Papyrus
«Quindi... Ti piacciono gli spaghetti».
«Con le vongole. E anche alla carbonara».
Finalmente... Finalmente, dopo anni e anni di ricerca, ho trovato un'amante della pasta!
No, non devo farmi prendere dall'emozione. Bisogna stare calmi, attenti, composti...
Qualcuno APPREZZERÀ LA MIA CUCINA!
No. Calma, attenzione, compostezza.
«Ehm... Ti senti bene?».
L'umana mi fa sobbalzare.
«Eh, cosa? Chi, io? Sto benissimo, mai stato meglio!
Benvenuta nella mia cucina, umana!».
Lei entra, si guarda intorno.
Mi aspetto che dica quanto sia bella la mia cucina, o cose simili.
Invece si siede. E mi guarda.
«Ho fame».
«Ho capito, ho capito!».
Prendo la pasta dal frigo e mi avvicino ai fornelli, per poi iniziare a bollire l'acqua.
«Non ti abituare a questa cortesia, umana. Dopo cena andrai dritta dritta nella tua cella e non uscirai finché Undyne non verrà a riprenderti. Ah, e non pensare di scappare: in quel bracciale c'è installato un GPS».
«Emozionante» Commenta lei sarcastica.
«Come hai detto che ti chiami?» Chiede poi.
«Io sono il grandioso, incredibile, inimitabile Papyrus!».
«D'accordo, grandioso, incredibile, inimitabile Papyrus. E cosa vuoi esattamente da me?».
«La tua anima, che insieme alle altre sei anime umane raccolte permetterà al nostro re di distruggere la barriera che ci tiene qui e di conquistare la superficie!».
«Sì, sono comunque degli obiettivi. Ma, al quanto ho capito, la mia anima non è umana, o una roba simile. Quindi potrei anche andarmene».
«Ormai ti ho catturata, perciò troveremo un'utilità alla tua futile esistenza. Alphys ti trova già interessante».
«Bene, felice di essere un motivo di interesse per qualcuno, ma io vorrei andarmene a casa. Beh, non a casa, ma vorrei tornare a New York».
La pasta è quasi pronta, così prendo un piatto dalla credenza.
«New- che?» Chiedo voltandomi verso la mocciosa.
«New York, una città in superficie».
«È bella?».
Lei sorride. «Oh, no. Anzi: è molto pericolosa!
Ci sono alieni e mostri mutanti che corrono in giro assogettando umani di continuo. Nessuno è al sicuro!».
Non posso credere alle sue parole. «Che cosa?! Vuoi dire che ci sono i mostri anche in superficie?».
«Peggio, molto peggio! Giganteschi scimmioni, esseri di pietra, creature verdi provenienti da altri pianeti, tizi neri come la pece muniti di tentacoli...».
«Come Nightmare» Dico tra me e me.
Con la coda dell'occhio vedo la ragazzina impallidire, questa volta più del solito.
Posso vedere delle goccioline di sudore che le colano lungo il volto e il suo petto prende ad alzarsi e abbassarsi con una velocità incredibile.
«Ti senti bene? Di solito la gente reagisce così dopo aver assaggiato i miei spaghetti...».
«Hai detto... Hai detto Nightmare?».
«Sì, un tizio che ci ha creato parecchi problemi... Lo conosci?».
«Eh? No, no! Era solo che... Nightmare, incubo: fa paura solo a sentirlo nominare!».
Questo improvviso cambiamento... Strano.
«Comunque» L'umana si riscuote. «Noi umani di New York abbiamo poteri per sopravvivere!».
«Sul serio?».
«Certo, ma non è mica facile.
Vi sconsiglio la superficie, ve la sconsiglio proprio!».
«E allora perché vuoi tornare là?».
Mi aspettavo una risposta sarcastica o qualcosa di simile, ma la ragazzina rimane in silenzio.
Abbassa lo sguardo sul tavolo.
«A dire la verità... Credo di voler tornare solo per sfizio.
Non ho nessuno ad aspettarmi, se non la direttrice del collegio e qualche assistente sociale, magari.
Non ho più nessuno che mo aspetta...».
Un'inaspettata nube di tristezza cala su di lei e la avvolge, facendola piombare in un silenzio di tomba.
Tolgo la pasta dal tegame e la metto nel piatto, seguita dalle uova e dalla pancetta.
Li mescolo per bene e poso il piatto davanti all'umana.
«Mangia» Le ordino.
Non ribatte.
Sempre immersa nei suoi pensieri prende la forchetta, arrotola gli spaghetti intorno ad essa e se la caccia in bocca.
Mastica a lungo, lentamente (come se stesse ruminando), poi ingoia.
«Ti fanno schifo, non è vero?» Le chiedo annoiato.
Lei non mi calcola.
«Non credo di voler tornare in superficie» Dice con la bocca piena di una seconda forchettata. «Sono caduta qui perché qualcosa mi ha detto di farlo, anche se non so perché».
Ingoia.
«Sì sì, ok, non vuoi tornare e bla bla bla. Ti piacciono gli spaghetti?».
Lei mi guarda. «Sei un ottimo ascoltatore» Replica sarcastica. «Ma mi piacciono i tuoi spaghetti».
Ok, se in questo momento entrasse in casa Asgore in persona volteggiando con un tutù rosa sarei meno scioccato.
All'umana piace la mia cucina.
All'umana piace la mia cucina!
Non è mai successo, e ora che sta succedendo quasi non ci credo. Vorrei che Sans fosse qui, voglio sbattergli in faccia il mio: "Te l'avevo detto!".
Parlando del diavolo...
«Ehi, Boss».
Mio fratello spunta in cucina e rimane sorpreso di vedere l'umana.
«E tu che ci fai qui?».
«SANS, A LEI PIACCIONO I MIEI SPAGHETTI!» Esclamo scuotendolo.
Lo sguardo incredulo di Sans mi infastidisce. «Ehm... Quanta droga hai messo nella pasta?».
La ragazzina ride.
«Cos'hai da ridere tu?».
Si stringe nelle spalle. «Siete buffi, tutto qui».
Incrocio le braccia, offeso. «Parla per te».
Lei in risposta fa scorrere lo sguardo in tutta la stanza, finché non si ferma sulla scacchiera. «Ehi, gli scacchi!».
«Quelli non sono dei semplici scacchi. È una versione del gioco ottanta volte più difficile, e solo i grandi campioni possono vincere! I grandi campioni come me, ovviamente».
«Ma se non hai mai vinto una volta? Alphys ti straccia sempre!» S'intromette Sans.
«SANS!».
«Che vuoi? È vero!».
«Voglio fare una partita!» Esclama l'umana.
«Ne sei proprio sicura, mocciosa? Potrei stracciarti!».
Lei ghigna con aria di sfida.
«Ah davvero? Io credo che sarà il contrario».
«Io vi lascio a fare 'sta roba da secchioni. Ci si vede».
Sans esce e lo sento che si butta sul divano. Due secondi dopo sta già russando.
«Perché non rendiamo il tutto più interessante?» Domanda l'umana.
«Una scommessa? Sentiamo».
«Se vinci tu rimarremo al piano originale: la mia anima e bla bla bla.
Se vinco io invece diventerò vostra ospite, mi nasconderete da questa Undyne e mi aiuterete a tornare a casa».
«Ma non avevi detto di non voler tornare?».
«Non voglio vivere come una ricercata quaggiù. Allora, accetti o no?».
L'umana mi porge la mano.
Guardo la scatola, la ragazzina, di nuovo la scatola.
Non ho nulla da temere: io ho giocato centinaia di volte a quel gioco, lei non può averlo nemmeno mai visto.
Ho la vittoria in pugno.
«Accetto».
E stringo la mano tesa.
Giocare con la mocciosa è estenuante.
Davvero, davvero estenuante.
Insomma, tutte le volte che tocca a lei rimane lì, immobile, osserva la scacchiera e studia ogni singola pedina per un sacco di tempo.
«Senti, muovi una pedina e basta!».
Lei lo fa. «Mangiato».
Dannazione.
«Bisogna riflettere in questo gioco. Non muoversi a caso come fai tu» Mi rimprovera.
«Maledetta mocciosa, non dirmi cosa devo fare!».
Muovo una pedina.
Questa volta lei non rimane ferma.
Con un ghigno malefico in volto fa la sua mossa.
Con terrore osservo la sua mano e le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo.
«Scacco matto».
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