Paradise (Parte 2)
«Sei sicuro di non annoiarti? Mi preoccupa tutto il tempo che hai passato chiuso in camera. Come ti ho detto, sei libero di fare ciò che vuoi in questa casa. A parte uccidere i miei inservienti, s'intende».
«È tutto a posto, DIO. Stavo solo riposando: ero ancora stanco per il viaggio».
Quasi come se sapesse di poterlo sedurre con dettagli ripescati dalla memoria, DIO aveva indossato gli stessi abiti sgargianti, le stesse scarpe a punta, la stessa canottiera nera di quando lo aveva incontrato in chiesa. E ora percorreva un nuovo corridoio sconosciuto che li avrebbe portati a una nuova stanza sconosciuta: un altro salotto, più intimo di quello in cui si erano ritrovati la sera precedente, la cui vista sul giardino era offuscata solo da una tenda lieve, sottile quanto il velo di una sposa.
«Spero che oggi ti senta in grado di bere con me,» disse DIO, accennando alla bottiglia di vino rosso e ai due bicchieri che aveva in mano. Si spostò dalla porta e invitò Enrico a entrare prima di lui.
Il ragazzo gli rivolse un sorriso e lo precedette.
«Ma certo,» replicò, e la porta si chiuse alle loro spalle portandogli un inatteso brivido di aspettativa.
(Adesso io mi siederò sul divano che ho davanti e lui non si metterà di fianco a me, ma sceglierà la poltroncina accanto.)
Mentre Enrico si sedette sul divano, DIO invece prese posto sulla piccola poltrona alla sua sinistra.
(Adesso verserà il vino.)
Il rumore del vino che scorreva nei i bicchieri si fece strada nel silenzio della stanza. Una volta riempito il secondo, DIO ruotò la bottiglia con un movimento del polso. Il collo colpì il calice, restituendo un rumore puro di vetro su vetro, e l'uomo vi passò un pollice per raccogliere una goccia sfuggita al suo controllo. Si leccò il dito e inarcò le sopracciglia, prima di porgere il bicchiere al suo ospite, che vi accostò subito le labbra.
«Prosit,» lo fermò DIO con un tono suadente, allungando il calice verso di lui perché brindassero.
I due bicchieri tintinnarono l'uno contro l'altro.
(Quante altre persone incontriamo nella nostra vita? Se ci limitiamo a pensare a quelli che la cambieranno, saranno un numero davvero esiguo.)
«Sono curioso,» iniziò a dire Enrico, reclinando la schiena e assumendo una posizione forzatamente rilassata, gli occhi puntati in quelli dell'interlocutore. «Che cosa mi volevi dire?»
DIO approfittò della situazione per distendere una gamba e appoggiarla sul ginocchio di Enrico, gesto che gli fece perdere ogni sicurezza. Divertito, l'uomo raggiunse con la punta del piede il polpaccio opposto del ragazzo e lo sfiorò distrattamente.
«Potrebbe esserci un modo per andare in Paradiso,» disse. Osservò il vino nel calice, il modo in cui la luce del sole che lo attraversava gli proiettava bagliori rossi sui pantaloni, poi spostò lo sguardo su Enrico, che aveva le sopracciglia aggrottate. «Ah, non fare quella faccia. Il Paradiso di cui parlo appartiene alla mente dell'uomo, non ti sto mica dicendo di morire! Il tuo spirito evolve, come anche il tuo potere, fino a quando può finalmente ascendere. Ho pensato che tu potessi capirmi, Enrico...» continuò, con il tono svenevole che usava quando pronunciava il suo nome. Tuttavia, subito dopo il suo viso si illuminò. Spostò la gamba che aveva intrecciato a quelle di Enrico e riacquistò la posizione dignitosa di un imperatore, prima di proseguire:
«Mi sono reso conto che la felicità non può essere ottenuta con un corpo invincibile, o una montagna di soldi, e nemmeno regnando su tutti i mortali. La vera felicità sta lì... nel Paradiso. Ed è lì che va chi vince. Lo raggiungerò, non importa che cosa dovrò sacrificare».
Il giovane appoggiò i gomiti sulle ginocchia e alzò il mento, cercando di lanciare a DIO uno degli sguardi indecifrabili che in genere era lui a riservargli. Non voleva che lo vedesse come il ragazzo timido che si sarebbe gettato ai suoi piedi a uno schiocco di dita, ma come un degno alleato. Avevano lo stesso obiettivo, poco importava che a lui la mano di DIO che reggeva il calice apparisse così invitante.
«E come pensavi di fare?» gli domandò. Suonava quasi come una sfida. L'uomo perse l'interesse per il vino e si sporse verso il suo ospite in un bagliore d'oro.
«Non preoccuparti,» mormorò, dopo avergli preso il mento tra le dita. La sua stretta era delicata, quasi languida, ma Enrico sentiva che le sue mani erano forti, tanto che avrebbero potuto spezzargli le ossa se l'avesse voluto. Un brivido gli percorse la schiena fino a raggiungere le ginocchia, cedevoli di fronte a DIO. «Quando ho detto che sacrificherei qualunque cosa, non mi stavo riferendo a te».
Senza interrompere il contatto visivo, DIO si alzò dalla poltrona e si sedette di fianco a lui sul divano, grande abbastanza per tre persone. Lo spinse a sollevare il viso e, con un sorriso, gli passò il pollice sul labbro inferiore.
Enrico sentì l'immediato bisogno di respirare a fondo, come se fosse appena riemerso dall'acqua. Tuttavia, si trattenne e tentò in ogni modo di proseguire la conversazione, nonostante la sua reazione alle attenzioni di DIO non potesse essere celata.
(Due tre cinque sette undici tredici diciassette.)
«È il desiderio di cui ti parlavo,» disse, «quello che proviamo perché siamo umani».
«Perché siamo umani!» ripeté l'altro, divertito. Umani. Enrico avvertì uno strano lampo attraversargli gli occhi quando pronunciò quella parola. Sembrava una sorta di benevola compassione, senza traccia di crudeltà o di rancore. Quel termine lo divertiva.
(Diciannove ventitré ventinove trentuno trentasette.)
«Amico mio... abbiamo ancora tanto da discutere, e io durante tutto questo tempo non ho fatto altro che parlare di me. Voglio sapere qual è il tuo desiderio più profondo e cos'è per te il Paradiso».
Enrico ricambiò il suo sguardo, ma ben presto si soffermò sulle sue labbra.
«Quante domande,» commentò con voce roca, «fammene una alla volta».
DIO gli sfiorò il fianco con un gesto che cercò di far sembrare casuale e si lasciò sfuggire un breve verso interessato.
«Hai ragione,» replicò, «allora rispondi alla prima. Voglio sapere cosa desideri».
Il ragazzo gli rivolse l'espressione più seria di cui era capace, lottando contro i sensi annebbiati che lo spingevano all'abbandono.
«Voglio essere libero dai miei peccati e dal mio corpo mortale. Voglio essere perfetto».
(Come te.)
Enrico sentì la mano di DIO sulla propria, lasciò che lui la conducesse verso il tavolino davanti a loro dove appoggiò il bicchiere.
«Allora raggiungeremo quello stato di perfezione insieme. Ti guiderò, e tu sarai il mio araldo».
Le dita dell'uomo si trasformarono all'improvviso in serpenti, che stridendo si attorcigliavano attorno a quelle del ragazzo. Egli, con il cuore in gola, non distolse lo sguardo. Cercò di alienarsi da ogni sensazione. Dal loro strisciargli sulla pelle. Dal terrore.
«Svuota la mente, Enrico,» gli sussurrò DIO. «Non avere paura».
«Non ho paura».
(Non ho paura, amore mio.)
DIO rise e gli sfiorò l'orecchio con le labbra: alle narici di Enrico arrivò l'odore del suo dopobarba.
«Allora iniziamo, che ne dici?»
Enrico, nel sentire che le mani dell'uomo erano tornate di carne, deglutì con vistosa fatica. Il suo pomo d'Adamo affondò per poi tornare dov'era prima, e i suoi occhi si inchiodarono in quelli vicini di DIO. Vi vide un nitido riflesso di sé stesso, l'immagine di un giovane uomo ambizioso, con il desiderio di fare qualcosa della propria vita. Lui non lo giudicava, né giudicava quello che aveva fatto o ciò che aveva intenzione di fare. Nel suo sguardo c'era solo la promessa che insieme avrebbero raggiunto l'Eden.
E, come per fornirgliene un assaggio, DIO lo baciò come nessun altro avrebbe mai fatto. Enrico schiuse le labbra appena sentì la sua lingua sulla propria, e si strinse al suo petto di creatura celeste mentre lui gli reggeva la nuca e lo baciava con passione crescente. Il ragazzo si lasciò guidare, gli concesse ogni mossa con gli occhi chiusi fino a quando si ritrovò appoggiato allo schienale del divano, col capo reclinato all'indietro. Allora sentì la bocca di DIO separarsi lentamente dalla sua, e gli rivolse uno sguardo adorante da dietro le ciglia. La pelle gli formicolava come se il fuoco gli stesse scorrendo nelle vene.
«Allora, vuoi rispondere anche alla seconda domanda?» gli chiese l'uomo. La testa di Enrico girava, lui era ebbro del vino che eppure desiderava bere ancora dalle sue labbra. «Che cosa significa il Paradiso per te?»
«Tu,» gli confessò il ragazzo. «Tu sei la cosa più vicina al Paradiso che riesca a immaginare».
DIO gli rivolse una smorfia soddisfatta e tornò a baciarlo; di nuovo la sua lingua non trovò nessuna resistenza e di nuovo Enrico si aggrappò alle sue braccia con una ferocia istintiva. I suoi baci lo stavano intossicando, l'eccitazione gli inviava al ventre le scosse di un dolore che solo DIO avrebbe potuto lenire. Passò le dita sul suo petto, sentì i muscoli tesi sotto la stoffa aderente della canottiera e fu ricambiato da un verso d'approvazione che gli fece perdere qualsiasi residuo di ragione rimasto.
Anche l'uomo gli passò una mano sul petto, prima di interrompersi all'improvviso e afferrargli la vita con una certa urgenza.
«Vieni qui,» gli ordinò tra i denti, sollevandolo e guidandolo verso il proprio grembo. Enrico obbedì volentieri e gli si sedette a cavalcioni sulle gambe, incontrando il suo sguardo ardente e la sua evidente erezione. Quell'ultimo dettaglio lo portò a inarcare le labbra in un timido sorriso, prima che DIO riprendesse ad assaltarle.
Il ragazzo, senza interrompere il bacio, gli prese le mani che stavano vagando sulla sua schiena e le portò sotto i vestiti, verso il petto. La sensazione gelida di quel tocco sulla pelle lo infiammò all'istante.
DIO si scostò dalle sue labbra solo per il tempo di indugiare sui suoi fianchi, sfilargli la maglia e gettarla a terra.
Con il respiro affannato, il ragazzo ricordò le proprie fantasie e tentò di metterle in pratica, guidando le mani dell'amico sui capezzoli. DIO, con un'espressione divertita, cominciò a sfiorarli con il pollice.
«Oh,» osservò, con voce leziosa, prima di aumentare la pressione e di conseguenza ricevere un dolce lamento da parte di Enrico. «Questo non mi era mai capitato».
Portò le labbra nell'incavo tra le spalle e il collo del ragazzo e cominciò a baciarlo, poi scese verso il petto, senza smettere di stringergli con decisione i capezzoli tra le dita.
«Dio... sì...» gemette lui quando si sentì leccare, incapace di formulare una frase coerente. Si morse il labbro inferiore per trattenere la voce, ma non riuscì a non cercare sollievo cominciando a strofinarsi su DIO. Quando lo sentì spingere in sincrono, gli affondò le unghie nella schiena e si lasciò possedere completamente dal piacere. La sua mente era ormai in un altro luogo e sospiri per nulla casti gli sfuggivano dalle labbra. Forse avrebbero potuto sentirli, o qualcuno dei servitori di DIO stava già tendendo l'orecchio per capire cosa stesse succedendo oltre la porta.
L'uomo lo baciò per farlo tacere; lui chiuse gli occhi, ma la sensazione che lo attraversava era così forte che presto si ritrovò a muovere il bacino in modo erratico, deliziato dalla frizione tra i loro corpi e la stoffa che li separava.
DIO gli afferrò con forza i fianchi, lo tirò verso di sé e si lasciò cavalcare, con la schiena appoggiata al divano. Trovava una certa estetica nel non spogliarlo e guardarlo impazzire per lui, nel vedere la goccia di sudore che gli attraversava la fronte e i suoi occhi che lo imploravano. Rallentò il ritmo in modo da fargli sentire quanto fosse eccitato a causa sua, e il ragazzo, a giudicare dal respiro irregolare, sembrò gradire.
«Credo di starti inducendo al peccato, amico mio,» gli sussurrò all'orecchio, senza nessuna incrinatura nella voce, come se nonostante la situazione riuscisse a mantenere il perfetto controllo.
Enrico ricordò la propria posizione, le promesse di castità e il pentimento; si rese conto di come si fosse abbandonato a lascivie proibite e, con le mani strette alle cosce di DIO, gemette senza ritegno. Allora sentì l'amico accelerare di nuovo le spinte, mentre il suo corpo lo assecondava, abbandonava l'imbarazzo e si dirigeva verso un improvviso orgasmo.
Il giovane tornò in sé sporco e quasi tremante, e quando si rese conto di essere ancora seduto sulle gambe di DIO si alzò immediatamente.
«S-scusa,» balbettò, distogliendo lo sguardo. Sentiva le ginocchia deboli: mosse qualche passo all'indietro e si lasciò ricadere sulla poltrona, coprendosi con le braccia e notando le zone arrossate sul petto dove lui l'aveva baciato. DIO non si scompose dalla sua posizione rilassata, alzò a malapena la testa e cominciò a ridere.
«Non ti scusare,» replicò. «Anch'io mi stavo divertendo».
Nel silenzio, raccolse la maglia di Enrico dal pavimento e nello stesso momento recuperò il calice che ancora non aveva svuotato.
«Tieni,» disse, porgendogliela. «Devo ripeterti dov'è il bagno?»
«N-no,» balbettò il ragazzo. Si coprì, colto da una pudicizia improvvisa. «Mi... ricordo».
Gli ci volle qualche minuto per riprendersi. Si rese conto di essersi spogliato e di essere entrato nella doccia, dopo aver tentato di pulire i pantaloni. Non ricordava se ci fosse riuscito. Aprì l'acqua e giunse le mani in preghiera, chinò il capo di fronte a una Madonna che viveva solo nei suoi pensieri (e ti prego Maria guardami sai che sono puro sai che non ho peccato che l'ho fatto solo perché ho capito. Ho capito qual è la strada dell'uomo e come arrivare in Paradiso – ah! le sue mani le sue labbra da cui cade il miele la sua bocca sono esse stesse il Paradiso!)
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