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Paradise (Parte 3)

(Terzo giorno. Non so se si tratta del terzo o ancora del secondo perché non ho idea se la mezzanotte è passata. E non è forse la mezzanotte il discrimine tra una data e la successiva, e di questa conoscenza non ci vantiamo forse, nell'infanzia, con gli amici?)

Enrico non aveva dormito. Nel cuore della notte s'era recato davanti alla camera di DIO, dopo ore di forzata reclusione nella propria, e aveva bussato.

Gli era subito stato concesso di entrare e ora era inginocchiato a terra, ai piedi di DIO seduto sul letto, e gli baciava le vene dei polsi. Nemmeno una parola era stata detta sul loro primo incontro: il ragazzo sperava che la benedizione di quel silenzio continuasse, poiché di certi atti era meglio tacere.

«Enrico, luce della mia vita,» mormorò l'uomo, accarezzandolo, «ora che hai conosciuto la dolcezza della notte lascerai che ti mostri una cosa?»

«Sì, amico mio,» disse il ragazzo alzando il viso, prima di lasciarsi baciare la bocca e godere della passione di quell'atto.

«Vieni con me,» lo invitò DIO. Si alzò, prese un candelabro e gli fece cenno di seguirlo. Si diresse nel corridoio, nel quale durante la notte sembravano cambiare impercettibili dettagli. Guardò i quadri silenziosi, che avrebbero per sempre mantenuto i suoi segreti, poi spinse la porta oltre a quella del bagno, che alla sua mano non oppose resistenza.

«Vieni,» ripeté, ed entrò nella sala. Quando accese le candele con la fiamma della sua, gli occhi di Enrico furono colpiti dai bagliori metallici della cupola di una cappella: quella visione, così familiare eppure straniante, lo lasciò con la bocca socchiusa per la sorpresa, e l'incenso gli entrò nei polmoni. Non c'erano opere d'arte, ai muri, ma tra le colonne di fascinazione barocca e gli inginocchiatoi c'erano i posti che, nei progetti di DIO, avrebbero dovuto contenerle.

L'unica icona, sopra l'altare, era una Madonna dagli occhi malinconici, sfocati: il ritratto di una modella troppo avvenente per prestare il volto alla Vergine Madre. Accanto a lei, circondato da ceri spenti, era appoggiato un libro rilegato in pelle scura.

«Ho pensato,» esordì DIO, «che la strada per il Paradiso avesse bisogno di una cornice degna».

«A cosa ti riferisci?»

L'uomo avanzò verso l'altare, sfiorò la vita di Enrico quando gli passò accanto e infine posò le dita sul libro.

«Questo diario...» spiegò, «questo, più che il palazzo e tutto ciò che possiedo, è la mia eredità. Qui è dove ho scritto il modo per arrivare al Paradiso che The World mi ha sussurrato in sogno, e questo è ciò che vorrei che tu proteggessi, Enrico, anche a costo della tua vita».

Sentendo un peso gravargli sulle spalle, il giovane abbassò il capo e mosse qualche passo incerto verso l'altare.

«DIO,» mormorò, «io farei qualunque cosa per te. Ma permettermi di rivolgerti una domanda».

«Certo, ragazzo mio,» rispose lui, stringendo con affetto il diario tra le mani.

«Perché hai scelto me?»

DIO si avvicinò a Enrico e, quando lui tentò di afferrare il diario, con un gesto rapido lo allontanò fuori dalla sua portata, per poi riporlo sull'altare e prendergli il viso tra le dita.

«Oh,» commentò, «sei curioso di leggerlo? Non è ancora il momento... saperlo adesso sarebbe come una notte senza brezza, o un bacio che non sia alla francese».

Rimarcò quelle ultime parole sfiorando le labbra di Enrico con le proprie, senza però andare oltre.

«Perché ho scelto proprio te, mi chiedi,» continuò. Il ragazzo impallidì, gli occhi fissi in quelli della Madonna e un brivido freddo che gli scendeva lungo la schiena mentre la bocca di DIO gli si avvicinava al collo, senza toccarlo. «Oh, Enrico... il mio piano ha bisogno di un amico fidato. Qualcuno capace di non cedere ai propri desideri».

Nella cappella risuonò il rumore del bacio che DIO piazzò sulla giugulare del giovane, a cui cingeva i fianchi con le mani.

«Qualcuno a cui non interessi il potere». Gli baciò di nuovo il collo. «La fama». Gli baciò la mascella. «La ricchezza». Gli baciò la guancia arrossata e arrivò all'orecchio, che prese con delicatezza tra i denti prima di sussurrare: «Il desiderio sessuale».

«Anch'io voglio essere sincero con te, DIO,» ansimò il giovane. «Considerato quello che è accaduto ieri, ti avviso che potresti aver sbagliato persona».

«Mh,» replicò l'uomo, staccandosi dal suo viso ma facendo scivolare la mano più in basso, verso la sua cintura. «Quindi reputi l'unirti a me qualcosa di deprecabile... un mero atto di attrazione sessuale, è così? Me ne dispiacerei molto».

«No, non è così,» rispose subito Enrico, trovando le sue labbra. DIO portò la punta delle dita sotto i suoi vestiti, e quando gli sfiorò l'osso del bacino parve cambiare all'improvviso idea.

Lo voltò e lo spinse contro il muro con empito quasi bestiale, prima di togliergli il respiro con un bacio. Enrico chiuse gli occhi, annullando qualsiasi immagine sacra, e gli cinse le spalle con le braccia. Aprì la bocca, premette il corpo contro il suo, lasciò che la lingua di DIO lo portasse a immaginare nel retro delle palpebre scene che non gli si addicevano, a provare la sensazione di un fuoco sottile, di un taglio di carta sotto la pelle. Voleva essere, con Dio, una cosa sola; e in quella fusione di amante e amato perdere finalmente il confine.

«Sai,» mormorò DIO, con voce ovattata poiché le loro labbra si stavano ancora toccando. Enrico ricordò quando le aveva viste truccate da quel rossetto verde e aveva desiderato di esserne sporcato. «A volte dimentico che è il Bello la mia unica religione, e credo che le persone dovrebbero venerarmi».

L'uomo accarezzò la guancia del ragazzo, gli portò di nuovo le dita sul mento e vicino alla bocca, nella ricerca lenta e sensuale di qualcosa che Enrico desiderava con tutto se stesso concedergli.

«Lo penso anch'io,» rispose, agonizzando in quella piacevole, dolorosa attesa.

DIO gli passò il pollice sul labbro inferiore, bagnò il polpastrello della sua saliva. Enrico, sentendo cessare l'esistenza di qualsiasi cosa esterna a loro, lo guardò negli occhi e, mantenendo quel contatto, scivolò con la schiena sul muro fino a distaccarsene e cadere in ginocchio ai suoi piedi.

Senza una parola, DIO gli sospinse il capo verso l'alto. Il ragazzo sentì indice e medio entrare nel tenero della sua bocca, le unghie fredde sotto la lingua. Si chiese se DIO trovasse in lui il bello che affannosamente cercava: lì adempiva alla sua venerazione, genuflesso e con il collo inarcato in una piega lieve che proseguiva lungo la spina dorsale. Lasciò cadere le mani lungo il corpo, il palmo rivolto verso l'alto; gli occhi rovesciati come quelli di un santo in estasi, ostensorio della virtù divina.

«Enrico,» lo chiamò DIO, «guardami».

Il ragazzo obbedì, per scoprire che tutto ciò che lui desiderava era in uno sguardo. DIO lo spinse a leccargli per un'ultima volta le dita, poi gli prese il viso con entrambe le mani e gli sussurrò:

«Stai per dirmi che non dovrei comportarmi così con qualcuno che vuole diventare sacerdote e rimanere puro per il resto della vita? Dimmelo, allora, perché voglio sentirlo dalla tua voce, Enrico».

Il giovane abbassò lo sguardo e una ruga sottile gli si formò tra le sopracciglia. Non rispose.

«Non è colpa tua, amico mio,» aggiunse DIO, accarezzandogli i capelli. «Sono io ad essere affascinato dall'innocenza perduta, e dall'esatto istante in cui i fiori appassiscono. Ah, se potessi baciarmi e mostrarmi quell'istante in te...»

Enrico appoggiò il viso sul cavallo dei suoi pantaloni e lì lo baciò. Fu ricompensato dalle dita di DIO che gli sfioravano la guancia prima di slacciare cintura e bottoni dorati.

L'uomo gli prese una mano e con l'altra gli afferrò di nuovo il mento, in modo da guidare entrambi verso lo stesso punto. Senza bisogno di ulteriori incoraggiamenti, il ragazzo si dedicò a dargli piacere, con lo stesso solco sulla fronte di quando era rimasto interdetto, con lo stesso ardore di quando in bocca aveva il suo indice e il suo medio.

Enrico sentì per la prima volta il respiro di DIO perdere regolarità, per trasformarsi in un gemito contenuto quando gli parve di soffocare nell'atto. Senza rendersene conto, con la mano sinistra cominciò a toccare anche se stesso, nel tentativo di immaginare che fosse DIO a masturbarlo; nella speranza di poter condividere una parte del suo godere.

Quell'azione lo indebolì, lo lasciò in balia dell'amante che, dopo qualche confuso minuto, gli afferrò la nuca e cominciò a muovere con più energia il bacino, quasi dimentico della pigrizia con cui era solito condurre amplessi in cui erano gli altri a impazzire per lui.

Enrico lo assecondò come meglio poteva, diviso tra le alte sensazioni che stava provando e le fitte di dolore che le ginocchia, costrette a quella posizione, gli inviavano in tutto il corpo. DIO gemette di nuovo, e questa volta continuò, perso in respiri singhiozzanti che salivano verso la volta.

«Ah, fermo... fermo...» disse poi tra i denti. Enrico non oppose resistenza e si sentì allontanare da lui, che fu preso da un orgasmo che sporcò solo le loro mani. Quella vista spinse il ragazzo a voler raggiungere l'estasi con lui.

Quasi contorcendosi con la schiena contro la parete, continuò a toccarsi mentre DIO lo guardava, con gli occhi socchiusi e gli ansiti che gli sfuggivano dalle labbra. Infine, sfinito, si lasciò cadere seduto a terra, con il capo appoggiato al muro e reclinato su una spalla come un papavero morente.

«Lo hai visto?» domandò con voce roca, mentre le sue ciglia si sollevavano e gli riportavano l'immagine del luogo assieme alla vergogna per ciò che aveva fatto. Era inconsapevole della propria posa semisvestita e abbandonata, la languida statua ellenistica di un giovane. «Hai visto in me il momento che cercavi?»

DIO si inginocchiò di fronte a lui e lo baciò.

«E voglio vederlo ancora,» gli confidò, mentre lui gli si aggrappava alle braccia. «Vieni nel mio letto, Enrico, ti prego».

Il ragazzo si lasciò condurre nella camera dell'amico, perso nella nebbia fitta e febbrile della confusione. Si risvegliò quando la luce, filtrando dagli scuri, gli colpì il viso, di nuovo senza avere idea di quanto tempo avesse passato nell'incoscienza.

Sentiva un lenzuolo sulla pelle, ma quando mosse le gambe si accorse che non c'era nessuno accanto a lui. Qualcuno gli aveva ricomposto i vestiti e l'aveva coperto.

«Dio...» mormorò, senza volerlo. Gli rispose una risata soffusa che proveniva da un punto buio della stanza.

«Sono qui, sono qui,» lo rassicurò l'uomo, accarezzandogli la testa in modo quasi possessivo prima di sedersi sul bordo del letto. «È ancora il cambio di fuso orario?» lo provocò con un sorriso. «Non era questo che intendevo quando ti ho chiesto di venire a letto con me, Pucci. O forse preferisci che ti corteggi ancora un po'? Vuoi che continui a parlarti di letteratura?»

«Il tuo corteggiamento non mi dispiace,» commentò Enrico, che non pensava di arrivare mai a uno scambio di battute così esplicito. La smorfia sulle labbra di DIO si allargò e lui strisciò sul letto, sopra al ragazzo, con atteggiamento ferino. Quando lo baciò, con altrettanto impeto, Enrico gli affondò le dita tra i capelli.

«Tratti tutti i tuoi amici in questo modo?» gli domandò, colto dal desiderio di tirarli se mai gli avesse risposto sì.

Invece ricevette un'altra risata, assieme a degli esperti baci sul collo che presto gli fecero perdere la decisione nella presa e il vigore nelle membra. Di certo non era il primo amante di DIO, e all'improvviso il desiderio di essere l'unico – di essere colui che aveva scelto come compagno nel peccato – lo attraversò come una vertigine. Le mani dell'uomo sollevarono il lenzuolo e scivolarono sotto la sua maglia, cominciando ad accarezzargli i pettorali e a togliergli i vestiti e la facoltà di pensiero.

«Vuoi dirmi se c'è qualcosa che ti piace o mi lasci carta bianca?» gli sussurrò DIO all'orecchio. Enrico sentì il sangue che gli defluiva dalle braccia per correre in direzione del ventre, e ingoiò con dolore la sua stessa saliva, colto da un'agitazione improvvisa.

«N-non lo so,» rispose con difficoltà, e aprì le gambe per cercare un contatto che DIO gli concesse assieme all'ennesima risata.

«Non aver paura, non mordo mica,» replicò piano l'uomo, in tono ambiguo. Gli prese tra i denti la pelle del collo, con una delicatezza estrema che tuttavia gli fece inarcare la schiena per il piacere. Poi, sullo stesso punto, passò la lingua. «O forse lo faccio, ma tu resisterai per me, non è vero?»

«Te l'ho già detto... qualsiasi cosa per te».

DIO si tolse la giacca e la gettò via, per poi sfilarsi la canottiera. Rimase a torso nudo nella semioscurità, immerso nello sguardo insistente del ragazzo sotto di lui, che scendeva dalle spalle al petto agli addominali, per poi soffermarsi sulla cresta iliaca, sulla linea che scompariva oltre la cintura.

«Tutto questo apprezzamento mi fa sentire lusingato,» commentò DIO, prima di rivolgergli un'occhiata pensosa, come se stesse valutando il prezzo di un manufatto che aveva davanti, e passargli le dita sulle clavicole. Arrivò ai capezzoli e li strinse, guardando con soddisfazione Enrico che si dimenava sul materasso, incapace di mantenere un contegno. Quando fu certo che aveva gli occhi aperti, gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle e cominciò a strofinarsi su di lui, nello stesso gioco lento e crudele della prima volta, finché non ottenne un delicato lamento di dolore.

«Sì, sì, va bene...» commentò, con tono quasi canzonatorio. Gli tolse i pantaloni e fece lo stesso con i propri, e con l'intimo nero: presto alla mano che stava accarezzando il ragazzo tra le gambe si aggiunse la sua erezione. DIO abbassò lo sguardo per giudicare l'effetto dell'assenza di vestiti durante quel tipo di effusioni e vide Enrico in completo abbandono, un angelo lascivo con la bocca aperta e la testa riversa sul cuscino, nell'istante prima di venire sgozzato. Colto dal desiderio di assistere al suo sfiorire, DIO lo invitò a mordergli il pollice e gli graffiò la coscia con l'altra mano.

Enrico, obbediente, si lasciò voltare sul fianco e stringere nell'abbraccio forte di quell'uomo che tanto si avvicinava alla perfezione, le cui dita cominciò a bagnare con l'offerta della propria saliva. Lui gli baciava il collo con dedizione, vi passava la lingua e, quando sentiva Enrico sobbalzare, si soffermava sul punto che gli aveva causato quella reazione.

Dio ebbe la sua carne e la sua anima; la sua devozione e il fremito delle sue spalle. Enrico desiderava che lui lo mordesse, che i solchi dei suoi denti tracciassero una stella, voleva riempire con il sangue il calice del suo piacere, ma ciò non avvenne.

Nella lamentosa supplica del ragazzo, il nome di Dio continuava a confondersi a un'eretica sofferenza amorosa. L'uomo affondava in lui le dita con gesti secchi e decisi, sincroni alla mano che lo toccava altrove.

«Dio... ti prego...» mormorò Enrico, nel mezzo di ansiti sconnessi, «continua a parlarmi...»

Dalle narici di Dio uscì un soffio che era il preludio di un ghigno. Il giovane lo sentì allontanarsi per un istante dal suo corpo, poi la sua mano bagnata d'olio che gli accarezzava le gambe, la sua bocca sulla spalla.

«Oh, amico mio,» rispose Dio, cercando di rendere più roca la sua voce imperturbabile, come se ciò che stava facendo sprofondare Enrico nel delirio fosse per lui poco più che un gioco. «Ti eccita di più?» Poi, quando il giovane si riebbe per un istante e abbassò il viso in quello che interpretò come imbarazzo, gli prese il mento e lo baciò sulla nuca, all'attaccatura dei capelli. «Su, rispondimi. Non vergognarti con me».

«Sì...» gemette il ragazzo, in coincidenza con una scarica di piacere più forte. Dio lo strinse tra le braccia e gli avvicinò le labbra all'orecchio.

«Girati,» gli ordinò.

Enrico, senza opporre resistenza, lasciò che l'amante lo voltasse di spalle e lo facesse inginocchiare sul materasso. Dio gli appoggiò una mano sul capo e con l'altra gli accarezzò la schiena, sulla quale scorreva il sudore di un'estate troppo lunga. Gli occhi del ragazzo vagavano per la stanza, cercavano un punto fermo tra i soprammobili e le tende. Le sue dita non osavano muoversi per tentare di soddisfare la sua eccitazione: non si sarebbe toccato finché non lo avesse fatto lui, o glielo avesse domandato.

«Lascia che ti porti in Paradiso con me,» mormorò Dio.

Soddisfacendo una condivisa attesa di giorni, l'uomo spinse il bacino contro le cosce tenere di Enrico. Il giovane sgranò gli occhi per la sensazione improvvisa, poi al tocco della sua mano tra le gambe cedette con un gemito impudico, il capo gettato all'indietro e lo sguardo vacuo, fisso sul soffitto. Cercò di capire come avrebbe dovuto muoversi per dargli piacere in quella posizione a cui la sua fantasia non era mai arrivata, ma Dio lo fermò stringendogli un polso con la mano libera.

«Ssh, ssh...» tentò di calmarlo. «Tranquillo. Lascia che faccia io».

Lenzuola di seta orientale fornivano a quell'amplesso una connotazione esotica. Un odore di incenso e di spezie, di stoppino bruciato d'una candela. La mente di Enrico vagava, confusa, e tentava di separare dall'unione delle loro carni quella delle loro anime.

«Dio...» gemette di nuovo lui, più piano: urlare non si addiceva a quella stanza intima e raccolta, né alla sofisticata eleganza dell'uomo che lo stava possedendo. 

L'altro non rispose, ma gli leccò il collo mentre continuava a muovere la mano e i fianchi, donandogli un nuovo fremito contro cui combattere, un nuovo dettaglio nel peccato che stavano consumando.

Il ricordo dei giorni della sua adolescenza che se ne andavano. Quando si era abbandonato alla lussuria immaginando il corpo diafano e bellissimo di Dio che ancora gli era ignoto. Più e più volte. Sentì che lo baciava. Appoggiò la testa sulla sua mascella forte e lo sentì soffiare via l'aria. Pelle ormai appiccicosa.

«Oh, Enrico, Enrico, ci sono così tanti complimenti che avrei voglia di farti...» l'uomo s'interruppe per trattenere un gemito virile che trascinò Enrico verso l'apice del suo acuto desiderio.

Dio gli stava mormorando qualcosa all'orecchio, forse quelle stesse parole scabrose a cui un attimo prima non voleva accennare. Enrico non lo sentiva. Percepiva a stento il suo fiato sulla pelle, la sua mano che lo accarezzava con movimenti ormai frenetici. Forte era il calore che saliva nel ventre. La sensazione della bocca di Dio sul collo era come lo strisciare di un serpente bianco.

Enrico chiamò più volte il suo nome e nell'orgasmo si sentì morire. Vide il pugno di The World che frantumava il buio e la sua ragione.

Tornò in sé sentendo il seme dell'amante che gli sporcava le cosce, e crollò sulle lenzuola senza rendersene conto. Quando Dio si distese al suo fianco, Enrico cercò di aprire la bocca per parlargli, ma aveva la gola secca e le forze lo abbandonavano.

Come se avesse capito il suo intento, la mano dell'uomo lo accarezzò con delicatezza sull'incavo del gomito.

*

(Quarto giorno.)

— Oh, Dio... Dio...!

Enrico si lasciò cadere sul letto, in una stanza in cui il tempo non aveva significato, con le braccia tremanti per lo sforzo di aver retto il busto. Le lenzuola ormai umide gli si erano attorcigliate alle caviglie e Dio, dopo avergli lasciato i fianchi, gli si distese accanto. Sembrava cominciare ad accusare la stanchezza dei ripetuti amplessi, che gli avevano lasciato graffi arrossati sulla schiena e spettinato i biondi capelli. Si voltò verso Enrico nel bagliore delle candele.

Idolo lucente uccisore di cervi.

— Ti avvicinerai a me? gli chiese gentilmente, e il ragazzo si rifugiò, nudo, tra le sue braccia. C'è qualcosa che mi preoccupa.

— Che cosa?, rispose Enrico.

— C'è un uomo che vuole uccidermi.

— Come si chiama?

Dio si fermò a guardarlo, mosse la mano per sfiorargli la guancia, ma poi desistette e rispose:

— Jotaro Kujo.

Quel nome colpì Enrico tra le sopracciglia e sotto, sulla superficie insanguinata del cranio, si fermò e si incise come la data su una lapide.

— Come può essere più forte di te, a cui si inchina persino il tempo? Manda me e lo sconfiggerò io in tuo nome: da te non merita nemmeno di essere toccato.

Dio lo interruppe con un bacio, indugiò sulle sue labbra calde e si fermò prima che la passione rendesse di nuovo impossibile sostenere una conversazione.

— No, gli rispose, non posso rischiare così tanto. Perché tu, piccolo mio, sei la risposta alla sua pretesa di giustizia e sei la risposta alla mia insoddisfazione eterna. Tu vivrai anche se io passerò il fiume prima di te.

(Questo successe quando, in Egitto, incontrai quell'uomo che poteva fermare il tempo.)

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