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Una volta indossati i vestiti scelti da Vera mi sento completamente una nuova persona.
Non più la ragazzina che indossava le magliette rovinate che qualcun altro non aveva voluto, ma comunque altrettanto fragile.
In un certo senso non indossare più quei vestiti mi fa sentire nuda, ma oggettivamente è bello sentire della stoffa nuova sulla mia pelle, è un privilegio che fa inevitabilmente piacere avere.

Quando mi volto verso la cabina armadio, la mia immagine nello specchio attira subito la mia attenzione. Faccio per distogliere lo sguardo, ma qualcosa mi trattiene.
Io e Mia siamo così simili fisicamente che a volte penso di vedere lei quando mi guardo allo specchio.

Siamo entrambe così magre e pallide. La mensa dell'orfanotrofio non offre quasi mai cibo vario, e sempre di scarsa qualità. E a lungo andare gli effetti sul nostro aspetto sono evidenti.

I capelli, dello stesso castano scuro e freddo, omogeneo e senza alcun riflesso, sono leggermente ondulati nello stesso identico modo.
I lineamenti del volto sono da sempre dolci ed armoniosi, le sopracciglia piuttosto definite e lo sguardo intenso.

Mia dice spesso che i nostri occhi hanno due colorazioni diverse di verde, che i miei sono più tenui, ambrati, al punto che certe volte potrebbero sembrare castani, mentre i suoi sono spenti, sebbene abbiano una tinta più tersa.
Io non ci ho mai fatto caso e ho continuato a ritenerli identici.

Ma ora, forse, guardandomi allo specchio in una stanza piena di luce e non nel piccolo bagno dell'orfanotrofio, riesco a comprendere vagamente quello che vuole dire.
Quando Mia finisce di indossare i vestiti che ha scelto mi raggiunge accanto allo specchio.
Guardandoci in questo momento non faccio altro che accrescere il disagio che provo da stamattina.. Penso che non sembriamo nemmeno più noi, o almeno le noi di prima.
Forse è adesso che abbiamo l'occasione di essere veramente noi stesse, ma non è una cosa che sarò in grado di capire su due piedi, così cerco di non pensarci più e faccio cenno a Mia di andare al piano di sotto.

David e Vera si sforzano visibilmente di non fissarci mentre scendiamo le scale, ma Vera è troppo entusiasta nel vedere che abbiamo addosso i suoi capi preferiti e non riesce a trattenersi dal dircelo.
"Cosa vi va per pranzo?" chiede cambiando discorso "potremmo fare un salto al supermercato per cucinare qualcosa di speciale"

Guardo Mia che mi fissa con aria supplichevole e so già cosa vuole sentirmi dire.
"Mia adora i ravioli" la accontento, e posso sentirla fremere accanto a me.
Mia non adora i ravioli, lei li venera.
La mamma li preparava ogni domenica e noi l'aiutavamo sempre a farcirli.

Il ricordo di lei con il suo grembiule colorato mentre li chiudeva ai bordi è come un appiglio nei nostri momenti più tristi.
Ecco perché, fossi in Mia, avrei scelto di mangiare tutt'altro.
Il mio desiderio è quello di superare il nostro passato, non certo di riviverlo.

Ma questo Vera non lo sa, così approva la nostra idea e usciamo di nuovo tutti al suo seguito.
Salgo di nuovo in auto, ancora con un nodo in gola, ma stavolta mi sforzo di non crogiolarmi nei miei pensieri e di partecipare alla conversazione.
Vera sta raccontando a Mia della ricetta di sua nonna per cucinare i ravioli, informandola di ogni piccolo trucchetto di cui è a conoscenza per far sì che siano impeccabili.
Le spiega come capire se l'impasto è pronto e come regolarsi a seconda della sua umidità, mentre lei ascolta e prende appunti mentali.

Nonostante tutto il disagio che ho in corpo, in questo momento non posso fare a meno di apprezzare Vera e i suoi modi gentili.
E David è ancora meglio, visto che sa anche stare in disparte mentre fa ridere Mia con i suoi commenti sui discorsi della moglie.
Arrivati al supermercato il mio turbamento si stabilizza e mi dà un po' di tregua.
"Dobbiamo prendere il carrello" dice Vera indicando la fila di cestini di plastica dal manico arancione, situata una decina di metri più in là.

"Vado io" esclamiamo io e David in coro, così ci ritroviamo entrambi sulla strada verso i cestini.
"Sembrano entrambe contente" commenta indicando con la testa Vera e Mia dietro di noi, mentre ci allontaniamo.
Annuisco d'istinto, ma poi mi rendo conto che il silenzio intorno a noi sta diventando imbarazzante, perciò aggiungo: "Già, non potevamo desiderare di meglio".

Lui sembra davvero felice di sentirmi dire quelle parole, così torniamo dalle ragazze trascinando con noi uno dei cestini.
Dopo una buona mezz'ora usciamo dal supermercato e torniamo a casa con tutti gli ingredienti necessari.

Durante il tragitto ho scoperto che fare i ravioli è davvero facile, o almeno lo sembra.
Un altra mezz'ora dopo, infatti, dopo aver assemblato il mio primo raviolo, mi rendo conto che sembra una caccola in confronto a quelli perfettamente lisci di Vera e Mia.

"È orrendo" constato leggermente divertita.
Mia e Vera  si scambiano uno sguardo preoccupato.
"Perché non vai in giardino a goderti questa bella giornata?" propone Mia con disinvoltura, come se non sapessi che lo fa solo per salvaguardare la riuscita dei suoi ravioli.

Annuisco facendo finta di niente, ma mentre varco la porta riesco a sentirle mentre ridacchiano.
Quando oltrepasso la soglia un'ondata di calore mi attraversa, al punto che riesco a sentire subito la mia fronte imperlarsi di sudore.

Intravedo David seduto su una sedia all'ombra accanto ai geranei colorati, con il computer sulle ginocchia.
Mi guardo intorno per qualche secondo, ma quella mi sembra la sistemazione più fresca che riesco ad individuare. Mi faccio coraggio e mi avvicino a lui.
"Non voglio disturbarti" preciso sedendomi sulla sedia accanto alla sua "ma fa troppo caldo al sole"

Quando alza lo sguardo dal computer è evidentemente felice di vedermi. Credo ci sia una bella sintonia fra noi quattro, se non altro basata su una simpatia reciproca. Ma infondo so bene che, almeno per adesso, dietro questa felicità apparente c'è solo un profondo imbarazzo da entrambe le parti.

"Non mi disturbi affatto" replica chiudendo il computer "avete già finito i ravioli?"
"Mi hanno mandato via" confesso in una mezza risata "a quanto pare non sono in grado".
David ridacchia insieme a me per qualche istante.

"Stavi lavorando?" chiedo indicando il computer con il mento. Lui annuisce stringendo le labbra.
"Ora che ci penso so che Vera è una giornalista, ma tu che lavoro fai?" chiedo incuriosita.
"Sono un avvocato" risponde.

"Forte" borbotto annuendo senza sapere cos'altro aggiungere.
Devo ammettere che è proprio il lavoro che mi immaginavo per lui.
"Che c'è, pensi a tutte le bravate che potrai fare con un avvocato in famiglia?" scherza voltandosi verso di me.

"Oh no" mi affretto a rispondere "non mi piace combinare guai".
"Lo so" replica scuotendo impercettibilmente la testa "siete due brave ragazze".
Bene, mi fa piacere che se ne sia reso conto. Non che ci voglia tanto, comunque, per capire che io e Mia non faremmo male nemmeno ad una mosca.
Però David ha ragione, avere un avvocato in famiglia può essere molto vantaggioso.
Per esempio potrei chiedergli di dare una mano a Martin, quando lascerà l'orfanotrofio.
Sto iniziando a valutare se parlargliene o meno quando Mia ci interrompe per dirci che i ravioli sono pronti.

Il pranzo finisce in fretta, e devo ammettere che i ravioli sono squisiti, così li divoro in pochissimo tempo. La mensa dell'orfanotrofio sembra solo un lontano ricordo quando la dolcezza del ripieno alla ricotta mi fa andare in tilt le papille gustative, e io sono più che felice di potermela lasciare alle spalle.
Dopo pranzo Vera ci convince ad andare a fare shopping con lei, ma deve insistere parecchio visto che io e David ci rifiutiamo per via del caldo.
Alla fine è Mia a convincermi, e ci ritroviamo tutti e quattro in centro a girovagare per ore.

Con mia sorpresa scopro che le strade del centro mi sembrano praticamente sconosciute, e attraversarle non mi fa nessun effetto. Dev'essere passato troppo tempo dall'ultima volta che siamo state qui, o forse semplicemente non le associo a momenti particolarmente speciali. Al contrario, le persone intorno a me mi davano l'impressione di soffocarmi. Mi rendo conto di non essere più abituata a stare in mezzo alla gente, e mi sento così a disagio che mi prometto di non uscire più almeno per un po'.

In compenso, quando torniamo a casa siamo così stanche che non vogliamo nemmeno sentir parlare di alzarci. Gettiamo i sacchetti sul pavimento della nostra camera e ci tuffiamo entrambe su un unico letto. Aiutiamo Vera a preparare la cena, poi io e Mia saliamo in camera per sistemare gli acquisti del pomeriggio. Dopo questa prima giornata con la nostra nuova famiglia il clima è decisamente migliorato, perfino più in fretta di quanto pensassi.

Un'oretta dopo Vera viene a trovarci in camera nostra per vedere come ce la passiamo. Si siede sul mio letto, anche lei esausta dopo il pomeriggio passato a girovagare nei negozi.
"Com'è stata questa prima giornata da Ferretti?" chiede abbozzando un sorriso. L'entusiasmo che ha mostrato per tutto il giorno sta venendo rimpiazzato a poco a poco dalla stanchezza.

Mia chiude le ante della cabina armadio e va a sedersi accanto a lei.
"È stata bellissima, davvero" risponde prendendole le mani nelle sue "grazie".
So che non ha bisogno di mentire, perché è davvero così. Questa casa è più di quanto avessimo potuto desiderare, e Vera e David sono due persone meravigliose.

"Mi fa davvero molto piacere" replica con la voce commossa "per noi siete già parte della nostra famiglia"
Quando vedo i suoi occhi diventare lucidi mi avvicino e poso la mia mano sulle loro, ancora strette insieme.
"È così anche per noi" le dico. I suoi occhi castani diventano subito lucidi dopo aver sentito queste parole, e giurerei di vederla stringere le labbra per trattenere le lacrime.

"Vogliamo solo il meglio per voi, ne avete passate così tante" aggiunge guardando prima Mia e poi me.
Adesso sono io quella che minaccia di piangere, e Mia dev'essere nella mia stessa situazione. Nonostante gli anni trascorsi, non mi vergogno di dire che il nostro passato rappresenta ancora un tasto dolente per entrambe.
Ma poi mi rendo conto che Vera deve conoscere almeno in parte la nostra storia, per dire una cosa del genere. Ma noi non gliel'abbiamo mai raccontata. La signora Falchi le ha parlato delle ragazzine senza madre lasciate davanti al Santa Lucia dal padre alcolizzato? Che idea si è fatta di questa storia? Che idea si è fatta di noi? È quella giusta? C'è solo un modo per assicurarci che sia così.

Quello che decido di fare mi spaventa da morire, ma in fondo ho sempre saputo che era necessario.
Così faccio un respiro profondo e mi preparo a raccontare ad alta voce la storia di come siamo diventate orfane.

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