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Capitolo 37

Chris

«Tara...» Mormoro nel buio arreso al suo pronto. Mi metto seduto e resto in attesa.

Quando il telefono ha iniziato a suonare dormivo sul divano. Certo fosse Alysia mi sono affrettato a cercarlo, ma al nome che lampeggiava non ero preparato. Ne ho provato piacere? Certo.

Mi sono ritrovato sul divano con il cappotto ancora indosso, la testa che mi scoppiava e quella dannata chiamata a svegliarmi. L'ho ignorata.
Lentamente mi ero trascinato in cucina in cerca di una Moment e di un bicchiere d'acqua, incurante della melodia che mi seguiva a ogni passo dalla tasca.

La bevanda fredda mi ha dato un po' di sollievo, ma non il coraggio di rispondere. Restai fermo con la mano ad accarezzarmi il capo appoggiato al ripiano e, ovviamente, con la testa subito a lei che usciva dal locale con un altro.

Innervosito dal suono e dalle immagini posai il bicchiere nel lavello, spensi la luce e me ne andai a letto. Non avevo voglia di pensarla con lui questa sera.

Mi stavo spogliando quando finalmente la suoneria si arrestò e prima di stendermi recuperai il telefono dal cappotto per posarlo sul letto accanto a me. Mi distesi portando le mani a coprirmi gli occhi e dopo una lunga lotta con me stesso premetti quel maledetto tasto di chiamata.

Il fastidio che mi bruciava in petto e il malsano bisogno di sentirla.

«Pensavo dormissi.» La sua voce è strana, un po' rauca. Si schiarisce la gola per parlare e il tono sembra più felice. «Io... Grazie per avermi richiamato.»

Mi mordo l'interno della bocca, ma non riesco a trattenere la rabbia che ho dentro.

«Cosa stiamo facendo Tara?» duro vado al punto che mi fa soffrire.

Il suo respiro vacilla e odio quel telefono che ci divide. Vorrei vederla in viso. Vorrei capire dalla sua espressione cosa prova.

«Ti ho chiamato perché volevo chiederti di vederci domani in tarda mattinata. Magari mangiamo insieme.» Speranzosa mi fa quell'invito che mi mette in confusione, mi tiro su a sedere, ma non accendo la luce.

«Perchè sei andata via con lui stasera e ora mi dici questo?» Ho bisogno di capire, non ho intenzione di continuare questo giochetto delle chiamate notturne.

«Dovevamo chiarire. Non potevo non andare.» La voce le si spezza. «Avrei voluto...»

Solo scuse.

«Cosa? Io non capisco Tara, cosa vuoi?» Continuo ad attaccarla.

«Perchè fai così? Che significa cosa voglio?» Si agita anche lei e immagino i suoi capelli finalmente sciolti che si muovono al movimento del suo capo. Cazzo, come vorrei affondarci la mano.

«Dovevamo parlare io e te, o sbaglio? Perché sei andata via così?» Insisto, trattenendo il desiderio per lei.

«Te l'ho appena detto. Mi dispiace averti lasciato là, ma dovevo farlo.» Anche il suo tono cresce di intensità.

«Perché lui è più importante di tutti, vero? Cazzo, non vedi che uomo è? Quando c'è di mezzo lui non capisci più niente.» Forse non avrei dovuto richiamarla, non sono disposto ad altri giochetti. Ho immaginato il momento per noi per tutta la sera ed è stato così frustrante vederla andare con lui.

«Ma se sono qui a parlare con te!» Infastidita mi sottolinea ciò che in realtà mi brucia dentro.

«Non è la prima volta che parliamo e poi devo vederti andare via con lui. Che significato devo dare a tutto questo.» Mi spazientisco. «Cazzo!»

«Anche tu eri con un'altra ieri sera?»

Sento subito che si mette sulla difensiva.

«Ah. Perché è la stessa cosa, vero? Dio, Tara, come hai fatto a ridurmi così?» Non resisto più costretto sul letto. Scanso le lenzuola e mi alzo. Cammino per la stanza buia con i piedi nudi sul freddo mattone. Mi sento in gabbia ed è la donna al telefono che l'ha costruita per me, con il modo non voluto con cui mi ha conquistato.

Il suo fiato nel mio orecchio mi fa chiudere gli occhi. Se solo fosse più semplice farei di tutto per lei.

«L'ho lasciato.» Decisa mi lancia quella bomba nel cuore della notte e io esplodo, proprio come lei voleva.

Per un attimo tutto sembra scomparire, non riesco neanche a parlare. Mi blocco al centro della stanza con gli occhi e la bocca spalancati. Un calore si spande nel petto ed è lì che porto la mano.

«Io non potevo più stare con lui.» La forza delle sue parole mi fa tremare.

«Dove sei, Tara?» Mi affretto a cercare i vestiti. Sembro fuori di testa allora, mi fermo un attimo e con un sospiro cerco di calmarmi.

«Dove sono? Sono a casa, dove dovrei essere. Credi che ti chiamerei se fossi da lui?»

«No, intendo, mandami la posizione precisa non vorrei vagare tutta la notte a cercare casa tua.»

«Casa mia?» Capisco si senta confusa lo sono anche io, ma è più forte di tutto il bisogno di vederla che provo in questo momento.

«Sì, non sono certo di ritrovare la via.» Sono troppo agitato e non conosco bene questa città.

«Vuoi venire qui?» Le trema la voce, non vorrei aver frainteso.

«Tu non vuoi?» Mi fermo dall'indossare i pantaloni e mi siedo sul letto. Non vorrei illudermi ancora.

Ripiombiamo entrambi nel silenzio. So cosa le ho chiesto ed è ovvio che io la desideri, ma lei, lei a che punto è. Si è appena lasciata con quel viscido, ma non lo ha fatto per me.

«Sì, lo voglio.» È un bisbiglio il suo, ma per me ha la forza di un urlo.

Riprendo a vestirmi immediatamente, desidero solo di vederla adesso.

«Dammi venti minuti.»

«Okay.»

Riattacco e subito il suono di un messaggio mi fa sorridere.

Bè non può che essere una follia ciò che sto facendo, ma mi rendo conto che con lei niente è normale.

Afferro la giacca, le chiavi e il telefono e finisco di vestirmi in ascensore. La notte è talmente fredda che sento i miei denti sbattere. Guardo a destra e a sinistra in cerca di un taxi, guardo l'ora nel telefono e se non troverò niente in un paio di minuti sono disposto a farmi tutta la strada a piedi. L'idea non mi fa impazzire perché ci vorrà tempo e io non ne ho più, voglio lei adesso.

Sono pronto a iniziare la mia camminata quando due fari mi fanno alzare di colpo il braccio verso l'alto. Ringrazio Dio per il regalo e mi affretto a salire, do le indicazioni e inizio ad agitarmi sul sedile posteriore senza motivo visto che la strada è libera e l'autista va piuttosto veloce.

Riconosco appena i posti mentre guardo avanti stringendo i palmi sulle cosce.

E se se ne pentisse?

«Manca molto?»

«No, signore. Siamo arrivati.» L'auto si ferma e io saldo subito il conto con una mancia in più.

Guardare il suo palazzo al buio mi riporta alla prima sera in cui abbiamo passato del tempo insieme. Se non fosse stato inappropriato l'avrei baciata già quella volta.

Davanti ai campanelli arresto la mano per prendere subito il telefono.

«Chris!»

«Sono qui.» Le dico nella strada completamente desolata.

«Sei venuto davvero?» La sua voce sembra sorpresa come se non fosse abituata a questi tipi di gesti.

«Non potevo aspettare.» Infilo una mano in tasca, la luce della scala si accende e il portone si apre.

Spingo la porta e la richiudo alle mie spalle.

«Non ti chiedo niente Tara, ma avevo bisogno di vederti.» Osservo l'ascensore, non mi ha ancora detto il piano. La luce rossa di occupato si accende e io resto vicino alla reception del portinaio.

«Tu vuoi davvero che io sia qui?» Non stacco gli occhi dalle vetrate che mi mostrano le catene salire verso l'alto.

Solo il suo respiro mi fa capire che è ancora al telefono, perché non ha più parlato. Non capisco se questo sia un buon segno, non la conosco abbastanza ma sono abituato ai suoi silenzi.

«Tara?»

«Sono confusa Christopher.» Le sue parole mi fanno tremare. «Non ti conosco neanche.»

L'odore del deodorante per ambienti mischiato a quello dell'umidità mi infastidisce. Ancora una volta mi sento impotente, sono a un passo da lei, ma sempre lontano.

«Tara...» non so che dire è la verità, ma mi sento così bisognoso di una certezza che non sia tutto un sogno. «Sono qua solo perché voglio sapere se è vero che ho una possibilità.»

Le porte si aprono mostrandomi il frutto dei miei sogni. Il fiato mi si mozza e lentamente riunisco le labbra mentre guardo ogni dettaglio del suo volto spaventato, del suo corpo minuto avvolto in una tuta, dei suoi capelli ricci finalmente liberi dalle costriziono e poi i suoi occhi, mi incatenano a lei definitivamente. Sono pieni di paura, bisogni, sentimenti e di desiderio.

Abbiamo ancora il telefono all'orecchio.

«Perchè vuoi perdere tempo con me?» il suo capo si inclina mostrandomi tutta la sua fragilità e io non resisto più.

Infilo il telefono velocemente in tasca e in poche falcate sono da lei. Le incornicio il volto con le mani e appoggio la mia fronte alla sua. L'odore del suo alito alla menta e le sue labbra appena schiuse mi mandano fuori di testa.

«Io non perdo tempo con te.» La mia voce è talmente roca e bassa che sembra graffiare l'aria. I suoi occhi si chiudono. «Io voglio te. La splendida donna che sei. Lascia che io te la mostri.»

La sento tremare fra le mie braccia. Le porte dell'ascensore si chiudono mentre noi ce ne stiamo fermi. Le sue mani afferrano il mio cappotto all'altezza della vita. La sento stringere la stoffa. Le accarezzo il mento, le guance in attesa.

Respiro il suo profumo e la sento, la sento dentro la pelle nonostante ci tocchiamo appena.

Anche la luce si spegne e allora anche io chiudo gli occhi godendomi il suo respiro e il mio sincronizzati nell'emozione di essere insieme.

«Mi viene difficile.» Bisbiglia.

Spingo la fronte sulla sua.

«Non ti farò del male.» Sento il cuore stringersi alla sua insicurezza.

Si allontana leggermente da me per permettermi di guardarla. Al suo movimento la luce dell'ingresso si riaccende.

I nostri occhi si legano e io resto incantato dell'oscurità che vedo in lei. Mi sento sull'orlo di un vulcano e quel buio è una tentazione sempre più grande e lotto con il desiderio di cedere.

«Tara...» Dico disperato ma lei mi interrompe.

Le sue labbra si posano sulle mie, morbide, calde. Sorpreso schiudo le labbra e come la lava scivola fra i versanti così il nostro bacio si approfondisce accendendo tutti i miei sensi.

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