire vivere in cattività, vivere con la consapevolezza di non poter scappare e non poter fare niente. Tu non sai quanto sia pesante uccidere qualcuno che ti implora di non farlo. Tu non sai quanto sia straziante quando uccidere inizia a piacerti!».
Rivedo quei volti: bambini in lacrime che mi implorano pietà. Bambini in lacrime che non piangeranno mai più: ho fermato per sempre i loro lamenti, i loro dolori. Le loro risate.
I miei sorrisi rivolti a loro, prima che la consapevolezza di ciò che dovevo fare arrivasse.
E i loro sguardi traditi, di chi non capisce perché qualcosa stia succedendo.
Perché?
Guardo la ragazza: è incredibilmente cupa.
Per la prima volta ha gli occhi puntati a terra e i pugni stretti.
«No» Dice. «Non lo so».
Devo averla ferita. Dovevo capirlo prima che questa mocciosa ha qualcosa di strano.
La odio. La odio, perché ha fatto emergere ricordi che mi ero ripromessa di non riesumare più.
Le sue parole però hanno senso, dopo tutto. So che in fondo la ragazza ha ragione.
Umani, mostri: tutti sbagliano.
Anche se sono umana non puoi addossarmi le colpe di altre persone.
Abbasso la lancia che avevo puntato contro di lei.
«Vattene».
Sibilo. «Torna da chi ti ha protetta in questi giorni e fatti aiutare a tornare a casa.
Bada: se ti vedrò un'altra volta non esiterò ad ucciderti; e non saranno delle belle parole a salvarti. Hai capito?».
Lei mi guarda per qualche secondo, poi si decide a parlare.
«Portami dal re» Dice.
È più stupida di quanto sembri.
«Cosa...? Ti sto dando l'opportunità di scappare, e tu vuoi essere portata dal re, che ti ucciderà di sicuro?!».
«Voglio darvi la prova che uccidermi non vi servirà».
«In che senso, scusa?».
«Voi siete tenuti qui da una barriera, giusto?».
Annuisco.
«E per oltrepassarla serve l'anima di un mostro e di un umano».
Annuisco ancora. «Lo so» Replico stizzita.
«La mia anima è diversa. È di un mostro, da quanto ho capito».
Sgrano gli occhi. «L'anima di un mostro».
«Già».
«Mi prendi per il culo».
Scuote la testa. «Se fosse falso sarei già scappata, non credi?».
In effetti...
Faccio comparire la sua anima sul suo petto. È bianca, proprio come la mia, o come quella di qualsiasi altro mostro.
Questa cosa è assurda. Troppo.
Lei mi guarda, io mi mordo il labbro.
«Ti porterò dal re, dopotutto è il mio lavoro. Sappi però che te la sei cercata».
Annuisce determinata.
È strana. Io sarei scappata, se ne avessi avuto l'occasione...
No, non è vero.
Sarei rimasta, proprio come lei.
Avrei affrontato il re a viso aperto.
Avrei vinto.
Stiamo per rimetterci in cammino, quando tutto diventa improvvisamente buio.
Una voce metallica emerge dall'oscurità.
«Oh, yes...!».
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