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Capitolo 71

Tara

La mia voce trema, nonostante la mia volontà sia quella di non mostrare sentimenti. Stringo le labbra per trattenere le lacrime. Quel lieve contatto che ha creato mi conforta più di qualunque parola, o gesto abbia fatto chiunque altro, mi accarezza ed è troppo per me, mi tiro indietro costringendo me stessa a quella solitudine che ho deciso essere il mio futuro, non posso farlo sprofondare con me.

Quando mi volto verso di lui, porto i capelli indietro e alzo il mento pronta a fronteggiarlo, a recitare ancora una volta, forse pronta a mettere in scena la finzione più importante fino a oggi, ma non trovo il suo sguardo, il suo capo è sempre chino e questo mi fa vacillare.

Lo osservo restando in silenzio, la schiena curva e le mani che si stringono in un pugno mostrano i suoi pensieri più di mille parole. Il dolore è lì: nelle sue spalle rigide, nel respiro pesante, nel labbro stretto fra i suoi denti, in quella percezione fisica che ho di lui come se fosse parte di me.

«Ti ha picchiata?» Riporto lo sguardo al suo viso, colpita più che dalla sua richiesta dal tono della sua voce, talmente profondo da fare paura e poi i suoi occhi, sono talmente cupi da apparire neri.

Rimpiango quell'azzurro limpido e sincero che mi ha stregato fin dalla prima sera e talmente uguale al suo essere da stupirmi ancora.

Il suo sguardo è fisso nel mio, lo sento scavare, ancora una volta, cercare, con insistenza, le risposte silenziose, quelle che non ho il coraggio di dargli, quelle fatte dalle cicatrice che quel mostro ha lasciato in me.

Apro la bocca e la richiudo. Lui muove un passo, poi un altro, ancora uno e finalmente è intorno a me.

Il suo profumo, il suo calore, inaspettato sento nel mio petto un rimbombo è il mio cuore che riprende a battere, come se quel giorno si fosse fermato e solo ora avesse il coraggio di ricominciare a vivere. Sorpresa, sento quasi dolore non me ero neanche resa conto.

Resto rigida, chiudo gli occhi e cerco di resistere. Non cedere Tara, mi ripeto nella testa.

Vorrei impedirmi di sentire il suo corpo contro il mio, di provare sollievo, di alzare le braccia a circondargli la vita, di stringere la sua maglia fra le dita fino a sentire dolore, fino a non sentirle più, fino a non sentire più niente, ma non ci riesco.

«Sarei dovuto restare. Avrei dovuto proteggerti.» Si rammarica parlando fra i miei capelli ancora umidi e facendomi rabbrividire. Una sua mano e sul mio capo, l'altro braccio stringe la mia vita fin quasi a sollevarmi.

«Non è colpa tua.» Bisbiglio per consolarlo anche se non ho la forza di parlare al momento, ma non voglio che pensi questo.

«Sì.» Il monosillabo vibra di rabbia. «Sì, che è colpa mia.»

Scuoto la testa.

«Ti ho delusa. Capisco che era per questo che non volevi vedermi.» Congetture del tutto sbagliate escono dalla sua bocca facendomi innervosire.

«Sei impazzito? Davvero credi questo?» Sbotto tirandomi indietro e l'espressione del suo viso mi conferma che lo pensa veramente. Faccio un respiro e mi dirigo verso il divano dove mi siedo subito, una gamba sotto il sedere e l'altra che si alza e abbassa velocemente mostrandogli il mio stato d'animo.

«Cos'altro dovrei pensare? Se non fosse così questo il motivo saresti dovuta venire da me.» Sembra serio quando si siede accanto a me portando la schiena sulla spalliera e alzando il viso al cielo con gli occhi chiusi in cerca non so di quale risposta.

Mi viene quasi da ridere.

«Davvero, non ti è chiaro il motivo?» Mi giro verso di lui che inclina il capo per guardarmi meglio e poi lo muove a destra e a sinistra mostrandomi che no, non lo capisce.

«Sono giorni che mi interrogo e non capisco, non capisco perché mi hai tagliato fuori. Io ero lì per te e sono qui per te.» Sembra stanco.

«Chris, che avrei dovuto fare? Io, io mi vergognavo e mi vergogno.»

«Questa è una cazzata.»

«No, che non lo è. Sono una codarda. Hai capito una codarda.» Lo sfido a dire altro. «Fino a oggi ho solo cercato giustificazioni al suo comportamento, ogni santo giorno mi sono data la colpa per non aver capito prima, per non averti ascoltato, per essere caduta nella sua trappola quel primo giorno a lezione quando mi ha fatto un complimento. E cazzo, vorrei solo poter tornare indietro e aprire gli occhi.»

«Non è colpa tua quello che è accaduto.» Si tira su e posa una mano sulla mia guancia, il suo viso si avvicina al mio speranzoso che io gli creda.

«Mi faccio la doccia tre volte al giorno per quando mi sento sporca.» Una lacrima scivola a bagnarli il palmo. « A questo punto non so cosa importa e a chi importa sapere di chi è la colpa.» Stringo le mani sul ventre.

«Deve importare a te. Non sei sporca.» Mi abbraccia ancora una volta. «Non sei sporca. Sei perfetta come quando ti ho conosciuta. Questo non può cambiare chi sei.»

«Come puoi dirlo?» Un mio singhiozzo fa aumentare la sua stretta. «Non ho più un futuro. Ho paura di incrociare un ragazzo per strada. Ho paura che gli altri sappiano cosa è accaduto. Non sono più niente.»

«Ascoltami.» Le sue mani incorniciano il mio viso e mi invitano a guardarlo negli occhi. «Non è la prima difficoltà che affronti, non è la prima cicatrice, non sarà questo a fare sparire la donna di cui mi sono innamorato. Troverai un nuovo futuro. Capirai con più accortezza di chi puoi fidarti in futuro. Sarai una nuova versione di te, altrettanto meravigliosa, ne sono certo.»

Come posso ascoltarlo e non credergli. È talmente sincero, sicuro di sé stesso che sento le mie di certezze vacillare pronte a cadere.

«Avevo paura a guardarti in faccia e dirti di tutto questo. Non volevo vedere lo sdegno nei tuoi occhi.» Gli confesso.

«Questo non accadrà mai.»

Purtroppo ho ancora una confessione da fargli e sento il peso ripiombare sul mio stomaco.

«Mi dispiace tanto.» Scuoto la testa e poggio le mani sui suoi polsi invitandolo a lasciarmi libera. «Io potrei essere incinta.»

Vedo la sua pupilla tremare, ma devo continuare.

«Oggi avrei dovuto ripetere l'esame, ma non ho fatto in tempo perché, perché ho incontrato la preside e con lei c'era Walter.» Al suono del suo nome lo vedo stringere la mascella. «Non è andata molto bene, ma ormai poco importa.»

«In realtà importa, ma prima ti propongo di andare insieme al mio ospedale domani. Se sei d'accordo?» Dolcemente mi stringe la mano fra le sue.

«Vuoi farlo davvero?»

Annuisce.

«Tara, so che ci conosciamo da poco e non abbiamo avuto molto tempo per realizzare appieno i nostri sentimenti, ma io non ho mai, mai provato niente del genere per nessun'altra e voglio starti vicino. Lo farò qualunque cosa accada.»

«Non posso permettertelo. Non voglio rovinarti la vita.» Porto le mani ai capelli che aggiusto dietro le orecchie.

«Nessuna vita rovinata. Sono adulto e so cosa significa tutto questo, ma se tu mi vorrai io sarò accanto a te.»

Come vorrei accettare incondizionatamente, ma non posso.

«Ci penserò.» Gli dico accarezzandogli il viso. «Grazie, sarebbe confortante andare con te.»

«Ne sono felice.» Finalmente lo vedo sorridere e di riflesso lo faccio anche io ed è una sensazione meravigliosa che pensavo di non provare mai più è speranza.

Un leggero movimento da parte sua e i nostri visi non sono più distanti, ma troppo vicini.

«Fermami, se non vuoi.» Il tempo rallenta, i nostri occhi si incollano e io mi ritrovo a desiderare quel contatto più di qualunque altra cosa. Resto immobile, ferma. «Bene.»

Lo spazio si annulla e un dolce calore rinasce in me.

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