46 Odio e verità
Sono una Russa di merda, questa è la rivelazione che mi ha fatto David, e che si è impressa sulla pelle come il peggiore dei marchi. Già...
Al diavolo la Cecoslovacchia e la mia terra!
Io sono una russa, punto.
È ciò che mi è stato appena confessato, ahimè, ed è quello che in parte gli altri, a cominciare da Andrej, hanno tentato di dirmi, in ogni maniera...
Ma io nulla, non ho mai voluto afferrare.
Tu non sai neanche chi sei.
Ed era vero. Io non lo sapevo, non l'ho mai saputo, Andrej, e faccio fatica ancora adesso, a pensare, a dare una spiegazione a questa rivelazione. Ma non è una bugia, perché la verità è negli occhi compassionevoli di Piergi, e nella pietà di suo fratello: posso vederla, persino toccarla.
E la mia vita? Che ne era stata? E come sarebbe andata? Una menzogna: avevo vissuto nella bugia.
E ora non esisteva più, o, almeno, non sapevo dove si fermasse la verità e dove iniziasse la finzione. Mia madre mi aveva concepito con un russo, quel russo, il soldato in uniforme?
Povera me, povera Rose! Faccio pena anche a me stessa.
Il solo pensarci mi provoca una fitta forte nel petto ed equivale
a rinnegare - che dico? - tradire mio padre. Il mio dolce papà.
Immaginare che lui non sia quello che ho sempre creduto che fosse, mi toglie il respiro. Mi sento svenire, le gambe non mi reggono.
Così sono pietrificata. La gola secca, il cuore infranto.
Ma prima che abbia il tempo di chiedere, di provare a parlare, David mi afferra per le guance. Leggo tutto il suo odio.
Serro le palpebre perché percepisco che lo spettacolo non è ancora finito: deve venire il meglio.
«Sì, osservatela», ringhia, pulendosi con un lembo della maglia il labbro spaccato.
«Si sono presi tutto, la nostra libertà, i nostri diritti e anche le nostre donne.»
Pare un monologo. E fa male.
«Falla finita!», dice un Andrej impotente, e per un istante ho la sensazione che lui stia piangendo.
Impossibile, mi dico.
Impossibile per uno come lui.
David è accecato, dalla rabbia e dal dolore. Posso osservare il suo petto sollevarsi a ritmi sostenuti.
Si alza un vociare, sommesso, e io sono sbigottita, arrabbiata, per non essere stata più furba, per non aver capito un bel niente.
«E se ho perso mio padre, se mia madre è sola, è perché gente come lei esiste al mondo», continua il malvagio.
Sgrano gli occhi, estremamente colpita.
Ho pena per lui, ma cado sopraffatta sulle ginocchia, perché, nonostante tutto, avverto il peso di una colpa che non ho: ne sono completamente schiacciata. Eppure è così, come se fossi davvero responsabile, come se mi fossi macchiata di un crimine mai commesso.
Il cuore, colpito, pulsa. Avverto tutto il calore alle tempie.
Ma è colpa mia, sì, forse lo è, per qualche strano motivo, perché è così che qualcuno ha deciso, ma tento ugualmente di difendermi, sebbene non debba farlo, perché non ho commesso sbaglio alcuno, perché io sono innocente, vittima solo di un sistema perverso, intrappolata in una ragnatela di fandonie, responsabile soltanto di provenire da un popolo a cui non sento minimamente di appartenere.
Nala si avvicina, e mi guarda, mentre Andrej mi aiuta ad alzarmi.
«Andiamo via», mi dice benevolo. Lo sento vicino, come non mai. Mi stringe a sé, e io lo guardo incredula negli occhi.
«Sei una delusione. Tu, con lui. Come hai potuto?» irrompe Nala, frapponendosi tra noi.
«Io mi fidavo. E invece tu ti sei presa gioco di me, come di tutti del resto. Ti sei fatta tuo fratello, ma la cosa più grave che è avvenuto a mia insaputa. Ti sei divertita alle mie spalle? Che persona sei?» incalza imperterrita, con una spavalderia che non le appartiene. È calma, eppure io lo vedo, il risentimento. Pare trasudare dai suoi occhi.
Per un attimo guardo Andrej. Mi vergogno, perché ora anche lui sa. Ma voglio dire la mia, ugualmente. Ebbene sì, desidero farlo, perché non era mia intenzione ferire nessuno, tantomeno Nala.
«No, ascolta, io...»
«Chiudi quella bocca maledetta», mi ordina.
Nala è delusa, affranta, ma la cosa più agghiacciante è che posso leggerle nell'animo un odio indescrivibile. Mi guarda come se avesse davanti la peggiore delle bestie - che dico?- il più insignificante degli insetti. Sputa in terra, con disprezzo, e va via, tirata da Tamara, che mi guarda con tristezza.
L'ennesima umiliazione. L'ennesimo sberleffo. Io che sono la vittima, io che dovrei essere la sola arrabbiata perché la vita mi ha raggirata, rivesto il ruolo indegno del carnefice.
Ma con lei ho sbagliato.
Avrei dovuto essere più leale.
«Già, è una stronza. Guardatela!» si rivolge a quei pochi rimasti.
Poi, indirizzandosi a me: «Del resto siete degni l'uno dell'altro e beh... il tradimento te lo meriti tutto, tutto.»
Sembra stare dalla parte di David, dalla parte sbagliata.
Socchiudo gli occhi. Sono ancora stordita, ma non ancora tanto stupida da non intuire che le sue frecciatine mirano a sottolineare qualcosa che al momento mi sfugge.
Cosa stava cercando di dirmi? Cosa mi ero persa? Il tradimento di chi?
E intanto ad amplificare il dolore, le voci e le attenzioni dei presenti. E sono come pugnalate terribili.
Ma non ho più la forza.
Sono completamente dissociata, senza un'anima. Per un attimo scorgo Karolina, immobile, poi Tamara ritorna, e con delicatezza mi stacca da Andrej e mi stringe la mano. Cammino, come una sonnambula. Negli occhi mi scorre tutta la vita. Ogni singola immagine.
La bionda mi tira a sé: sembra la più umana. Dopo Andrej, naturalmente. A suo modo mi ha difesa da Nala, sottraendomi ai suoi attacchi, anche se a ben vedere meritavo tutto il suo disprezzo.
«Andiamo!» dice comprensiva, mentre la sua mano scivola su e giù lungo il mio braccio, per confortarmi.
Ma non riesco a proferire parola. La guardo di traverso mentre mi aggira e si sbilancia per aiutarmi. Le sue parole non mi smuovono. Mi guardo intorno.
Karolina è davanti a me. Le accarezzo il viso, quasi senza accorgermene, in un gesto automatico. Sono contenta che stia bene, almeno così pare, ma vorrei che qualcuno la visitasse, per il bambino, mentre io... io, sono come strappata dal mio corpo e dalla mia mente. Non riesco a gestire i miei stati d'animo, perché sembra tutto talmente assurdo.
Lei mi guarda la mano, trattenendola. Una lacrima le spunta sul viso e ha uno sguardo folle...
Noto che mi fissa come se provenissi da un altro mondo.
«Rose, hai capito cosa ti ho fatto? Tu sei... anche se io. Tu non ce l'hai con me, Rose?» inclina il capo, osservandomi e lanciando un'occhiata a Piergi. Pare voglia chiedergli spiegazioni. Pare che non mi comprenda.
Ma mi gira tutto e ho un senso di nausea fortissima. Piergi mi viene incontro.
«Come sei ingenua!» continua Karolina.
«Tu sei troppo buona, Rose! E io invece... E sai che c'è? La tua bontà, alle volte, mi dà sui nervi, perché io vorrei essere come te, ma dannazione... Sei tu! È colpa tua! Sei tu che mi induci a fare quello che non vorrei fare. Ma adesso non voglio più, io...»
«Piantala!» la redarguisce Piergi.
«E perché, perché dovrei farlo? Per far comodo a te! Lei non merita, dopotutto, ciò che le stiamo facendo. Lei deve sapere la verità!»
Quelle parole mi entrano dentro, ma non ho il tempo, la pazienza, la lucidità per trarne il vero significato. Noto solo una continua indecisione in Karolina. Una insensata lotta...
Il bene e il male, mi dico.
E così, a peggiorare tutto, a confondermi ancora di più, è proprio lui.
Come se tutto questo non fosse bastato.
«Fanculo il mondo, Rose, io risolverò. Te lo prometto. Ogni cosa tornerà come prima, ogni singola cosa.»
Come se potesse essere vero, come se davvero Piergi potesse salvarmi.
«E cosa risolverai, povero illuso? La verità è una, soltanto una. Che lui è un Baláž, un fottuto Baláž», dice Karolina, toccandosi il ventre.
E cosa c'entrano i Baláž in tutto questo? Maxim è un Baláž, Andrej lo è, e Piergi.
Piergi.
Mi volto a guardare David. Un luccichio malvagio nelle iridi.
Mi sembra di sentirle ancora le sue risate. Le risate di tutti i presenti. E sono terribili. Nel volto una scintilla di soddisfazione.
Hai vinto? Era questo che volevi?
Quel Baláž è lui, Piergi? D'un tratto mi sveglio... e lo trovo patetico, irritante. Non è il mio amore, io non lo riconosco. È uguale a tutti gli altri.
Ed era buffo, con quei capelli scompigliati, anche se non mi faceva più ridere.
Sono confusa. Il petto mi fa tanto male. Vorrei fuggire a casa, ma non ho più la mia casa, e forse non mi era mai appartenuta. Non riesco a muovermi, non un passo. E come un ragno, incastrato nella sua tela, resta immobile, io sono spacciata. Sono intrappolata. Perché non ho una via di fuga. Perchè è impossibile fuggire da se stessi. Avevo sbagliato tutto e, forse, proprio io ero uno sbaglio, e la cosa assurda che mi ero infilata io in questo pasticcio.
Mi giro: negli occhi di Andrej una smorfia di dolore.
È tutto vero! penso.
Piergi con Karolina.
Lacrime bollenti iniziano a invadere le mie guance. Sono arrabbiata, e delusa.
Piergi mi aveva fatto questo?
Non ho il coraggio di guardarlo e allora giro la testa, così che non possa vedermi, perché non voglio che si accorga...che non goda del mio stato.
Ma poi la furia prende il sopravvento.
Non ho più l'impulso di andare via.
Lui mi aveva fatto questo...e non con una qualunque.
Lui e Karolina avevano osato prendersi gioco di me.
Mi sembra di vederli. Avvinghiati.
All'improvviso mi rendo conto di non conoscere nessuno e di essere stata la solita ingenua, già.
Piergi l'aveva accarezzata, così come aveva fatto con me. Quelle stesse labbra, che dovevano essere mie per sempre, si erano posate sulle sue.
La sola idea di lui su Karolina, e il suo tocco su di lei mi procura delle fitte al petto indescrivibili.
Piergi aveva fatto l'amore con la mia amica.
Vorrei ribattere qualsiasi cosa, ma un dolore muto mi spezza il cuore.
Forse non era mai stato un angelo, ma era scaltro, furbo, calcolatore, e soprattutto malvagio.
Così lo sento, scorre lento nelle vene e ha una potenza inaudita. Qualcosa di tenebroso, un pensiero malsano e insidioso, inizia a infilarsi nella mia mente e a offuscare il mio animo. Non sono più quella che ero stata fino a qualche attimo prima. Quella Rose è scomparsa, perduta. E ne avrei dato prova, eccome, perché qualcosa dentro di me stava cambiando.
«Andiamo, Rose, è solo una piccola scopatina. Un'innocente scopatina.
E tu stai per diventare zietta.»
Ogni singola parola scivola lenta sulla sua bocca e s'infila nei posti peggiori del mio essere.
David, con il suo tono deciso e baritonale, mi osserva in segno di sfida.
Ma debbo proteggermi, e non più da lui, non solo.
Devo rompere quel cordone ombelicale che mi lega a Piergi, perché mai come ora capisco che non è amore, non lo è mai stato da parte sua, ma una dipendenza negativa e deleteria lo aveva legato a me, semplicemente questo. .
Lui non era quello che pensavo fosse. Non lo era mai stato. Come avevo potuto fare questo? La fanciulla che era in me era scomparsa. L'innocenza, la purezza...
E lo avevo permesso io.
Allora lo guardo per l'ultima volta. Cosa dire?
Bellissimo, come sempre. I suoi occhi lucenti si perdono nei miei.
Forse, non lo avrei mai più dimenticato. Una parte di me, sicuramente, lo avrebe portato con sé per sempre.
Ma lui era incasinato, un angelo nero. Dovevo ammetterlo. Il peggiore degli esseri. La più orrenda delle creature. Si era preso tutto di me. I miei sogni, la mia verginità.
Così sono accecata dall'amore e dall'odio.
E ho di fronte a me loro.
Due persone che non sono poi tanto dissimili: Piergi e David, due angeli neri.
«Allora, bambolina, sei contenta? Ma sai, io sono curioso e mi piacerebbe sapere com'è stato? Com'è lui, di', ci sa fare?»
Eppure vorrei tanto replicasse, che Piergi dicesse che è tutto un malinteso, che facesse tacere quell'essere immondo, spregevole...
Ma lui è lì, mantiene il contatto con me, senza proferire parola.
I pugni stretti, la mascella serrata.
Avevo sbagliato a credere profondamente nell'amore? Evidentemente sì. Era stata tutta un'illusione. Ci ero cascata, e mi ero infilata io, inebriata da un sentimento puro, che celava chissà quali progetti.
«Su gattina, dicci un po' come bacia! Ma forse potreste confrontarvi tu e la tua amica?»
E ogni parola è una lama tagliente nel costato. Impossibile spiegare ciò che provo.
«Sai, mi piacerebbe tanto assaggiarti! Le tue labbra carnose, i tuoi piccoli seni nei miei palmi.»
Non vorrei mai essere come lui. Nessuno dovrebbe poter fare ciò che Piergi ha fatto a me.
Ma tutto questo è troppo.
L'immagine di Karolina che concede piacere a Piergi... e di lui che la bacia, torna prepotentemente nella mente.
Lui doveva soffrire tanto quanto me, doveva provare gli spilli conficcati nella carne e negli occhi. Continuavo a dirmelo durante tutta quella scena. Lui doveva pagare, espiare le sue colpe.
Così, senza riflettere, faccio ciò che non mi sarei mai aspettatata, non da me almeno.
Solo istinto e rabbia, istinto e rabbia.
Prendo David per il collo e alzandomi sulle punte assesto il colpo peggiore che avrei potuto infliggere al mio peggior nemico: Piergi, appunto.
Mi aggancio a lui, il più perfido degli angeli, e lo bacio.
Certo, avete capito bene. Io bacio David. Perché Piergi doveva avere lo stesso trattamento. Spilli negli occhi e coltelli nella carne. Doveva soffrire, sì, soffrire. E lui?
Resta fermo e scioccato. Una statua di cera. E quanto a me? Beh, non saprei.
L'amore è passione, sconfinata dolcezza, ma anche altro, molto altro.
E come definire ciò che mi stava succedendo? Come?
A voi ardua sentenza.
Angolo autrice
Quanto può farci male il dolore?
Quanto può cambiarci?
Cosa ne pensate di Rose? È cambiata la vostra opinione su di lei? Spero vi piaccia il capitolo.
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