King David (Parte 2)
Enrico entrò nella canonica, oltrepassò la soglia senza annunciarsi. Dalle scale provenivano i suoni lontani, indistinti, di un vecchio film. La luce intermittente colpiva il Cristo in croce sopra la cassapanca dell'ingresso e il rosario che padre Flanagan gli aveva appeso alle braccia. Il ragazzo si fermò al primo scalino, tornò indietro e tirò giù il crocifisso dal muro, per poi baciarlo con devozione.
Con mano tremante fece per riappenderlo, ma infine si risolse a lasciarlo sulla cassapanca, disposto sul centrino in una simmetria sacra.
Padre Flanagan non lo sentì arrivare, poiché evitò di posare il piede sul parquet cigolante oltre l'ultimo gradino.
Whitesnake comparve alle spalle del prete, assorto nella sua contemplazione di una pellicola in bianco e nero. Osservò con curiosità lo schermo, oltre il quale una donna guardava languidamente un uomo con il papillon. Quasi con compassione affondò due dita nella tempia di Padre Flanagan.
Enrico, immobile sulle scale, sentì la carne molle e umida sotto le dita, poi il cranio che cedeva, l'osso che si tramutava nella superficie liscia di un CD. Il suo Stand gli si avvicinò e glielo porse, lasciando Padre Flanagan riverso sulla poltrona.
Il ragazzo prese il disco dalla mano di Whitesnake e lo richiamò a sé. Mosse qualche passo in direzione della televisione che, ancora accesa, cantilenava i suoi lamenti del passato. Colpi di cannone! O è il mio cuore che batte?
Fu con un sospiro che Enrico raggiunse il telecomando e premette il tasto che la spegneva. La luce calò sul viso di Flanagan, sui suoi occhi chiusi e sul neo perfettamente tondo tra le rughe a zampa di gallina. Dormiva, aveva imparato Enrico. Al suo risveglio non avrebbe ricordato nulla: più e più volte aveva provato il potere del suo Stand su di lui in attesa del giorno in cui avrebbe dovuto, per qualche ora, fuggire tra le braccia di Dio.
Deglutì. La sua azione non era sbagliata, poiché era dettata dall'amore.
Scese i gradini in silenzio, rivolse un'ultima occhiata al crocifisso e infine uscì, chiudendo la porta a doppia mandata.
—Oh, lo interruppe la voce divertita di Dio, mentre la chiave completava il suo secondo giro nella serratura. E quello che cos'è?
Un inutile istinto spinse Enrico a nascondere il CD in tasca.
— Non gli ho fatto del male, gli spiegò, sta solo dormendo. Quando gli inserirò di nuovo il disco nella fronte, tornerà a vivere come se nulla fosse successo.
— È affascinante.
Per la prima volta, mentre seguiva Dio per le strade di Orangetree, il ragazzo si sentì potente.
Salì nel suo appartamento, ripercorrendo con gli occhi i ricordi che aveva di quel luogo. Dio lo precedette e si diresse in cucina, camminando in un modo che faceva desiderare a Enrico di venerare la terra che calpestava.
— Vuoi del tè?, gli domandò l'uomo.
— Allora sono veri gli stereotipi sugli inglesi.
Dio scoppiò a ridere e si ravviò i capelli con una mano, spandendo nell'aria bagliori d'oro.
— Non si può vivere di solo vino, suppongo. Lo vuoi o no?
— Sì, ti ringrazio.
L'uomo inchiodò gli occhi in quelli di Enrico.
— Aspettami in camera da letto, gli disse con tono suadente. Ti raggiungo tra poco.
Il ragazzo annuì, continuando a sostenere il suo sguardo, e con studiata lentezza si voltò e si diresse nella sua stanza. Nonostante i colori del cielo si fossero ormai spenti, le tende erano tirate. Quando Enrico accese la luce, la tonalità calda della lampadina illuminò un ambiente che ricordava con esattezza maniacale: lenzuola bianche, libri ammucchiati sul comò di fronte al letto.
Con compostezza, Enrico ne sfiorò i dorsi e le copertine, accorgendosi che non avevano nemmeno un granello di polvere. Indugiò con le dita sulle lettere incise dei titoli, per diversi minuti li passò in rassegna uno dopo l'altro.
— C'è qualcosa che vorresti provare a leggere?, lo raggiunse la voce di Dio. Posso prestarteli, se desideri.
Enrico sentì il rumore di una tazza di porcellana che veniva appoggiata sul comodino, poi i passi dell'amico che gli si avvicinavano. Abbassò lo sguardo sul libro che aveva di fronte, un'edizione piuttosto pregiata di Madame Bovary.
— Sì, questo, disse.
Quando si voltò, vide che anche Dio aveva un libro in mano: un catalogo rilegato in pelle rossa, su cui campeggiava in oro la scritta Du Museé du Louvre, accompagnata da sottotitoli nascosti dalle sue dita. Lo aveva portato al petto, che era nudo e liscio, e guardava Enrico con una certa malizia, le bretelle abbassate in modo da mostrargli per intero i muscoli del torso.
Senza una parola, Il giovane si distese di lato sul letto, avendo cura di sollevare leggermente la maglia in modo da scoprire una striscia di pelle all'altezza dei fianchi. Si trattenne dal voltarsi e si dedicò al libro.
Dio, mantenendo quel silenzio, si sdraiò supino nella direzione opposta alla sua, con aria rilassata. I suoi capelli color del miele erano sparsi in disordine sul materasso, e dalle pagine della sua guida la Gioconda lo sbirciava, indecifrabile, forse beandosi di un certo voyeurismo.
Dopo qualche minuto di parole lette e di tè che bruciava le labbra, Dio cominciò un discorso con quel suo tono vago e distratto che più e più volte aveva fatto da preludio a indagini dell'anima:
— Ehi... lo sapevi, Pucci? Il Louvre di Parigi ha una media di quarantamila visitatori al giorno.
Enrico sollevò il busto e, nella pigrizia di quella sera da poco iniziata, gli rivolse uno sguardo incuriosito.
— Di recente, continuò Dio, ho visto un concerto di Michael Jackson in televisione con un numero simile di persone, ma non sono eventi comuni. Il Louvre ha quel numero di visitatori ogni giorno, da anni e anni... Ha aperto per la prima volta nel 1793. Ogni giorno, quarantamila persone giungono lì attratte dalla Monna Lisa e dalla Venere di Milo, e non se ne vanno finché non le hanno viste. Non è incredibile?
Il ragazzo soffiò fuori dalle labbra una leggera risata e inclinò verso sinistra la testa, quasi a volergli offrire il collo perché vi affondasse i denti.
— Stai dicendo che quello che ti sorprende sono i numeri?, commentò.
Dio voltò pagina e si soffermò sul drappo che copriva il pube alla bella Venere senza braccia. Il panneggio sembrava trascinarlo in una caduta verso il basso che l'avrebbe lasciata nuda.
— No... quello che sto dicendo è che trovo incredibile come gli scultori e i pittori siano in grado di dare alle proprie anime una forma che sia visibile agli altri. È quasi come uno "Stand" che trascende il tempo, non pensi? Soprattutto la Monna Lisa e la Venere di Milo...
Enrico rise di nuovo.
— È una teoria interessante... quindi pensi che Leonardo da Vinci fosse un portatore di Stand?
— Ehi, guarda che parlo anche di te, lo interruppe l'uomo con tono grave. Il tuo Whitesnake può dare una forma alle anime delle persone e conservarle.
Fu lui ad alzare il busto, questa volta. Il libro appoggiato sulle cosce e la luce che convergeva sui suoi gioielli. Enrico guardò la voglia a stella sulla sua spalla, poi i suoi muscoli che si potevano contare uno a uno sotto la pelle, ed era bello da togliergli il senno. Dio non sorrideva. Aveva le sopracciglia aggrottate, l'espressione in qualche modo ostile, il labbro superiore che sembrava sul punto di alzarsi e scoprire i canini.
Senza alcun preavviso, afferrò il polso del ragazzo. Un suono simile a quello di uno schiaffo risuonò nella stanza e il cuore di Enrico accelerò i battiti in modo incontrollato. Terrore. Lo stesso che lui gli aveva infuso la sera in cui si erano incontrati.
(Il criselefantino peccato degli idolatri.)
— Mi tradirai, un giorno? Perché non mi attacchi?, gli chiese Dio, avvicinando il viso a un palmo dal suo.
Enrico, incapace anche solo di accostare il significato di quel verbo a Dio, con un flebile lamento cercò di liberarsi dalla sua presa, ma lui la strinse fino a premergli le vene.
— Sai già che la luce del giorno è la mia debolezza, continuò. La sua voce era seducente come quella del Diavolo. Sai che durante il giorno sto al buio a dormire: potresti facilmente uccidermi nel sonno. Se prendi il mio Stand, The World, potrai governare il mondo... Fallo!
Gli occhi dell'uomo si sgranarono e furono percorsi da una scintilla di ferocia. Quando Dio guidò lentamente la mano di Enrico verso la propria fronte, vincendo la sua resistenza, il ragazzo si rese conto di cosa volesse. Del punto a cui intendesse spingerlo per quella prova di fede.
Enrico contrasse le dita, nel tentativo di non toccarlo, ma lui era più forte e lo tirò verso di sé. Indice e medio poggiarono tra le sue sopracciglia, raggiunsero il segreto del suo intimo pensiero.
Il ragazzo non ne comprendeva il motivo, ma il vedere Dio inerme sotto il tocco delle sue dita, con le ciglia abbassate e le labbra socchiuse, lo intimoriva e lo attraeva quasi più del suo corpo senza veli; lo faceva sentire all'interno di un gioco di potere in cui sapeva che avrebbe goduto solo se avesse perso.
Si fece coraggio e alzò gli occhi scuri verso l'oggetto della sua adorazione. Respirò attraverso la bocca, sentì l'aria fredda sul palato e il petto che si abbassava come se qualcuno vi avesse posto un peso.
— Non ho mai nemmeno pensato di fare una cosa del genere, gli mormorò. Mi piacciono le persone che mi incoraggiano e mi aiutano a crescere... Tu sei il re dei re, e voglio vedere dove arriverai.
Quella bestemmia risuonò nella stanza e si riflesse negli occhi di Dio, trasformandosi in una verità a cui il ragazzo stava per soccombere.
(Ti amo.)
Enrico sentì la mano dell'uomo che dal polso si spostava, anche se di poco, verso il suo palmo. Ponderò nella mente, più volte, quelle parole che avevano il sapore del sangue e l'odore dei ciclamini. E infine le soffiò piano fuori dai denti:
— Ti amo come amo Dio.
Il suo amico, a quelle parole, non cambiò espressione. Nessun muscolo guizzò sotto la pelle del suo volto, gli occhi non brillarono e il labbro non tremò; tuttavia, lasciò la mano di Enrico nel gesto di fiducia estremo.
Il ragazzo aveva tra le dita il disco che conteneva la sua identità e i suoi ricordi: un solo, lieve movimento del polso e lo avrebbe estratto. Avrebbe azzerato, in un solo gesto, ogni divario tra loro due. The World, lo Stand che fermava il tempo, sarebbe stato una semplice serie di incisioni su un CD, pronto a essere installato nella mente di qualcun altro; il corpo di Dio un succube manichino di pezza tra le sue mani.
E nulla il bellissimo imperatore faceva per impedirglielo: con le braccia larghe, abbandonate, e gli occhi socchiusi era la statua di un santo che subiva la sua transverberazione.
Dall'altra parte Enrico, i denti stretti e le sopracciglia aggrottate, cercava di concentrarsi per mantenere un'immobilità perfetta, in modo che nulla – nemmeno un respiro troppo profondo o un involontario tremore – potesse far uscire il CD dalla fronte dell'amico. Nulla in lui poteva cedere.
Dio si riscosse all'improvviso, come risvegliatosi da un profondo pensiero. Scacciò via con gesto brusco la mano di Enrico, e lui si sorprese nel sentire qualcosa di duro tra le dita. Quando abbassò lo sguardo, senza il coraggio di aprirle, notò che erano sporche di sangue.
— Ti chiedo scusa, ti ho insultato, disse Dio. Non avrei mai pensato di incontrare qualcuno in grado di mettermi a mio agio solo parlandomi... Avevo paura di perderti. Sono sicuro che diventerai un onorevole figlio di Dio.
Tranquillizzato da quelle parole, il ragazzo guardò l'oggetto che aveva sul palmo e, interdetto, notò che si trattava di un osso grande pochi pollici. Aveva una forma allungata ed era macchiato di sangue ancora caldo.
Quando alzò lo sguardo in direzione di Dio, per chiedergli spiegazioni, notò che egli lo stava già guardando.
—Tienilo, è un simbolo del mio pentimento. L'ho estratto ora dal mio corpo. Dovunque andrai, io ti darò forza.
L'onda, sopra l'onda, vidi qualcosa di bizzarro,
Finemente lavorato e ornato a cesello:
Meraviglia sull'onda -- l'acqua mutò in osso.
(Quale uomo può estrarre un osso dal suo corpo senza infliggersi una ferita e senza provare dolore? Nessun uomo.)
Enrico non domandò il significato profondo delle sue parole. Prese invece uno dei fazzoletti dal comodino e vi lasciò una lunga traccia rossa. Stringendo tra le mani l'osso, lo ripulì con una sorta di cura votiva, sentendone ogni piccola cavità sotto i pollici, prima di appoggiarlo sul comodino accanto a due foto incorniciate, e alzare gli occhi verso Dio. Lui gli si era avvicinato e attendeva, alto e solenne, un responso o un gesto che gli facesse capire cosa l'altro provava.
Il ragazzo lo baciò con le labbra già socchiuse, in modo da trovare subito la sua lingua. Presto sentì il corpo di Dio che lo spingeva a distendersi sul letto, e gli intrecciò le dita nei capelli. L'amante lo prese per la vita e lo portò sopra di sé, sollevandolo come una bambola per la disparità delle loro forze, per poi rivolgergli uno sguardo languido e accarezzargli i fianchi nudi.
— Dato il futuro che ti sei scelto, non dovresti atteggiarti in questo modo, commentò prima di baciarlo sulla clavicola. Qualcuno potrebbe attentare alla tua purezza.
Enrico seguì con lo sguardo la sua carezza e alzò ancora la maglia, in modo da scoprire un lembo di pelle in più.
— Mi interessi solo tu, rispose, rivolgendogli uno sguardo licenzioso. Una tua parola e ti seguirò per sempre.
Dio si avventò di nuovo sulla sua bocca e il ragazzo si concesse con passione. Si sdraiò sopra di lui, e tra i loro corpi che si toccavano c'era un'eccitazione di cui si sorprendeva ancora.
— Sei bellissimo, Dio, disse Enrico mentre gli sfiorava con un bacio le palpebre chiuse. Poi, con un'audacia che non sembrava appartenergli, prese tra i denti il labbro inferiore dell'amico e lo strinse piano. In cambio, le mani di Dio scesero lungo la sua schiena e cominciarono a guidare il suo bacino in un moto lento.
L'uomo ridacchiò quando sentì che i baci di Enrico si spostavano verso il collo, gli regalò un gemito giocoso quando venne morso sul petto. Incoraggiato dalla sua reazione, il ragazzo si spostò a poca distanza dal segno che gli aveva lasciato e gli affondò di nuovo i denti nella pelle, proseguendo già nella mente quella collana di morsi.
(Se andrà a letto con altri mentre sono assente lo vedranno vedranno che è stato mio.)
Dio rise ancora, con una mano sui capelli del ragazzo ad assecondare i suoi movimenti e l'altra che stringeva le sue dita e le portava tra le proprie gambe.
— Ti... Ti piace?, domandò Enrico con un'incertezza innocente. Il suo ventre, a contatto con quello di Dio, continuava a inviargli fitte di desiderio sempre più urgenti.
L'amante sorrise dell'inversione di ruoli e gli rivolse un mormorio languido:
— Ah, questo non lo devi mai chiedere, amico mio. Sì, mi piace.
Dio inspirò e trattenne l'aria tra i denti in risposta a un morso più forte degli altri. Quando il ragazzo si fermò a rimirare la propria opera sul suo petto, lui gli afferrò con decisione le cosce e fece sì che gli salisse a cavalcioni in grembo, per poi stringergli i fianchi tra le mani.
— E a te piace stare così, vero?, domandò.
Enrico strinse le labbra e annuì con decisione, vedendo negli occhi di Dio che lui non gli avrebbe più permesso di tenere le redini del gioco. Spinse il bacino contro il suo e si sentì sotto il controllo delle sue dita, che gli si infilavano piano sotto i vestiti. Si tolse la maglia mentre lui lo guardava.
— Alzati, gli ordinò Dio. Tira la tenda. C'è la luna piena e voglio vederti alla sua luce.
Il ragazzo obbedì, ma una volta in piedi esitò a continuare.
— Che c'è, hai paura che ci guardino?
— N-no, concluse Enrico, dirigendosi verso la finestra.
Dio osservò la sua schiena che si allontanava, l'armonia dei muscoli e della spina dorsale; prima di spegnere la luce, aprì il cassetto del comodino e cercò qualcosa al suo interno.
Enrico scostò le tende nel buio e fu colpito dai raggi pallidi della luna, misteriosi e leggeri. Erano troppo in alto per essere disturbati dalle luci artificiali o dagli occhi dei mortali.
Il ragazzo si voltò e vide il suo amante nudo, di una bellezza tale da offuscare i sensi e far sbiadire la notte; chimera di un angelo e del più nobile dei peccatori che mai avesse ospitato la Terra. La sua pelle era chiara quanto le lenzuola da cui era avvolto, scostate con maniera in modo da mostrare parti del corpo da cui lui non riusciva a distogliere il pensiero.
Quando i suoi pantaloni scivolarono a terra, Enrico sperò che la luce lunare, accarezzandogli teneramente il corpo, gli conferisse almeno un accenno di quella bellezza.
— Torna qui, lo invitò Dio, allungando la mano verso di lui.
Enrico, senza distogliere gli occhi dai suoi, si avvicinò al letto e salì sopra l'amico, nella stessa posizione che poco prima avevano lasciato. Dio gli rivolse un verso d'approvazione e gli passò con esasperata lentezza le dita sull'addome. Il giovane, attraversato da un fremito quasi violento, allargò le gambe e si aggrappò alle sue spalle.
(Oh, Dio, concedimi i baci della tua bocca e il suono della tua voce! Il tuo corpo è la roccia desolata a cui sarò incatenato, il mio cuore la rosa di sangue nel roveto della mia passione.)
L'uomo guidò il bacino di Enrico verso il suo, lo sollevò con delicatezza e si unì piano a lui. Il ragazzo levò un alto gemito, e quando sentì una carezza sul viso tentò di trattenersi, con il respiro spezzato.
— Ssh, gli mormorò Dio, passandogli il pollice sul labbro inferiore. Adoro lo scandalo, ma ti metterei in pericolo se ci sentissero.
Con un gesto più secco del precedente, si spinse verso di lui, quasi a volerlo sfidare a mantenere il contegno. Enrico aggrottò le sopracciglia in un'espressione di sublime sofferenza, e una ruga sottile gli solcò l'angolo destro della bocca. Riuscì tuttavia a soffocare il secondo gemito, consapevole che presto la facoltà di pensiero l'avrebbe abbandonato, e gli sarebbe stato difficile parlare se non per chiamare il nome dell'amante.
— Addirittura, commentò Dio, divertito dalla sua reazione.
Continuò a condurlo lentamente, dandogli l'illusione di poter controllare le sue azioni e poi subito spezzandola. Enrico, nonostante quella falsa speranza accendesse qualcosa in lui, non voleva altro che essere posseduto. Nel desiderio di trovare un sollievo dal fuoco che sentiva ardere in sé, tentò di toccarsi, ma Dio lo fermò afferrandogli entrambi i polsi.
— Dietro la schiena, gli ordinò senza smettere di muovere i fianchi.
Enrico obbedì con un lamento e Dio ne sembrò soddisfatto. Gli strinse i polsi con una mano e, anche quando la allontanò, Enrico percepì una forza che li teneva immobilizzati, mentre il ritmo del suo moto accelerava di poco.
Il ragazzo non vedeva più ciò che gli stava attorno. Dio gli schiaffeggiò delicatamente una guancia, lui aprì la bocca in dolorosa estasi. Il cupo pallore del suo amante gli sorrideva nella penombra. Pensieri sconnessi e descrizioni a cui non voleva dare voce. Era un emissario di Dio – un devoto a Dio dopotutto!
Sentiva il bisogno di supplicarlo perché il suo supplizio finisse, ma non era da lui implorare. Un altro schiaffo leggero. La mano del suo amico che gli si appoggiava alla gola, senza stringerla, solo per il piacere di guardarlo.
— Bravo, Pucci, così.
Quel complimento, la sua voce e i suoi ansiti causarono nel ragazzo stilettate di piacere che gli attraversarono il ventre, fermandosi alla gabbia toracica. La causa della sua dannazione. Inarcò la schiena, il bel corpo proteso verso il soffitto a cui indirizzava una silenziosa preghiera. Entrambe le mani di Dio gli avevano afferrato le cosce e ne guidavano i movimenti, in modo che non cadesse. Che significato aveva il peccato della carne sul suo corpo perfetto?
— Ah, Dio...
(Perché, Enrico, perché proprio tu gemi e chini il capo a queste voluttà greche?)
La benedizione voleva di non capire e di non domandare. Voleva per qualche minuto – e che Dio lo fermasse, quel minuto, se gli era in cuore, se le forze non lo avevano abbandonato di farlo! – privarsi della ragione e della domanda. Separare il Paradiso dall'Amore.
Le mani finalmente libere, strinse con forza i capelli leonini dell'amico, baciò la curva tragica delle sue labbra. Era a Dio una giovinezza eterna, specchio della sua. Ma lui era mortale e in sé aveva il dramma di ciò che avvizzisce.
Si accorse che l'amante aveva sollevato il busto, che l'aveva avvicinato a sé e spinto a stringergli il bacino tra le gambe, per potergli dare più piacere mentre gli accarezzava il petto in una dolce tortura.
Enrico, gli sussurrava. Come puoi non nutrire nessun desiderio di potere?
Il ragazzo chiamò il suo nome, più e più volte, e gli impedì di staccarsi da lui mentre subiva l'ultimo colpo, quello che infranse il suo corpo sfinito.
Allora Enrico cantò per l'ultima volta il suo canto d'innocenza.
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