Capitolo 1
Sono sempre stata molto abile a mentire, anzi, più che a mentire ad omettere alcune cose. D'altronde crescendo con nove tra fratelli e sorelle, è un'abilità che devi imparare a sviluppare presto e anche piuttosto bene, ti viene naturale.
La maggior parte delle persone resta a bocca aperta quando i miei genitori dicono di avere dieci figli e onestamente, chi non rimarrebbe a bocca aperta?
Non so esattamente cosa avessero in testa quando hanno deciso di mettere al mondo l'equivalente di una squadra di calcio – o quasi –. Forse sarà stato il fatto che entrambi sono figli unici e quindi di conseguenza hanno provato sulla loro pelle il senso di solitudine. Non lo so. Resta comunque che in trent'anni di matrimonio sono riusciti a farlo.
Quando hanno divorziato, perciò, è stata una gran bella impresa decidere chi dovesse prendere con sé quale figlio e perché.
E fu in parte per questo che di comune accordo, alla domanda "Volete andare a Dubai con papà o in Giappone con mamma?", abbiamo dato tutti la stessa risposta, ovvero "Vogliamo restare a casa con Darius".
E Darius Reyes, primo genito dei coniugi Reyes, a trent'anni appena compiuti decise di appoggiarci e di farsi carico di tutti noi fratelli.
Fu una sconfitta personale per i nostri genitori il fatto che nessuno di noi dieci decise di seguire uno di loro. Neanche i gemelli che a quei tempi avevano solo sei anni e forse avrebbero avuto più bisogno di loro. Oppure le ragazze... Invece no.
Sarà stato il fatto che siamo cresciuti tutti qui a Boston o perché noi fratelli siamo tutti molto legati e non riusciamo a stare gli uni senza gli altri, perciò separarci sarebbe stato devastante.
Comunque non ce lo fecero pesare più del dovuto, d'altronde avevano vissuto tutta la loro vita a destreggiarsi tra lavoro e figli, quindi non appena hanno avuto la più piccola possibilità di darsela a gambe, da soli e ognuno per conto proprio, l'hanno colta senza pensarci un attimo. Perciò presto si sono rifugiati nelle loro nuove città, nei loro lavori e le loro nuove vite.
Così noi dieci siamo diventati da subito una squadra ancora più unica e compatta, abbiamo imparato ad aiutarci l'un l'altro.
«Rouge, giuro che se ti prendo, ti faccio rimpiangere il stramaledetto giorno in cui sei nato!» lo strillo di Nikla, la sorella numero otto, rimbomba per tutta la casa tanto è forte. Sarebbe in grado di stordire un'intera città con la sua voce.
È così arrabbiata e sbatte così forte i piedi per terra, che il rumore dei suoi passi riesco a sentirlo anche dalla cucina.
Finirà per far crollare la casa a furia di pestare così forte il pavimento e urlare così.
Poi all'improvviso i passi cessano, segno del fatto che probabilmente si è fermata perché ha preso a sudare e questo per lei è qualcosa di inconcepibile, oppure ha semplicemente acchiappato Rouge, uno dei gemelli.
«Ti ho preso, teppista da quattro soldi», la seconda opzione è quella giusta. Qualunque cosa Rouge abbia fatto a Nikla, non la passerà liscia.
O forse sì...
I gemelli riescono sempre a cavarsela in un modo o nell'altro. Rouge più di Royal.
Se Rouge è sempre stato quello più folle, che ama infastidire qualsiasi persona si trovi davanti e architettare scherzi epici. Royal, il suo gemello, invece, è sempre stato l'esatto opposto. Più taciturno, sembra quasi schifare ogni singolo essere vivente. Ciò non toglie però, che Royal ha sempre dato manforte al suo gemello. Perciò spesso si sono ritrovati nei guai entrambi.
«Niki, sono Royal, possibile che ancora non impari a distinguerci?» sghignazza il gemello, che per la cronaca non è Royal, dato che Royal se ne sta tranquillamente seduto in cucina a mangiare la sua colazione davanti a me.
Tipico loro, scambiarsi le identità quando una situazione non gli conviene.
«Non potevano farvi almeno con il colore dei capelli diverso?» chiede Nikla, a voce talmente alta che secondo me l'avranno sentita benissimo anche i vicini, «Rouge!» riprende a strillare, i suoi passi si fanno più veloci e marcati di prima.
«Te l'ha fatta un'altra volta, Royal è in cucina», le dice ad un certo punto Nerea, la sorella numero sette, bloccando perciò il suo tentativo di venire in cucina a prendersela con il gemello sbagliato.
Anche perché probabilmente ciò avrebbe dato vita a uno scontro epico, perché appunto Royal odia essere infastidito.
«Io non capisco, devono urlare per forza anche alle sette e mezza del mattino?» Indigo, il fratello numero cinque, si lascia cadere sulla sedia accanto a quella di Royal, assonnato come è quasi ogni mattina e di un umore assai difficile da decifrare.
Lui è la versione più grande di Royal, odia le parole, usa solo le strette necessarie per comunicare quando gli va e quando non ha voglia di parlare, invece, lancia occhiatacce in grado di zittire anche Dwayne Johnson.
Va bene, forse The Rock non si lascerebbe intimidire da Indigo.... Ma comunque ho reso l'idea.
«Giuro che un giorno di questi spedisco Nikla a calci in culo in Antartide, altro che Dubai o Giappone dai nostri genitori», ed ecco che arriva Amethyst, la quarta sorella, quella con la pazienza pari all'acqua nel deserto, ovvero inesistente.
Ha i capelli castani scompigliati, gli occhi scuri e quasi a mandorla sono ancora più assottigliati per via del sonno. Si lascia cadere sulla sedia come se portasse tutto il peso del mondo sulle spalle.
«Le parolacce, Amethyst, c'è un bambino», la riprende Ophelia, moglie di nostro fratello maggiore e soprannominata "la santa" da noi fratelli Reyes.
Perché accidenti se questa donna non è una santa, ha sposato Darius e insieme a lui, tutti noi. Ci ha sopportati, amati e accuditi dal primo momento, come se fossimo più fratelli suoi che di Darius.
«Per bambino intendi Indigo? Hai ragione, scusami», risponde Amethyst, ricevendo un'occhiataccia da Indigo, che la fa ridacchiare.
«Zia Thyssi!» il vero bambino della casa entra a tutta velocità in cucina, imita in modo buffo Sonic con le braccia tirate indietro e il corpo sparato in avanti.
«Dorian, amore della zia, quante volte ti ho detto di non chiamarmi in quel modo osceno?» gli chiede Amethyst, chinandosi in avanti per afferrargli le guance e stritolargliele.
Ho promesso a me stessa che non mi sarei mai trasformata in una zia del genere, una di quelle che ti pizzicano le guance in modo vergognoso e a volte anche doloroso.
Insomma, noi Reyes ne sappiamo qualcosa.
La nostra prozia Gloria, non fa altro che pizzicarcele ogni volta che viene dall'Argentina per festeggiare qualche festività con noi. Quando c'è lei, nessuna guancia è al sicuro, nemmeno quelle di Darius.
Insomma, chi oltre lei avrebbe il coraggio di pizzicare le guance a Darius trattandolo come un bambino di cinque anni e non come l'uomo enorme, fatto e finito che è in realtà? Assolutamente nessuno.
Amiamo vedere l'espressione di un condannato a morte che si dipinge sulla faccia sempre seria di Darius ogni volta che succede.
Rabbrividisco solo al pensiero di quelle tenaglie con le unghie smaltate di bordeaux sulle mie guance.
«E quante volte dobbiamo dirti che noi uomini Reyes non ci facciamo dare ordini da nessuno?» s'intromette Arden, il fratello numero tre, entrando in cucina per filare sparato verso il frigorifero.
Se Indigo è uno che detesta le chiacchiere, Arden è tutto il contrario, un ammasso di muscoli, capelli biondo cenere e occhi azzurri, che riuscirebbe a stordire e fregare chiunque con le sue parole.
Comunque, armato di nonchalance, calma zen e un cucchiaio, tira fuori uno dei suoi preziosi budini al caramello dal frigorifero.
I budini al caramello sono l'essenza vitale di Arden, la sua droga legale e fatta di un concentrato di zuccheri. Venderebbe un rene per una dose, guai a chiunque osi anche solo posarci gli occhi sopra.
Di sopra si possono sentire in lontananza ancora le urla di Nikla, che inveisce contro Rouge, lui sicuramente se la starà ridendo soddisfatto.
«Dio, che qualcuno tagli quelle maledette corde vocali a quella ragazza», borbotta Royal, per poi prendere con il cucchiaio un'altra manciata di cereali e portarsela alla bocca.
«Perché non vai a mettere il guinzaglio al tuo gemello?» gli chiede di rimando Arden, per poi prendere un'altra cucchiaiata del suo secondo budino.
«Perché non vai a farti fo..» si blocca per via dell'occhiataccia lanciatagli da Ophelia, che serve a ricordargli della presenza di Dorian, «Fondere il cervello da qualche altra parte?» si corregge Royal, cambiando subito le parole.
«Buongiorno a tutti», il comandante della truppa, ovvero Darius, entra in cucina vestito di tutto punto come sempre. «Bene, nessun buongiorno», aggiunge, quando le urla di nostra sorella raggiungono anche le sue orecchie.
Nikla entra come una furia in cucina, passa gli occhi marroni da cerbiatta su ognuno di noi, fin quando non si posano sul suo obiettivo, ovvero Darius.
«Darius, dovresti spedire quella bestia dritto nell'esercito o da qualche altra parte lontana. Ovunque, basta che sia abbastanza lontano da qui!» strilla con le guance arrossate dalla corsa e dalla rabbia.
Ovviamente si riferisce a Rouge, che se ne sta con la spalla appoggiata al muro a fischiettare allegramente, come se niente fosse.
«Cos'hai fatto, Rouge?» chiede Darius, non glielo da nemmeno il beneficio del dubbio, perché lo sa com'è fatto.
Mio fratello maggiore comunque, non sembra mostrare alcun segno di rabbia, anzi, resta serio e composto, come se avesse tutto costantemente sotto controllo, e la maggior parte delle volte è davvero così.
«Ho accidentalmente rotto una delle sue scarpe», risponde Rouge, facendo spallucce e una faccia da cucciolo bastonato, sperando di dare l'aria di uno che non ha fatto nulla di male.
«Erano décolleté di Prada, razza di ignorante e bruto che non sei altro!» strilla ancora una volta Nikla, sul punto di commettere un omicidio vero e proprio.
«Si è solo rotto il tacco, schizzata, mettiamo un po' di colla a caldo e torna come nuova», le parole di Rouge non fanno altro che alimentare la furia omicida di una patita della moda come Nikla.
Tanto che lei fa per gettarsi addosso a lui per graffiargli la faccia probabilmente –Nikla va forte con i graffi– ma viene presa in tempo da Darius che la trattiene dai fianchi.
«E in che modo sarebbe successo?» indaga Darius.
Sulla faccia di Rouge si apre un sorrisetto che dovrebbe farlo sembrare innocente ma che in realtà sottolinea la sua colpevolezza. In tutto ciò, Darius continua a tenere ben salda Nikla, che cerca di sfuggire alla sua presa dimenandosi come un'anguilla. I capelli biondi le ricadono sulla faccia e coprono il suo viso furioso.
Darius è un ex giocatore di rugby, dubito che una ragazzina di un metro e sessantacinque, che pesa sì e no cinquanta chili netti –forse anche di meno– possa riuscire a sfuggirgli.
«Te l'ho detto, accidentalmente», Rouge alza le mani in alto come se fosse davanti ad un poliziotto, «Mi serviva qualcosa con cui colpire un chiodo in camera mia in assenza di un martello». Cambia espressione facciale perché vuole diventare lui, adesso, la vittima della situazione. «Ci credi che in questa casa c'è tutto tranne un martello?» chiede indignato, gli occhi azzurri che celano a malapena il divertimento che sta provando in questo momento.
«Forse perché l'ultima volta che hai avuto un martello in mano hai praticamente distrutto metà della tua camera?» s'intromette Ophelia, dicendo l'assoluta verità.
Ha distrutto metà della sua camera solo perché l'altra metà è di Royal, dato che la condividono. Se avesse osato toccare la metà del gemello, il martello sarebbe diventato l'arma di un delitto. Delitto di cui Rouge sarebbe stato la vittima.
Rouge comunque è un pericolo vivente, per se stesso e per gli altri. Questo spiega la mancanza dei martelli. Anche se in realtà direi che è più un pericolo per gli altri che per se stesso.
«Stavo ristrutturando», la corregge, mostrandosi risentito e offeso.
«Pronto? Non è questo il punto, ha usato le mie Prada come martello!» strilla ancora una volta Nikla, facendo alzare gli occhi al cielo ad Amethyst e tappare le orecchie ad Arden.
Sono sicura che Royal e Indigo stanno trattenendo l'istinto di legarla a una sedia e tapparle la bocca con del nastro adesivo. Cosa che hanno fatto in passato. Meglio non scendere nei dettagli.
Ophelia prepara la merenda a Dorian, ormai abituata ai litigi continui. Il piccolo, invece, si gode la scena piuttosto divertito, i suoi occhietti dello stesso colore di quelli dei gemelli, forse leggermente più chiari, sono divertiti. Credo che per lui, Rouge sia una specie di mito, cosa alquanto preoccupante.
«Vedila da un'altra prospettiva, almeno tutti quei soldi spesi per delle scarpe inutili, sono serviti a qualcosa. Ora ho un bellissimo quadro appeso in camera mia».
Nikla lancia un urlo stile gladiatore e fa per fiondarsi ancora una volta su Rouge, che se la ride senza spostarsi di un centimetro. Il suo è un vero e proprio istinto suicida. Ancora una volta è Darius quello che placa gli animi.
«Smettetela, tutti e due», il tono si fa duro, ciò fa intendere che non sta scherzando. «Rouge, tu vai a scuola. Ne riparliamo quando torni», dice e Rouge non se lo fa ripetere due volte, se la da a gambe, forse va a prendere il suo zaino. «Nikla, tu vai in camera tua a cambiarti».
«Come scusa?» chiede lei, ha gli occhi spalancati dallo stupore, come se non si aspettasse niente del genere.
Si è vestita come una che deve andare alla Fashion Week di Milano e non in una scuola privata a studiare.
«Sbaglio o nel tuo liceo c'è un regolamento e nel regolamento c'è scritto che bisogna indossare la divisa della scuola?» chiede Darius, consapevole del fatto che in effetti è proprio così, «Ciò che vedo io sono una minigonna di jeans e un top striminzito».
«Sono una minigonna di Yves Saint Laurent e un top di Gucci», lo corregge Nikla, storcendo il naso contrariata.
«E a me non può fregare di meno. Ti devi cambiare», risponde Darius con l'aria di uno che non accetta obiezioni.
«Io mi becco un rimprovero per l'abbigliamento e quel pazzoide che usa le mie Prada come martello, invece?» gli chiede Nikla, infuriata. Sì, si infuria spesso e volentieri.
«Non ti sto rimproverando, ti sto suggerendo di seguire le regole della tua scuola», le risponde pacato Darius.
Uno... due... tre... Voi non mi capite!
«Voi non mi capite!» come volevasi dimostrare, Nikla sbatte i piedi per terra un'ultima volta, poi gira i tacchi e fila in camera sua.
Perché sa che non le conviene sfidare la pazienza e la benevolenza di Darius.
«È andata?» chiede Nerea, affacciandosi dalla porta per spiare in cucina.
Anche lei ha i capelli biondi, solo che a differenza di quelli di Nikla che sono lisci come spaghetti, quelli di Nerea sono mossi, più come dei noodles.
«Sì, l'uragano Prada si è placato. Le nostre orecchie sono salve», le risponde Amethyst, facendole segno di entrare.
Uragano Prada perché sebbene Nikla sia una patita della moda, è a Prada che è completamente devota.
«Quella ragazza ha dei disturbi veri e propri, altro che Royal, è lei quella che ha bisogno di uno psicologo», mormora Nerea, prendendo posto accanto ad Amethyst. «Sto parlando di te, mangia cereali a tradimento», aggiunge poi, lanciando un'occhiata a Royal, che l'ha ignorata poco prima.
Mangia cereali a tradimento, invece, perché sfortunatamente hanno una marca di cereali preferiti in comune, perciò spesso e volentieri si scannano per questo. Come se non ce ne fossero abbastanza per tutti.
«Ti sento, questo però non vuol dire che devo necessariamente rispondere alle stronzate che dici» le risponde Royal, senza neanche guardarla. Il che già di per sé è un miracolo.
«Zio Royal, hai detto una parolaccia, sgancia», mio nipote, il furbetto, tende una mano a Royal. Apre e chiude le dita, facendomi sorridere.
In questa casa vige la regola "niente parolacce", chi le dice, soprattutto davanti a Dorian, paga una specie di penale o pegno. Noi la chiamiamo penale. Comunque, cinque dollari a parolaccia e Dorian si sta arricchendo grazie a Indigo, Royal, Arden e Amethyst.
E lo fa, Royal in silenzio si mette una mano in tasca e tira fuori cinque dollari, che passa a Dorian. Dire che il piccoletto ha un sorriso da orecchio a orecchio è un eufemismo.
Il resto della colazione procede in modo piuttosto tranquillo, insomma, per quanto tranquilla possa essere la nostra famiglia e ad un certo punto, i componenti iniziano a diminuire.
Ophelia accompagna Dorian a scuola prima di andare a lavoro, Nikla, Royal, Nerea e Rouge vanno al liceo. Perciò restiamo in cucina solo io, Darius, Indigo, Arden e Amethyst.
Solo si fa per dire, mi piace usare l'ironia. Siamo comunque numerosi, una specie di mini esercito.
«Tu», dice Darius, sì, a volte ha questa cattiva abitudine di non guardare la persona diretta quando parla, lo fa di proposito.
Passa gli occhi su ognuno di noi per intimidirci e spingerci a chiederci con chi ce l'abbia e perché.
Il più delle volte riesce nell'intento di farci sputare il rospo e confessare i nostri peccati senza neanche applicarcisi. Gli basta fare ciò che sta facendo adesso e uno di noi abbocca all'amo e spiffera ciò che ha combinato –e a volte Darius non l'ha nemmeno scoperto ciò che è stato combinato–.
«Chi, io?» chiediamo contemporaneamente io, Amethyst e Arden. Poi ci guardiamo l'un l'altro per capire chi abbia fatto cosa. Indigo è l'unico che rimane impassibile.
«Irisabelle», il mio nome esce fuori dalle sue labbra e i miei occhi scattano subito su di lui.
«Yo no hice nada», mi difendo subito dicendo che non ho fatto niente e sì, lo faccio in spagnolo.
La lingua di mio padre spunta fuori quando sono sotto pressione o arrabbiata, in questo caso la prima. Ogni volta che Darius mi guarda con i suoi occhioni seri, mi sento braccata, anche se comunque mi diverto a dargli del filo da torcere, soprattutto con le mie battute sarcastiche.
«Lo so che non hai fatto niente, è proprio questo il problema», risponde, facendomi accigliare più del dovuto.
Se fosse ancora qui, Nikla mi direbbe: «Smettila di fare quell'espressione o ti verranno le rughe prima dei venticinque anni» con tanto di smorfia annessa.
«Perdón?» gli chiedo, perché non capisco da quando "non far niente" venga considerato un problema. Dovrebbe esserne felice.
«È il tuo turno di collaborare, Irisabelle», spiega, come se questo fosse in grado di aiutarmi a capire di cosa sta parlando.
«Collaborare per cosa, esattamente?»
Probabilmente mi sta sfuggendo qualcosa, visti gli sguardi dei miei altri fratelli che assistono alla scena senza spiaccicare parola. Non capisco cosa, però.
«Doralia è ancora in maternità e abbiamo deciso che sareste venuti un mese ciascuno in azienda a dare una mano», mi ricorda e accidenti, non ci voleva proprio. «Arden, Amethyst e Indigo hanno fatto la loro parte, tu...»
«Io pattino, passo la metà del tempo ad allenarmi, Darius», lo interrompo subito, perché solo l'idea di dover presenziare in azienda mi fa venire l'orticaria nervosa.
«Arden è un giocatore di football, questo non l'ha fermato dal venire un paio di ore alla mattina», indica nostro fratello, che sorride fiero di non essere nel mirino di Darius per una volta, «Amethyst è una designer di interni, questo non ha fermato neanche lei dal venire ad aiutare. E Indigo...» fa per dire qualcosa sul lavoro di nostro fratello ma si ferma un'istante a pensare, perché al momento il suo lavoro è inesistente.
Indigo sta ancora cercando la sua strada che fino ad ora l'ha portato a prendere a pugni cinque datori di lavoro. Darius gli ha risparmiato un bel po' di denunce per aggressione. Al contrario di ciò che si pensa, Indigo non è mai stato arrestato –strano ma vero, stentiamo a crederci anche noi– ha la fedina penale immacolata.
«Beh, Indigo è Indigo, già il fatto che sia venuto, è abbastanza», finisce per dire Darius, non sapendo cos'altro aggiungere in favore di nostro fratello.
Mi guarda per sfidarmi a contraddirlo o difendermi in qualche modo, perciò assottiglio lo sguardo e accolgo volentieri la sfida, già pronta ad elencare una serie di motivazioni pronte a spiegare perché i miei fratelli l'abbiano fatto. Tre, volendo essere proprio precisi.
«Arden non prende tanto seriamente la sua carriera da giocatore, ci sono cose che non potrebbe fare, tipo mangiare quantità industriale di budini al caramello, dato che dovrebbe seguire una dieta ferrea», segno il numero uno sulle dita per spuntare il primo punto, «Amethyst non impazzisce per il suo lavoro», siamo a quota due, «E Indigo si stava sicuramente annoiando».
Eccole qua, tre eccellenti e più che veritiere motivazioni.
«Io la seguo la dieta ferrea. Posso concedermi qualche budino ogni tanto», borbotta Arden, difendendosi dalle mie parole e con una smorfia imbronciata sulle labbra.
«E io amo il mio lavoro», si aggiunge Amethyst, dicendo una menzogna bella e buona. È brava nel suo lavoro, sì, questo non vuol dire però che lo ami.
«Qualcosa da ridire anche tu?» mi volto verso Indigo con le braccia incrociate sotto al seno, anche se so che lui a differenza degli altri due qui presenti, non mentirebbe e non troverebbe nessuna scusa.
Indigo è un tipo molto schietto, un po' come me e Royal. A dire il vero anche Darius è così, ma è un adulto che ha sulle spalle una famiglia numerosa, perciò spesso e volentieri gli tocca contenersi per dare il buon esempio.
«No, è vero, mi annoiavo», fa spallucce, fregandosene delle opinioni altrui. Io sorrido piuttosto soddisfatta e torno a guardare Darius.
«Hai dato la tua parola, Irisabelle», cerca di fregarmi il mio fratellone, forse però non si ricorda con chi ha a che fare.
«Non ho dato proprio niente, Darius. Ho solo annuito, preso il mio borsone e sono filata via».
Ora, il problema non è di certo aiutare la mia famiglia, anche se dubito che Darius abbia poi bisogno di tutto questo grande aiuto. Il problema è andare in azienda.
Voglio stare lontana anni luce da quel posto e da chi ci lavora. In special modo voglio stare lontana anni luce da una sola persona in particolare presente lì.
«Diglielo tu a Doralia che dovrà lasciare Clara a quattro mesi dal parto per tornare a lavorare, dato che sua sorella non vuole prendere il suo posto per un solo misero mese».
Cerca di far leva sul mio cuore tenero –solo quando si tratta della mia famiglia– nominando mia nipote nata da poco.
«Darius, stai cercando di farmi venire i sensi di colpa, ti rendi conto? È un colpo basso questo», lo guardo incredula, pur sapendo che è una cosa che fa spesso con me.
«Sta funzionando?» mi chiede con un sorriso diabolico, la risposta la conosce già.
«Díos mio», borbotto tra me e me, perché sta funzionando eccome. «Está bien», sbotto, per niente entusiasta, «Va bene, verrò. Ma ho delle condizioni».
Tienimi lontana da Kyran.
Darius mi guarda, poggia le mani sul bancone che ci divide e capisco che ho tutta la sua attenzione.
«Starò nel tuo studio o in uno personale, non voglio condividere i miei spazi con nessun altro. Voglio interagire il meno possibile con il resto dei dipendenti e non devi darmi ordini», elenco le mie condizioni con fare serio, perché accidenti se lo sono. «E quando dico il resto dei dipendenti intendo anche Kyran», metto subito in chiaro.
I miei altri fratelli si godono in silenzio lo scontro tra Titani.
Cioè un solo Titano, io sono più Sebastian de la Sirenetta in confronto a Darius. Ma ci proviamo comunque.
«Tecnicamente sono il tuo capo, darti ordini fa parte del mio lavoro», cerca di fregarmi, ma con me non funziona.
«L'azienda è divisa in tre, non è tua. La condividi con Doralia e Kyran, siete soci», il suo nome brucia sulla punta della mia lingua. «Se sono lì per sostituire Doralia vorrà dire che avrò tanto potere quanto te, perciò non sarai il mio capo e non dovrai darmi ordini», aggiungo con un finto sorrisetto innocente.
Non mi freghi, Darius.
«Loro me l'hanno resa più facile», indica con un cenno del capo i tre che si stanno godendo lo spettacolo, delusi dalla mancanza di una qualche ira funesta.
Certo che l'hanno fatto. Arden non vedeva l'ora di andare in azienda e mettere gli occhi -a parte le mani- sulla segretaria di Darius e chissà chi altra a parte lei. Amethyst sarebbe andata anche nel Burundi pur di prendersi una pausa dal suo lavoro. Indigo, beh, l'ha detto, si annoiava.
«Loro non sono me», faccio spallucce e no, non è perché credo di essere migliore di loro.
Magari solo più intelligente... Si scherza, ovviamente. Condividiamo buona parte dei geni, perciò l'intelligenza non manca di certo.
Solo che io prima di fare un passo, prendere una decisione o farmi incastrare in una situazione spiacevole o che non mi gioverà in alcun modo, ci penso tremila volte. Loro no.
Va bene, ci sono volte in cui agisco d'impulso anch'io, molte volte. Però quando si tratta di cose serie -come questa, dato che ne va della mia sanità mentale e sentimentale- metto a freno l'impulso.
«Affare fatto, hija del diablo», cede alla fine il mio fratellone, come immaginavo.
Essere chiamata figlia del diavolo di prima mattina non era una delle cose a cui aspiravo nella mia vita, però se il diavolo è come il Lucifer della serie tv, beh, allora non mi lamento.
«Bene, amici. Possiamo concludere lo show dicendo: Le rose sono rosse, le viole sono blu. Darius è furbo ma Irisabelle lo è di più», Arden tiene la mano chiusa a pugno davanti a sé come se reggesse un microfono e fa la voce da telecronaca.
Ciò che dice è divertente per me e meno divertente per Darius, che lo fulmina con lo sguardo.
«Buona fortuna», dice invece Indigo, lo sguardo serio e imperscrutabile.
«Non ne avrò bisogno», rispondo con un sorriso.
«Infatti dicevo a Darius», un mezzo sorriso affiora sulle sue labbra ed io non posso fare a meno di ridere.
❄️❄️❄️
Il rumore dei miei tacchi sul pavimento in marmo è l'unica cosa che si sente nel corridoio. Sono con Darius in azienda e nessuno dei due sta parlando, il che è una novità, perché io parlo spesso e volentieri quando sono in compagnia della mia famiglia.
Stiamo raggiungendo l'ufficio di Darius, ha detto che solo per oggi mi terrà con lui e mi farà vedere un paio di cose –spero non documenti perché potrei addormentarmi–.
Comunque, grazie a Dio non soffro di claustrofobia, altrimenti il giro in ascensore di poco fa sarebbe stato un bel problema.
Mi guardo intorno e non posso lamentarmi della vista di cui godo, insomma, l'edificio è stupendo, pavimenti in marmo bianco, pareti sulle tonalità del grigio e bianco, qualcosa di nero e delle vetrate che permettono di vedere l'esterno.
Sembra quasi di stare in un edificio di New York.
Però non posso fare a meno di pensare che io non c'entro assolutamente nulla con questo posto.
«Ripetimi ancora una volta perché sono qui».
«Doralia è ancora in maternità», risponde alla mia domanda, dando dimostrazione dei suoi poteri sovrannaturali.
Scherzo, niente poteri sovrannaturali –sfortunatamente–, sono solo io che ho pensato ad alta voce e mio fratello che non è sordo.
«Quanto dura questa maternità?» gli chiedo con una smorfia. Starmene rinchiusa in un ufficio non è il mio passatempo preferito.
Non che ne abbia molti, oltre a passare buona parte della mia vita sul ghiaccio.
«Un altro mese ancora, se volesse più tempo glielo concederei», risponde, continuando a camminare.
«Vedrò di farmi mettere incinta, allora», dico ed ecco che si ferma sul posto, si gira velocemente verso di me e mi trucida con lo sguardo. «Sto scherzando, sorridi alla vita, Darius», lo prendo in giro con tanto di linguaccia annessa, dopodiché riprendo a camminare e questa volta sono io quella che lo supera.
Questo posto è immenso, davvero. Se non fosse che lo conosco come le mie tasche, probabilmente mi ci sarei persa nel giro di venti secondi. Ringrazio papà per averci portato spesso qui quando eravamo piccoli.
Sì, papà è un architetto e per un po', all'inizio, sia Darius che Doralia e Kyran hanno lavorato in una delle sue aziende, ovvero questa, quella principale in città -dato che ne ha anche alcune fuori città-. Dopodiché con l'arrivo del divorzio, papà ha deciso di cambiare aria e quindi di partire per Dubai, perciò ha ceduto l'azienda di Boston a loro ed è andato via. Una specie di pensione anticipata, ecco.
Non se ne è pentito neanche un po'. Papà è un uomo dalle mille doti e dopo aver lavorato per tutta la sua vita, se la starà sicuramente spassando a Dubai con in mano un bicchiere di Whisky o Martini. Ah no, il Martini piace a mamma.
Comunque sono entrambe due persone dalla mentalità molto aperta, perciò hanno permesso a tutti noi di scegliere la nostra strada senza dover seguire per forza le loro orme, ovvero architettura o azienda di famiglia per via di papà oppure giornalismo per via di mamma.
Per esempio, io sarei dovuta andare al college ma ho scelto di restare e dedicarmi al pattinaggio. Non mi hanno diseredata, anzi, mi hanno appoggiata.
Darius e Doralia hanno scelto di lavorare in azienda perché amavano il lavoro di papà quando erano piccoli, quindi crescendo hanno scelto di seguire le sue orme. Quindi più che un obbligo, è una vera e propria passione.
Se fosse per i nostri genitori non avremmo lavorato neanche un'ora della nostra vita, abbiamo un gran bel patrimonio, non ci manca nulla dal punto di vista economico.
È Darius quello a cui verrebbe un infarto se mollassimo tutto e decidessimo di fare i 'mantenuti' come dice lui.
E in realtà è sempre Darius che dobbiamo ringraziare se non siamo i tipici ragazzini viziati che gravano sulle spalle dei propri genitori o di Darius stesso.
Mio fratello ci ha insegnato che i soldi di mamma e papà, sono soldi di mamma e papà. Hanno sudato per ottenere il successo che hanno avuto. Hanno fatto sacrifici per arrivare dove sono ora e poter dormire tranquilli la notte senza pensare a cosa accadrebbe se domani finissero i soldi.
Ci hanno mantenuti fino alla maggiore età e se avessimo dei problemi è ovvio che potremmo usufruire di quel denaro. Ma non dobbiamo approfittarne, ecco.
Noi dobbiamo fare ciò che hanno fatto loro, dobbiamo crearci la nostra strada e guadagnarci i nostri soldi.
Va bene anche se come Indigo, pur non avendo un lavoro, si dia da fare in altri modi. Come venire qui quando gli è richiesto. Dare una mano in altre sedi. O semplicemente gli basta non mostrarsi un nullafacente che sta tutto il tempo a dormire o fare baldoria.
Darius continuerà a sostenerlo economicamente fin quando non troverà la sua strada anche lui.
Mio fratello maggiore non vuole che ci conoscano come i "figli di" o che quando parlino di noi lo facciano dicendo che siamo dei figli di papà viziati e mantenuti, senza arte né parte. Vuole che parlino di noi come persone a sé, che parlino di ciò che siamo in grado di fare e dei nostri talenti, di ciò che stiamo creando o che come nel caso di Darius e Doralia, hanno creato.
Una giovane donna dai tratti dolci e orientali, i capelli scuri tagliati a caschetto, un rossetto rosso messo in modo impeccabile e un tailleur color verde menta, ci viene incontro.
«Buongiorno, signor Reyes», saluta mio fratello, che ricambia con un "Buongiorno, Keiko". «Signorina», saluta me ed io sorrido in segno di saluto, in modo piuttosto forzato ma che ad occhi esterni sembrerebbe del tutto naturale. «Signor Reyes, il signor McMillian la sta aspettando nel suo ufficio».
Il sorriso che mi ero stampata in faccia come segno di saluto, sparisce del tutto e la giovane donna, probabilmente la segretaria di Darius –quella su cui Arden ha messo gli occhi e le mani, per intenderci– mi guarda, confusa dal repentino cambio di espressione.
E anche di umore, direi, dato che è appena colato a picco. Già mi ci vedevo seduta sulla sedia girevole a far impazzire Darius. Invece...
«Avevi detto che non ci sarebbe stato, che era fuori città», punto il dito contro il petto di mio fratello con l'intento di fargli un po' male, infatti premo un po' ma forse è fatto di ferro, non lo so, tant'è che guarda prima il mio dito e poi me come se gli avessi fatto il solletico.
«Sarà tornato, l'hai detto tu che non sono il suo capo, sono il suo socio, non decido io cosa deve o non deve fare», risponde pacato, «E non sono sua moglie, non è dovuto a tenermi aggiornato su ogni suo spostamento».
Sto per dare di matto. Me lo sento. Sta per crollarmi il sistema nervoso.
Non potevano mandarlo, che so... In Himalaya? Mi sembra abbastanza lontano da qui.
«Bene, allora vado via, è stato bello aiutarti», giro i tacchi -letteralmente- e mi dirigo verso gli ascensori.
Anche perché comunque non avrei potuto fare molto, non so creare neanche una casetta con le carte, figuriamoci creare una casa vera e propria o contribuire a crearla, dato che spesso e volentieri volendo aiutare i miei fratelli, facevo crollare anche le loro casette di carte, perciò direi che non sono una gran perdita per Darius.
«Andiamo, Irisabelle», mio fratello mi insegue, perché non sia mai e lo ascoltino alzare un po' la voce. «Non capisco perché tutto questo astio nei confronti di Kyran, fino ai sedici anni sembravi pendere dalle sue labbra», dice ed io sbianco, «Gli volevi bene come se fosse tuo fratello», aggiunge e riprendo a respirare. Pensavo avesse capito anche lui.
Probabilmente pendo ancora dalle sue labbra e no, non gli volevo bene come se fosse mio fratello.
«Sono cresciuta, Darius. Le cose cambiano, le persone pure», mi limito a dire sollevando le spalle, poi mi volto verso la donna che ci guarda palesemente confusa anche se cerca di non darlo a vedere. «Scusi l'attimo di défaillance, Keiko, giusto?» le chiedo con un sorriso andando verso di lei. La poveretta annuisce.
Le tendo la mano che con confusione accetta e stringe.
«Sono Irisabelle Reyes, è un piacere conoscerti», dico, dopodiché mi riapproprio della mia mano. «Sai se ci sono uscite di emergenze accessibili? Vorrei uscire da questo posto il prima possibile».
Mio fratello si mette una mano in fronte e scuote la testa, rassegnato alla mia drammaticità o assurdità, dipende da come vogliamo vederla.
«Siamo al sesto piano, signorina Reyes», risponde Keiko, quasi balbetta la poverina. La starò sicuramente spaventando.
«Solo Irisabelle, per favore», faccio un gesto della mano come se volessi scacciare l'aria. Sembro mia madre, accidenti.
«Irisabelle», si corregge, «A parte le scale normali, gli ascensori e le scale antincendio, non ci sono altre uscite, mi dispiace», sembra davvero dispiaciuta, il che mi costringe a crederle.
Nessuna scappatoia più rapida a parte gli ascensori.
«Bene, allora mi toccherà spiccare il volo dalla finestra», faccio finta di ragionare tra me e me, questo non fa che peggiorare la situazione, perché la povera Keiko spalanca gli occhi ancora più spaventata.
Quanto è facile spaventare le persone?
«Irisabelle, smettila, la stai spaventando», mi rimprovera Darius, come faceva spesso quando ero ancora una bambina –in realtà continua a farlo anche ora che sono cresciuta, come in questo caso–.
«Scusa, Keiko. Sto solo scherzando», decido di rimediare al quasi infarto della giovane donna di fronte a me, ho paura che se morisse il suo fantasma tormenterebbe Arden e lui non me lo perdonerebbe mai. «Non ho intenzione di restare», dico poi a mio fratello, seria come il quasi infarto di Keiko.
«Keiko, va pure. Se avrò bisogno ti farò sapere», mio fratello finalmente dà l'occasione alla sua segretaria di fuggire a gambe levate.
«Va bene, signor Reyes. Arrivederci signorina...» sta per chiamarmi di nuovo signorina Reyes ed io lo detesto, ma si blocca in tempo vedendo la mia espressione, «Irisabelle. È stato un piacere conoscerla».
Dubito che lo sia stato davvero per te, tesoro.
Ma se dovessi per qualche assurda ragione, decidere di rimanere, rimedierò al fatto di essermi presentata come una pazza con pensieri suicidi. Forse. Keiko sembra simpatica.
«Anche per me, buon lavoro».
Keiko si dilegua più veloce della luce, perciò resto sola con il mio adorabile e bugiardo fratellone.
«Tu non sei normale», sbotta con gli occhi che se fossero in grado di lanciarmi saette, mi incenerirebbero.
Ha addirittura il coraggio d'insultarmi dopo avermi teso una trappola, ci rendiamo conto?
«E tu sei un bugiardo», lo accuso, assottiglio gli occhi e mi stampo in faccia un espressione per niente contenta.
«Era davvero fuori città, che diamine, Irisabelle. Comportati da persona matura e smettila di fare questo».
«Definisci questo, Darius», dico, lo guardo di sottecchi e incrocio le braccia sotto al seno.
«Odiare Kyran senza una dannata ragione. Anzi, odiare tutti senza una ragione», mi accusa ingiustamente, va bene, forse non poi tanto ingiustamente.
«Vuoi davvero litigare nella tua azienda? Non eri tu quello che amava la discrezione? No, perché io non mi faccio problemi», lo sfido, lui lo sa che è vero.
«Infatti, Irisabelle, non ti fai problemi ad allontanare le persone», ribatte guardandomi con lo sguardo serio e di uno che la sa lunga.
«Io non allontano le persone», borbotto accigliata e anche imbronciata.
Allontano solo Kyran.
«L'hai fatto anche poco fa con Keiko», fa un cenno con la testa nella direzione in cui la donna se l'è data a gambe.
«Stavo solo scherzando», mi difendo alzando le mani al cielo.
«L'hai fatta spaventare per tenerla lontano da te, per non stringere amicizia».
Va bene, forse è vero, però non mi va di dargli la soddisfazione di aver ragione. Perciò negherò fino alla morte.
«Estás loco, Darius», gli dico che è pazzo, «Ves cosas que no existen», aggiungo e rincaro la dose dicendo che vede cose che non esistono.
«Non iniziare a parlare spagnolo, Irisabelle», mi rimprovera ancora, «Io vedo perfettamente che nonostante siano passati quanto? Due anni e mezzo? Tre anni? Continui a fare dei passi indietro», ed ecco che prova a tirare via il coperchio dal vaso di Pandora.
È proprio questo che mi fa capire il motivo per cui ha insistito ad avermi qui. Insomma, diciamocelo, sono inutile per questa azienda. Un peso morto. Al massimo potrei aiutarli a fallire. Perciò la sua scusa non sta in piedi.
«È per questo che mi hai portato qui, vero?» gli chiedo, le braccia mi cadono ai lati dei fianchi, «Per farmi uscire dalla mia confort zone, come dite voi», ovvero la pista di pattinaggio. «Non vedo Royal qui con me, però», mi guardo intorno e poi riporto gli occhi su di lui.
«Royal viene seguito da uno psicologo, Irisabelle. Tu hai smesso di andarci», più che come un'affermazione, vieni fuori come un'accusa e la cosa non mi piace.
«Perché sto bene», quasi strillo, esausta. Odio doverlo ripetere all'infinito.
«Allora resta. Se stai bene, resta», dice, gli leggo la preoccupazione negli occhi e mi si stringe il cuore.
Non voglio far preoccupare nessuno. Soprattutto Darius.
Odio ciò che abbiamo passato e che sono stati costretti a sopportare i miei fratelli per ciò che è accaduto a me e Royal. Non voglio più tornare sull'argomento.
«Non sopporto Kyran, va bene?» mi limito a dire, per cambiare discorso e mento ancora.
Ciò che non mi aspetto è però di sentire proprio la sua voce alle mie spalle come se fosse Gesù Cristo e stesse parlando dall'alto dei cieli.
«Felice di saperlo, Elsa», dice, chiamandomi con quel soprannome che tanto odio e che ha cominciato ad usare da quando ho iniziato ad evitarlo. Da quando l'ho allontanato dalla mia vita. «Ora mi strapperò i capelli per il dolore che mi ha arrecato la tua confessione».
Mi costringo a voltarmi verso di lui per guardarlo. Alla veneranda età dei suoi trentotto anni, Kyran è sempre più bello.
Il corpo slanciato e muscoloso è coperto da un completo di alta sartoria, la barba bionda è cresciuta un po' ma gli dona un sacco. Mi fissa con i suoi occhi azzurri ammaliatori.
Va bene, devo riprendermi dallo shock, staccare gli occhi dalla sua figura attraente e ricordarmi di quando mi ha trattata male a sedici anni, il giorno in cui gli ho dato il mio primo bacio. Di cui ho un ricordo doloroso.
«Non ce n'è bisogno, datti un altro paio di anni e il tempo lo farà per te. I vecchi non diventano tutti calvi?» ribatto con sarcasmo e un sorrisetto finto. L'ho detto che do il meglio di me con le battute sarcastiche.
E se vengo attaccata, ricambio rincarando la dose.
«Che ci fa lei qua?» chiede a mio fratello, ignorandomi completamente.
«Già, è quello che gli sto chiedendo io da stamattina», borbotto, però Kyran continua ad ignorare la mia presenza e tiene gli occhi su mio fratello in attesa di una risposta.
«Abbiamo bisogno di aiuto e...» cerca di spiegargli ma Kyran lo interrompe.
«Davvero?» gli chiede scettico, confermando la mia tesi, ovvero che è una grande menzogna. Non hanno bisogno di nessun aiuto.
«Già, Darius. Davvero?» chiedo anche io a mio fratello, fulminandolo con lo sguardo.
«È qui per darmi una mano con i clienti di Doralia», ovviamente non molla la presa e non si mostra neanche un po' titubante.
«E Amethyst? Non c'era lei fino a ieri?» gli chiede Kyran, torno a guardare lui adesso.
Mi sento... offesa e arrabbiata, direi.
«Doveva tornare al suo lavoro».
«Arden? Indigo? I gemelli?» continua a chiedere, come se gli andasse bene chiunque tranne me. Anzi, non ho dubbi che sia così.
I gemelli sono minorenni, idiota. Non possono lavorare.
Probabilmente preferirebbe un panda con tanto di bambù in mano seduto alla sedia di Doralia, piuttosto che vedere me.
«Ti prego, Kyran. Contieni la tua gioia per la mia permanenza qui», gli dico, portandomi una mano al cuore come se fossi colpita ed emozionata per via del suo entusiasmo.
Entusiasmo pressappoco inesistente.
«Quindi resti?» mi chiede mio fratello con una luce di speranza negli occhi.
Kyran non mi vuole qui e se me ne andassi gli farei un favore. Io non faccio favori a nessuno al di fuori della mia famiglia. Perciò resto eccome, se gli dà tanto fastidio la presenza può sempre togliersi dai piedi lui.
«Sembra così felice di avermi qui, non posso certo essere la causa della sua infelicità», rispondo indicando Kyran con un ghigno per nulla innocente.
«Averla qua è una pessima idea. Creerà solo casini, amico», l'uomo biondo e con poco senso dell'umorismo, cerca in qualche modo di far cambiare idea a mio fratello.
Io non creo casini, razza di bugiardo!
Faccio per ribattere e difendermi, però mio fratello mi precede e mi tocca chiudere la bocca.
«Sentite, seppellite l'ascia di guerra e collaborate lo stretto necessario. Io davvero non capisco cosa vi sia successo», dice, «Tu sembravi adorarlo con tutte le tue forze e tu sembravi volerle bene come se fosse tua sorella», indica prima me e poi Kyran.
Peccato che la sorella gli è letteralmente saltata addosso, Darius.
Non ci penso proprio a voltarmi verso di Kyran per vedere la sua espressione, che sicuramente non sarà buona. Perciò mi limito a guardare mio fratello come a dire "te l'ho già detto".
«Ho capito», dice, «Le persone cambiano e dato che cambiano, comportatevi come persone mature e cercate di andare d'accordo per il bene comune».
Dopodiché Darius non accettando altre repliche, ci volta le spalle e si allontana per andare in quello che credo sia il suo ufficio.
Non lasciarmi con il nemico, fratello traditore!
Restiamo per non so quanti secondi in piedi in mezzo al corridoio e con gli occhi puntati sulla porta chiusa dell'ufficio di Darius. Lui non guarda me e io non guardo lui. Ma nessuno dei due muove un passo per andare via.
«Continua a fare ciò che fai da cinque o sei anni a questa parte ormai», dice all'improvviso, rompendo il silenzio. La mia testa scatta nella sua direzione.
«Ovvero?» chiedo, guardandolo in modo circospetto.
Non gli parlo forse da un mese, in realtà però sono anni che mi limito a saluti di educazione e circostanza. Non vado oltre questo e in realtà neanche lui.
Devo dire che all'inizio ci ha provato, a parlarmi dico, mi ha chiesto scusa più volte quando avevo sedici anni e per quasi due mesi ha cercato di riallacciare un rapporto con me.
Cosa che non è successa, ovviamente. Con il senno di poi credo di essere stata un po' dura, in fondo sono io quella che l'assalito baciandolo. Però d'altra parte credo che sia meglio così, mantenere le distanze.
Perché l'infatuazione per Kyran non mi è passata, mi batte ancora forte il cuore quando siamo nella stessa stanza o anche solo quando lo sento nominare.
Non è una cosa normale.
Avrò preso una qualche sindrome. Esiste una sindrome in grado di farti innamorare in modo irreversibile e letale di Kyran? Sono sicura di sì, perché io ne soffro. Ho la Kyranite.
«Mantieni le distanze», dice e dentro di me immaginavo che mi avrebbe detto una cosa simile.
«Credimi, preferirei avvicinarmi ad un rottweiler con la rabbia», gli rispondo con un sorriso a denti stretti, che mi fanno male per quanto forte li sto stringendo.
«Bene», è tutto ciò che dice.
«Muy bien», ribatto con sguardo fiero, odio non avere l'ultima parola.
Comunque Kyran decide che mi ha degnato fin troppo della sua presenza. Mi lancia un'ultima occhiata e si dirige verso il suo ufficio, accanto a quello di Darius. Dove io passerò buona parte della giornata.
Diosito mío, aiutami a superare questo mese infernale, te lo pido por favor.
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