I- I know what I was on, I had a Pilot Jones
PRIMA PARTE
🐥CHARLOTTE🐥
🎧Pilot Jones-Frank Ocean
🎧Heavenly-Cigarettes After Sex
🎧Cola-Lana Del Rey
<<Cooosa?!>> chiede strillando mia madre, assordando me e anche la persona dall'altra parte della cornetta del telefono rosso fisso di casa nostra.
L'interlocutore è mio padre ed è chiaramente successo qualcosa di tragico.
I miei genitori per 'tragico' possono intendere un ufo che decide di parcheggiare in centro Los Angeles oppure la vicina, la signora Marge, che si è dimenticata di portarci metà della sua torta alle mele.
<<Mamma, non urlare>> la rimprovero, lanciando un acino d'uva violaceo in aria e afferrandolo con i denti per poi masticarlo; tentando di rimanere concentrata sul film che io e mia sorella Violet stiamo guardando.
Un film sui pony e i valori dell'amicizia.
Pellicola da Oscar onestamente.
O meglio, io lo sto guardando; visto che lei dorme con la nuca nel mio grembo, prendendo per sé la parte più calda della coperta.
Poi, all'improvviso sento un tintinnio di cristallo infranto e sposto Violet con la testa sul poggiabraccio del divano.
Mi alzo e, sfregando le mani sulle cosce dei jeans slabbrati, faccio il mio ingresso in cucina, dove si è rifugiata la belva feroce.
<<Mamma, datti una calmata!>> le intimo, ma lei non mi dà ascolto, sbatte il telefono ferocemente contro la sua scatoletta, attaccando.
Mi guarda cupa, la fronte cremisi per lo sforzo che sta compiendo, mantenendo la calma e tentando di non urlarmi addosso.
Come se avessi fatto qualcosa di male.
<<Charlotte...>> inizia, guardandomi sconsolata.
Mi ha chiamato con il mio nome per intero, non è mai una buona cosa.
<<Tua padre ha confermato che non ci sono altre soluzioni>> prende un respiro:<<Non possiamo più permetterci la tua scuola>> sbuffa melodrammatica.
In realtà non mi sorprende.
E francamente non mi interessa nemmeno.
Non ho una vita sociale a cui rinunciare e neppure amici stretti da abbandonare.
<<Dovrai andare ad Oakland>> mi riferisce.
<<Come?>> la mia voce si alza di qualche ottava: <<Ma mamma...>> tento, ma lei mi ferma in principio. Alza la mano e mi rivolge il palmo.
<<Lo so, lo so>> ripete comprensiva: <<Ma la borsa di studio non basta più per gestire le spese, la tua è una scuola privata molto prestigiosa>> fa una pausa:<<Spero tu riesca a mantenere un buon rapporto con i tuoi amici...>>
Come se mi importasse di qualcuno in quel posto.
<<Ma perché devo prendere l'autobus per Oakland tutte le mattine quando potrei andare alla Kingstone's?>> domando, ma lei sbarra immediatamente gli occhi, mentre fruga nel cassetto delle posate, tirando fuori un cucchiaio e brandendomelo contro: <<Non pensarci nemmeno>> strilla.
Cerco di parlarle, ma è irremovibile: <<No, non ci andrai, non se ne parla>> si tappa le orecchie ficcando i polpastrelli degl'indici nei padiglioni e la guardo, le speranze che scivolano via.
Molti anni fa, la Kingstone's High School è stata incastrata in uno scandalo enorme che ha girato non solo il nostro quartiere, ma tutta Los Angeles.
Una ragazza è stata ritrovata in bagno, quasi in overdose, i paramedici hanno provato a rianimarla ma nulla è riuscito a salvarla.
E così, da allora, la Kingstone's, che si era sempre proclamata come una delle migliori scuole, è in fondo alle classifiche degli istituti della California.
<<Mamma... è passata una vita>> bisbiglio, ma lei non mi ascolta, cominciando a parlare da sola, cercando di ricordarsi gli ingredienti per la cena di stasera.
Sbuffo e la lascio sola, raggiungendo l'ingresso, infilo velocemente il primo paio di scarpe che trovo: delle Converse risalenti al periodo ellenistico, a giudicare dalle suole infangate e con la gomma distrutta.
Infilo un golfino leggero, afferrando la borsa contemporaneamente ed esco.
I miei piedi si muovono da soli, conoscendo la strada a memoria e consumando falcate lunghe ma tranquille. Niente fretta di tornare a casa.
Mi fermo davanti la mia libreria di fiducia e ne ammiro la bellezza.
E' un antico negozio di tomi con stile ottocentesco e libri ammassati sugli scaffali.
Nessuna fila ordinata di colori accesi come in quelli moderni.
Solo mucchi polverosi e copertine ingiallite.
Amo questo posto.
Varco la soglia e mi chiudo la porta alle spalle.
La stanza è minuta, quadrangolare, le mensole sono di legno di cedro resinato, intuibile dal colore ambrato e lucido delle superfici.
Gli scaffali sono caotici, a diverse distanze l'uno dall'altro e di lunghezze differenti. In un angolino ci sono delle poltroncine di legno più scuro -foderate di tessuto, al tatto simile al feltro, cremisi, invecchiato- che circondano dei tavolini rotondi sui quali alcune signore distinte poggiano i volumi appena acquistati, sorseggiando i macchiati presi alla caffetteria qui a fianco.
Appena udibili sono riprodotte delle canzoni a rotazione dei Cigarettes After Sex, la band preferita della libraia, che saluto come se fosse un'amica vera e propria.
Marcio velocemente verso la sezione dei classici e comincio a sfogliarli freneticamente uno ad uno.
Finché un titolo dorato e riflettente attira la mia attenzione: 'Cime Tempestose' di Emily Brontè.
Mi alzo in punta di piedi e ne raggiungo il dorso, facendoci scorrere sopra i polpastrelli, sentendone appieno la ruvidezza.
<<'Di qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la mia e la sua sono la medesima cosa'>> mormora -in modo da farsi comunque sentire- qualcuno alle mie spalle.
Sbatto la fronte contro il ripiano per la sorpresa e mi volto massaggiandomi la porzione di viso tra le due sopracciglia.
Mi ritrovo davanti una sagoma piuttosto alta, emaciata e decisamente fuori contesto. Questo è un posto per anime tormentate, non per un fusto in felpa e jeans come se fossimo in un centro ricreativo giovanile.
Mi prendo qualche secondo per osservarlo. Mi piace studiare la gente.
Oltre che alto, è pure ben piazzato.
Sport.
Basta guardarlo per capire che è un atleta.
Dimostra più o meno la mia età; ha i capelli corvini, schiariti dal sole di settembre che trapassa i finestroni del negozio. Gli occhi, talmente scuri da non distinguere l'iride dalla pupilla, sono circondati da ciglia chilometriche che io non riuscirei mai ad ottenere nemmeno con il mascara migliore del mondo.
Gli zigomi alti e le occhiaie lievi spiccano sulla pelle pallida, illuminata da un sorrisetto beffardo che provoca due piccoli buchini ai lati della bocca leggermente screpolata.
C'è qualcosa per cui ridere? Io non penso.
Lo diverte il fatto che abbia sbattuto la testa o è un po' ottuso?
<<Cosa?>> chiedo, anche se ho capito piuttosto bene la sua citazione, pur non avendo letto l'opera, questa frase è molto famosa.
<<E' il libro>>-indica con un cenno del capo ciò che sto tenendo tra le mani- <<Cime Tempestose>> ci tiene a precisare.
<<Mh, wow>> rispondo piccata. E' letteralmente il titolo scritto sul davanti.
Cerco di non darci peso. Non tutti sono nati col dono dell'intelligenza.
Il ragazzo misterioso sghignazza ai miei modi tutt'altro che cortesi e mi riferisce, sempre come se m'importasse: <<E' uno degli unici libri io abbia mai letto, non mi è piaciuto molto...>> me lo strappa dai palmi e se lo rigira tra le dita, osservando la copertina color salvia.
<<Però leggilo, a me ha annoiato, ma tu sembri proprio una tipa noiosa.>> conclude, scandendo bene con le labbra ogni parola.
Rimango incantata dalla sua faccia tosta.
<<Beh, grazie per il consiglio decisamente non richiesto>> borbotto sarcastica.
Mi fa l'occhiolino e mi allontano, porgendo il tomo alla ragazza al bancone, mentre frugo nella borsa, cercando il portafogli o qualche banconota sparsa.
Esco dalla libreria e passo a prendere un caffelatte per poi incamminarmi verso casa con la mia nuova lettura.
'Fanculo, non so perchè ho ascoltato il consiglio di quel tizio' penso mentre prendo un sorso di bevanda e mi scotto la lingua.
'Forse lo avrei preso lo stesso, chi lo sa'.
Rientro in casa, abbastanza nervosa per il buffo incontro.
In sala da pranzo, trovo i miei seduti alle due estremità del tavolo, mi fissano.
Odo il suono metallico del microonde e tiro fuori la mia cena: Mac and Cheese, che schifo.
Ma ovviamente questo non lo dico, non sono così ingrata.
Mi adagio alla sedia, guardando solo mio padre, certe volte ho paura della donna che mi ha partorito.
Quasi sempre.
<<Ci abbiamo pensato...>> inizia lui, lei tossisce falsamente.
L'uomo davanti a me mi rivolge una richiesta d'aiuto silenziosa, correggendosi subito dopo: <<Io, io ho pensato e tua madre non è d'accordo>> la fulmina con lo sguardo: <<Dovresti essere tu a decidere e che se fosse ciò che desideri>> -mi guarda preoccupato- <<noi ti lasceremo andare alla Kingstone's>>
Mi illumino un po', in effetti sono contenta di dover percorrere cinque minuti a piedi e non mezz'ora di tram tutte le mattine presto.
Magari lì non ci saranno solo snob viziati e figli di papà.
Magari qualcuno che conoscevo da piccola si ricorderà di me e verrà a parlarmi. Anche se io non potrò capire chi è.
I miei genitori hanno voluto che nessuno diffondesse la notizia del mio incidente, ad oggi solo le mie vecchie insegnanti, la mia famiglia e l'ospedale dove sono stata ricoverata ne sono a conoscenza.
Non che io ci tenga a specificarlo quando incontro qualcuno.
Perdere la memoria a dieci anni mentre eri con una lontana parente di cui nessuno si ricorda, tranne mia madre quando, periodicamente, le chiedo dettagli sull'accaduto e lei mi liquida dicendo: <<Eri in macchina con tua cugina Sarah, qualcuno guidava in contromano e vi siete scontrati; lei è morta sul colpo, tu sei rimasta in amnesia>> non è proprio un vanto.
Le credo sempre di meno: non c'è nessuna lapide al cimitero che ricorda una certa Sarah Peters, ho ispezionato il luogo da cima a fondo quattro volte.
Mia nonna non ricorda chi sia ogni volta che la nomino e tutti in famiglia fanno una faccia strana prima di ricordarsi che è una persona totalmente fasulla, inventata come scusa.
Ma perchè nascondermi il vero motivo?
Vorrei solo la verità, per quanto brutta essa potrebbe essere.
<<Si>> rispondo, ignorando le proteste di mia madre:<<Quest'anno andrò alla Kingstone's>> annuncio.
Mio padre mi sorride riluttante, quasi come se anche lui fosse contrariato.
Onestamente non m'importa molto, ci guadagno e basta: non devo prendere i mezzi pubblici, dalla quale sono estremamente terrorizzata e posso svegliarmi più tardi il mattino.
I miei genitori si alzano, lasciandomi mangiare i miei maccheroni in pace.
Mentre sfoglio svogliatamente il libro che ho portato in cucina di nascosto, infilato nel tascone del mio cardigan; sorrido.
Forse, ora posso ricominciare con il piede giusto.
Speriamo che la seconda volta sia quella buona.
🐥🐥🐥
Una secchiata d'acqua gelida mi si schianta contro la faccia, ghiacciandomi il cranio.
Annaspo per lo stupore e mi metto seduta.
Non so neanche dove sono.
Poi realizzo, è il mio primo giorno di scuola alla Kingstone's.
Asciugo gli occhi bagnati con il lembo del lenzuolo e mi ambiento alla luce del giorno. Mia madre è a bordo del letto, le braccia incrociate e gli occhiali ancorati al ponte del naso. Violet -già vestita per uscire, con lo zainetto rosa sulle spalle- salta sul materasso con una pentola fonda il mano.
<<Sveglia, Charlie!>> strilla euforica: <<Si va a scuola!>>.
La mamma la rimprovera e la manda al piano inferiore a fare colazione e lei sgambetta via.
Guardo la donna sull'uscio della mia stanza, strofinando la manica del pigiama sul viso umido. Le lanciò uno sguardo, assottigliando gli occhi, che sta a significare: 'era proprio necessario lanciarmi addosso dell'acqua per svegliarmi?'.
Lei per tutta risposta scrolla le spalle, mi indica la sveglia, che avrebbe dovuto suonare alle sette. Invece mancano venti minuti alle otto e io dovrei già star uscendo di casa.
Scatto in piedi e corro verso il bagno sbattendo la porta.
Pensa, Charlie, vestiti con contegno, stai andando a scuola.
Mannaggia alle scuole senza divise, cosa dovrei mettermi?
Infilo un paio di jeans larghi alla fine che coprono quasi del tutto i miei piedi, una canotta di pizzo bianca e sopra una maglietta stretta blu, rubata a mia madre.
Mi osservo allo specchio e noto con dispiacere che la piega che avevo fatto è distrutta dall'acqua.
Maledizione a Violet.
I capelli, prima lisci, sono ora ondulati e gonfi.
Fanculo, non ho tempo.
Lego le ciocche in due trecce basse e laterali, allentate e irregolari.
Ce lo faremo andare bene.
Scendo rapidamente le scale, con la moquette oramai marrone che ne riveste solo la superficie centrale e arrivo in cucina.
Scompiglio i capelli di mia sorella in un gesto affettuoso, saluto mio padre seduto a bere il caffè che mi risponde con un grugnito assonnato e schiocco un bacio sulla tempia della mamma.
Lei mi lascia in mano un croissant e mi congeda con un: <<Vedi di arrivare in orario, irresponsabile>>.
<<Questo non posso promettertelo, buon lavoro, Stephany!>>.
Afferro la borsa con qualche quaderno e le penne, saltello dentro gli stivaletti per farli aderire alla mia gamba e esco di casa.
Il clima di Los Angeles è ancora caldo e afoso, e così sarà ancora circa un mese. Fantastico già al pomeriggio, tornata da scuola potrei passare in spiaggia a fare un bagno con Violet.
Trattengo il cornetto con i denti, mentre cerco di snodare i fili delle cuffiette. Riesco ad infilarmi gli auricolari nei padiglioni.
E così cammino, mangiando la mia colazione, mentre, nelle mie orecchie, Lana Del Rey si vanta del suo canale vaginale che sa di Coca Cola.
Alternando i passi, mi ritrovo a pensare a tutte le mie disgrazie.
Insomma, sto per fare il mio ingresso in una scuola dove non conosco assolutamente nessuno e di cui non so nulla.
Come saranno gli studenti che frequentano uno degli istituti più malvisti dello stato? Saranno persone normali o mi troverò in mezzo ad un branco di scartati dalla società?
Che ansia.
Il mio obiettivo è arrivare a stasera sana e salva, possibilmente senza cacciarmi nei guai. Se vi sembra che sia il minimo, sappiate che per me non lo è.
Le mie figure di merda sono le migliori.
Sarà un'impresa passare inosservata.
Dopo due canzoni esatte arrivo davanti i grandi cancelli di ferro battuto, lucido e totalmente privo di ruggine, della Kingstone's.
E' spalancato e dà su un sentiero di mattonelle che porta direttamente all'entrata.
Cammino sull'erba verde e tagliata ordinatamente.
Sento qualcosa, o qualcuno, urtare la mia spalla.
Mi giro subito e mi ritrovo davanti una ragazza parecchio minuta. Non credo che le importi molto delle regole da rispettare sull'abbigliamento.
Indossa un top bianco e una minigonna, e ai piedi dei tacchi bassi.
<<Oddio, scusaci, Kelsie!>> si volta verso una biondina, anche lei incurante del vestiario poco appropriato.
<<Mi hai spinto addosso alla ragazza!>>
Ma Kelsie mi sta fissando, curiosa:<<Non ti ho mai visto qui>> constata.
<<Non sembri una Freshman>> le dà corda l'altra.
Sorrido cortesemente, sperando che non si sia intravista la smorfia che avrei voluto realmente riservarle.
<<Non lo sono, infatti, sono all'ultimo anno>> spiego.
La mora sbatte le palpebre decorate dall'eyeliner: <<Non eri in questa scuola l'anno scorso>> dice sicura.
Dio santo.
Scuoto la testa, confermando le loro teorie:<<Andavo alla Brentwood e->> ma vengo interrotta da un versetto schifato.
<<Scusa, vieni da quella scuola di snob? Cosa ti ha portato qui?>> piega il capo, assottigliando gli occhi, mentre l'altra si rigira i capelli lisci tra l'indice.
Ma gli affari propri ce li si può fare?
<<Non sono ricca e sono qui perchè mi conviene, non me la tirerò perchè ho i soldi di permettermi un'istruzione a pagamento>> sbotto, alterata dalle loro domande.
Mi guardano attentamente.
La mora mi porge il palmo, fisso le sue unghie laccate di lilla:<<Mi piaci, io sono Lexi>> le stringo la mano.
<<Kelsie>> borbotta l'altra.
<<Charlie>> termino e prima che possano aggiungere altro, preciso:<<Che è il diminutivo di Charlotte>>
<<Che corso segui? Fai sport? Conosci già qualcuno?>> l'amica le tira una gomitata nel costato per rimproverarle l'invadenza.
<<Letteratura, no e non ho intenzione di iniziare ora ed infine, no>>
<<Oh, allora hai le stesse lezioni di Ashley! Anche lei fa Letteratura!>> comincia a chiamare il nome della ragazza, sbracciandosi.
Noto Kelsie che mette su un broncio strano.
Una ragazza dai capelli ricci e rossicci, si avvicina a noi con il viso chino, gli avambracci che stringono al petto dei quaderni e un libro, palesemente non della scuola.
Alza la testa e mi trovo davanti un volto angelico, seppur emaciato. Ha la pelle pallida e lentigginosa, struccata totalmente e gli occhi smeraldini.
<<Lei è Ashley>> me la presenta Lexi.
Ashley mi sorride.
La mora le spiega che deve accompagnarmi in classe perchè non conosco nessuno. Mi sorge un dubbio.
<<Non c'è una segreteria?>> mi guardano tutte e tre divertite.
<<La segreteria è aperta solamente il giovedì alle ultime due ore, e poi la signora Wilson è un po' un palo in culo>> mi riferisce la rossa.
Scrollo le spalle. Almeno ho qualcuno che mi accompagna a lezione.
Mi incammino affianco la ragazza e le chiedo se posso aiutarla a portare ciò che tiene tra le braccia, ma lei declina dolcemente.
Ma non ha uno zaino questa?
Glielo domando.
<<Si, che ce l'ho>> ridacchia.
La conversazione si chiude lì.
Bah.
Non è di molte parole questa Ashley.
Mi sta simpatica.
Entriamo in classe e ci sediamo nella penultima fila verso la finestra. Il professore -che si è presentato come il signor Fletcher- è già alla cattedra e, dopo avermi fatto alzare per dire il mio nome e cognome agli altri studenti ed essersi raccomandato di non escludermi, senza troppi convenevoli inizia a spiegare.
Guardando le facce dei miei compagni, mi veniva proprio da dire: 'Invece, escludetemi, vi prego'.
L'insegnante si lancia in un ripasso delle tecniche base della narrativa. Mi permetto di ostenermi dall'ascoltare il discorso sentito e risentito per scarabocchiare il bordo del libro di testo.
<<Hai già scelto che attività extrascolastica vuoi fare?>> sussurra Ashley al mio fianco, spalanco gli occhi.
No che non ci avevo pensato.
<<E' tassativo?>> chiedo. Mi fa cenno di 'sì' col capo.
<<Tu che cosa fai?>>
<<Cheerleading>> mi risponde semplicemente.
Oh.
<<So che ti sembra strano sia obbligatorio, ma prima delle quattro non puoi uscire. Immagino tu sappia cosa sia successo in questa scuola, la preside sta ancora cercando di rialzare la nostra reputazione e quindi ci tocca scegliere qualcosa e blah blah blah...>>
Sbuffo. Ci sarà qualcosa che mi va di fare volentieri, giusto?
Giusto?
🐥🐥🐥
<<Cheerleading, canto, programmazione informatica sviluppata, cucina o danza>> leggo il foglietto su cui Ashley ha scribacchiato i diversi corsi mentre lei, con il braccio allacciato al mio, mi conduce alla mensa dopo due ore intense di narrativa basica che ormai sa a memoria anche mia sorella di nove anni.
<<O basket, se per caso sei un maschio e nella squadra>> precisa.
Io sono persa a ripetere le parole scritte sul bigliettino.
Mi ritrovo in una sala piena di tavoli rotondi di plastica blu con delle panche, altrettanto ricurve, a circondare ognuno di essi.
La rossa mi guida al banco delle cuoche, dove afferriamo le prime cose che vediamo. Iniziamo a camminare tra gli studenti quando sento una voce chiamare entrambi i nostri nomi.
Lexi.
Da un leggero colpo della mano alla panchina dove è seduta e Ashley fa slittare il suo vassoio vicino a quello di Kelsie prima di accomodarsi.
La imito.
<<Charlie!>> strilla la mora prima di guardarsi intorno sospettosa.
<<Chiamala Pete, il suo cognome è Peters>> le dice l'altra, che lo aveva appreso prima a lezione.
Confusa, inizio a mangiare l'insalata spenta e rinsecchita. Reprimo un conato di vomito.
Lexi mi lancia in grembo tre bustine di pane: <<Sbriciolaceli dentro e metti questa>> mi passa una ciotolina con della salsa bianca: <<E per favore non prenderla mai più, mi vien male solo a guardarla>> dice seria.
La ringrazio e riprendo a maneggiare con il foglietto di carta, strappandolo in modo da separare i cinque corsi differenti.
Accantono gli altri, tenendo quelli che dicono: 'Programmazione informatica sviluppata' e 'Cucina'.
Accartoccio i due pezzi e me li rigiro tra le mani.
Lexi chiede alla mia compagna di classe che cosa sto facendo e lei le spiega del mio dramma per le attività extrascolastiche.
<<Vai a fare pittura>> dice subito.
La guardo male ma Kelsie ha l'accortezza di spiegarmi: <<Nessuno frequenta il corso di pittura perchè la classe ha un buco in comune con i sotterranei e a volte escono ragni>> racconta tranquilla: <<In più la prof non c'è mai, il corso però è ancora attivo, tu fai finta di andare e vieni in palestra>>.
Lexi continua: <<Ti piazzi sugli spalti e fai quello che ti pare, o magari ci guardi mentre ci alleniamo, parliamo noi col coach>> mi fa l'occhiolino.
Sono cheerleader, suppongo, perchè mi parlano come se sapessi tutto?
<<Grandioso, vada per la pittura>> tutto pur di non fare danza o canto.
Pesco uno dei due biglietti nel mio palmo: <<Beh, grazie, mi avete appena risparmiato un anno a cucinare>> mostro loro il pezzetto di foglio.
🐥🐥🐥
Appena finito il pranzo scrivo il mio nome sulla lavagnetta bianca attaccata alla parete fuori dalla segreteria e, dopo aver lasciato la borsa in quello che è diventato il mio armadietto, confinante con quello di Kelsie, mi dirigo nella stanza del corso di disegno.
Come previsto, sono sola.
L'aula è buia, mi ritrovo ad apprezzare questo tipo di buio, quasi come se t'ingannasse che stesse per scoppiare il temporale, quando in realtà fuori c'è il sole.
Ci sono delle luci rettangolari sul soffitto, una è rotta e sotto il vetro è nascosto un piccolo aracnide immobile.
Kelsie non scherzava.
La lavagna è nera lucida, non consumata, come se non venisse usata da molto; ci sono circa una quindicina di sgabelli scrostati e le tele un po' ingiallite, qua e là tavolozze di acrilici secchi. Le serrande alle finestre sono abbassate.
Lascio la stanza, non sono il tipo di persona suscettibile, ma cavolo quella stanza inquieta sul serio.
Attraverso un piccolo corridoio e sbuco sulle tribune della palestra.
Scorgo in lontananza Ashley che si sta legando i riccioli in una coda alta, mentre parla con un uomo di mezz'età con le sopracciglia corrucciate.
Il coach, presumo.
La ragazza mi indica e lui si volta a guardarmi.
<<Charlie?>> chiede e confermo col capo.
<<Anche tu?>> ma poi lui stesso lascia cadere la domanda, aprendo la porta che da agli spogliatoi e urlando di muoversi ai... giocatori di basket?
Non era l'allenamento delle cheerleader?
Qualcuno si siede al mio fianco: <<Di solito ci alleniamo in metà palestra, l'altra metà è per la squadra, l'unica che mantiene un briciolo di dignità alla Kingstone's>> sghignazza Kelsie masticando una gomma.
Dalle porte cominciano ad uscire dei ragazzi.
Cazzo, posso dirlo?
Ma la bionda al mio fianco sbuffa:<<Questi sono i Juniors, aspetta di vedere quelli del nostro anno>>
La osservo confusa, poi lei mi da uno strattone:<<Guarda guarda, il Cento e l'Ala piccola>> due tizi piuttosto imponenti fisicamente -alti come due ante d'armadio e muscolarmente dotati- fanno l'ingresso sul parquet.
<<Ross Smith quello a destra e l'altro è Jonathan Howard>> spiega: <<Sono okay, credo, John è gay secondo me, non dirlo in giro, lui nega e ci rimane un po' male, almeno lui, al contrario di Ross, è simpatico>> straparla, informandomi nel dettaglio del perchè delle sue supposizioni.
Scatta dritta con la schiena appena gli ultimi tre giocatori arrivano in campo, chiaccherando come se fossero al bar.
<<In ordine la Guardia tiratrice, l'Ala piccola e il Playmaker che è pure il capitano>> fa una piccola pausa: <<Comunque se ti stai domandando come so i ruoli, è tutto Wikipedia, ti pare che qualcuno me lo abbia mai insegnato?>> scuote la testa.
Wikipedia? Usa Wikipedia come sito di ricerca?
<<Quello rasato è Brandon Moore, il gemello di Lexi>> sospira: <<Io te lo dico, gli piace Ashely, me lo sento>> infatti il ragazzo saltella qualche passo, avvicinandosi alla metà palestra: <<Dickens!>> la chiama con il nome del famoso scrittore: <<Ho trovato un bellissimo libro nel tuo zaino! Dici che se lo leggo divento intelligente come te?>> urla ridacchiando.
Ecco dov'era la sua cartella.
La rossa si schiaffa in palmi in faccia, tentando di coprirsi l'intero volto, Brandon ride come un pazzo.
<<Poi c'è Jace Wellington, l'ex storico di Lexi, stavano insieme dalla seconda media, è quello biondo e con la faccia da cazzo>> è seria ora.
Lui fissa un po' l'amico, come se fosse impazzito, osserva per qualche secondo le ragazze, prima di distogliere lo sguardo, abbassando la testa.
<<Infine il capitano dei Sea Lions e sì, si chiamano i 'Leoni di mare' perchè siamo vicino alla spiaggia>> mi guarda strana: <<Charlie Thompson>>
Oddio, ha il mio stesso nome.
Poi si gira e-
Porca puttana.
E' il ragazzo della libreria.
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