Capitolo 8
Quando ero bambina amavo stare all'aria aperta, amavo giocare fino a sporcarmi col fango oppure saltare nelle pozzanghere fino a bagnarmi come un piccolo pulcino. Ma con il senno di poi, ripensandoci, mamma aveva ragione, non erano azioni poi così igieniche come pensavo.
Amavo correre fino a perdere il fiato, arrampicarmi sugli alberi fino a sbucciarmi mani e ginocchia, raccogliere i fiori per portarli a ogni membro della mia famiglia o restare semplicemente sdraiata sul prato ad osservare il cielo. Poi sono cresciuta, allora giocare con il fango è diventato disgustoso e saltare nelle pozzanghere non è stato più divertente.
Le pozzanghere in genere sono il male, soprattutto quando te ne stai per i fatti tuoi su un marciapiede, magari perché aspetti di poter attraversare e degli automobilisti idioti ci passano sopra a razzo bagnandoti dalla testa ai piedi. Dio, che odio.
A volte, però, corro ancora fino a perdere il fiato, soprattutto se sono in ritardo agli allenamenti o a qualche impegno di famiglia. Non mi arrampico più sugli alberi, ma continuo a sbucciarmi mani e ginocchia sul ghiaccio. Non raccolgo più i fiori, preferisco ammirarli piuttosto che strapparli via.
E raramente, ormai, mi prendo un po' di tempo per sdraiarmi su un prato ad osservare il cielo per il solo gusto di farlo. Crescere, quindi, non è affatto figo come pensavamo da piccoli, anzi, tutto il contrario.
Guardo mio fratello e mi sposto una ciocca di capelli che è sfuggita dal nastro che ho usato per legarli in una coda alta. Detesto avere i capelli davanti agli occhi.
«A sapere che mi avresti portata nella giungla mi sarei messa un completo sportivo o che so, una tuta da apicoltore», gli dico. Non sono per niente contenta di essere qui, ma questo credo mi si legga in faccia.
Mi sento completamente fuori luogo con la mia minigonna bianca, la camicetta bianca con sopra un maglione blu navy di Balmain, le calze a costine bianche e i mocassini neri.
«È un giardino, Irisabelle», risponde mio fratello. Lo guardo con un sopracciglio inarcato, perché no, non è affatto un giardino. Questo è un incubo per tutti i germofobici e i rupofobici. «Un po' malridotto, ma pur sempre un giardino».
Dire che è un po' mal ridotto è l'eufemismo dell'anno. C'è una fontana praticamente mezza distrutta con l'acqua così sporca che se ci infilassi dentro la mano mi spunterebbe un sesto dito o direttamente un'altra mano. Preferirei mettere piede a Chernobyl che le mani lì dentro e questa è solo la punta dell'iceberg.
Fin ora abbiamo contato sette nidi di api, abbiamo trovato tre topi e non so quanti scarafaggi morti. Per non parlare di tutti i moscerini che ci volano intorno. Ci sono piante appassite da chissà quanto tempo, alberi mezzi caduti e in alcuni punti l'erba è così alta che mi sembra di essere in uno dei film horror che ho visto in passato e di cui ho momentaneamente dimenticato il nome. Tutto ciò è agghiacciante.
«Ci sono più probabilità che mi becchi qualcosa qui che nella foresta amazzonica», gli dico senza troppi giri di parole. «Dici che serve un qualche vaccino specifico per camminare in mezzo a questo disastro?»
«Sì, l'anticazzate», risponde, stanco di sentirmi parlare. A differenza mia lui non sembra poi così tanto sconvolto o disgustato, sarà abituato a visitare posti del genere per poi rimetterli in sesto. «Ne spari fin troppe».
«Immagino che il giardino degli orrori sia un piccolo privilegio concesso solo a me». Inizio a pensare che gli piaccia proprio tanto ficcarmi in situazioni assurde. «Dubito fortemente che tu abbia mai portato un altro dei componenti della ciurma in un posto del genere».
Amethyst, per esempio, sarebbe corsa via già solo a guardare l'esterno. Arden, invece, si sarebbe preoccupato tutto il tempo per i suoi vestiti. L'unico che forse non avrebbe fatto una piega è Indigo.
Quella che l'avrebbe presa molto peggio, però, è sicuramente Nikla. Lei non ne sarebbe uscita illesa, un attacco di cuore non gliel'avrebbe tolto nessuno. È risaputo che la mia sorellina non ama la natura e non riesce ad apprezzarla, è una ragazza di città al cento per cento. A questo giro l'ha scampata soltanto perché è ancora minorenne o perché a quanto pare Darius ha preso di mira solo me.
Tornando a me, arrivati a questo punto, credo di meritare quantomeno un premio di riconoscimento speciale e dei giorni di tregua. Mi accontenterei anche solo dei giorni di tregua, detto francamente.
Anche se non mi stupirebbe se mio fratello confessasse che in realtà portarmi qui è stata un'idea di Kyran.
Quell'uomo è capace di tutto quando ci sono di mezzo io e quasi tutte cose spregevoli. Tra l'altro di lui al momento non c'è nessuna traccia all'orizzonte e ne sono abbastanza sollevata, la mia giornata è già un inferno così.
Non esiste una specie di letargo per le zanzare in autunno e inverno? Fino ad ora mi hanno pizzicato cinque volte, dannazione. Mi mangeranno viva prima che riesca a fuggire da questo posto.
«Ti avevo consigliato di mettere dei pantaloni», sbuffa Darius, stanco delle mie lamentele continue e sempre diverse l'una dall'altra. Ho pensato di nuovo ad alta voce, cavoli. «Non è colpa mia se sei così testarda».
«Pensavo che me l'avessi detto sotto suggerimento del tuo compare, non perché avessi intenzione di portarmi nella foresta pluviale». Mi prudono le gambe, non capisco se dipende dalle punture delle zanzare o se mi sono presa l'orticaria, oppure peggio, la scabbia. «E comunque mi permetto di dissentire. La testardaggine è una caratteristica della nostra famiglia, quasi un gene. Quindi tecnicamente in parte è anche colpa tua».
Si ferma davanti alla fontana e mi tocca fare lo stesso. «Stavo pensando che potremmo tenerla». Lo guardo sconcertata e spero per chiunque dovrà abitare qui e vorrà usufruire del giardino, che non dica sul serio.
«Se vuoi traumatizzare i bambini che verranno ad abitare qui, certo», faccio spallucce e non mi azzardo a lanciare un'altra occhiata alla fontana in questione. «Non siamo in art attack, Darius. Qui non ci vuole un restauro, è tutto da ricostruire. Non possiamo tenere niente».
«Tu esageri, non è messa male come dici». A quanto pare ha a perso completamente il senno ed io inizio a dubitare delle sue capacità lavorative.
O più semplicemente sono io quella ad essere negata con questo genere di cose, magari quando guardiamo quella fontana non vediamo la stessa cosa. Io vedo qualcosa che non si può riparare, qualcosa per cui non vale la pena provarci, da gettare via. Lui, invece, vede qualcosa per cui invece vale eccome la pena di provarci, qualcosa che può rimettere in sesto, a cui può donare di nuovo la vita. È tutta una questione di punti di vista.
C'è chi guarda la vita con sguardo diffidente e poco interessato, come me per la maggior parte delle volte. E poi c'è chi la guarda con occhio artistico e si perde tra le infinità di cose che essa ha da offrire, senza alcun remore, come Darius.
«Spero che quei bambini abbiano l'antitetanica e un buon psicologo che li segua, allora».
Sospira. «Avrei dovuto portare Amethyst».
Mi limito a fare spallucce, per niente offesa. Pensiamo praticamente la stessa cosa. «Non ho niente da ribattere, penso anch'io che avresti dovuto portare Amy. Il suo lavoro è quello che più si avvicina al tuo». E mi avrebbe risparmiato questo giretto all'inferno, cosa di cui sarei stata molto grata.
«Non proprio», risponde mio fratello. Sarà, a me però continuano a sembrare lavori molto simili.
«Ancora non capisco per quale motivo sono qui. Ho fatto come mi hai chiesto e ho aiutato il tuo architetto paesaggista, il mio contributo si limita a quello, non posso fare altro. Parlo di contributo perché di competenze chiaramente non ne ho nessuna». Per non parlare della voglia, poi, quella è praticamente inesistente. «Quindi, che cosa ci faccio qui? A parte espormi ad ogni malattia possibile e immaginabile, s'intende».
«Da piccola non facevi così tante storie quando ti portavo da qualche parte». È vero, non ho mai fatto tante storie, perché come ho detto, ero una piccola selvaggia pronta a tutto.
«Da piccola non mi portavi in posti del genere», gli faccio notare. «Es una pesadilla, Darius. Te das cuenta?» (È un incubo, Darius. Te ne rendi conto?)
Mi dà una pacca sulla spalla che dovrebbe essere di incoraggiamento. «Resisti un altro po' e dopo ti porto a mangiare qualcosa».
«Di questo passo sono sicura che mi porterai a mangiare cavallette fritte e ragni lessi».
L'idea di passare altro tempo qui mi fa inorridire, sono stanca di essere pizzicata dalle zanzare e cercare di scacciare via i moscerini.
Gli angoli della bocca di mio fratello si sollevano. «No, in realtà stavo pensando più a dell'edera velenosa e qualche larva per contorno. Ma se preferisci le cavallette e i ragni, vedrò di accontentarti».
«Sei di buon umore oggi, sono contenta per te e un po' meno per me». Si sta praticamente divertendo a mie spese, non vedo l'ora di ricambiare il favore con tanto di interessi.
«Tu sei sempre di pessimo umore, il che non mi sorprende».
Intravedo qualcosa in lontananza che non fa altro che peggiorare il mio umore già altalenante. «Questa giornata non sta facendo altro che peggiorare», borbotto. «Saluta il tuo amico del cuore, Darius». Faccio un cenno del capo in direzione del vichingo biondo che ci sta venendo incontro, mio fratello si gira a guardare.
Kyran McMillian è l'ultima cosa che mi ci voleva oggi. Dios, ayúdame a superar este día terrible, por favor. (Dio, aiutami a superare questa giornata terribile, per favore)
«Non mi hai detto che ti saresti portato dietro Barbie scuola cattolica», è la prima cosa che dice non appena si avvicina. Mi squadra dalla testa ai piedi e io arrossisco dall'imbarazzo, ma anche dal fastidio. Mio fratello, invece, scoppia a ridere.
Maldito traidor. (Maledetto traditore)
Guardo prima Kyran e poi mio fratello che sta ridendo come se il suo amico avesse fatto la battuta del secolo. So, però, che sta ridendo perché lui mi ha praticamente detto la stessa cosa prima che uscissimo. "Sembri pronta per andare ad un collegio cattolico tutto al femminile".
Ha detto che il mio outfit sembra una divisa. Dubito fortemente che in un collegio cattolico ammettano delle gonne così corte.
Questi due, comunque, sono mentalmente connessi oppure hanno lo stesso contorto e poco divertente senso dell'umorismo, altrimenti non si spiega. «Voi due siete inquietanti, avete qualcosa che non va».
«Le ho detto la stessa cosa prima che uscissimo», gli spiega Darius e anche sul viso di Kyran si apre un sorrisetto. La loro telepatia lo diverte, che bello.
Io, però, al botta e risposta sono piuttosto brava, perciò non è un problema difendermi. «Sì, molto divertente detto dai due Ken pensione dietro l'angolo».
Mio fratello ride di nuovo, «Sei troppo permalosa, sorellina», dice. L'altro, invece, mi guarda come se volesse ribattere qualcosa ma non lo fa.
Lancio un'occhiataccia a Darius che lo diverte ancora di più. «Vogliamo fare ciò per cui siamo venuti o restiamo in questo posto a farci mangiare dagli insetti mentre commentate il mio outfit?»
Che, giusto per la cronaca, ci tengo a precisare che è strepitoso. Comunque per una volta mi danno retta.
L'attenzione di Darius finisce sul suo amico. «Ti spiego cosa avevo in mente», gli dice. Kyran annuisce e gli lascia fare strada mentre lo segue.
Se non fosse per me, che per niente contenta di essere lasciata sola, inizio a camminare dietro di loro, mi avrebbero quasi sicuramente lasciata indietro entrambi. Stronzi.
Passiamo l'ora seguente a ripercorrere ogni centimetro del giardino da incubo, loro parlano del progetto, di quella fontana terribile e di tutto il resto. Io praticamente sono la terza incomoda che si gira i pollici senza far niente in attesa che questa tortura giunga al termine.
«Ho un buco nello stomaco grande quanto il Grand Canyon», sbotto ad un certo punto fregandomene delle buone maniere, perché uno dei due è mio fratello e l'altro mi conosce da tutta la vita, perciò niente di ciò che mi esce dalla bocca è in grado di sconvolgerli, ormai. «Avete finito con le vostre cose? Perché io vorrei andare a mangiare».
Mio fratello mi guarda e annuisce. «Rispondo a questa chiamata e ti porto a mangiare», dice. Per poco non urlo dalla gioia.
«Grazie al cielo», sospiro. «Fai in fretta».
Dopodiché lui si allontana ed io resto in piedi come una statua di ghiaccio. Accanto a me c'è l'ultima persona con cui vorrei restare sola al momento.
Spero davvero che Darius faccia in fretta perché mi si stanno congelando le chiappe e non ho intenzione di dirgli che ho freddo dato che mi aveva consigliato, oltre a indossare dei pantaloni, di portarmi dietro un cappotto, ma non andava bene con l'outfit quindi non l'ho messo e ora non mi va di sentire un altro "te l'avevo detto".
Probabilmente uno si fa l'idea che una pattinatrice non soffra il freddo o che, quanto meno, lo soffra il minimo. Beh, sul ghiaccio è diverso, il corpo è in movimento e tutti i muscoli del corpo lavorano in continuazione. Fuori da quell'ambito il corpo non lavora alla stessa maniera, non è sotto sforzo, quindi è inevitabile sentirlo.
La faccia che ha mio fratello mentre parla al cellulare indica che chiunque sia dall'altra parte, l'ha appena fatto incazzare di brutto. «Cinquanta dollari che tornerà qui con un diavolo per capello», non ottengo risposta da Kyran, che si limita a lanciarmi un'occhiata per poi ignorarmi. «Sei noioso da morire, Ira».
«Io non scommetto, Elsa», dice, smorzando il divertimento sul nascere. «Soprattutto contro i bambini». Fanculo. Te la faccio vedere io la bambina.
Sto per ribattere, ma Darius si avvicina a noi e se avessi davvero scommesso, avrei senz'altro vinto. Perché è incazzato come una bestia. «Puoi portare Irisabelle a mangiare qualcosa?» chiede a Kyran. «Devo andare a scuola a prendere i gemelli».
Per il momento sorvolo su ciò che ha chiesto all'uomo accanto a me e mi concentro sulla parte che riguarda i nostri fratelli. «È successo qualcosa a Rouge e Royal?»
Darius guarda me adesso, non c'è preoccupazione nella sua espressione, solo rabbia. «Stanno bene», dice e mi tranquillizzo subito. «È solo Rouge che si comporta da Rouge mettendosi nei guai e Royal che lo segue a ruota, come sempre, d'altronde».
Non è la prima volta che Royal, pur essendo il più pacato dei due, finisce nei guai per aiutare il suo gemello. E quasi sicuramente non sarà nemmeno l'ultima.
«Che hanno combinato?» gli chiede Kyran e se non l'avesse fatto lui ora, l'avrei fatto presto io. Sappiamo tutti che i gemelli sanno essere piuttosto creativi, caratteristica che hanno ereditato da Indigo, purtroppo o per fortuna, dipende dai casi.
«Hanno messo dei ragazzi di testa nella tazza del water e hanno tirato lo scarico», racconta. Lo guardo accigliata e senza parole, perché questo è un gesto da bulletti, non è per niente da Rouge e Royal.
«Impossibile», dico infatti in difesa dei gemelli pur non conoscendo bene la dinamica. Ma conosco loro e so che non sarebbero capaci di fare una cosa del genere per divertimento. «I miei fratelli non sono dei bulli e non si comportano in quel modo».
«Infatti i bulli sono quelli che si sono ritrovati con la testa ficcata nella tazza del water», risponde Darius, lanciandomi un'occhiata.
Non trattengo il sorriso che mi nasce sulle labbra. «Questo ha più senso, probabilmente gli hanno fatto assaggiare la loro stessa medicina». Non dovrebbero essere puniti per difendere gli indifesi.
«Non dirlo in quel modo», dice, lanciandomi un'occhiata di rimprovero. Quasi come se fossi io quella che ha ficcato dei ragazzini di testa nel cesso.
«In quale modo?» domando con fare innocente, nel mentre, però, continuo a sorridere apertamente.
«Come se fossi fiera di loro», risponde, «Non si agisce in quel modo, indipendentemente dalle ragioni». So che sotto sotto, però, è fiero di loro anche lui.
Meglio avere a che fare con due ragazzini che commettono azioni del genere per difendere o proteggere qualcuno, che avere a che fare con dei ragazzini che commettono azioni del genere solo perché credono di poterlo fare e per divertirsi a spese degli altri. I bulli non piacciono a nessuno.
Faccio spallucce. «Ma io sono fiera di loro, non ho nessuna intenzione di nasconderlo».
Lui borbotta qualcosa che sembra un " ma che peccato ho fatto?". Dopodiché riporta lo sguardo su Kyran. «Portala a mangiare qualcosa, per favore».
Mi irrigidisco.
È letteralmente l'ultima cosa che voglio ed è anche chiaramente l'ultima cosa che vuole Kyran.
Non ho nemmeno il coraggio di guardarlo, non mi va di leggere la sua disapprovazione negli occhi. Probabilmente preferirebbe portare il furetto di Dorian a fare i bisogni, piuttosto.
«Posso andarci da sola, Darius», lo guardo nella speranza che capisca il concetto. Ovvero che non voglio andare da nessuna parte insieme al suo amico. «Sono una donna indipendente».
«Nessuno ha detto il contrario», rispond. «Però il meteo non è dei migliori e tu sei venuta in macchina con me. Preferirei che ti ci portasse Kyran», aggiunge, senza neanche chiedermi un'opinione a riguardo. Poi guarda Kyran. «Se non è un problema».
Anche se si nota palesemente che vorrebbe rispondere il contrario, Kyran gli dice: «Nessun problema, vai a prendere i gemelli prima che si caccino in qualche altro guaio».
Guardo prima l'uno e poi l'altro, infastidita perché stanno prendendo decisioni su di me e per me come se non fossi qui presente, come se non avessi voce in capitolo. «Non ho bisogno del babysitter, cazzo».
Quel treno fortunatamente è passato da un pezzo, Kyran ha già dato in quell'ambito, non voglio tornare a quei tempi. Non ci tengo minimamente.
Mio fratello mi fulmina con lo sguardo. «Non mi piace il tuo linguaggio, Irisabelle», mi rimprovera, come se lui non dicesse parolacce.
«A me non piace essere trattata da bambina o che gli altri prendano le decisioni per me, Darius», ribatto prontamente, seria più che mai. «A pranzo ci vado da sola».
«Iris, per favore, mi hanno già fatto innervosire abbastanza, non ti ci mettere anche tu. Devo andare dai gemelli e poi ho un impegno a cui non posso mancare, non faccio in tempo a portarti a pranzo».
Incrocio le braccia sotto al seno. «Bene, allora andiamo a prendere i gemelli, lasci noi a casa e poi sei libero di andare dove ti pare», ribatto prontamente con tono di chi non accetta repliche. Tono che ho preso da lui, tra l'altro. «E giusto perché tu lo sappia, adesso mi sono innervosita anche io».
«Darius, vai, mi occupo io di lei», s'intromette Kyran, come se ne avesse il diritto. Lo guardo malissimo.
Mi occupo io di lei. Come se fossi una bambina a cui badare o un cucciolo, che diamine.
«Non sono qualcosa di cui tu debba occuparti o preoccuparti, Kyran», ringhio quasi. «Grazie tante».
«Senti Irisabelle –», prima che possa finire la frase, però, Darius riceve un'altra chiamata. Ci fa cenno di aspettare, dopodiché accetta la chiamata, si porta il cellulare all'orecchio e si allontana un'altra volta.
Quindi resto di nuovo sola con Kyran, che non sembra voler lasciar perdere. «Ti porto a mangiare qualcosa e poi ti riaccompagno a casa. Non farne un dramma, tuo fratello ha già parecchi grattacapi, non ti ci mettere anche tu», dice.
«È una cazzo di catastrofe accertata, altro che dramma».
«La situazione a me piace meno di quanto piaccia a te, perciò collabora e basta», dice. Le sue parole non mi piacciono per niente, è come se mi stesse facendo un favore quando in realtà lo sta facendo a mio fratello.
«Se muori dalla voglia di restare solo con me basta dirlo, Kyran. Non hai bisogno di fare certi giochetti alla tua età», lo prendo in giro. Magari se faccio così si tira indietro, so che lo infastidisce questo genere di comportamento. Lui però resta impassibile.
Mio fratello torna, non gli chiedo con chi stesse parlando perché sono incazzata con lui e al momento non mi interessa minimamente.
«Io e tua sorella siamo d'accordo, la porto a pranzo e poi la riaccompagno a casa. Puoi andare dai gemelli», gli dice Kyran.
No acepté, idiota. (Non ho accettato, idiota). Vorrei gridarlo, però mi limito a sorridere forzatamente a Darius e annuisco con la testa. «Ci divertiremo proprio un sacco», mento spudoratamente.
Ho tutta l'intenzione di fargli passare l'ora peggiore della sua vita.
❄️❄️❄️
Smettila di annusare in giro. Smettila subito.
Non sei un cane, maledizione.
In mia discolpa posso dire che non mi aspettavo che una volta entrata in auto sarei stata innondata e avvolta dal profumo di Kyran.
È ovunque, me lo sentirò addosso per giorni.
Detesto che il suo profumo sia così buono.
Odio amare il suo profumo e forse ciò che sto dicendo non ha assolutamente senso, ma è così.
Mi sembra non ci sia abbastanza spazio per entrambi qui dentro, anche se l'auto è piuttosto grande. Sarà perché non passiamo del tempo così tanto a stretto contatto da anni, probabilmente. Prima stare in auto con lui era normale. Ora non lo è più.
Mi muovo a disagio sul sedile, ho ancora freddo, in realtà. Kyran, senza dire una parola, allunga il braccio senza sfiorarmi nemmeno per sbaglio e accende i riscaldamenti.
Non so se l'ha fatto perché si è accorto della mia pelle d'oca e il naso rosso da clown oppure perché semplicemente ha freddo anche lui. Ma è molto più probabile che la motivazione giusta sia la seconda.
Ho bisogno di parlare oppure il mio cervello non smetterà di pensare e pensare e pensare fino ad andare in cortocircuito. «Non devi farlo per forza», rompo il silenzio.
Lui continua a tenere gli occhi puntati sulla strada davanti a sé. «Stai congelando, è più che evidente».
Oh. Quindi ha acceso il riscaldamento apposta per me. Questo è inaspettato.
«Non parlo del riscaldamento», gli dico. Sono grata però che l'abbia acceso, perché io non gli avrei mai chiesto di farlo e probabilmente sarei diventata un ghiacciolo umano alla fine. «Non devi portarmi a pranzo perché te l'ha chiesto Darius. Lasciami a casa, ci vado da sola e gli dirò che ci siamo andati insieme».
Mi sembra di elemosinare il suo tempo, anche se non sono stata io ad obbligarlo a portarmi fuori a pranzo e la sensazione che provo non mi piace per niente.
«Continui a farne un dramma, è solo un pranzo».
Lo guardo di traverso. «Non voglio pranzare con una persona che non apprezza la mia compagnia». Ed è chiaro che lui non l'apprezza minimamente. «Il silenzio non mi piace».
«Parli abbastanza per entrambi», ribatte continuando a guardare la strada. Divertente.
«Non ho intenzione di parlare con una persona che non mi risponde», metto subito in chiaro. Perché è così che andrà, è così che va ormai da anni tra noi. Ci parliamo solo per sputarci veleno addosso. «Non mi piace parlare da sola».
«Ti sto rispondendo», dice, «E a quanto pare le cose che non ti piacciono sono troppe».
Lui guarda la strada, io guardo lui. «Già». Non posso negarlo, è vero che le cose che non mi piacciono sono più di quelle che mi piacciono. Non è un segreto, lo sanno tutti.
Tu però mi piaci, vorrei dirgli. Più di qualsiasi altra cosa. Mi piaci anche se mi allontani e ogni volta che lo fai, fa così male che a malapena riesco a respirare. Mi piaci sempre, anche se non dovresti piacermi, anche se non dovrei guardarti.
«Non è un problema mio».
«Neanche la tua lealtà nei confronti di Darius è un problema mio, eppure eccomi nella tua auto», indico con un dito prima me stessa e poi l'interno della sua auto.
«Parliamo, allora», se ne esce dopo qualche secondo di silenzio. Lo guardo allibita, non sapendo cosa rispondere.
Sbatto le palpebre due volte, poi tre, presa alla sprovvista. «Che cosa?»
Non è assolutamente ciò che mi aspettavo dicesse.
«Hai detto che vuoi parlare, allora parliamo», risponde tranquillamente. A quanto pare oggi è il sorprendiamo Irisabelle day. Lo devo segnare sul calendario.
«Non così, su due piedi», dico, presa dall'ansia. «Dicevo in generale, era un discorso generale». Si dà il caso che non avrebbe dovuto dire niente del genere, mi aspettavo che mi riportasse a casa seduta stante.
«È solo che ti piace lamentarti in continuazione, Irisabelle», dice, «Ti piace portare la gente all'esasperazione. Ti diverte».
«Non è quello che sto cercando di fare», gli rispondo indispettita. «Se volessi portarti all'esasperazione, mi comporterei come la ragazzina che pensi io sia», aggiungo, «Mi toglierei le scarpe e poggerei i piedi sul cruscotto, fregandomene della gonna corta che indosso e di quanto tu saresti in grado di vedere avendomi a portata di mano così esposta».
Stavolta mi lancia una breve occhiata di ammonimento. «Beh, ti conviene non farlo. Resta seduta composta e non fare stronzate», dice, «Sto cercando di comportarmi in maniera civile».
Per poco non gli scoppio a ridere in faccia, perché ignorarmi e brontolare non è affatto un comportamento civile.
«Anche io mi sto comportando in maniera civile, mi sembra di avere ancora le scarpe ai piedi e le gambe chiuse, no?» ammicco anche se non mi sta guardando.
«Che idea del cazzo», borbotta tra sé e sé. Non riesco a trattenere un sorriso divertito, perché almeno su questo siamo d'accordo.
«Prima non dicevi mai parolacce in presenza mia», gli faccio notare. Probabilmente si conteneva sotto richiesta di Darius, ma comunque non ne dice molte già di suo.
«Perché eri piccola e innocente».
«E ora non lo sono più?»
«Sei ancora piccola», dice, continuando a guardare la strada davanti a sé, mentre io guardo le sue mani enormi strette intorno al volante.
Sorrido. «Ma non sono più innocente. Vuoi dire questo, giusto?»
Non ha tutti i torti nel pensarlo, non è che mi sono comportata in maniera tanto innocente con lui.
«Voglio dire che dubito che il linguaggio scurrile ti sconvolga». Non dopo che mi hai baciato quanto eri adolescente, vorrebbe sicuramente aggiungere. Ma non lo fa e gliene sono grata, perché non è il momento di scavare nei ricordi o rinfacciarmelo.
Cala il silenzio per qualche secondo, dopodiché decido io di mettergli fine. «Come vanno le lezioni di Kayla?»
Questo è un terreno neutrale, non c'è modo di scontrarci se parliamo di sua figlia. Spero.
Lui mi guarda solo una volta, poi riporta l'attenzione alla guida. «Bene», risponde, «Le arti marziali sembrano piacerle o forse è solo perché c'è Dorian insieme a lei», aggiunge. «Le scarpette e il tutù non facevano per lei».
«È una tosta, diventerà brava secondo me», dico, «Ma era predisposta anche per la danza». Lo penso davvero.
«Sua madre l'avrebbe preferito».
Non mi va di parlare di Sophia insieme a lui. Quindi gli chiedo: «E tu?»
«A me va bene qualsiasi cosa le piaccia», risponde e per poco non mi sciolgo sul sedile. Ha appena detto una cosa bellissima e per niente scontata. Non tutti i genitori pensano alle priorità o alle preferenze dei figli.
Poi cala un'altra volta il silenzio e questa volta non ho intenzione di riempirlo. Io ho fatto il primo passo, ora tocca a lui, oppure possiamo restare zitti fin quando non mi riaccompagnerà a casa.
«Come sta Dixon?» chiede dal nulla. Il mio partner sul ghiaccio ha avuto un piccolo infortunio che l'ha costretto a stare fermo per un mese. Nulla di grave, fortunatamente. Non pensavo, però, che Kyran ne fosse a conoscenza.
«Fastidiosamente bene, è tornato più in forma e rompipalle di prima», rispondo. Voglio bene a Dixon, ma è davvero una specie di cappio al collo a volte. «Dio, è così strano», dico poi. Lui mi lancia un'occhiata confusa, non capendo cosa voglia dire. «Avere una conversazione normale con te, è strano».
«Mi hai chiesto tu di farlo», dice e il mio cuore si rompe in mille pezzi per l'ennesima volta. Non sta facendo conversazione perché vuole farlo, ma solo perché gliel'ho chiesto io.
Fa più male di quanto sia disposta ad ammettere e al dolore sono abituata a reagire solo in un modo: con la rabbia.
«Non devi sforzarti a parlarmi se non vuoi farlo. È vero che non mi piace il silenzio, ma non morirò se deciderai di non rivolgermi la parola, Kyran».
Estoy tan enojada, dudo que pueda lograr controlarme. (Sono così arrabbiata che dubito di riuscire a controllarmi)
«La maggior parte delle volte non abbiamo conversazioni normali per colpa tua, Irisabelle. Non di certo per colpa mia», ha il coraggio di rispondere, facendomi arrabbiare ancora di più. «Che stai facendo?»
Mi sfilo velocemente entrambe le scarpe, dopodiché metto in atto la minaccia che gli ho fatto precedentemente. Metto entrambi i piedi sul cruscotto.
Sembra che tu sia seduta sul lettino del ginecologo, Irisabelle, che cavolo. Ignoro la mia vocina interiore e anche se sento le guance andare a fuoco, me ne frego. Posso sempre fare la colpa alla rabbia per questo.
«Ricambio il favore», gli dico, «Tu irriti me e io irrito te».
Sposta ripetutamente lo sguardo da me alla strada. «Abbassa le gambe e rimetti le scarpe», ringhia.
«Non ci penso proprio», ribatto. «Guarda la strada, Kyran, altrimenti faremo un incidente».
«Sei almeno consapevole del fatto che potrebbe vederti chiunque?»
Faccio spallucce. «Loro a differenza tua si godranno il panorama», lo provoco. La mia risposta sembra farlo incazzare davvero tanto. Bene, siamo in due. Benvenuto nel club, stronzo.
«Chiudi quelle gambe, cazzo, non hai un minimo di pudore», dice, ma io lo ignoro completamente. «Togli i piedi dal cruscotto», aggiunge a denti stretti.
«Non ci penso proprio, se vuoi che lo faccia dovrai costringermi».
«Non farmi perdere la pazienza, Elsa. Non ti conviene», dice ed io ho un fremito, perché è proprio ciò che voglio accada. Voglio che perda la pazienza e la sua compostezza.
«Magari mi conviene, invece, non puoi saperlo».
Lui stringe ancora più forte le mani intorno al volante, tanto che temo possa romperlo a momenti. «Hai perso la testa, non c'è altra spiegazione». Non posso negare nemmeno questo, probabilmente è così.
Quando penso, ormai, che non farà nulla, lui accosta rapidamente all'angolo della carreggiata. Il movimento è così brusco che se non avessi la cintura, mi sarei piegata come una fisarmonica contro al cruscotto.
Non ho nemmeno il tempo di pensare o dire qualcosa che le sue mani finiscono sulle mie cosce e stringe mentre mi costringe a rimettermi seduta composta, non tanto da farmi male o lasciarmi i segni. Solo una leggera pressione.
Dopodiché, cogliendomi completamente alla sprovvista, mette la sua enorme mano dietro alla mia nuca e avvicina la mia faccia alla sua. Non stringe, non mi fa male, non mi fa sentire in gabbia. Non fa niente che possa farmi entrare nel panico.
Si limita a tenermi vicina e guardarmi negli occhi, non fa nient'altro. Sono consapevole del fatto che posso allontanarlo in qualsiasi momento, non mi sta tenendo ferma, non lo farebbe mai, perché sa e perché non è quel tipo di uomo.
«Ascoltami bene, Irisabelle, sono stanco delle tue cazzate», dice e mi avvicina a lui maggiormente, tanto che a momenti il suo naso sfiora il mio.
Se qualsiasi altro uomo avesse fatto un gesto del genere, non avrei reagito nel modo in cui sto reagendo in questo momento. Nella mia testa non starei urlando baciami, ma allontanati, non toccarmi.
«Sto cercando di fare un favore a tuo fratello cercando di alleggerirgli il carico da mille che ogni volta gli buttate addosso tu e i tuoi fratelli. Collabora e comportati come si deve. Mangiamo qualcosa e dopo ti riporto a casa, non è difficile. Dovresti riuscire a comportarti decentemente per un po' di tempo».
Non dico una parola, respiro e basta, mentre cerco di calmare i battiti impazziti del mio cuore. Lui si accorge del mio respiro affannato ma ne trae una conclusione sbagliata, pensa che sia per la posizione in cui ci troviamo, pensa di avermi messa in difficoltà.
Quindi molla la presa e si allontana come se avesse commesso un crimine.
Non ho il respiro affannato per il panico. Ho il respiro affannato per la tensione, per la sua vicinanza, per le immagini che ho proiettato nella mia testa perché in tutte ed ognuna la sua bocca era sulla mia.
Chiude gli occhi per un istante e sospira. Poi li riapre e guarda dritto nei miei. «Mi dispiace».
A me no. A me non dispiace il tuo tocco.
È l'unico tocco che non mi ripugna. È l'unico tocco che mi fa sentire bene, che mi fa desiderare un contatto fisico maggiore. Non è il tipo di tocco che mi fa venire voglia di strapparmi via la pelle dalle ossa.
«Andiamo a mangiare», dice. Io mi limito ad annuire, ancora troppo scossa dalla sua vicinanza improvvisa per riuscire a dire qualcosa.
Per il resto del tragitto nessuno dei due parla. Non dico una parola nemmeno quando mi accorgo che mi ha portato in uno dei miei ristoranti preferiti, anche se il mio cuore fa una capriola nel petto. Finisco per comprare una box di sushi d'asporto –che purtroppo paga lui– quando gli chiedo di riaccompagnarmi a casa, non oppone resistenza, lo fa e basta.
❄️❄️❄️
È notte fonda e casa Reyes è silenziosa, il che è strano dato che nessuno userebbe mai la parola silenziosa per descrivere questa casa.
Dubito, comunque, che stiano dormendo tutti. Sono sicura che Nikla e i gemelli siano nei loro rispettivi letti con i cellulari in mano. Nerea starà guardando qualche documentario true crime su Netflix.
Arden è in trasferta con la sua squadra, giocherà una partita abbastanza importante domani. Amethyst sta dormendo a casa del suo fidanzato.
Indigo è uscito e non è ancora rientrato, gli ho inviato un messaggio per assicurarmi che fosse tutto apposto e ho ricevuto in cambio il visualizzato che è, per l'appunto, una prova del fatto che sia vivo e fuori dai guai.
Gli unici che stanno sicuramente dormendo sono Darius, Ophelia e Dorian con il suo furetto, che per la cronaca ha chiamato Ramsey e che ha una cuccetta tutta sua nella stanza del bambino.
Io, invece, me ne sto sdraiata sul divano con una tazza di cioccolata calda in mano e la mia copertina con Henry Cavill stampato sopra a corpo intero, che è un regalo da parte della mia abuelita (nonnina). Inutile dire che l'ho apprezzato tantissimo, non poteva essere altrimenti.
La stanza è illuminata solo dalla luce del televisore acceso, ho messo il film Una notte da leoni con la speranza di ridere un po', vista la giornata alquanto pessima che ho avuto oggi.
«C'è un po' di cioccolata calda per me?» sobbalzo e alzo gli occhi su mio fratello, in questo caso il maggiore. Darius.
«No, ho fatto solo questa tazza», rispondo, «Pensavo stessi dormendo».
Io e Darius, da che ne ho memoria, abbiamo questa specie di momento tutto nostro. A volte quando tutti dormono ci ritroviamo qui in salotto e beviamo insieme della cioccolata calda mentre guardiamo un film.
Lui annuisce, dopodiché prende posto accanto a me. Sollevo un po' la coperta e gliela metto addosso, anche se dubito che abbia freddo. Gli passo la mia tazza e lui la prende. Poi attento a non bruciarsi, se la porta alle labbra e ne prende un sorso.
Me la ripassa, «Mi dispiace per oggi».
Lo guardo accigliata, poi capisco che parla di Kyran. «Non hai fatto niente per cui tu debba scusarti, Darius».
Anzi, in realtà a dirla tutta dovrei scusarmi io per tutte le volte in cui mi comporto in maniera insopportabile con lui. A volte, sia io che il resto dalla famiglia, tendiamo a dimenticarci che è umano anche lui.
«Ho sbagliato e quando lo faccio chiedo scusa», dice, poi accetta di nuovo la tazza quando gliela riporgo. «So che le cose con Kyran non sono più come una volta e ti ho praticamente costretta ad andare insieme a lui».
«Costretta è un parolone», mi riapproprio della mia tazza e prendo un sorso di cioccolata calda. «Tendo a fare un dramma per tutto, Darius. Non mi hai costretta a fare niente».
«A volte agisco d'impulso», lo dice come se fosse un crimine terribile. Suppongo che chiunque sia abituato a tenere in mano le redini della propria famiglia la pensi allo stesso modo.
«Io agisco sempre d'impulso, Darius. Noi tutti lo facciamo e tu spesso affronti le conseguenze delle nostre azioni», rispondo. «Non ho problemi a restare sola con Kyran o ad andare da qualche parte insieme a lui, davvero. È solo che mi piace lamentarmi, lo sai».
In realtà spesso e volentieri mi fa comodo che Darius ci spinga in un certo senso a passare del tempo insieme, che sia al lavoro o altrove.
Annuisce, «Ti piace un sacco lamentarti». Trattengo un sorriso e gli passo un'altra volta la tazza.
«E tu invece non ti lamenti mai. Siamo un carico da mille, va bene se perdi la pazienza o il controllo qualche volta», lo rassicuro. «Non facciamo altro che darti problemi su problemi». Questo è un dato di fatto.
Lui gira la testa verso di me e mi guarda dritto negli occhi. «Siete il mio carico da mille e non vi cambierei per niente al mondo, Irisabelle. Mai. Non importa quanti casini facciate, non importano le urla, i litigi, i capricci o la stanchezza. Voi siete tutto per me».
Probabilmente gli occhi mi si sono riempiti di lacrime e odio mostrarmi così sensibile, ma non posso fingere che le sue parole non mi facciano effetto, perché non è così. È il mio fratellone, il mio secondo papà, sapere che pensa questo, avere la certezza che sia così, mi fa sentire importante e amata. Quasi invincibile.
«Y vos lo sos todo por cada uno de nosotros», gli dico, perché non voglio che ne dubiti mai.
(E tu sei tutto per ognuno di noi)
Restiamo per qualche secondo in silenzio, dopodiché dice: «Una notte da leoni, quindi». Indica con un cenno del capo la televisione, io annuisco.
Gli appoggio la testa sulla spalla e guardo la televisione insieme a lui. «Adoro questa scena».
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