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Capitolo 2

Tutto avrei pensato, tranne che finire per trovarmi in una situazione del genere. Sono venuta in azienda per lavorare come pari di Darius e Kyran, pur non avendo la benché minima esperienza, sono finita invece per diventare la schiavetta personale di Kyran.

Avrei dovuto essere io quella che gli avrebbe dato il tormento, che gli avrebbe fatto passare le pene dell'inferno. Invece fino ad ora, ovvero il terzo giorno dopo l'Apocalisse –è così che chiamo il giorno in cui Darius mi ha convinta a venire qui la prima volta–, è Kyran che sta rendendo un vero inferno la mia permanenza qui.

Permanenza che mia sorella Amethyst definisce una villeggiatura, perché praticamente non dovrò fare niente a parte sbavare su Kyran come faccio da tutta la vita. Parole sue, non mie, perché io non la metterei mai in questo modo.

Kyran, il tanto gentile migliore amico di mio fratello, l'uomo che prima a stento mi guardava e che prima ancora invece mi adorava come se fossi un cucciolo, non perde mai l'occasione di farmi sapere quanto sono inadatta per questo lavoro, inesperta nel campo e inefficiente.

E sfortunatamente per me ma anche per lui, non si limita a fare i suoi commenti solo in privato ma lo fa più spesso di quanto vorrei, anche davanti agli altri, che però non si azzardano a dire mezza parola, intimoriti da lui ma sotto sotto anche da me. Insomma, sono pur sempre la sorella di due dei tre grandi capi.

Sempre il nostro gentile e simpatico Kyran dice anche che sono capricciosa, infantile, provocatrice, poco attenta e tanti altri aggettivi molto carini... Sono ironica ovviamente.

Io in questi tre giorni di tormento e complimenti vari, sì, sono ancora ironica, ho lasciato scorrere da brava ragazza quale sono. Mi sono presa del tempo per adattarmi, per studiare l'ambiente a me circostante, gli altri colleghi e le varie situazioni.

Va bene, forse non ho del tutto lasciato scorrere, qualcosina l'ho fatta...

Cose di poco conto, tipo spostare le lancette dell'orologio così da farlo arrivare in ritardo alle riunioni, far scoppiare accidentalmente l'inchiostro delle sue penne, spostare alcuni dei suoi oggetti e anche farli sparire qualche volta.

Ho risposto anche ad alcune chiamate di lavoro facendo credere che avessero sbagliato numero e mi hanno creduto sulla parola dato che ho parlato per tutto il tempo in spagnolo e loro ovviamente non hanno capito una parola di ciò che ho detto. Potrei anche aver accidentalmente sostituito i suoi noiosi e poco fantasiosi post-it bianchi con dei post-it coloratissimi.

Tornando però ai miei altri colleghi e le varie situazioni di cui sono venuta a conoscenza, ho scoperto che Keiko ha davvero fatto sesso con mio fratello Arden. Avrei voluto comprensibilmente trapanarmi i timpani subito dopo averla sentita parlare delle prestazioni sessuali di mio fratello con le nostre, anche se più sue che mie, colleghe. Sospettavo che mio fratello fosse uno sporcaccione ma non così tanto sporcaccione. La conversazione di Keiko è stata una specie di trauma che impiegherò molto a superare.

Puoi sempre tornare dalla dottoressa Hamilton, sogghigna la mia coscienza. A cui per la cronaca faccio il dito medio.

Ho scoperto anche che molte di loro sono affascinate da mio fratello, quello maggiore stavolta, ovvero Darius –anche se ho sentito svariate volte anche i nomi di Arden e Indigo uscire dalle loro bocche– e che molte altre sono attratte da Kyran. Mi è stato raccontato che quelle più audaci ci hanno addirittura provato con loro, come trattamento però hanno ricevuto il licenziamento immediato da parte di Darius e l'indifferenza più totale da parte di Kyran.

Perciò sì, dicono che sono entrambi devoti alle proprie mogli e assolutamente fedeli. In realtà più che dire lo piagnucolano in giro.

Ho scoperto anche altre cose, tipo che Anne se la spassa con Cole, visitano spesso i bagni insieme. Che Max ha una cotta stratosferica per Will, assolutamente ricambiata anche se non lo sa perché non si decide a farsi avanti. Che tutti amano la pausa pranzo perché dall'altra parte della strada c'è un ristorante pazzesco. Che con Darius hanno tutti un rapporto meno freddo che con Kyran, lui lo temono come se fosse l'ultimo T-Rex rimasto al mondo.

Come ho fatto a scoprire tutto questo e molto altro in soli tre giorni? Perché più che parlare e fare conoscenza, mi limito a tenere tutti alla larga –a parte Keiko da cui ho saputo buona parte dei pettegolezzi–, ascolto e osservo molto.

Faccio girare per l'ennesima volta la sedia da ufficio nera su cui sono seduta, consapevole del fatto che ad occhi esterni sembrerò sicuramente una bambina irrequieta che non riesce a starsene ferma, la verità però è che mi sto semplicemente annoiando. Quindi il risultato comunque non cambia.

Potrei essere da qualsiasi altra parte adesso, per esempio sul ghiaccio ad allenarmi e invece no. Mi tocca stare qua e aspettare che il grande capo cattivo si faccia vivo e mi chieda di lucidargli le scarpe.

Scherzo, ovviamente, non mi ha mai chiesto di fare una cosa del genere e spero per lui che non lo faccia mai.

Mi guardo intorno annoiata e quando sto per far girare per l'ennesima volta la sedia con me sopra, vedo Keiko che si incammina in direzione mia, perciò niente giro. Che peccato.

«Iris, il capo vuole che gli porti un caffè.» dice con aria desolata, quasi come se mi avesse appena detto che mi è stato ordinato di uccidere a mani nude un povero agnellino.

Cosa che per la cronaca non farei mai, ovviamente.

«Chi dei due?» domando, anche se la risposta la conosco già.

So che non si tratta di mio fratello, perché non mi chiederebbe mai di prendergli da bere e i motivi sono questi: sa che odio quando mi danno degli ordini, sa che risponderei che è perfettamente in grado di prenderselo da solo e per ultimo, teme che gli sputi dentro la bevanda.

Chi ha dei fratelli può capire che l'ultima paura non è mai del tutto infondata.

«Il signor McMillian.» dice e sulla mia faccia sono sicura che si sia formata una smorfia. Era ovvio che fosse lui.

Un giorno di questi ci sputo davvero nel suo caffè o ci metto dei lassativi, non saprei come procurarmeli ma potrei sempre chiedere a Rouge, lui riuscirebbe a procurarsi anche un megalodonte se lo volesse.

E sì, so che si sono estinti o che molto probabilmente non sono mai esistiti.

«Per gli amici Mr. Palo nel culo.» le rispondo con un sorrisetto. Lei mi guarda con gli occhi sbarrati, mezza scioccata, quasi come se avessi appena bestemmiato in chiesa.

«Iris, cerca di non farlo arrabbiare, ti prego.» mormora Keiko, le leggo la supplica negli occhi e non capisco cosa teme così tanto.

Kyran non è il tipo di capo che urla contro i suoi dipendenti per il semplice fatto che ha il potere o perché gli va di farlo. In realtà dal modo in cui ne parlano sembra che sia un mostro ma ho visto come si comporta con loro, è sempre educato e non alza mai la voce.

Temono la sua compostezza, il suo sguardo severo e la sua freddezza, ma è semplicemente fatto così, non lo fa per spaventarli, è solo che non gli piace dare confidenza e vuole separare il lavoro dalla vita privata.

«Tranquilla, ha già fatto colazione. Non mangerà nessuno di voi.» la prendo in giro e mi alzo dalla sedia, poi sistemo la gonna rosa cipria aderente che ho indossato oggi. Dopodiché anche la camicetta nera, che infilo meglio nella gonna, dato che una parte si era sfilata.

«Non è per noi che mi preoccupo, il signor McMillian non ha mai alzato la voce contro nessuno di noi.» dice, finalmente, non mi va che alcuni possano pensare che Kyran è il tipo che maltratta la gente, a parte me si intende. Si applica davvero tanto per maltrattare me con le parole. «Ma quando siete nella stessa stanza sembrate due bestie pronte a sbranarsi a vicenda.»

Non è che sembriamo sul punto di sbranarci, è che siamo sempre sul punto di farlo davvero. Almeno da quando sono venuta qui in azienda, prima ci evitavamo e basta.

«Che ci posso fare? Sono irresistibile, chi non mi sbranerebbe?» le chiedo, indicandomi. Lei ancora una volta mi guarda scioccata. «Sto scherzando, Keiko. Lo conosco da tutta la vita e non ci sopportiamo, tutto qui.» Alzo le spalle. «Nessuno ucciderà nessuno e se proprio scorrerà del sangue, sarà il suo. I miei pattini sono molto affilati, sai?» Le faccio l'occhiolino con un sorrisetto divertito.

«Tu sei follemente coraggiosa.» dice, guardandomi quasi con ammirazione.

«E tu inutilmente spaventata.» le rispondo, «Vado, prima che il tuo amabile e adorato capo vada a dire a mio fratello che ho disubbidito a una richiesta, di nuovo.»

«Buona fortuna.» dice e questa volta mi regala un sorriso incerto e anche un po' triste, come se le dispiacesse per me.

Non che ci sia qualcosa per cui dispiacersi... Ma Keiko è tutta strana e va bene così, non mi interessa sapere cosa le passa per la testa.

Dopodiché mi incammino verso gli ascensori, perché per quanto detesti il pensiero di fare qualcosa che mi è stato ordinato, soprattutto da lui, il caffè non si prenderà da solo e io sono stanca di sorbirmi le lamentele di Darius. Perciò almeno per oggi mi comporterò in maniera efficiente.

Appena cinque minuti dopo, senza bussare, apro la porta dell'ufficio di Kyran ed entro dentro con un bicchiere di caffè fumante. Chiudo la porta e mi volto in direzione di mister simpatia, che ha alzato lo sguardo dal computer per puntare i suoi occhi dritti nei miei, ci leggo dentro la disapprovazione.

«Dovevo immaginare che fossi tu. Sei l'unica che non bussa.» la voce baritonale e pacata mi fa rabbrividire portandomi a maledirmi per l'ennesima volta, perché detesto l'effetto che ha su di me. Ignoro la punta di disapprovazione che riesco a scorgere anche nella sua voce oltre che nei suoi occhi.

«Che ci possiamo fare? Sono cresciuta con nove fratelli, bussare era un optional.» rispondo con nonchalance, poi faccio qualche passo in avanti per raggiungere la scrivania.

«Tutti e nove sono così educati da bussare prima di entrare in una stanza.» mi fa notare e ovviamente non molto velatamente mi sta dicendo che sono una maleducata. Insulto che forse mancava alla lista.

«Mi fanno male le nocche, avresti voluto che bussassi con la testa?» È palese che non mi fanno davvero male le nocche e che in realtà sono abituata a bussare alle porte, per educazione. Semplicemente non busso alla sua per infastidirlo, poco maturo, sì. «È una domanda retorica, so che ti divertirebbe un sacco vedere la mia testa spiaccicarsi contro una porta, un muro oppure direttamente sotto la ruota di un camion.»

Ignoro il suo sguardo e faccio il giro della scrivania per posare il caffè proprio accanto a lui. La mia gamba nuda sfiora la sua che invece è coperta dai pantaloni eleganti e quasi sussulto.

«La smetterai mai?» mi chiede all'improvviso, facendomi accigliare solo per un istante. Abbasso lo sguardo per guardarlo.

«Di portarti il caffè?» gli chiedo. Anche se sicuramente non sta parlando di questo, visto che me lo chiede lui di andarlo a prendere. «Mai, mi piace troppo sputarci dentro.» aggiungo con un sorrisetto che di innocente ha ben poco.

«Smettila di piegarti sulla mia scrivania in quel modo.» ringhia e per poco il bicchiere non mi sfugge di mano.

Il contenuto avrebbe rovinato parecchi documenti, computer compreso. Se fosse finito sulla sua faccia da schiaffi, bollente così com'è, non mi sarebbe dispiaciuto. Il computer però è un MacBook Pro, ne ho uno uguale e mi piangerebbe il cuore se si danneggiasse.

«Che problemi hai? Sto solo poggiando il caffè sulla scrivania, ringrazia che non te lo stia versando in testa.» borbotto, sbattendo il bicchiere e raddrizzando la schiena. L'occhiataccia che mi lancia per ammonirmi visto il modo in cui gli sto parlando, zittirebbe chiunque, ma non me.

«Lo fai per provocarmi.» mi accusa e ancora una volta sono confusa, non capendo di che diamine stia parlando.

È impazzito, per caso?

«Che cosa, esattamente?» gli chiedo, mi metto le mani sui fianchi e lo guardo di sottecchi. Poi capisco. Pensa che mi pieghi sulla scrivania per provocarlo. «Davvero credi che mi abbasserei a tanto? Che cadrei così in basso?» Mi ha ferita, sì, perché non pensavo mi credesse capace di arrivare a tanto.

Non mi sono dimenticata del fatto che ha una famiglia e dal giorno in cui l'ho baciato a stampo, non mi sono mai più spinta oltre, dannazione, ho smesso anche di parargli e non è stato facile. Ho sofferto tanto e subito dopo ho passato il periodo peggiore della mia vita.

«L'hai già fatto una volta.» Ed ecco che ritorna all'attacco, rinfacciandomi l'errore che ho commesso anni fa. Non gli concedo di notare quanto ancora una volta mi ha ferito con le sue parole.

«Quel bacio deve esserti rimasto proprio impresso nel cervello per continuare a rinfacciarmelo così spesso. Sono passati anni, Ira, ero una ragazzina. L'ho superato, è ora che lo faccia anche tu.» lo rimbecco e lo provoco, perché è l'unico modo che conosco per non mostrarmi fragile, ferita o dispiaciuta.

«Sei ancora una ragazzina.» Lo dice come se fosse un'offesa, qualcosa di cui dovrei vergognarmi.

«Mi stai accusando ingiustamente.» gli faccio notare arrabbiata. Detesto quando mi accusano ingiustamente e reagisco piuttosto male.

«Ti pieghi sulla mia scrivania e non come una che sta semplicemente sistemando dei documenti o una che vuole poggiarci sopra il caffè. Ma come una che si sta servendo su un piatto d'argento.» dice, facendomi gelare il sangue nelle vene. Allo stesso tempo però mi accende come nessuno mai prima d'ora. «È inopportuno e stupido da parte tua.»

Mi sento punta sul vivo e ferita nell'orgoglio, perché io non sono stupida. Non glielo do a vedere però, perché appunto sono molto orgogliosa.

«Magari sei tu che hai una mente contorta. Dovresti fare certi pensieri su tua moglie, non su una ragazzina, tanto meno su questa ragazzina.» mi indico con un dito, poi azzardo un sorriso. «E se mi servissi su un piatto, come hai detto tu, fidati che non sarebbe d'argento, sarebbe d'oro.»

Fremo di rabbia, sento il calore innondarmi le guance, segno del fatto che sto arrossendo per la rabbia e non riesco a starmene zitta, perciò rincaro la dose: «So che credi che la mia vita ruoti intorno alla tua esistenza e quasi mi dispiace deluderti ma non sono attratta dai fossili con la temperatura corporea pari a quella di un cadavere.»

Si alza di scatto facendomi fare un passo indietro, poco importa il mio metro e settantuno di altezza, i suoi quindici centimetri in più e la massa muscolare del suo corpo, mi fanno sentire poco più che una bambina che ha davanti a sé una montagna.

Montagna piuttosto arrabbiata al momento.

Mírale la cara, estúpida!

La mia vocina interiore mi urla di guardarlo in faccia ma non riesco a distogliere lo sguardo dal suo corpo marmoreo. Non so con quale forza alzo lo sguardo, però lo faccio. Lo guardo in faccia, ha la mascella contratta e gli occhi che se potessero lancerebbero proiettili per uccidermi, altro che saette.

«Indossa dei pantaloni per venire a lavoro o se proprio vuoi metterti delle gonne così corte.» Indica la mia gonna che in realtà non è poi così tanto corta come dice. «Non piegarti in quel modo.»

«È solo a te che da fastidio se mi piego in quel modo sulla tua scrivania. Nessun altro si è venuto a lamentare o mi ha detto che è inopportuno. Perciò non vedo perché dovrei cambiare il mio abbigliamento o le mie abitudini.»

Ovviamente non è vero che vado in giro a piegarmi sulla scrivania di chiunque indossando gonne corte per regalare la visione delle mie mutandine, è successo solo con lui e non perché volessi in qualche modo provocarlo.

Non mi è passato per la testa nemmeno per un secondo di farlo, rispetto il suo matrimonio e il fatto che abbia una famiglia.

L'ho fatto semplicemente perché è Kyran e pensavo che non mi avrebbe guardata, che nemmeno se ne sarebbe accorto, perché non mi vede.

Non ci ho dato troppo peso e invece avrei dovuto farlo, perché al contrario di quanto faceva prima che venissi in azienda, ora mi guarda e non mi vede di buon occhio, perciò ogni cosa che faccio per lui è sbagliata e non si perde in giri di parole, me lo dice piuttosto chiaramente.

«Qualsiasi cosa tu stia pensando di fare, cogliendo la permanenza qui come un'opportunità, sappi che non funzionerà. Tengo a mia moglie e tu sei una bambina.»

Le sue parole hanno su di me l'effetto contrario di quello che probabilmente si aspetterebbe chiunque. Dovrei rimanerci male, magari tirargli uno schiaffo per rimetterlo al suo posto, fargli smettere di parlarmi in questo modo e con quest'aria di superiorità. Ma tutto ciò che faccio è scoppiare a ridere.

«Tieni a tua moglie? Cos'è? Una macchina?» gli chiedo, tra una risata e l'altra. Poi riesco a placare le risa e ripenso al fatto che mi ha dato della bambina. «E non sono una bambina, che tu mi definisca tale non significa che lo sia davvero.»

«Mi guardi continuamente, Irisabelle.» Fa un passo avanti e contro la mia volontà, faccio un passo indietro. Sembra che le mie gambe abbiano vita propria. «Cerchi in tutti i modi di farmi incazzare.» Altro passo avanti da parte sua, un altro indietro da parte mia. «Mi sfiori continuamente con ogni parte del tuo corpo e fingi di farlo involontariamente.»

Indietreggio ancora, come un cerbiatto impaurito, cosa che non sono. Non più ormai. Mi passo la lingua sulle labbra secche e i suoi occhi seguono il movimento. Il mio cuore batte impazzito nel petto, mi sento braccata e se da una parte mi sento assalire dal panico, dall'altra so che Kyran non mi farebbe mai nulla di male, che sono al sicuro. Il mio corpo freme dalla voglia di averlo vicino e smania per sentire il calore del suo corpo.

«Mi fai i dispetti, mi insulti in spagnolo, mi fai smorfie e gesti poco adatti a una signorina dietro alle spalle e a volte anche in faccia.» dice con sguardo serio, «Questo fa di te una bambina.» conclude ed io cesso di tirarmi indietro. Punto bene i piedi per terra e non arretro più neanche di mezzo centimetro.

Lo guardo e allo stesso tempo lo sfido, perché ancora una volta mi ha definita una bambina e io non lo sono.

«Non mi piace quando vengo accusata ingiustamente, Kyran.»

Questa volta sono io quella che fa un passo in avanti, lui non fa come me, non indietreggia, anzi, rimane composto, impassibile e fermo al suo posto. Noto che mi sta studiando, osserva ogni mio gesto ed espressione come se fosse il predatore ed io la preda.

Preda che non vuole cacciare ma semplicemente eliminare in modo rapido e direi non tanto indolore.

«Dici che ti provoco ma non l'ho mai fatto, non intenzionalmente almeno.» gli dico e non credo di essere mai stata più sincera in vita mia. «Da oggi in poi però vedrò di fare ciò di cui vengo accusata. Se devi puntarmi il dito contro, preferisco che tu lo faccia per qualcosa che ho fatto davvero.»

Mi accusa di provocarlo? Da oggi in poi mi impegnerò per farlo seriamente e me ne fregherò delle conseguenze. L'ho detto che non mi piace essere accusata di cose non vere.

«Non ti conviene fare questo gioco, Irisabelle. Tuo fratello è uno dei miei più cari amici, provo affetto per ogni membro della tua famiglia.» è dannatamente serio e neanche per un istante distoglie lo sguardo dal mio. «Ma se provi in qualche modo a fare qualcosa che possa mettere a repentaglio la tranquillità della mia famiglia...»

«Mi stai minacciando, Kyran?» gli chiedo, celando l'incredulità e la sorpresa dietro a una maschera di puro menefreghismo e finta sfrontatezza.

Quindi siamo arrivati a questo punto...

«Ti ho voluta bene, ti ho vista crescere e ti sono stato accanto tutti i giorni per quasi diciassette anni.» dice è quasi mi sembra di scorgere una minima parte del Kyran che un tempo teneva a me. I tratti del suo viso si induriscono nuovamente. «Mia moglie e mia figlia però sono le persone più importanti della mia vita, la loro felicità viene prima di tutto. Non mi interessa se il tuo comportamento potrebbe nuocere a me, però non deve in alcun modo arrivare a nuocere a loro, mai.»

Ancora una volta ingoio l'acido amaro che mi procurano le sue parole e lo guardo negli occhi.

«Forse sei tu quello che ha paura di mettere a repentaglio la tranquillità della famiglia qualsiasi cosa significhi, a causa mia. Forse non ti sono così tanto indifferente come dici. Forse speri che io ti provochi, perché la cosa ti piace.»

Non lo so da dove sto prendendo questa sfacciataggine e il coraggio di affrontarlo in questo modo, la mia coscienza mi urla di ignorare le sue parole, di mettere da parte la mia suscettibilità e di pensare al fatto che ha una famiglia. Famiglia che io conosco da sempre e che proprio stasera verrà a cena a casa mia, come è già successo un sacco di altre volte.

«Non dire cazzate, Elsa.» sorride, per la prima volta dopo un sacco di tempo sorride per qualcosa che ho detto io. E la cosa non mi piace, perché sta sorridendo per deridermi e prendersi gioco di me.

«Non ho paura di te, Kyran.» gli dico, «Potrai anche essere un iceberg ma dimentichi che io sono abituata a scontrarmi contro il ghiaccio, non ho paura del dolore. Ho sempre la forza di rialzarmi e ricominciare.»

Cavolo se ho la forza di rialzarmi e ricominciare, ho passato l'inferno e sono ancora qui. Non permetterò a nessuno di buttarmi giù. Non di nuovo.

Gli lancio un'ultima occhiata prima di girargli le spalle con nonchalance e andare via, lontano dalle sue occhiate. Non avrei di certo aspettato la sua risposta, che sarebbe stata l'ennesima pugnalata al mio cuore già malandato da un po'.

Ho tutta l'intenzione di iniziare sul serio a provocarlo da oggi in poi, poco mi importa delle conseguenze, d'altronde sono una ragazzina, no? Mi comporterò come tale. Farò in modo che la mia breve permanenza qui diventi il suo peggior incubo divenuto realtà.


***


Ho il sedere e buona parte del fianco destro doloranti, frutto di un allenamento durato quasi due ore in cui sono caduta all'incirca sette o otto volte, ad un certo punto ho deciso di smettere di contare le cadute, era davvero controproducente e piuttosto umiliante dato che il mio partner, Dixon, non faceva altro che prendermi per i fondelli.

«Hai la testa fuori dalla pista, Belly. Vai a casa o finirai per ficcarmi la lama di un pattino nell'occhio buono.» mi ha detto, poi mi ha scompigliato i capelli. Cosa che odio, per la cronaca, mi si riempiono sempre di nodi quando lo fa.

E comunque no, i suoi occhi non hanno niente che non va, è solo miope e all'occhio sinistro mancano più gradi che al destro, perciò definisce l'occhio destro quello "buono". Ed è vivo solo perché oggi non mi andava di commettere un omicidio, sa quanto detesto il modo in cui abbrevia il mio nome.

Al momento perciò sono seduta a tavola con il culo dolorante e l'umore sotto terra. Perché come avevo predetto, oltre a tutti i miei fratelli e i miei cognati, c'è anche Kyran con la sua famiglia. È palese agli occhi di tutti che preferirei essere ovunque tranne che qui in questo momento, a dirla tutta avrei preferito continuare ad allenarmi, poco importa di quanto sia dolorante.

Alcuni possono pensare che dopo anni di pattinaggio, allenamenti e ore passate a cadere rovinosamente, ci si fa l'abitudine al dolore. Non è così invece, si impara a sopportarlo, questo sì. Si imparano vari modi per cercare di farlo passare. Ma continua a fare male come la prima volta. Siamo comunque essere umani e non immuni al dolore, purtroppo.

«Vuoi un po' di carne?» mia sorella maggiore Doralia, la jefa, mi riporta sul pianeta terra, più precisamente nella sala da pranzo della famiglia Reyes. Porto lo sguardo su di lei e nego con la testa.

«Preferisco l'insalata, grazie.» dico, portandomi alla bocca una forchettata di quella già presente nel mio piatto.

Non sono affamata, però quel poco che ho messo nel piatto lo mangerò, Darius ci ha sempre detto che non è una bella cosa giocarellare con il cibo o sprecarlo.

«La tua vita è proprio triste.» dice mia sorella, indicando la poca insalata nel mio piatto. Alzo gli occhi al cielo.

«Disse quella che sta cullando un passeggino vuoto.» rispondo, i suoi occhi scattano proprio lì e nota che non sto mentendo. È davvero vuoto, perché Clara sta in braccio a suo marito, seduto dall'altra parte del tavolo.

Trattengo a malapena un sorrisetto. Mia sorella smette di cullare il passeggino e lancia un'occhiataccia prima al marito che ignaro di tutto sta parlando con Byron, il fidanzato di Amethyst, poi a me. Come se io o Creig, suo marito, avessimo la colpa.

«È la forza dell'abitudine.» si giustifica, lisciando il vestito verde che indossa e che si intona al particolare colore dei suoi occhi.

«O più semplicemente stai perdendo il senno.» la provoco con tanto di sorrisetto annesso. Cosa che le starà facendo sicuramente venire voglia di tirarmi i capelli.

«È sempre un piacere conversare con te, Iris.» borbotta, poi prende una forchettata della sua bistecca e se la porta alla bocca.

«Piacere mio, Dora.» rispondo con nonchalance per poi tornare al mio religioso silenzio.

Ho cercato per tutta la durata della cena di tenere gli occhi lontani da Kyran, sua moglie e dannazione, pure da sua figlia a cui voglio un bene dell'anima e che è impegnata a chiacchierare con mio nipote Dorian.  Ma diciamo che non sono nata sotto una buona stella, anzi, secondo il mio modesto parere, quando sono nata forse neanche c'erano le stelle nel cielo. Probabilmente si sono raggruppate insieme per poi filarsela e nascondersi da qualche parte.

«Allora, Iris, ho sentito che è il tuo turno in azienda da Ky e Darius.» dice Sophia con un sorriso genuino.

Davvero? E chi può averglielo detto se non mia cognata che è sua amica o mio fratello? Dubito che Kyran perda tempo a parlare di me con sua moglie o con qualcuno in generale.

«Già.» mi limito a rispondere, solo perché sono troppo educata per ignorarla.

Sophia non è una brutta persona, è molto gentile e cerca di essere divertente, alla mano. Sono io che non le ho mai dato modo di instaurare un rapporto di amicizia o un rapporto in generale, insomma, ho fatto e tutt'ora faccio pensieri poco consoni su suo marito, non mi sembra il caso. Ho un limite anche io.

«Contieni l'entusiasmo, sorellina.» ridacchia Arden, facendo ridere anche Amethyst e Creig, il marito di Doralia.

Guardo mia sorella maggiore come per dirle "è colpa tua se mi trovo in questa situazione". Lei mi ignora deliberatamente.

«Ti stai trovando bene?» chiede, sempre Sophia, come se le interessasse davvero.

«Benissimo.» rispondo, lanciando un'occhiata veloce a suo marito, seduto accanto a lei. Lui sembra ignorare completamente la mia esistenza.

«Oggi a scuola un professore mi ha praticamente aggredita perché al posto dei pantaloni di quello stupido liceo, indossavo i miei di Prada. Erano dello stesso colore!» Nikla s'intromette nella conversazione e se da una parte le sono grata per aver catturato l'attenzione su di sé, d'altra parte ciò che ha detto mi fa scattare qualcosa del cervello.

«Ti ha aggredita, davvero?» le chiedo, assottigliando lo sguardo. Sono totalmente sicura che non sia così, la mia sorellina è solo un'idiota che parla a sproposito.

«Va bene, non proprio aggredita, ma ha alzato la voce.» borbotta come se per lei non facesse differenza, invece fa la differenza eccome.

«Bene, allora vai su internet e cerca la definizione della parola aggressione così da non usarla a sproposito in futuro.» le ringhio contro non riuscendo a trattenermi. Grosso errore, perché adesso gli occhi di tutti sono puntati su di me. Anche i suoi.

No, non guardarmi per questo motivo. Non azzardarti a farlo. Distolgo lo sguardo e lo riporto su mia sorella che con nonchalance sbuffa.

«La fai troppo tragica.»

«I coltelli per la carne sono abbastanza affilati per tagliare anche carne umana?» chiedo a Darius, seria e arrabbiata. Nikla mi fa il verso e la cosa mi fa arrabbiare ancora di più.

«Non lo so, sorellona. Proviamo a recidere la carotide di uragano Prada?» Mi chiede Rouge, capendo il perché della mia rabbia e dedicando un ghigno malefico a nostra sorella.

«Sei una essere orribile.» strilla lei, puntandogli il dito contro.

«Disse quella che venderebbe l'intera famiglia per una borsetta della nuova collezione di Prada.»

Si apre presto un dibattito a cui io non partecipo, sento però gli occhi di Kyran addosso anche se mi costringo a non ricambiare lo sguardo. Perciò non riuscendo a sopportarlo oltre, mi alzo da tavola per darmela a gambe.

«Vado a chiamare nonna.» dico, per poi filarmela il più velocemente possibile senza guardarmi indietro o aspettare una risposta da qualcuno.

Esco fuori in giardino e l'aria fresca non mi fa rabbrividire, anche perché indosso una felpa di Arden che mi riscalda quasi come se fosse una stufa.

Ho lottato con le unghie e con i denti per ottenere questa felpa meravigliosa, Arden avrà sicuramente ancora i segni della lotta addosso. È risaputo però che le felpe maschili sono decisamente migliori di quelle femminili.

Mi sdraio sull'amaca e cerco in rubrica il numero della mia abuelita, anche se lo so a memoria. Mi porto il cellulare all'orecchio e aspetto che risponda, cosa che fa dopo appena due squilli.

«Mi reína de hielo, como estás?» mia nonna si ostina a chiamarmi con il soprannome che mi hanno affibbiato i giornalisti e non solo loro. A me non piace. Nonna però dice che mi si addice.

Regina di ghiaccio. Molto spesso anche regina del ghiaccio.

«Estoy bien, abuela. Te llamé para saber como estás vos.» rispondo alla sua domanda dicendole che sto bene e che in realtà ho chiamato per sapere come stesse lei.

Nel frattempo faccio dondolare l'amaca per rilassarmi un po'.

«Bien, como tendría que estar?» la mia abuelita ovviamente non si limita a rispondere come farebbe chiunque.

«Te extraño mucho, abu.» le dico che mi manca molto ma credo che questo lo sappia già.

«Yo a vos, mi alma. Pronto nos veremos.» mi dice che le manco anche io e che ci vedremo presto.

Ma è solo ottobre e lei verrà a dicembre per passare il Natale con noi. Non è affatto presto, infatti glielo dico.

«Navidad no es tan cerca.»

«Tampoco es que falte mucho, mi amor.» dice che non manca poi molto, «Como están tus hermanos?» poi mi chiede come stanno i miei fratelli.

«Bien, insoportables como siempre.» le rispondo che stanno bene e che sono insopportabili come sempre. Cosa che non è del tutto falsa, prendiamo Nikla come esempio.

«Sabemos las dos que los amas con toda tu alma.» risponde e sono sicura che sta sorridendo in questo momento. Beh, non posso negare di amarli con tutta la mia anima. Purtroppo.

«La familia no se puede elegir, no? Me toca.» le dico che la famiglia non si può scegliere e che mi tocca. «A vos también te amo.» aggiungo che amo anche lei.

«Y yo a vos.» risponde, facendomi sorridere. «Hablaste con tu mamá o tu papá?» domanda e non riesco a trattenere una smorfia anche se so che non mi può vedere.

«La ultima vez fue la semana pasada.»

L'ultima volta che ho parlato con i miei genitori, separatamente, è stata la settimana scorsa. Mi hanno chiamato solo per chiedermi se avessi notato qualcosa di strano in Nerea, Nikla o i gemelli. A quanto pare uno di loro è stato preso di mira a scuola.

Sì, anche alle scuole private ci sono i bulli. Che sorpresa, eh?

«Espero che hayan llamado por lo menos a Darius.» con disappunto dice che spera che abbiano chiamato almeno mio fratello maggiore, cosa che dubito abbiano fatto.

Diciamo che a nonna non è andata mai giù la storia della separazione, credeva fermamente nell'amore di mio padre e mia madre, se avesse potuto avrebbe scommesso su di loro la sua casa, i suoi soldi ed entrambe le sue magnifiche mani in grado di cucinare cibi deliziosi.

«No lo sé.» le dico che non lo so e poi cambio discorso, perché non mi va di parlare del miei genitori e delle loro avventure o sventure, dipende dai punti di vista.

Continuo a parlare con nonna per altri trenta minuti, poi sentendomi osservata, decido di chiudere la chiamata.

«Da quanto tempo stai origliando la mia conversazione?» chiedo, senza neanche voltarmi, sicura al cento per cento che sia mio fratello Royal.

«Ho avuto le cuffie nelle orecchie fin quando non hai riattaccato.» risponde, confermando il fatto che è sul serio Royal e che non ho sbagliato neanche stavolta.

«Ti vuoi sedere?» gli chiedo, lui è ancora alle mie spalle. Infilo il cellulare nella tasca grande della felpa.

In men che non si dica però, senza parlare, prende posto difronte a me. L'amaca è abbastanza grande da reggerci entrambi, perciò lui si sdraia dall'altro lato.

«Allora, che ci fai qui? La cena ti annoiava?» gli chiedo, guardandolo per notare tracce di una qualsiasi emozione sul suo volto quasi sempre impassibile. Niente da fare.

«Nikla aveva iniziato a starnazzare di nuovo. Mi sembrava poco carino tapparle la bocca con il purè davanti ai nostri ospiti, non credi anche tu?» chiede, strappandomi un sorriso. Probabilmente sia lui che Indigo non si sarebbero fatti scrupoli a riempirle la bocca di purè come si fa con il tacchino e il ripieno. «Non è vero che ti sta piacendo lavorare in azienda.» dice poi, cambiando completamente discorso. Lo guardo per qualche secondo negli occhi consapevole del fatto che non posso mentire, non a lui.

«Non è terribile, c'è di peggio.» faccio spallucce, «È solo che io e Kyran non andiamo d'accordo.» e questo è abbastanza palese ormai da tempo.

«Posso prenderlo a calci nel culo, se vuoi.» si offre, facendomi proprio ridere questa volta. Dubito che il mio fratellino, pur essendo ben messo fisicamente e in fatto di muscoli, dato che pratica hockey sul ghiaccio da quando aveva appena sei o sette anni, riuscirebbe a far male ad uno come Kyran.

Sarebbe esilarante da vedere, questo sì. Ma tengo troppo ad entrambi.

«Nah, non ce n'è bisogno, so cavarmela da sola.»

«Lo so, sei una tosta.» risponde, dando una scossa di puro sollievo al mio ego ferito da quell'insensibile di Kyran. So per certo che Royal lo pensa davvero e a me sta molto a cuore la sua opinione.

«Ho sentito che uno di voi sta avendo dei problemi a scuola.»

Mi ero ripromessa che prima o poi avrei affrontato il discorso con uno di loro, Nikla non è la più indicata per avere una conversazione, Nerea mi guarderebbe male e mi girerebbe le spalle, Rouge non si fa passare una mosca da sotto al naso, figuriamoci farsi prendere in giro a scuola o peggio ancora. L'unico con cui ne posso parlare per ottenere informazioni è Royal, che probabilmente con altri non parlerebbe ma con me sì.

«Che tipo di problemi?» chiede, guardandomi accigliato, come se non sapesse di cosa sto parlando.

Giuro su Dio che se è lui quello che viene preso di mira, do fuoco all'intera scuola. So che posso contare sull'aiuto di Indigo e Royal per farlo.

«Del tipo che viene preso di mira qualche volta.» dico, in modo più chiaro, così che capisca cosa intendo.

«Ti sembro il tipo che si fa bullizzare?» mi chiede ancora più accigliato, indicandosi con un dito.

«Perché, esiste un tipo?»

«Non lo so, non credo. Però se ce ne fosse uno, io non rientrerei nella categoria. Mi parlano solo lo stretto necessario, per il resto mi temono tutti o mi stanno alla larga. A me sta bene così.» fa spallucce, dopodiché prende a rimuginare su qualcosa. «È Nerea, è lei che prendono di mira.»

«Nerea? La nostra Nerea?» gli chiedo incredula, credo che gli occhi mi stiano per uscire fuori dalle orbite.

«Conosci altre Nerea?» domanda con un sopracciglio alzato e l'aria da sapientone. Nego con la testa.

«Ma se a casa è una serpe avvelenata...» mormoro e più che parlare con lui, direi che sto pensando ad alta voce.

Nerea è davvero una serpe avvelenata, poco propensa a spendere parole gentili per qualcuno che non sia lei stessa o i nostri genitori. In più spesso si azzuffa con Rouge, Amethyst o Arden. Perciò sono davvero scioccata da questa rivelazione.

«Infatti non ho detto che se ne sta buona a subire, quando capita, reagisce.»

«Perché la prendono in giro?» chiedo, iniziando a fremere di rabbia. Va bene, Nerea è una stronzetta di prima categoria, ma è mia sorella e nessuno oltre noi può azzardarsi a dirle o farle qualcosa.

«È ragazza ricca, che al posto di preferire lo shopping, mettersi lo smalto sulle unghie, avere i capelli in ordine e fare la ballerina, fa tutto il contrario.» spiega, «Non ama lo shopping, le unghie di Arden sono più curate delle sue, il pelo di un barboncino ha una forma migliore dei suoi capelli e passa tutto il tempo a giocare a basket.» In un altro momento probabilmente i commenti su nostra sorella mi avrebbero fatto ridere, non in questo però. Sono davvero incazzata e se potessi andrei ora stesso da quel gruppo di deficienti con il quoziente intellettivo pari a quello di una nocciolina, che per l'appunto non ne ha uno.

«Posso passare per salutare i miei vecchi professori un giorno di questi, non è passato poi molto tempo da quando ho finito la scuola. Si ricorderanno sicuramente di me.»

Nella mia mente scorrono già innumerevoli immagini di me che prendo a calci uno per uno quella mandria di decerebrati. Mi prudono le mani e sono sicura che la rabbia mi abbia fatta diventare rossa come un pomodoro, colpa della mia carnagione troppo chiara e pallida.

«I professori o le stronze che ce l'hanno con Nerea?» mi chiede Royal, per niente sorpreso dalla mia reazione e conoscendo già la risposta.

«Lo sai.»

«Se lo fai, continueranno a prenderla di mira e questa volta per colpa tua.»

Dovrei essere io quella saggia e razionale, dato che ho ventun anni e lui sedici, invece, come sempre è Royal quello con la testa sulle spalle, anche se qualche volta seppur raramente dà pure lui ascolto al suo istinto e mette da parte la sua razionalità. Ma da lui ci si aspetta che sia così, è un'adolescente.

«Non mi piace sapere che delle ragazzine viziate si prendono il lusso di insultare mia sorella.» borbotto, stringendo le mani in due pugni, arrabbiata.

«Nerea se la sa cavare benissimo da sola.» dice, dandomi un colpetto con la gamba, che sarebbe un po' come una pacca di incoraggiamento o consolazione. Royal ha un modo tutto suo di vedere, percepire e fare le cose.

«Se continuano e la situazione diventa insostenibile, dimmelo.» gli dico seria, guardandolo negli occhi.

«Vuoi che faccia la spia?» chiede con una smorfia, cosa che mi fa dedurre che l'idea non lo alletti tanto, come immaginavo.

«Noi due ci diciamo tutto, Royal.»

È una promessa che ci siamo fatti, non importa quanto gravi, stupide, serie o poco importanti siano le nostre azioni, qualsiasi cosa accada o facciamo, noi ci diciamo sempre tutto. Se ha un problema sa che deve correre da me, sa che può parlarmene, che deve parlarmene.

«Ripeto, Nerea se la sa cavare da sola. Sono loro quelle che dovrebbero preoccuparsi.» lo guardo accigliata, «Che c'è?»

«Noi due ci diciamo ancora tutto, vero?» gli chiedo, allarmata. Ho bisogno di sapere che è così, che continuiamo a dirci tutto, che non mi nasconde niente. Che sta bene.

«Sì, ci diciamo ancora tutto.» annuisce con la testa e dopodiché mi porge una barretta energetica al cioccolato, altro gesto per rassicurarmi.

Vorrei chiedergli come va con il dottor Fields, il suo psicologo, decido però di non tirare troppo la corda e di non spingermi troppo oltre. D'altronde lui non mi ha chiesto se fossi sicura di lasciare la dottoressa Hamilton, ovvero la mia di psicologa, non mi ha fatto pressioni.

A modo nostro e ognuno con i propri tempi, stiamo cercando di superare quello che ci è successo.

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