Ho imparato che essere felici non è una condizione del presente, ma qualcosa per cui combatti giorno dopo giorno, affinché alla fine tu possa voltarti indietro e pensare soddisfatto "sì, sono felice".

Vivere una vita serena, benché costellata di peripezie, difficoltà che ti intralciano il cammino, è l'aspirazione di tutti. Forse a volte non ce ne rendiamo conto e ci ricordiamo solamente di quei momenti tristi che spaccano il cuore in due ― se non più ― pezzi.

A volte quelle sensazioni sono così forti che ci rimangono impresse dentro e ne portiamo i segni fuori: nei rapporti con gli altri, nei rapporti con noi stessi.

Ma quelli sono i sentimenti che urlano, quelli che fanno i gradassi per farsi ascoltare, per prevaricare su tutto il resto.

Non mi piacciono quelli che fanno così. Andrebbero azzittiti. Andrebbero ignorati.

Così ci provo. Provo a mettere un filtro passa basso, a escludere tutto ciò che è rumore e cercare di captare quei ronzii sommessi, quei suoni flebili dovuti ai ricordi felici.

Scavo, cerco. Mi sento uno speleologo col suo caschetto in testa, che si rannicchia, si piega, si incunea negli anfratti della memoria, per trovare la gemma più splendente, il ricordo più sereno. Si prostra davanti a cotanta bellezza e sorride, perché tanta fatica è valsa a tutta quella grazia e, voltandosi indietro, può quindi esclamare "sì, sono felice".