Sbarco
Due bambini dalla pelle chiara e capelli biondi stavano giocando accucciati in una pozza d'acqua non lontano dall'accampamento. Erano gemeIli e i loro occhi erano chiari, così l'intera tribù aveva considerato la nascita un dono dagli dei, un bambino e una bambina dall'alto. La loro madre era morta nel parto, arrivando su quella terra in seguito ad un naufragio, così tutte le donne se ne prendevano cura come fossero figli loro. Lo sciamano aveva detto che erano speciali e che un giorno il cielo se li sarebbe ripresi. Molte lune erano passate, eppure nessun segno celeste, nessuna luce strana in cielo. Niente di niente. Solo silenzio.
I bambini si divertivano a creare figure con la terra bagnata e disegnare complesse e simmetriche forme geometriche ovunque potessero. Lo sciamano li osservava e cercava di capire i segnali che probabilmente erano stati impiantati nel loro subconscio dagli dei in persona. Quante volte aveva provato a riprodurre quei segni, ma niente, non ne comprendeva il mistero.
Quel giorno la foresta tutto intorno era in fermento, movimentata e più chiassosa del solito. Gli alberi oscillavano e forti crepitii di rami spezzati si facevano sempre più vicini. I due bambini smisero di giocare e si alzarono guardando verso la fitta foresta. Uomini alti almeno quattro volte loro si facevano strada tra i rami più alti raggiungendo l'accampamento. La femmina prese per mano il fratello e quando i giganti arrivarono li guardarono, poi proseguirono oltre. Dopo il loro arrivo gli uomini del villaggio furono uccisi tutte, le donne violentate e tenute come prigioniere, i bambini mangiati.
Il veliero, carico di tesori, veleggiava l'Oceano Pacifico nella stagione successiva ai monsoni. Finalmente il tempo si manteneva stabile e l'escursione termica tra il giorno e la notte non era elevata. L'equipaggio e il suo capitano erano radunati sul ponte della nave per il discorso che avrebbe animato la lunga navigazione dei giorni futuri. L'uomo che decideva del destino dei suoi compagni si mise a fianco del timoniere per essere ben visto. Aveva lunghi capelli castani che scintillavano d'oro sulle punte che gli cadevano sulle spalle. Aveva una camicia bianca aperta sul petto che lasciava intravedere collane e amuleti di ogni sorta. Intorno al polso destro teneva una bandana, che nei momenti del bisogno, avrebbe avvolto intorno alla testa. Sull'avambraccio aveva tatuato linee geometriche e disegni che aveva visto nei luoghi più disparati. Dall'orecchio sinistro pendevano quattro orecchini d'oro, mentre le mani erano costellate di anelli che brillavano per le pietre preziose incastonate negli stessi. Nella mano sinistra teneva una mappa arrotolata e una bottiglia di rhum mezza vuota nell'altra.
"Miei fedeli compagni. Dopo tanta attesa siamo finalmente giunti alla fine del nostro viaggio."
Un hurray si levò all'unisono dalla ciurma appena il capitano finì la frase. Lui diede una sorsata al liquore sincero e sorrise goduto.
"Laggiù." Disse indicando l'orizzonte. "Ci sono isole di cui parlano le leggende, isole di pace e ristoro. Il paradiso in terra. Quattro isole che solo i più abili navigatori hanno raggiunto."
Un altro hurray conquistò il ponte della nave. Questa volta anche i gabbiani appollaiati alle cime più alte si levarono in volo spaventati e confusi.
"Per questo faccio affidamento su di voi per raggiungere queste isole." Disse mostrando l'avambraccio e i quattro segni geometrici che dovevano rappresentare le terre emerse da raggiungere.
"Questa volta non useremo né mappe rubate, né le stelle. Seguiremo le ombre del mattino e in un paio di settimane potremo lasciare il mare per sempre. Chi è con me?"
Un ultimo grido di consenso si levò alto in mezzo a quell'imbarcazione circondata di acqua salata. Dopo quel discorso il capitano si rimise il cappello e si versò una sorsata di liquido ambrato giù per la gola, poi si ritirò nella sua cabina. Il quartiermastro, suo amico e confidente, scosse visivamente la testa, sospirando. Lo seguì con lo sguardo e poi, mentre tutti gli altri tornavano ai loro posti, lui fece le scale che lo portavano verso un luogo dove le onde della fragilità di un uomo incontravano la concretezza degli scogli della realtà.
"Un'altra volta?" Chiese entrando nella stanza.
Oltre il tavolo carico di monete d'oro, sigari, gioielli e altri oggetti rari c'era un divano che dava la vista sulla scia che il veliero faceva sull'acqua. Sdraiato, su quel mobilio lussuoso, Haruo caricava la polvere all'interno della sua pistola per farla finita una volta per tutte.
"Cosa state facendo?" Chiese Rudy togliendogli l'oggetto metallico di mano.
Il capitano riavvicinò la bottiglia alle labbra e bevve un nuovo sorso che lo lasciò disteso a guardare il sole scomparire dopo l'orizzonte, attraverso i vetri della sua cabina.
"Haruo, non puoi cercare di ucciderti ogni volta che il sole tramonta."
"Non è il sole che tramonta..." Rispose lui con una voce flebile e le lacrime agli occhi.
"Capitano, vi parlo da fratello, amico e quartiermastro. Stiamo per raggiungere le Fiji, perché farla finita ora?"
"Perché forse neanche le Fiji mi basteranno, e non saprò più che fare."
"Così mi offendete. Avete sempre trovato una soluzione nonostante le avversità."
Come risposta rise amaramente prima di parlare.
"Questa volta è diverso. Non si può portare indietro qualcuno che non c'è più." Disse il capitano coprendosi il volto con le mani e stropicciandosi gli zigomi.
"Avete forse perso la speranza sulle coste di Singapore? O quando eravamo circondati dagli indios, nel Rio delle Amazzoni? Non avevate perso le speranze neanche quando quel maelstrom ci aveva quasi inghiottito."
"Si, ma lei c'era ancora."
"Era prima di lei, eppure siete sempre stato intraprendente. Dov'è Haruo che ho conosciuto lungo le coste del Messico?"
"Morto, sepolto con lei." Disse indicando un disegno piantato con un coltello ad un trave di legno.
Qualcuno bussò alla porta violentemente. Il capitano finì la bottiglia. Un uomo entrò concitato e Rudy si voltò per vedere cosa voleva.
"Parlate." Lo intimò.
"Capitano, un'isola è apparsa sulla nostra rotta."
Haruo che era rimasto con lo sguardo fisso sulle travi di legno del pavimento si voltò e incuriosito alzò la testa.
"Cosa?"
Venite a vedere disse indicando un canocchiale arrugginito.
Pochi istanti dopo il capitano, l'equipaggio e persino il cuoco si trovavano con gli occhi fissi su quella terra che non sarebbe dovuta essere dov'era.
"Passatemi il canocchiale." Disse Haruo una volta vista la macchia scura sopra l'orizzonte.
L'oggetto di origine araba passò dalle mani del marinaio che per primo aveva visto l'isola, a quelle del capitano.
"Impossibile." Disse scandendo la parola.
Si stropicciò gli occhi e niente cambiò. Nella lente vide l'isola in lontananza.
"Rudy portami le mappe."
"Aye aye." Rispose pronto, incoraggiato dal fatto che il capitano avesse trovato qualcosa con cui distrarsi.
Tornò con le cartine nautiche e un compasso. Un marinaio aveva fatto rotolare una botte di legno verso di loro e poi l'aveva messa in piedi. Haruo si voltò e si appoggiò entrambe le mani sul tavolo improvvisato. Puntò il dito in un luogo sulla mappa.
"Noi siamo qui." Disse facendo scorrere l'indice verso destra fermandosi sulle isole Fiji. "Non ci sono terre in mezzo."
Il blu del mare disegnato si espandeva tutto attorno mostrando solo qualche coda di balena affiorare ogni tanto, la terra disegnata con un color sabbia era settimane di navigazione di distanza.
"Cosa facciamo ora capitano?" Chiese un marinaio.
Lui si accarezzò la barba disordinata e poi aprì il palmo. Rudy capendo il segno tornò nella sua cabina e riapparì con un lungo oggetto tra le mani. Quando la pipa arrivò sulla mano di Haruo e lui la chiuse gli venne passato un cerino acceso. Dopo una grande boccata si voltò per guardare le ciurma che aspettava ordini, in silenzio. Si voltò ancora una volta verso l'orizzonte, l'isola era ancora là.
"Ordini?" Chiese Rudy.
Tutti aspettavano le parole del capitano. La curiosità del verdetto faceva tendere le orecchie e i colli.
"Domani mattina. Sbarcheremo sull'isola per una recognizione, poi proseguiremo come stabilito." Disse freddo, poi tornò nella sua stanza.
Qualche marinaio fece passare di mano in mano qualche moneta per la scommessa appena persa e il sole sparì lasciando il posto alle stelle. Quella sera tutti avevano gli occhi puntati su quel piccolissimo pezzo di terra che poteva essere qualsiasi cosa. La ciurma era felice e si era messa a cantare e suonare vecchie chitarre a cui mancava qualche corda. Anche la vedetta era scesa dall'albero maestro e si era unita al chiasso e alla danza.
"Immaginate..." Aveva detto un marinaio con un enorme tatuaggio sull'avambraccio. "Quell'isola potrebbe essere abitata da donne che non vedono l'ora di conoscere gente come noi."
"Certo." Aggiunse Rudy divertito. "Come quella volta che gli abitanti erano cannibali e ci volevano cucinare."
Tutti risero.
"E se fosse deserta e abitata da creature mai viste?" Chiese un altro a cui mancavano tre dita nella mano sinistra. "Draghi o unicorni?"
Le risate echeggiarono una seconda volta. Le discussioni continuarono fino a che, assonnati, tutti scesero sotto coperta per coricarsi sulle amache. Si addormentaro sognando i migliori presagi per il giorno dopo. Solo il capitano non dormiva. Sorseggiava il rhum in un bicchiere sporco, sdraiato sul divano guardando le onde sulle quali scivolava la nave, concentriche, ipnotiche, le uniche che potevano confortare il suo dolore.
Il giorno non si fece attendere. Quando Rudy uscì da sotto coperta trovò Haruo guardare il sole nascere e fumare la sua pipa. Durante la notte il veliero si era avvicinato alle coste ed ora si era fermato per evitare che la chiglia fosse rovinata dal fondale.
"Calate le scialuppe." Disse piano al quartiermastro.
Lui ripetè l'ordine urlando e i marinai corsero alle loro postazioni come formiche impazzite. Tre piccole imbarcazioni furono messe in acqua per raggiungere la riva sabbiosa. La maggior parte dell'equipaggio rimase di vedetta sulla nave. Quando il capitano mise piede sull'isola riconobbe strane statue di pietra, come guardiani di quella terra. Osservando meglio, la ciurma vide che delle lunghe e snelle figure si stavano avvicinando. Erano sicuramente umani, ma indossavano una maschera fatta di legno, foglie e piume. Gli uomini sguainarono le spade ed estrassero le pistole, tranne il capitano. Mentre gli altri cercavano motivi per temere quelle creature, Haruo osservava le loro gambe nude e capì che erano donne dalla conformazione delle loro caviglie cosi, lentamente, si avvicino e si inginocchiò davanti a loro.
"Capitano, dove sta andando?" Chiese Rudy preoccupato.
Lui non si voltò nemmeno. L'equipaggio era confuso dal comportamento del loro comandante. Era sempre stato un ardito combattente e ora si inginocchiava davanti ai suoi nemici.
"Cosa facciamo?" Chiese un marinaio della ciurma con una bandana in testa e una gamba di legno.
In quell'esatto momento uno degli abitanti dell'isola si tolse la maschera ingombrante. Rivelò un volto femminile e capelli biondi molto fluenti. Vestiva una tunica corta fatta di materiali che brillavano al sole. Haruo sorrise e la donna si inginocchiò davanti a lui. Si guardarono negli occhi. Lei allungò una mano sul volto dell'uomo e lui la lasciò fare. Gli accarezzò la barba, le orecchie, gli toccò gli zigomi e poi la sua mano scese ai monili attaccati al collo, che mossi producevano un delicato tintinnio.
"Cosa sta facendo?" Chiese l'uomo con la gamba di legno.
"Non lo so, Steven. Aspettiamo."
La donna e l'uomo si sorrisero, infine si alzarono e lei sollevò la mano.
"Siate i benvenuti nell'isola di Nya." Disse con voce decisa.
I pirati non potevano crederci. Scossero la testa e rimisero le armi nei loro foderi e cinture, seguendo il corteo di quegli strani abitanti mascherati. Nella camminata tra la fitta foresta tolsero le maschere che coprivano loro il petto e il volto mostrando una somiglianza strepitosa con la prima donna. Erano tutte donne quasi identiche. L'entusiasmo dei marinai crebbe così tanto che iniziarono a fischiare e cantare per la gioia. Nella camminata verso il luogo dove le donne abitavano ci fu un marinaio che ricevette una moneta da tutto l'equipaggio per aver vinto la scommessa della notte precedente. Il capitano camminava fianco a fianco con la donna che, scalza, camminava senza problemi sul sentiero battuto.
"Come vi chiamate?" Chiese il capitano, calmo.
"Ame." Disse lei voltandosi e sorridendo.
"Il mio nome è Haruo." Rispose lui, guardandola.
Con la coda dell'occhio vide che dietro di lui camminavano silenziosamente altre donne quasi identiche a lei. In quel momento un brivido gli attraversò la schiena e capì che qualcosa non andava. L'equipaggio cantava e non si accorgeva della situazione o semplicemente non gli prestava attenzione. In quel momento Rudy si avvicinò al capitano, ma prima che parlasse lui sollevò la mano all'altezza della spalla del quartiermastro.
"Ho visto. Stiamo in guardia. Dì agli uomini di non toccare nulla."
Dopo aver attraversato la foresta raggiunsero una cinta di mura che lasciava intravedere le sue abitazioni all'interno. L'architettura era innovativa e aveva qualcosa di strano. Oltrepassarono le grandi porte d'ingresso e Haruo si avvicinò ad Ame.
"Quanto tempo abitate quest'isola?" Chiese mentre osservava i lineamenti di quelle donne molto rididi e precisi.
"Sono cinque lune piene. Quando ci sarà la prossima ci sarà la grande raccolta."
Il capitano non si scompose per quelle parole, ma piuttosto lo fecero pensare. L' equipaggio si stava rendendo conto che c'era qualcosa di strano, ma Rudy aveva fatto cenno loro di non destare sospetti. Arrivati in quella che doveva essere la piazza centrale furono accolti da altre donne che misero intorno ai loro colli delle collane cerimoniali. Li presero per mano e poi li accompagnarono all'interno di un palazzo. Prima di entrare Haruo allungò il collo e scorse una struttura piramidale che scintillava sotto il sole. Entrati nell'edificio, videro strane strutture geometriche che illuminavano gli spazi. I marinai, come falene, si avvicinarono e allungarono le mani, ma Rudy li ammonì di non toccare nulla. Ame rise di quel comportamento.
"Cosa sono quegli oggetti?" Chiese il capitano alla donna.
"Davvero non lo sapete?" Chiese lei ridendo. "Luce."
"In che senso, come fate ad avere luce... spontanea..."
"La piramide alimenta tutto questo luogo. Basta curarne la superfice e si ottiene energia libera."
"Energia?" Chiese il capitano sorpreso.
"Non conoscete queste cose?" Chiese la donna perplessa.
"No, conosciamo queste cose come appartenenti alle leggende, agli dei."
"Cosa sarebbero gli dei?" Chiese Ame ridendo.
Il capitano si rese conto che c'era molto che non sapevano dei rispettivi mondi. Non era possibile che in cinque mesi un popolo di sole donne potesse costruire un insediamento così sofisticato.
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