CAPITOLO 4
Mia madre non ha versato lacrima quando mi ha salutato e ha lasciato l'aeroporto. Sono rimasta abbastanza... sorpresa, quasi male. Per non parlare di mio padre: ha sfoderato uno dei suoi più falsi sorrisi e con la mano che continuava a salutarmi indietreggiava sempre più finché non è scomparso. Forse non ci dovrei pensare molto, alla fine è meglio una falsa allegria che lacrime forzate.
Dopo aver fatto il check-in e aver tirato un respiro di sollievo, mi dispongo in fila e tra i vecchietti parlantini e i bambini lagnosi, il tempo sembra non passare mai. Ad un tratto la mia attenzione viene attirata da un ragazzo a pochi metri avanti a me, molto affascinante e con un bel sorriso, un ciuffo che cade sulla fronte, indossa due orecchini e il suo giubbotto nero di pelle evidenzia la grande spalla e i muscoli notevoli. Non smette di fissarmi da venti minuti, ininterrottamente. All'inizio ho pensato che fosse stato un caso, ma adesso comincio ad avere paura del suo sguardo continuo. Non dico che mi dispiace, insomma... guardatelo! Però comincia ad infastidirmi. Allora inizio a muovere il sopracciglio in segno di irritazione, corrugo la fronte e continuo per qualche secondo ma comincio a sentirmi stupida. Divertito sfodera un sorriso perfetto a trentadue denti che notano anche le due ragazzine al suo fianco e rimango abbagliata. Credo che trovi ridicoli i miei segnali e decido di spostare lo sguardo altrove. Cazzo, già mi mancano i suoi occhi verdi, forse se incrocio il suo sguardo per l'ultima volta... Mi sta guardando ancora. Okay basta, non devo farci caso, sarà un pervertito di sicuro. Senza che me ne accorga i miei occhi ricadono su di lui e mi fissa ancora, con uno sguardo intenso come se volesse qualcosa. Cazzo, i miei battiti accelerano e mi sento così stupida...
Grazie al cielo è arrivato il momento di salire in aereo, mi controllano i biglietti e mi avvio verso l'Alitalia. Quel ragazzo è sempre più vicino a me, sembra quasi che stia rallentando la sua camminata per avvicinarsi, ma non voglio fare il suo gioco. È incredibile che io già stia guardando un altro, Richard non sarebbe fiero di me e non è giusto nei suoi confronti. Salgo sull'aereo, cerco il mio posto, B2, e sistemo la valigia. Fuori non è una bella giornata, il cielo è super grigio e credo che stia per piovere da un momento all'altro: avrò un attacco di panico, me lo sento. Ho viaggiato poche volte con la pioggia e ho sempre avuto l'ansia di farlo! Insomma, già siamo sospesi in aria in un piccolo aggeggio, imbattersi in un temporale non aiuta. Il sedile del mio vicino è ancora vuoto, spero soltanto con non sia un bambino, altrimenti comincerà con un milione di domande, proprio come l'ultima volta: "Perché ci sono le hostess? Perché ci sono le perturbazioni? Perché sei così agitata? Perché offrono sempre gli snack?"
Non ricordo che qualche gatto nero mi sia passato davanti questa mattina, ma il ragazzo pervertito si è appena seduto al mio fianco. Ha un profumo così buono, porca miseria. "Buon giorno bellezza! Credo stia per piovere!" Mi sorride e si avvicina al mio orecchio per dire quelle due parole. Ho sentito il suo fiato su di me, così caldo. Oh mamma! Lo guardo con aria impaziente, la deve smettere, non può fare così.
"Salve!" Rispondo con un duro tono, guardando il finestrino. Conosco questo genere di ragazzi: arroganti ed egoisti, credono di far innamorare tutte le ragazze con la loro stronzaggine e la loro sensualità. Ma su di me non funziona. Anche Richard era arrogante e spavaldo, ma lo era a modo suo.
Sento una piccola risatina uscire dalla sua bocca. Spero che stia cogliendo i segnali mentre sistema la cintura di sicurezza.
Il volo durerà 45 minuti circa quindi devo stringere i denti e ignorarlo. Se potessi smetterei anche di respirare, per evitare di sentire il suo profumo così provocante, ma non si può. Decolliamo e fin qui tutto bene. Dopo qualche minuto la hostess passa nel piccolo corridoio con il carretto per offrire tisane calde e snack. Il ragazzo mi guarda, mi sta scrutando: "Vuoi qualcosa piccola?" Cerco di non mollargli uno schiaffo. Ho capito bene o mi ha appena chiamata...? Okay questo è troppo. Rivolgendomi a Sara, la hostess le rivolgo un cordiale "No grazie" e appena si allontana da noi mi rivolgo a lui. "Senta, non la conosco e non ci tengo nemmeno a farlo. La prego di smettere di guardami costantemente e chiamarmi con questi nomignoli. Ma che vuole da me? La smetta!" Una vampata di calore cosparge il mio viso, sono diventata rosso fuoco, cazzo. Non per la rabbia, più per la vergogna: il suo viso è a pochi centimetri dal mio e mi sento ridicola per avergli dato del lei, come fosse un grande uomo. Mi osserva con quei meravigliosi occhi verdi e probabilmente non sa che dire, forse l'ho lasciato senza parole e per un attimo mi sento così forte. Ma quella sensazione sparisce all'istante. "Piccola, se credi sul serio che possa provarci con una ragazza facile come te"... Mi fissa la scollatura della maglietta. "... ti sbagli di grosso. Stavo solo cercando di essere gentile, ti vedevo smarrita all'aeroporto in mezzo alla folla. Non credere che io sia il principe azzurro che ti salverà. Per la cronaca mi chiamo Jim!" Mi fa un occhiolino e non cerca di trattenere una fragorosa risata. Mi ha appena considerata una facile... Sto per mollargli un ceffone, lo faccio eh, lo faccio. Cazzo, l'ho fatto. Il suono della mia mano contro la sua guancia rimbomba sull'aereo e le persone intorno a noi si voltano di scatto per osservare lo scontro sanguinoso. Ma si rigirano non appena vedono che si sbagliano. "Cazzo piccola, così mi fai eccitare!" Ride, ride ancora. È sul serio un pervertito, non ha senso dargli corda. Cerco di non guardarlo più, provo ad immaginare che non ci sia nessuno al mio fianco, ma è difficile farlo se appena il suo braccio muscoloso sfiora per caso la mia spalla destra sento un calore interno, che mi divora. Perché deve sempre capitare tutto a me?
Sono passati trenta minuti circa, manca poco. Il volo non è stato tranquillo, continue perturbazioni. Appena chiudevo gli occhi per tranquillizzarmi, il tipo, anzi Jim, appoggiava la sua mano calda sulla mia ed ero costretta a sottrarla subito, inviandogli sguardi assassini. Ma non sono serviti a niente perché ha ormai incollato quel maledetto sorrisino sulla bocca, sulle labbra carnose.
Ecco l'atterraggio, mi sento così sollevata. A Roma è una giornata nuvolosa, ma non piove. Corro per uscire da quell'aereo contenta di non dover vedere più gente indesiderata.
Sono all'interno dell'aeroporto e mi fermo per un piccolo snack prima di andare da Laura. Penso di mandarle un messaggio o di chiamarla, ma non faccio in tempo a pensarci quando mi accorgo di aver dimenticato il cellulare sull'aereo. Cazzo, cazzo, cazzo. L'avevo comprato qualche mese fa! Avevo tutti i contatti salvati, le foto con Richard, gli appunti universitari, e-mail importanti, avevo tutto. Mi siedo sullo sgabello del bar per qualche minuto prima di prendere un taxi e provo a respirare pazientemente, non mi va di svenire per l'agitazione. Come sempre tutto va male, sento la nostalgia di Richard e dei suoi occhi chiari, mi manca troppo e non so per quanto tempo riuscirò ad andare avanti. In quest'aeroporto è tutto un casino, non riesco a pensare poiché c'è troppo chiasso. Vorrei qualcuno da poter abbracciare adesso, qualcuno che mi consigli cosa fare. "Sono sola in questo mare di merda".
Ripeto così tante volte questa frase che credo me lo tatuerò sul braccio. Devo farmi forza e andare a prendere un taxi.
Mi dirigo verso l'uscita, quando Jim sembra venirmi incontro. Non è possibile! Vorrei menargli un cazzotto perché sta ridendo da quando mi ha visto... Non capisco cosa c'è di divertente, proprio non lo so. È a pochi metri da me e prima che cominci a parlare lo fermo. "Ma chi sei tu? Perché mi stai seguendo cazzo? Devo chiamare la polizia per caso?" Mette un dito sulle mia labbra per farmi smettere di parlare e ride, ride e ride... Sai che novità! "Ehi stai calma! Hai scordato il cellulare sull'aereo e ho pensato di riportartelo. Comunque mi piacciono le tue idee intriganti, tu sì che hai immaginazione piccola!" L'ennesimo occhiolino. Questa volta non faccio caso alle sue parole: non ho le forze necessarie per scatenare una rissa e sono così contenta di aver ritrovato lo smartphone. Faccio un gran sospiro di sollievo e sto pensando se dirgli grazie o mandarlo affanculo, ma questa volta opto per la strada della bontà. "Grazie Jim. Ti devo un favore!" Lo saluto con un accento con la testa, lui ricambia con la mano e mi dirigo verso un taxi fortunatamente fermo. Dopo qualche passo mi giro per vedere in quale direzione stesse andando, per un momento ho creduto che mi stesse seguendo! Ma vedo che è sullo sgabello dove c'ero seduta io prima: mi sta fissando. Mi volto nuovamente, con le guance in fiamme e salgo sul taxi.
"Dove la porto signorina?" Mi chiede con evidente noia, sfogliando una rivista di fumetti. Questa giornata è già andata una merda, non mi servono altri uomini sgarbati e arroganti. "Mi lasci in via Colombo. Grazie!" Sono le sette e mezzo, non so cosa farò per tutta la serata. È venerdì sera, quindi penso che me ne starò a letto con le foto del mio Richard strette sul mio petto e chiamerò i miei.
Venti minuti più tardi ero già arrivata di fronte l'ingresso del mio appartamento; sono un po' agitata, sono passati due mesi. Prendo le chiavi e mi dirigo al quinto piano, sperando che nulla sia cambiato.
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