Capitolo 4
Picchietto le mie unghie laccate di turchese sui braccioli della sedia su cui sono seduta. Il movimento e il suo suono mi infondono calma, non posso assicurare che sia lo stesso anche per la persona che ho davanti, probabilmente la sto irritando da morire.
Distolgo lo sguardo dalla targhetta su cui c'è scritto il nome della dottoressa Hamilton, quella che a breve diventerà la mia ex psicologa, per alzarlo su di lei. La guardo solo perché mi sta parlando e purtroppo la mia educazione ferrea non mi permette di ignorarla.
«Non credo sia una buona idea smettere con le sedute, Irisabelle».
Emilia è una donna di circa quarant'anni, ha i capelli castani tagliati a caschetto, due occhi nocciola che ti leggono nell'anima e la carnagione abbronzata. Ha stile nel vestire e mi piace il timbro della sua voce, non mi fa venire il mal di testa. Mi piace anche ascoltarla, sa dare ottimi consigli.
Ovvio, è pagata proprio per questo. Mi ricorda la mia fastidiosa vocina interiore.
Eppure so che non è del tutto così, la dottoressa Hamilton si è affezionata a me e io mi sono affezionata a lei, anche se sto per mollarla su due piedi. Sì, proprio come un dannato playboy che molla la fidanzata da un momento all'altro.
«Già, beh, io credo di sì. Capisco che tu ormai ti sia affezionata a me, Emilia. Lo apprezzo, davvero», le do del tu perché ormai siamo in confidenza e tempo fa mi ha chiesto lei di farlo. «Magari potremmo vederci per prendere un caffè da Starbucks, di tanto in tanto. Ammetto che anche io nutro un certo affetto nei tuoi confronti, ormai, ma...»
La dottoressa non mi fa terminare la frase, mi interrompe senza troppi giri di parole.
«Non sei migliorata, non hai fatto progressi, le sedute devono continuare», dice seria e con l'aria di una che non accetta obiezioni. «Fingi di non pensare più a ciò che ti è successo, fingi di esserti lasciata tutto alle spalle e di averlo superato», aggiunge, elencando una parte dei miei problemi, stando a ciò che dice lei. «Ma continui ad essere sola, continui a non lasciare entrare altre persone nella tua vita, a non dare fiducia».
Ho ventun'anni, quando sono nata avevo già cinque fratelli, non so nemmeno com'è fatta la solitudine. Non sono mai stata sola.
«Il mio secondo nome è Soledad, sarà uno di quei casi in cui il nome ti si appiccica addosso», rispondo, facendo spallucce.
Combatti i discorsi che non ti piacciono con della sana ironia e tanto sarcasmo, me lo ripeto sempre e a volte funziona. Ma non è questo il caso, a quanto pare, perché Emilia continua a guardarmi in modo serio e dubito che abbia voglia di scherzare.
«Irisabelle, tu non hai un secondo nome», dice, come se non lo sapessi già.
I precedenti psicologi, quelli che hanno tentato di seguirmi, mi guardavano come se fossi pazza. Davvero poco professionale da parte loro. Emilia invece non l'ha mai fatto, non mi ha mai guardato in quel modo.
«Peccato, sarebbe stato bello, non lo pensi anche tu?» chiedo e quando come risposta ricevo solo uno sguardo di ammonimento, sbuffo e arrivo dritta al punto. «Senti, Emilia, io non sono sola, ho nove fratelli, tre cognati e due nipoti, quasi tutti nella stessa casa. Ho mia madre e mio padre, ho la mia abuelita», elenco tutte le persone che ho nella mia vita, «Ah, ho anche Dixon, il mio amico e partner».
«Sono persone che conosci da sempre, non hai fatto nessuno sforzo per cercare di conoscere altra gente, per aprirti e dare fiducia al prossimo», insiste, iniziando a darmi sui nervi.
La verità fa male, mi pungola ancora una volta la mia vocina interiore.
«Le persone che ho nella mia vita sono già troppe, perché dovrei volerne altre?», chiedo, «Mi bastano, sono la mia famiglia, di loro mi fido ciecamente».
«Perché lì fuori non sono tutti come Gavin e Lorna Walsh», dice, guardandomi dritto negli occhi.
Sento la rabbia che mi fa contorcere le viscere, mi scorre nelle vene e mi fa vedere rosso. Stringo forte i braccioli della sedia e ricambio lo sguardo, poco me ne importa se me lo leggerà negli occhi che sono incazzata. È un colpo basso nominarli.
«No, probabilmente non ho superato quello che è successo e forse non lo farò mai. Ma sto reagendo, sto andando avanti con la mia vita, a modo mio e con i miei tempi», sputo fuori, avvelenata. «Sì, fingo di non pensarci più ma ci penso più spesso di quanto vorrei ammettere, anche se vorrei cancellare tutto, Dio, quanto vorrei. E no, non riesco più a fidarmi di persone che non fanno parte della mia famiglia perché il fratello del mio ex allenatore e la sua dannata moglie, hanno molestato me, mio fratello e altri ragazzini».
Le parole mi escono fuori di getto mentre ripercorro con la mente ogni singolo istante dell'inferno che abbiamo passato io, Royal e gli altri. Vorrei solo smetterla di parlarne, dimenticare, cancellare tutto con un colpo di spugna.
«Fai ancora sogni su di loro?» Indaga, sorpresa dal fatto che mi sia lasciata andare dopo così tanto tempo. L'ultima volta che ho gettato tutto fuori e ho dato voce ai miei pensieri, è stato quando ci siamo conosciute.
Aveva toccato ogni mio punto dolente, ogni ferita aperta e a differenza di come mi ero comportata con gli altri, prima di lei, avevo sputato tutto fuori, mi ero aperta. Credo di aver pianto tutte le mie lacrime quel giorno.
«Non sono sogni e nemmeno incubi, Emilia, sono ricordi», metto in chiaro.
La realtà e i ricordi sono mille volte peggio di qualsiasi sogno o incubo.
«Ricordo il modo in cui Gavin mi faceva sentire braccata, in gabbia e senza via di fuga. Ricordo la sensazione orribile che provavo nel sentire il suo sguardo addosso. Ricordo tutte le volte che correvo in bagno a vomitare dopo che lui mi toccava con le sue maledette mani, fingendo di farlo senza malizia», dico, guardandola dritto negli occhi. «Ricordo che mi sentivo colpevole, pensavo di aver catturato la sua attenzione con i body che coprivano poco o con i leggings troppo aderenti, magari gli avevo sorriso una volta di troppo», un sorriso dal retrogusto amaro e acido mi nasce sulle labbra. Che stupida sono stata. «E ricordo la rabbia che ho provato quando ho capito che quella stronza di sua moglie faceva la stessa cosa ai ragazzini che giocavano ad hockey, al mio fratellino».
"Lo so che ti piace, Belly", "Lo vedo che il tuo body è fradicio, bambina", "Dio, quella bocca".
La sua voce si ripete nella mia testa, continuamente. Non sempre è facile zittirla ma la maggior parte delle volte ci riesco, combatto con tutta me stessa per riuscirci.
«È questo che ti ha fatto scattare, Iris?» mi domanda, come se non lo sapesse già. «Aver scoperto che tuo fratello stava vivendo le stesse cose?»
«Conosci già la risposta, Emilia», le dico. Mi guarda comunque in attesa e so che non cederà, perciò mi tocca parlare. «Sì, è stato quello a farmi scattare o forse il fatto che Gavin ha provato a stuprarmi. Non lo so, tirale tu le somme, dottoressa».
«Ti sei sentita in colpa per ciò che è accaduto a tuo fratello», dice, come se non fosse abbastanza ovvio. Mi sento ancora in colpa, probabilmente mi sentirò sempre in colpa.
«Se avessi parlato prima, non sarebbe successo a nessun altro».
Se avessi avuto il coraggio di parlarne con qualcuno ora Royal non avrebbe tutti i problemi che invece ha, Charlene non avrebbe tentato il suicidio, Alan non avrebbe problemi con la droga e tanti altri ragazzini si sarebbero risparmiati questo tormento. Quindi sì, è colpa mia.
«Nemmeno a Royal, suppongo».
«Nemmeno a Royal», confermo, annuendo.
«Non hai la colpa di ciò che è successo a Royal e non hai la colpa di ciò che è successo a te o agli altri ragazzi», dice e so che lo pensa veramente ma non è così che la penso io. «E quello che hai fatto...» indugia, «Sei stata coraggiosa, Irisabelle».
Non mi sento coraggiosa, cazzo, non mi ci sento per niente.
«Ho sfregiato la faccia di un uomo con il mio pattino e stavo per fare lo stesso a sua moglie, Emilia», le dico, «Alcuni mi definirebbero un mostro».
E probabilmente lo sono davvero, perché se me li ritrovassi davanti o se mi ritrovassi di nuovo in quella situazione, lo rifarei senza pensarci due volte. L'unica cosa di cui mi pento è di non averlo fatto prima.
«È stata legittima difesa».
Non voglio continuare a parlare del passato, voglio parlare di ciò che sono venuta a fare qui oggi, ovvero mollare la terapia. È arrivato il momento.
«Voglio provare a farcela da sola, Emilia, è per questo che non voglio più fare altre sedute», cerco di spiegarle con la speranza che capisca. «Apprezzo ciò che hai fatto per me ma non posso rimanere per il resto della mia vita in terapia».
«Non c'è niente di male nella terapia, anche persone che non hanno subito alcun tipo di trauma ci vengono».
«Infatti non ho mai detto o pensato che ci sia qualcosa di male, ti ho appena detto che mi sei stata molto d'aiuto», le faccio notare, «Però è arrivato il momento per me di affrontare questa situazione da sola».
Cala il silenzio per qualche istante, lei guarda me e io guardo lei. Nessuna delle due dice una parola.
«Arrivate a questo punto non posso obbligarti a restare, Irisabelle, posso solo consigliarti di non lasciare la terapia. Ma tu hai già deciso e non cambierai idea», dice con un sorriso. Ha sempre adorato la mia testardaggine. «Voglio che tu sappia però che puoi tornare in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa. Anche se hai solo voglia di parlare».
Mi alzo in piedi e lei fa lo stesso. «Posso abbracciarti?» chiedo, perché ho paura che sia poco professionale. L'ultima cosa che voglio è metterla in qualche guaio.
«Certo che puoi», risponde lei con un sorriso, dopodiché spalanca le braccia per invitarmi a farlo.
«Grazie, Emilia, davvero», le dico, lei mi stringe forte a sé. «Grazie di tutto».
Sono io quella che si separa per prima dall'abbraccio, perché potrei piangere a momenti ed Emilia mi ha già vista piangere fin troppe volte.
«Sei una donna forte, Iris, ce la farai».
Lo spero, Emilia, lo spero con tutto il cuore.
***
L'abito da sera che sto indossando brilla sicuramente più del mio futuro.
Guardarmi fa quasi male agli occhi, sono sicura che sarò la causa di una brutta emicrania per qualcuno stasera, ma probabilmente anche la causa di parecchie erezioni, visto quanto è scollato e corto.
Mi guardo intorno mentre tengo in mano il mio calice di champagne, ad occhi esterni potrei sembrare solo una semplice donna che sta adocchiando qualcuno nella folla, invece mi sto semplicemente annoiando.
In genere odio i compleanni, gli unici di cui mi importa sono quelli dei membri della mia famiglia. Però le feste in generale non mi dispiacciono, si mangia bene e le location la maggior parte delle volte sono davvero spettacolari.
Oggi è il compleanno di un qualche membro onorario dell'azienda di Darius, Kyran e Doralia. Forse di qualche partner o socio, nemmeno lo ricordo.
So solo che toccava a tutta la famiglia Reyes presenziare, ma i gemelli hanno preferito andare alla festa di qualche loro amico adolescente, Nerea ha preferito andare a vedere una partita di basket e gli unici due bambini della famiglia sono rimasti a casa con una delle tate.
Quindi gli unici presenti all'appello siamo io, Darius e sua moglie, Doralia e suo marito, Amethyst con il suo fidanzato, Indigo che è in giro chissà dove, Arden che si sta infinocchiando tutte le donne che riesce ad acchiappare e Nikla, l'unica che adora con tutta se stessa questo genere di eventi.
Ovviamente ci sono anche Kyran e sua moglie, sto cercando di tenermi a debita distanza da entrambi.
Mi sfioro involontariamente il fianco che Kyran mi ha medicato con tanta cura, l'ematoma pian piano sta svanendo. Ora quando lo tocco non provo dolore, ricordo soltanto la sensazione del suo tocco su di me.
Ne parlo come se fossero passati anni ma in realtà sono passati solo pochi giorni e da quel momento è tornato tutto come prima, ci evitiamo o ci facciamo la guerra, non c'è una via di mezzo.
«Hai la faccia di uno a cui hanno servito del piscio d'asino al posto dello champagne costoso», dico ad Arden quando si avvicina a me. Lui mi toglie il bicchiere di mano e ne beve il contenuto. «No, fai pure, mica mi dispiace».
«A volte mi dimentico che hai raggiunto l'età per bere alcolici e vestirti da stripper», commenta. Non gli va tanto a genio il mio vestito. «Questa festa è noiosa».
«Concordo, ci vorrebbe qualcosa per rianimarla», rispondo, appoggiando il mio braccio sulla sua spalla. Fingo di pensarci sopra. «Visto che sono vestita da stripper, se salgo su uno dei tavoli e faccio uno spogliarello, dici che me le lanciano le banconote?»
Non sono così spericolata e sfacciata da fare una cosa del genere, solo che mi piace fare incazzare i miei fratelli. È un ottimo passatempo.
«Fallo e l'unica cosa che lanceranno queste persone saranno delle rose rosse sulla tua bara», mi sfida con un sorriso, «Darius ci metterebbe due secondi ad ucciderti e noi ancora meno ad aiutarlo».
Ovviamente con noi si riferisce a lui e Indigo, che è da qualche parte qui intorno. Nemmeno lui ha gradito molto il mio vestito ma a differenza di Arden, parla meno e dispensa grugniti e occhiatacce per farlo capire.
«Potrei chiedere all'orchestra di suonare un pezzo di Daddy Yankee», faccio spallucce e cerco in giro con lo sguardo qualcosa da mangiare. Niente stuzzica la mia fame però.
«Secondo me non sanno nemmeno chi sia», risponde mio fratello, guardando annoiato quelli dell'orchestra.
Suonano delle canzoni davvero malinconiche e tristi, più che un compleanno sembra un funerale.
Non possono fare come l'orchestra della serie Bridgerton e suonare le canzoni di Ariana Grande, i Maroon 5, Billie Eilish o Shawn Mendes?
«Sacrilegio».
«Scommetto che i gemelli si stanno divertendo più di noi», dice Arden e di solito quando sono sicura di vincere scommetto anch'io, ma non è questo il caso.
«Avrei dovuto accettare l'invito di Dixon e andare in discoteca con lui», borbotto, appoggiandomi al suo braccio. Lui abbassa lo sguardo sul mio vestito e borbotta qualcosa di incomprensibile ma quasi sicuramente anche poco carino.
«Tu odi le discoteche», mi fa notare. A volte mi dimentico che i miei fratelli mi conoscono meglio di quanto dimostrino.
«Vero», annuisco, «Però mi piace ballare».
Ecco che si avvicina a noi il terzo componente Reyes e non per ordine di nascita. Amethyst ci raggiunge, anche lei ha un bicchiere di champagne in mano e la faccia di una che si sta annoiando a morte.
Non vedo la sua dolce metà dietro o accanto a lei, però, è strano perché di solito sono inseparabili.
Amethyst e Byron sono una coppia da più di tre anni ormai e onestamente non riescono a stare lontano l'uno dall'altra nemmeno quando litigano, il che è confortevole e carino. Fanno credere nell'amore, così come Darius e Ophelia, oppure Doralia e Creighton.
«Sono io o questa serata è particolarmente noiosa?» ci domanda nostra sorella, guardandosi intorno.
«Dove hai lasciato il francesino?» domanda Arden ad Amethyst con un sorrisetto. Lui e Byron vanno d'accordo, soprattutto quando sono entrambi ubriachi.
«Sta parlando con Creig e Dora di non so cosa, ho smesso di ascoltare esattamente due minuti dopo che hanno iniziato il discorso».
Conoscendola, sappiamo che è vero, Amethyst riesce a fingere di ascoltare ciò che le stanno dicendo con maestria. Si estranea completamente quando non le interessa una conversazione, il che succede molto spesso.
«Sei venuta da noi perché siamo quelli più divertenti e simpatici della famiglia», le dice Arden. Annuisco essendo d'accordo con lui.
«Siete quelli che si cacciano più spesso nei casini e che fanno più figure di merda, questo sì», risponde invece Amethyst, divertita.
«Non è vero, quelli sono Indigo e Rouge», m'intrometto io. Non è vero però che i miei fratelli fanno figure di merda, però fanno guai, questo sì.
«Che cazzo?» sbotta ad un certo punto Arden, guardando in un punto preciso della stanza. Sia io che Amethyst, incuriosite, guardiamo nella stessa direzione.
Nikla sta piangendo e non ci vuole un genio per capirlo, non è neanche tanto furba da nasconderlo. Piange e basta, fregandosene della gente intorno a lei, di mostrare il suo momento di debolezza.
Alla vista della mia sorellina in lacrime mi sento come se qualcuno avesse avvolto del filo spinato intorno al mio cuore e avesse stretto tanto forte da farmi sanguinare.
Io, Arden e Amethyst scattiamo in allerta contemporaneamente. Ed è sempre allo stesso tempo che a passo veloce, ci dirigiamo verso di lei.
«Perché stai piangendo?» le chiede subito Amethyst, toccandole un braccio. Nostra sorella più piccola si fionda tra le sue braccia e nasconde la faccia sul suo petto.
«Spero che non abbia nulla a che vedere con qualche tuo capo Prada, altrimenti ti prenderò a schiaffi fino a domattina per avermi fatto preoccupare inutilmente», dico invece io, mentre allo stesso tempo Arden le chiede: «Che ti è successo?»
«Non avrei dovuto fidarmi», piange e tira su col naso. Tiene la faccia nascosta ma qualcosa di primordiale scatta in me, perciò la prendo dal braccio e la costringo a girarsi verso di me.
«Nikla, qualcuno ti ha fatto del male?»
Sento Arden irrigidirsi accanto a me, la rabbia che sta iniziando ad impossessarsi di ogni suo arto. È pronto a fare fuori chiunque abbia solo osato sfiorarla e io lo aiuterei senza pensarci due volte.
«No, non il tipo di male che intendi tu».
Torno a respirare, sollevata dalla sua rivelazione. Arden perde rigidità restando comunque in allerta, vuole sapere che diamine è successo e lo vogliamo sapere anche io e Amethyst.
Nikla ritorna a piangere stringendosi forte a nostra sorella ed io inizio a perdere la pazienza.
«Devi dirci cosa è successo, altrimenti non ti possiamo aiutare», cerco di parlarle con dolcezza e calma, perché so che altrimenti non riuscirà a raccontarci nulla.
«Charles...»
«Anche tu, però, ti vai a fidare di uno che si chiama Charles, che cazzo», sbotta Arden, incazzato come una belva.
«Arden, non sei d'aiuto», gli faccio notare.
«Infatti comincerò ad essere d'aiuto non appena parlerà, perché andrò a fare il culo a strisce a quel figlio di puttana».
Nikla, tra i singhiozzi, ci racconta che Charles Frost, uno che conosciamo tutti e che ha su per giù la mia età, le ha fatto credere che fosse interessato a lei. Ha finto di corteggiarla, le ha fatto credere che stessero per mettersi insieme solo per poterla umiliare davanti ai suoi amici stasera.
«Che cosa ti ha chiesto di fare, Nikla?» le chiede Amethyst, accarezzandole la spalla per tutto il tempo, per infonderle coraggio.
«Mi ha chiesto di...», si blocca con le guance arrossate dall'imbarazzo e bagnate dalle lacrime. «Dio, non riesco a ripeterlo».
«Nikla, devi dircelo, nessuno di noi tre si scandalizzerà e tu non dovrai più ripetere quelle parole, dopo. Te lo prometto», le dico, guardandola dritto negli occhi per far sì che capisca che non le sto mentendo.
Nikla finge di essere sfacciata e di non provare vergogna, ma è solo una facciata la sua. In realtà è proprio la ragazzina di diciassette anni che dovrebbe essere, si imbarazza ed è innocente, totalmente innocente.
«Mi ha detto che se volevo davvero stare insieme a lui, avrei dovuto succhiarglielo davanti ai suoi amici perché è quello che una buona fidanzata dovrebbe fare», mentre ripete le parole che le ha detto quel bastardo di Charles, chiude gli occhi e arrossisce per la vergogna.
Ma non è lei quella che dovrebbe vergognarsi e per quanto ne so, nella lista dei requisiti per diventare la fidanzata di qualcuno non compare "succhiarglielo davanti ai suoi amici".
Nemmeno esiste una lista di requisiti, non è così che funziona l'amore, dannazione.
«E quando ho rifiutato, mi ha insultata davanti ai suoi amici che hanno riso per tutto il tempo», dice e gli occhi tornano lucidi. Vuole piangere ma si trattiene e io ora ho voglia di farla pagare anche a quei coglioni. «"Non me ne faccio niente di una frigida che non sa come succhiare un uccello, magari dovresti fare pratica con loro prima e poi ripassare da me"».
Il sangue mi ribolle nelle vene, vedo nero per qualche secondo e accidenti, ho voglia di prendere a calci nelle palle Charles Frost e i suoi amici di merda.
«È morto, cazzo, quel coglione ha ventun'anni, tu ne hai diciassette, non avrebbe neanche dovuto guardarti», sbotta Arden, rosso dalla rabbia, le vene del collo sembra quasi che stiano per esplodere. «Lo ammazzo».
Prima però che mio fratello possa allontanarsi per andare a cercare Charles, lo prendo dal braccio e mi piazzo davanti a lui per impedirgli di farlo.
E no, non lo faccio perché voglio che lo risparmi o perché sono contro la violenza. In genere lo sono, ma non quando si tratta di bastardi come Charles Frost.
«Aspetta, io ho un'idea migliore», gli dico. Mio fratello però sembra un toro impazzito, perciò poggio le mani sulle sue guance e lo costringo a guardarmi. «Arden, calmati e ascoltami».
«Che vuoi fare?»
«Non c'è bisogno di ricorrere alla violenza, anche perché finiresti per farti arrestare e la tua carriera ne risentirebbe», gli spiego. Non è il caso che getti nel cesso la sua carriera per un uomo senza palle come Charles.
«Parla in fretta perché si sta avvicinando Indigo e sappiamo bene che a lui non frega un cazzo di farsi arrestare», risponde mio fratello, ora più calmo.
Sta guardando alle mie spalle e sono certa che se si avvicinasse Indigo e sapesse ciò che è successo, sarebbe la fine.
«Lascia fare a me», gli dico soltanto. So che mi lascerà fare, Arden si fida di me. «Amethyst, tu porta con una scusa Nikla a casa», dico a mia sorella, che annuisce pensierosa. «Arden, tieni Indigo lontano dal bagno degli uomini e goditi lo spettacolo, registra quando arriverà il momento».
Non credo che la violenza riesca a spezzare gli uomini come Charles, essere umiliato pubblicamente da una donna, invece, quello gli farà desiderare di essere inghiottito dalla terra, gli farà perdere la faccia e il rispetto dei suoi amici.
«No, non voglio andare a casa e non voglio che tu ti metta nei guai, Darius se la prenderà con te», piagnucola la mia sorellina, attaccandosi al mio braccio.
«Tranquilla, Niki, ha bisogno di qualcuno che gli dia una lezione, non preoccuparti per me», le sorrido, anche se dentro sto bollendo di rabbia. «Tu però devi andare a casa, non voglio che guardi».
«Sono solo una stupida, mi dispiace, non avrei dovuto fidarmi di lui. Avrei dovuto parlarne con voi».
«Guardami, Nikla», Arden la prende tra le braccia e la costringe ad alzare lo sguardo su di lui. «Non sei una stupida, il bastardo è lui, hai capito? Tu non hai la colpa di niente».
Nostra sorella annuisce, aggrappata al corpo di Arden come se fosse il suo salvagente, poi alza lo sguardo su di me. «Grazie», mi dice con gli occhi pieni di lacrime.
«Nessuno può far piangere una Reyes e pensare di uscirne indenne».
***
Mentre guardo da lontano Charles Forst che parla con i suoi amici, in parte comprendo perché mia sorella si è fidata di lui.
È un bel ragazzo, i suoi capelli castani sono perfettamente in ordine, acconciati con il gel. Ha gli occhi verdi, la carnagione pallida e un bel fisico, alto, muscoloso. Sembra simpatico, affabile e pronto a mettere tutti a proprio agio.
Non guasta il fatto che sia ricco, ben educato e presto diventerà capo di una delle imprese di suo padre. Se lo vediamo da questa prospettiva, quindi, sembrerebbe il sogno di ogni ragazza per bene che aspira a questo tipo d'uomo.
«Ho cambiato idea, ci vado io», dice ad un tratto Arden, proprio mentre stavo per avvicinarmi a Charles. «Potrebbe aggredirti, cazzo».
«Non lo farebbe mai», rispondo, sicura di ciò che sto dicendo. Aveva mia sorella alla mercé sua e dei suoi amici, avrebbero potuto farle di tutto e non l'hanno fatto.
«Come fai ad esserne sicura?»
«Perché se fosse stato uno di quelli avrebbe aggredito Nikla. Era in gruppo, questo l'avrebbe dovuto far sentire più forte ma non l'ha fatto, quindi non lo farà nemmeno con me quando saremo soli», rispondo pacata e ragionevole. Dopo quello che mi è successo ho imparato molto sul sesso maschile, ho dovuto imparare. «Ha tanto da perdere, non possono denunciarlo se lui le prende solo in giro senza toccarle, possono farlo invece se lui le tocca contro la loro volontà. Charles non è stupido come sembra, a quanto pare».
«Se ti succede qualcosa, Darius mi ammazza», borbotta, furioso.
Furioso anche con me perché non gli ho permesso di dargliele di santa ragione a Charles. Insomma, Arden è un giocatore di football e il football è uno sport piuttosto violento, ci sarà un motivo per cui ha scelto di praticare proprio questo sport.
«Ma prima che possa farlo, io ammazzerò quella testa di cazzo di Charles», aggiunge con lo sguardo di fuoco puntato proprio sullo stronzo ignaro di tutto.
«Sono in grado di difendermi, Arden, lo sai».
Gli occhi di mio fratello scattano su di me e ora oltre alla furia cieca, ci leggo dentro il dolore, l'impotenza per non aver potuto evitare ciò che è successo a me e Royal.
Nessuno avrebbe potuto evitarlo.
«Non voglio che ti trovi un'altra volta in una situazione in cui ti tocca difenderti», risponde facendomi stringere il cuore.
«Non sto andando in guerra, prenderò solo un po' per il culo quel coglione viziato», cerco di rassicurarlo in qualche modo. «Dovrei farmi pagare dalla stampa per ciò che sto per dargli».
«Vai, prima che cambi idea e vada da lui con Indigo alle calcagna». Solo al pensiero rabbrividisco, Indigo è la cosa peggiore che possa capitare a chiunque abbia la cattiva idea di infastidirlo in qualche modo. «In più Darius ci sta guardando da quando Amethyst e Byron hanno portato via Nikla. Avrà sicuramente capito che tramiamo qualcosa».
Porto lo sguardo su mio fratello maggiore, che quasi come se avesse una specie di radar, porta il suo su di me. Gli sorrido e lui assottiglia gli occhi come per dire "so che stai architettando qualcosa, comportati bene o ti chiudo in un convento". Correrò il rischio, il nero della tunica potrebbe donarmi.
A passo lento e deciso mi dirigo verso Charles, che da predatore si è appena trasformato in preda. Non si accorge subito della mia presenza, ma due dei suoi amici sì. Gli fanno una specie di cenno e lui si volta verso di me.
Squadra il mio corpo, a partire dalle mie gambe scoperte, per poi salire sulla scollatura che mette in risalto il mio seno, poi con calma, mi guarda in faccia. Gli sorrido e non per il motivo che crede lui.
«Charles, giusto?» ora anche lui sorride, mi ha riconosciuta, ne sono sicura.
Tutti conoscono noi Reyes, così come tutti conoscono la famiglia Frost.
«La regina di ghiaccio, quale onore», non c'è burla nella sua voce, solo un luccichio negli occhi. Sfida ed eccitazione. «È così che ti chiamano, no? Sia fuori che dentro la pista di pattinaggio».
«Puoi chiamarmi solo Irisabelle», o non chiamarmi affatto. Gli rivolgo un sorriso seducente. «Pensavo che potessimo scambiare due chiacchiere, da soli».
I suoi amici fanno dei versi come se fossero delle dannate scimmie e basta solo che Charles rivolga loro un cenno del capo per farli volatizzare. Coglioni senza spina dorsale.
«Tua sorella è venuta a piangere da te, per caso?» Ha il coraggio di chiedermi. Per poco non mando tutto all'aria e lo prendo a calci nei testicoli. «Qualsiasi cosa ti abbia raccontato, è una bugia, è letteralmente ossessionata da me».
Tipico di uomini come lui dare la colpa a noi donne, mentire così sfacciatamente.
«Nikla è una ragazzina, ha ancora molto da imparare», faccio spallucce. Devo stare al suo gioco ancora per un altro po', anche se la cosa mi dà la nausea.
«E tu?» chiede, avvicinandosi, «Anche tu hai molto da imparare?»
Sorrido di nuovo e mi chino in avanti per avvicinarmi al suo orecchio e sussurrargli: «Faccio prima a dimostrartelo, Charlie».
È eccitato, l'idiota non fa nulla per nasconderlo e forse Nikla non è l'unica ad avere ancora molto da imparare.
«Mi piacciono le donne che sanno ciò che vogliono e non si pongono limiti per ottenerlo».
«Tu, invece?» gli domando, sfiorandogli il braccio con la punta delle dita. «Ti prendi sempre ciò che vuoi?»
«Sempre». Non questa volta.
«E cosa vuoi in questo momento, Charlie?» gli sussurro di nuovo all'orecchio, premendo il mio corpo contro il suo anche se questo mi fa quasi venire un conato di vomito.
Riesco a sopportare la vicinanza di qualcuno, soprattutto gli uomini, solamente se sono io quella a cercare per prima il contatto fisico, qualsiasi sia la motivazione.
«Te, inginocchio davanti a me», risponde, senza giri di parole. Sorrido. «E non per pregare, principessa».
«Avevamo appurato che fossi una regina e non una principessa», rispondo a testa alta e con gli occhi fissi nei suoi. «Mi piacerebbe accontentarti, Charlie, anche le regine di tanto in tanto si inginocchiano».
Lui mi mette una mano sul fondo schiena, mi irrigidisco ma non lo do a vedere. «Andiamo, allora?» chiede, impaziente.
Pensavo che me l'avrebbe resa un po' più difficile e invece... È proprio stupido come pensavo.
«Seguimi», gli dico, ammiccando. Lui lo fa.
Sento i suoi occhi sul mio sedere per tutta la durata del tragitto verso il bagno e la sua mano resta piazzata sul fondo della mia schiena. Nel tragitto sto attenta a non farmi notare da nessuno dei miei fratelli, altrimenti non ne verrebbe fuori nulla di buono.
Arden, comunque, si è assicurato che il bagno degli uomini fosse vuoto e anche di non far entrare nessuno per almeno i prossimi venti minuti.
Ci siamo accordati che non appena avrò Charles nudo davanti a me, chiamerò Arden e lui mi aiuterà ad uscire da qui per permettermi di portare a termine ciò che ho in mente di fare.
Entro prima io, lui mi segue a ruota e si chiude la porta dietro. Ci si appoggia contro e alza il suo sguardo su di me, ispezionandomi ancora una volta da cima a fondo poco elegantemente.
Mi ripeto mentalmente che anche se sono chiusa qui dentro con lui, sono io quella che ha il controllo, non gli permetterò di toccarmi. Sarò io a costringerlo ad inginocchiarsi davanti a me.
«Allora, Charlie, hai intenzione di fare qualcosa o vuoi restare lì a guardarmi per tutta la sera?» gli chiedo con un sorrisetto. «Anzi, facciamo così, spogliati per me».
«Perché non ti spogli tu?» mi chiede di rimando, incrociando le braccia al petto. «Prima le donne, principessa».
Quest'idea non mi piace per niente, quindi faccio ciò che riesco meglio quando le cose non vanno come le pianifico, improvviso.
Mi avvicino a lui e metto le mie mani sulle sue spalle, non è tanto più alto di me e con i tacchi riesco quasi a stargli faccia a faccia.
«Non ho fatto altro che osservarti per tutto il tempo e chiedermi cosa nascondessi sotto questo completo elegante», faccio scorrere le mie mani sul suo corpo e con la coda dell'occhio riesco a vedere la sua erezione crescere nei pantaloni. «Sembri enorme».
Non è vero, Kyran sembra enorme dappertutto, lui in confronto sembra una formica minuscola e insignificante.
Non pensare a Kyran adesso.
«Voglio vedere se sei enorme dappertutto, Charlie», gli sussurro all'orecchio, «Lascia che ti spogli».
E lui lo fa, cede, lascia che lo aiuti a spogliarsi e per tutto il tempo continuo a guardarlo come se non vedessi l'ora di farci sesso. In realtà però provo solo disgusto e non vedo l'ora di chiamare Arden.
Lo faccio spostare dalla porta e lo spingo contro il muro, incurante della sua erezione esposta e attenta a non sfiorarlo nemmeno per un attimo. I vestiti restano ammucchiati dinanzi alla porta.
«Ti piace dare ordini, ecco perché ti chiamano la regina di ghiaccio», dice, dopo l'impatto della sua schiena contro le mattonelle fredde dal bagno. «Di solito mi piace avere il controllo, ma cazzo, tu me lo fai diventare di marmo».
«Ho bisogno solo di un momento, Charlie, mando un messaggio a mia sorella così che i miei fratelli non vengano a cercarmi. Voglio prendermela comoda con te», gli dico e Charlie, ancora una volta, mi lascia fare.
Prendo il mio cellulare e mando un messaggio veloce ad Arden. Lui lo visualizza subito e capisco che sta per raggiungermi, quindi mi tranquillizzo e lascio il cellulare sul lavandino di marmo, dove l'avevo appoggiato prima dato che è l'unica cosa che mi sono portata dietro.
«Ti voglio nuda, Iris», mi dice con la voce carica di lussuria.
«Come vuoi, Charlie».
Riesco a sentire ancora la musica dell'orchestra, quindi fingo di voler fare uno spogliarello davanti a lui. Inizio a muovere i fianchi sensualmente e gioco con l'orlo della gonna corta del mio vestito, sollevandola di poco. Lui guarda ogni mio movimento con eccitazione.
Poi però la porta si apre di scatto, io smetto di muovermi, Charles diventa bianco come un cadavere. Riconosce subito Arden e non cerca nemmeno di coprirsi, tanto è spaventato.
«Amico, è stata lei a portarmi nel bagno», dice subito, incolpando me proprio come prima ha incolpato Nikla. Alzo gli occhi al cielo, sentendomi in imbarazzo per lui.
«Lo so, amico, nessun problema», risponde mio fratello con gli occhi fissi su di lui. Vorrebbe picchiarlo, lo so, ma non lo farà.
«Che significa?» chiede Charles, palesemente confuso, passando gli occhi da me a mio fratello.
«Arden, prendi i vestiti e vai, ti raggiungo subito».
«Se provi anche solo a guardare una delle mie sorelle un'altra volta, ti taglio il cazzo e lo spedisco ai tuoi genitori come regalo di Natale», lo minaccia Arden, prima di raccogliere i vestiti da terra e uscire.
Io e Charles restiamo soli nel bagno, io a testa alta e ancora vestita, lui nudo e con le mani a coprirgli il pene ormai moscio, forse per il freddo o la situazione. Decisamente per la situazione direi.
«Che cazzo sta succedendo?»
«Hai fatto piangere la mia sorellina diciassettenne, hai cercato di approfittarti della cotta che aveva per te per poi umiliarla davanti ai tuoi amici», rispondo, palesando la mia rabbia. Lui spalanca gli occhi.
«Non l'ho toccata, non l'ho sfiorata neanche con un dito», dice subito, come se dovessi ringraziarlo per questo. È lui quello che deve ringraziare il cielo per non averlo fatto.
«So che non l'hai toccata ed è per questo che io non toccherò te», gli dico totalmente seria.
«Chi cazzo ti credi di essere, Wonder Woman?», sbotta ma non ci prova nemmeno a fare un passo verso di me. «Potrei denunciarti per questo, lo sai?»
«Ti sfido a farlo, Charlie, la tua parola contro quella di mia sorella Nikla che ha solo diciassette anni» e dubito che sia l'unica ragazzina che è stata trattata così da lui. «Prima di arrivare in tribunale ed essere processato per molestie ad una minorenne, però, dovrai affrontare la furia di cinque fratelli protettivi e un padre che ci metterebbe davvero poco a fare il giro del mondo per tagliarti i testicoli».
«Cosa vuoi da me?»
«Hai umiliato mia sorella, ora tocca a me umiliare te», rispondo semplicemente, «Ora uscirò da questo bagno e avrai esattamente dieci minuti per prendere un po' di coraggio e fare lo stesso».
«Vuoi che esca dal bagno nudo?» chiede, alzando la voce. «C'è la mia famiglia, ci sono più di cento imprenditori e cinquanta addetti alla stampa, è un suicidio sociale, cazzo. La mia famiglia mi disereda».
«Credi che me ne importi qualcosa della tua famiglia?» gli chiedo e sono sicura che mi si legga in faccia che non potrebbe importarmene di meno. «Uscirai da questo bagno nudo come il verme che sei, troverai i tuoi vestiti sul palco, proprio ai piedi del pianoforte».
«Figlia di puttana!»
«Se non esci, dirò alla stampa che sei chiuso in questo bagno a farti una sega e li farò venire qui comunque. Dopodiché dirò a mio fratello Indigo ciò che hai cercato di fare con Nikla, perché lo so che se avessi trovato una ragazza più fragile e che per questo avrebbe acconsentito alla cosa, non ti saresti fermato. Ti saresti fatto toccare e avresti fatto toccare i tuoi amici», gli ringhio contro. Ho voglia di prenderlo a calci adesso, mi piacerebbe proprio. Però non lo faccio, perché come ho detto, lui non ha toccato Nikla. «Ci vediamo dopo, Charlie, spero che tu prenda la decisione più saggia».
Esco dal bagno soddisfatta e a testa alta, conoscendo già la decisione che prenderà Charles, l'ho capita nel momento in cui ho nominato Indigo e la sua faccia è diventata una maschera di terrore puro.
Proprio mentre sto per raggiungere Arden e assicurarmi che abbia posizionato i vestiti proprio dove volevo, qualcuno mi prende dal braccio, non stringe però. Mi ritrovo spalle contro al muro e non mi agito solo perché i miei occhi incontrano quelli azzurri di Kyran.
«Che ti dice il cervello?» sbotta, lasciandomi andare il braccio ma restando comunque vicino. Troppo vicino. Riesco a sentire il suo profumo invadere i miei sensi e stordirmi.
«Potrei farti la stessa domanda, mi hai praticamente appena messo spalle al muro senza motivo», ribatto, guardandolo negli occhi. Ho bisogno di distanza fisica e non perché non sopporti la sua vicinanza, ma perché smetto di ragionare lucidamente quando è vicino a me.
«Eri nel bagno degli uomini», dice e io sbianco. Non volevo che qualcuno mi vedesse, tanto meno lui.
«Sei perspicace, Kyran, mi sorprendi», rispondo però, fredda e distaccata.
Probabilmente se scoprisse ciò che ho fatto, non mi permetterebbe di portare a termine il mio piano, lo direbbe subito a Darius e risolverebbero la cosa a modo loro.
«Non ti vergogni, Irisabelle?» mi chiede, «C'è tuo fratello a poca distanza da te».
«Credi che abbia scopato in quel bagno?» domando, ferita dalla sua supposizione. So però che chiunque potrebbe aver pensato lo stesso se ci avesse visto.
«Sei entrata lì dentro con Charles Frost, dubito che tu l'abbia aiutato a pisciare». La sua mascella contratta e i lineamenti del viso irrigiditi mi suggeriscono che ciò che ha visto non gli è piaciuto per niente.
E non per il motivo che mi piacerebbe, ovvero la gelosia. Non gli piace perché mi vede come una dannata sorellina da proteggere e lo odio.
«Qual è il tuo problema, Kyran?»
«Non hai un po' di rispetto per te stessa, Irisabelle? Lasci che un'idiota qualunque ti prenda in un bagno come se fossi una poco di buono?»
«Una donna non può essere libera di farsi scopare dove le pare e da chi le pare?» gli domando a testa alta, continuando a guardarlo negli occhi come se le sue parole non mi toccassero minimamente.
«Non ho detto questo e lo sai», risponde con un sospiro. «Meriti di più». Mi guarda proprio come mi guardava prima che lo baciassi e rovinassi tutto. Come se fossi una bambina, la bambina che ha visto crescere.
«Tu che ne sai di cosa merito o di cosa voglio?»
Voglio te, Kyran. Ho sempre e solo voluto te. Vorrò sempre te.
«Non lo so, infatti, non lo so più. La ragazzina che ho visto crescere, però, non si merita questo e non se lo merita neanche Darius» risponde, «Vai dai tuoi fratelli e cerca di non mettere Darius in imbarazzo».
Quindi è per questo che è venuto a parlarmi, perché teme che possa mettere in imbarazzo Darius.
«E tu torna da tua moglie e smettila di fingere di preoccuparti per me».
Gli volto le spalle, raggiungo Arden e mi dice di aver piazzato i vestiti come gli ho detto. Non ci resta che aspettare che lo spettacolo abbia inizio.
Le parole di Kyran, comunque, continuano a rimbombarmi nella testa, anche se so di non aver fatto nulla di male.
Poi i miei occhi vengono catturati dall'immagine di Charles nudo come un verme che si fa spazio in mezzo alla gente con la mano sul pacco. Presto si scatena il caos, la gente è scioccata, quelli della stampa iniziano a scattare foto su foto.
Charles mi cerca per tutta la stanza con gli occhi, quando poi mi trova, guarda prima me e poi mio fratello che è soddisfatto tanto quanto lo sono io. Sorrido trionfante.
La madre di Charles urla qualcosa di incomprensibile, si porta la mano al petto e finge di svenire, alcuni la tengono per non farla cascare per terra. Suo padre è una furia, ha il volto rosso dalla rabbia e farfuglia parole senza senso. Il resto della gente lo indica, altri chiudono gli occhi o distolgono lo sguardo imbarazzati dalla scena e altri ancora riprendono la scena con i loro cellulari.
In tutto ciò, io invece, cerco Kyran con lo sguardo e lo trovo quasi subito. Anche lui mi sta guardando, perciò prendo un calice di champagne e lo alzo proprio in direzione sua, come se stessi brindando a qualcosa e gli regalo anche un sorrisetto.
Non c'è un limite a ciò che sarei disposta a fare per i miei fratelli e probabilmente non ci sarà mai.
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