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Capitolo 9

Christopher

Sistemo il camice nel mio armadietto ridendo alle battute di qualche collega in stanza con me. Afferro la giacca e richiudo il lucchetto alle mie spalle che produce il solito rumore metallico e mi avvio giù per le scale.

Il marmo del pavimento scende lungo la grande scalinata così come le chiacchiere di chi mi sta attorno. L'odore dei disinfettanti è sostituito da quello dello smog.

«Ci vediamo stasera.» Alzo la mano per salutare i colleghi. Mario ricambia con un pollice alzato per poi portare la mano dietro la schiena di Veronica, medico chirurgo di Sassari, la quale mi sorride accattivante prima di lasciarsi guidare.

Al mio fianco Angelo parla al telefono con la moglie, come sua abitudine alla fine di ogni giornata di master. I nostri passi sincronizzati avanzano sul marciapiede grigio.

Non trattengo uno sbadiglio, sono trascorse dieci ore da quando abbiamo varcato la porta della clinica questo venerdì mattina e sono davvero stanco.

Mi stropiccio gli occhi con la mano destra che rimetto in tasca subito infreddolito. Siamo ormai a fine ottobre e qui sembra già pieno inverno.

Camminiamo per le strade piene di passanti frettolosi che mi scansano come in una danza più volte provata. I primi lampioni si accendono e io guardo distrattamente davanti a me, in questo mese tutto mi è più familiare, come il suono del traffico milanese.

Un tram giallo passa alla mia destra muovendo l'aria che mi fa rabbrividire. Svoltiamo a sinistra ed eccomi davanti al solito locale che ruba ogni mio sguardo. I tavoli allineati sono popolati dai primi avventori con i bicchieri colmi davanti a loro.

Non ci sono più stato.

La musica jazz si percepisce subito appena svoltato l'angolo e la luce soffusa rende l'interno misterioso come la scena di un film.

I miei occhi guizzano veloci a destra e sinistra. Il solito ragazzo dietro il bancone, così come la ragazza bionda che ha provato ad abbordarmi quella prima sera, qualche altro cameriere ma non sono loro che mi interessano.

Cerco ancora la figura elegante, la camicia bianca, la minigonna nera, le sue lunghe gambe. La cerco così come la ricordo e come la vedo ogni sera.

Sorride a un ragazzo seduto al tavolo vicino al bancone. Accanto a loro un altro tizio altrettanto attratto dalla donna. Fin da qui lo vedo cercare le sue attenzioni ma lei non è quel tipo di ragazza e come a darmi ragione in poco tempo è già lontana dai loro approcci pronta a servire un nuovo tavolo.

Angelo si ferma troppo assorto nella conversazione per continuare la strada e io approfitto per vedere la sua camicia tendersi sul piccolo seno mentre tenta di sistemare i capelli in una coda alta. Il suo profilo fa una smorfia al barrista che alza gli occhi al cielo prima di passarle il vassoio pieno da servire. Il busto della ragazza si protrae verso il collega mostrando incoscientemente il suo didietro in pasto a noi poveri uomini che non possiamo fare altro che inchiodare gli occhi su quella rotondità.

Non sono poi diverso dagli altri.

Risalgo lentamente fino al suo viso, l'espressione soddisfatta che rivolge all'uomo al bancone mi fa sorridere. È davvero bella.

Riesco a sentire il mio respiro accelerare al di sopra dei rumori della città, come se mi trovassi in un posto al chiuso.

Fermo dietro al vetro mi muovo sui piedi smanioso, forte è la tentazione di spingere quella porta per avere le sue attenzioni. Resto rigido accanto al mio amico.

Mi piacerebbe che mi notasse nonostante la distanza, nonostante, sono certo, mi abbia già dimenticato.

«Oh cazzo, questo master non poteva capitare nel periodo peggiore.» Angelo si lamenta guardando l'orario al polso sinistro come se così potesse accelerare le lancette.

Io non stacco ancora lo sguardo.

«Ehi, tutto bene?» Posa il telefono in tasca.

«Sì.» Mi costringo a guardare altro.

Riprende a camminare e io devo arrendermi e seguirlo. Non so perché non sono più tornato in quel posto. Forse ho avuto paura.

«A quanto hai detto che è tua moglie?» Guardo ancora all'interno del pub anche se non rallento il passo. La figura sinuosa si avvicina alla vetrata fino a fare perdere un battito al mio cuore ma il mio collega aumenta il ritmo e ben presto non vedo più il mio riflesso sul vetro immacolato.

«Agli sgoccioli del sesto mese.» Sospira.

«Certo sarà dura?» Cerco di togliermi dalla testa lo splendido corpo che cattura tutti i miei pensieri da giorni.

«Sono qui da un mese appena e già inizia a lamentarsi, come se a me non pesasse.» Impreca tra se e sé.

«Beh, non la puoi biasimare, per chi rimane è sempre pesante.» Gli faccio presente guardando l'ora sul telefono.

«Sì, è vero. Ma io sono molto innamorato e lei lo sa?» Il tono solenne non mi dà dubbi che sia vero.

A quelle parole lascio andare la mia fantasia e mi volto a guardarlo. Cerco di placare la voce interiore che vuole condurmi dentro quel locale.

«Da quando state insieme?» Nella mia domanda c'è la volontà di capire, di capire cosa può legare in maniera così unica una donna e un uomo e Angelo mi sembra la persona giusta. Ho il desiderio di capire questo sentimento che io sono certo di non aver mai provato.

«Da cinque anni. Abbiamo molto desiderato questa gravidanza.» Si ferma un attimo titubante se continuare ma alla fine mi reputa all'altezza delle sue confidenze. «Purtroppo, non è stato facile, abbiamo vissuto due perdite e sinceramente ero pronto a lasciar stare ma poi è accaduto il miracolo.» Sul suo viso appaiono due solchi sulla fronte, per poi scomparire al sorriso che non riesce a trattenere. «Non volevo più venire. Lei è più importante di qualunque cosa ma era una vera occasione per la mia professione. Ha anche insistito lei stessa.»

«E ora si lamenta.» Preciso.

«Già.» Si arrende.

Scoppiamo entrambi a ridere.

«Le donne sono sempre state un mistero per me.» Il mio sguardo si perde lungo il marciapiede. «Dicono una cosa mentre ne pensano un'altra o ben peggio mentre ne vorrebbero un'altra.» È stato il problema con tutte le mie ex. «Non riesco a fare i conti con questo loro modo di fare.»

«Sì, hai ragione su tutto, ma quando è quella giusta, diventa sopportabile.» Mi colpisce alla spalle rincuorante.

«Sarà per questo, allora.» Continuo convinto. «Che sono single.»

«Sicuramente, un problema in meno.» Mi dà ragione.

«Ti dico solo che con mia sorella non riesco a finire una chiamata senza che lei non mi gridi contro.» Scuoto la testa. «Ripeto non le capisco.»

«Imparerai, come tutti noi che ogni sera varcano la porta di casa sperando di trovare la versione amorevole della donna che abbiamo voluto.»

Non è affatto incoraggiante.

«Non sei proprio da stimolo a lasciarmi andare a un legame.» Storico la bocca.

Ride molto divertito.

«Quando è quella versione che ti accoglie non c'è scopata fugale che la può vincere., amico mio. Ti si aprono le porte del paradiso. E cazzo, se non sei felice che sia solo tua.» La sua espressione sorniona e compiaciuta mi dice molto più delle sue parole.

Non ho altro da aggiungere e non potrei neanche perché siamo davanti al mio portone.

«Allora ci vediamo per le venti.» Alza la mano e proseguo dopo il mio assenso con il capo.

«Mi scusi può tenere l'ascensore aperto?» Mi precipito all'interno. Odio dover aspettare quell'aggeggio. «Grazie.» Ringrazio per poi alzare il viso verso la mia destra.

La giovane donna della prima sera, mi guarda arrossendo.

«Si figuri.» Scuote leggermente il capo.

«E il cagnolino?»

Mi osserva confusa ma poi sembra capire la mia ilarità.

«Pepe, mi aspetta a casa.» Il suo tono cambia e io sono certo che stiamo flirtando entrambi e non so se sia una buona idea ma non mi dispiace affatto l'idea di conoscerla meglio. Non ho assaporato la perfezione dell'amore ma il sesso non mi dispiace affatto.

«Sono Christopher.» Allungo la mano verso di lei.

«Alice.» Ricambia la stretta e sorridiamo entrambi.

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