42 La festa
Il posto è piccino, lo ammetto, ma è quello che siamo riusciti a trovare, ed è già tanto: un casolare sperduto in aperta campagna. Pavel, come sempre, è stato gentile con noi e ha pensato a dargli una ripulita e a farlo arieggiare. Tutto sommato non è male. Dovremo solo cercare di non dare nell'occhio e far durare la festa il meno possibile, così che, in caso di soffiata, non avrebbero il tempo di trovarci e tutto sarebbe già finito. Qui, loro, quelli del regime, non vedono di buon occhio queste feste, lo avrete capito.
Siate prudenti, musica non troppo alta!
Mi sembra di sentirle ancora le raccomandazioni del mio vecchio amico Pavel.
Entro dentro. Mi ci vogliono più di una manciata di minuti per abituarmi al rumore e al calore intenso. Le luci sono basse. All'interno, una ventina di persone accalcate si aprono per lasciarmi passare, ma forse ho sbagliato a contare e ne sono di più e mi accorgo in questo preciso istante che sono arrivata troppo tardi per mettere i festoni. Così, demoralizzata, poggio tutto sulla sedia: i festoni, la mia borsa. Di lato, addossata al muro, una tavola imbandita sembra stonare con questa ressa. Le sedie, disposte a caso qua e là, sono quasi tutte vuote. Qualche quadro sgangherato adorna il muro vuoto e sporco. I ragazzi sono al centro, a ballare. Cerco disperatamente con lo sguardo un volto amico.
In realtà so già chi sto cercando, nonostante i miei dubbi, nonostante tutto. Così continuo a vagare, imbarazzata, timorosa, tra uno spintone e l'altro, tra occhiate e sguardi intensi, indagatori. Ma lui non c'è e ho perso di vista anche Andrej.
Non è così che immaginavo questa giornata...
Non mi sembra di conoscere alcuno, ma a dire il vero ho lo sguardo basso perché non sono abituata ad andare in giro così, con un vestito succinto e i capelli tirati. Mentre cammino, io stessa mi stupisco di me e delle mie gambe, rese più femminili da questo paio di sandali. Nonna mi ha messo dei laccetti di raso alle caviglie, che si muovono a ogni mio passo. A un tratto mi guardo in uno specchio rotto, appeso al muro, e quasi non mi riconosco. L'abitino, color glicine, enfatizza le mie forme dandomi un tocco di raffinatezza. Resto ad ammirarmi, incredula, incantata da così tanto candore. È tutto così perfettamente aderente alla mia pelle e così...insolito. Io stessa appaio strana, artefatta, ma così perfettamente delicata.
Se solo trovassi lui.
Continuo a rubare, furtiva, quelle immagini di un'altra me che non avevo mai visto, quando, all'improvviso, mi sento toccare.
«Rose, tu sei, sei... diversa!»
Mi giro a guardare e vedo lui, Tobias, sistemato e ripulito.
Un'immagine lontana dal ragazzo che avevo conosciuto in montagna. Così conciato, con i capelli pettinati all'indietro, sembra ancora più saputello. Una camicia bianca e le bretelle a reggere le braghe. Mi liscia i capelli, provocandomi un leggero fastidio.
Se solo ripenso a ieri sera, al loro segreto, mi monta una rabbia.
«Ti aspettavo!»
Aspettavi me?
Resto basita. Ma non ho il tempo di controbattere che mi trascina al centro, tra lo stupore dei partecipanti e la mia meraviglia. Balliamo. Ma sono presente solo fisicamente... non con la mente. Vorrei divincolarmi, per fuggire, perché non mi sento a mio agio, ma non ho la forza di trovare una scusa adatta per sottrarmi. E parla, parla, le labbra lucide e gonfie. Mi fisso sul suo apparecchio, senza seguirlo realmente, quando a un tratto vedo lui, Andrej, impassibile, guardarmi da lontano e poi m'imbatto in Piergi, il mio Piergi, il ragazzo più bello del mondo. Sembra un fantasma, immobile. Allora mi libero dalla presa, per correre da lui, per chiedere spiegazioni, sotto gli occhi attoniti di Tobias, quando mi sento afferrare il braccio da Karolina, che guarda prima me e poi proprio lì, dove prima c'era Piergi. È come se avesse capito, non so...
Per un attimo, sì, uno stupidissimo attimo, ho l'impressione, la maledetta sensazione, che abbia intuito e voglia trattenermi. Ma non m'importa di nessuno, di Tobias, di Karolina, ho soltanto un pensiero fisso nel cuore.
«Ciao», riesco a dirle. Sono stupita, dalla sua presenza, dal suo essere qui, ora, ma non riesco a gioire perché ho altro a cui pensare, e voglio andare.
«Non ne vale la pena, lascia perdere», mi dice non mollando la presa.
«Cosa dici?» chiedo ad alta voce, stringendole la mano e cercando di scrollarmela di dosso.
«Dico che sei un'ingenua.»
Mi libero stizzita dalla sua morsa. Mi appare rabbiosa, rancorosa, come un cobra pronto ad attaccare. Ma non so ancora da dove venga tutto questo suo livore.
«Io sarei un'ingenua? Io Karolina?»
Sono fuori di me, stufa dei suoi giochetti. Aveva ragione Piergi ad avvisarmi, a mettermi in guardia: sono soltanto io a tenerci a lei.
«E perché lo sarei, sentiamo? Perché mi sono fidata di te, perché ho creduto nell'amicizia?»
«In parte. In parte. Perché credi nell'amore, nel fottutissimo amore, quando invece è una montatura, tutta una fregatura.»
Vedo del dolore nei suoi occhi. Ride sguaiatamente. Poi sputa in terra, come in segno di sfida, con un gioioso sberleffo tra i denti, che sa di derisione, sì, di odio, e io ne sono l'unica destinataria.
Dove sei finita, amica mia? Tu non sei Karolina, non più.
Sprofondo nelle sue iridi, per cercare un ravvedimento, una spiegazione.
«Nulla, fa come non ti avessi detto nulla.»
Mi volta le spalle e fa per allontanarsi, ma non ci sto.
«E no, cara, tu adesso vuoti il sacco, brutta stronza.»
Sento di aver esagerato, o forse no, ma poche cose mi fanno imbestialire, e una di queste è appunto l'indifferenza e la mancanza di gratitudine, e ultimamente vedo solo questo in lei: ipocrisia e cinismo. Era scostante.
Avevo sempre cercato il meglio per Karolina, le avevo dato l'anima, tutta me stessa, e cosa ne avevo ricevuto? Solo pugni in faccia. Forse era da sempre stato così, o probabilmente ero semplicemente cambiata io, lui mi aveva cambiata, ma non avrei permesso a nulla e a nessuno di burlarsi più di me, né tantomeno di intromettersi tra me e Piergi, perché avevo incassato troppo, sempre, ed ero stanca.
Così, confusa dalle sue parole e esterrefatta dalla mia reazione, mi metto le mani tra i capelli, cercando anche io qualcosa, una soluzione, una via di fuga. La musica all'improvviso è diventata assordante. Mi sento smarrita, persa, tra tutte queste persone che a stento conosco. Guardo nella direzione di Piergi, ma già, lui è andato via. Così mi volto verso Karolina.
«Non dovevo venire, è stato tutto uno sbaglio, scusami», mi dice cambiando atteggiamento.
Scusami?
Mi guarda e scappa via. Ma non glielo avrei fatto fare, non si sarebbe sottratta ancora. Dovevo sapere cosa le passava per la testa, e se non lo avesse fatto di sua spontanea volontà, beh, l'avrei costretta, perché avevo il diritto di sapere. Così prendo coraggio e decido di inseguirla, non prima di aver sottratto a Tobias, che nel frattempo mi ha raggiunto, un bicchiere di una strana bevanda.
«Ehi, ma sei matta» mi urla contro. Tuttavia, ho buttato giù quasi tutto. Si avvicina e tenta di toccarmi, ma indietreggio contrariata.
«Non è roba per te, maledizione!» sbotta rabbioso.
Faccio spallucce, è esagerato, e lo lascio indietro, perché non m'importa di lui, non m'importa di nessuno.
Mi dico, soltanto, che non mi sarei fatta più mettere all'angolo come l'altra volta. Perché è questo che aveva fatto Karolina. Avevo ancora impressa nel cuore quella immagine. Quel gioco, i palloncini, io che cado a terra per correre dopo nella mia stanza...
Il mio turbamento, le mie insicurezze...
Eppure lei non aveva perso tempo ad additarmi e a fuggire con Tamara. Mi aveva giudicato e non si era per nulla avveduta del mio stato d'animo. Ma adesso sarebbe stata tutta un'altra storia.
Niente più muri tra di noi a offendere la visuale, solo prati immensi, sconfinati, perché avrei voluto vederci chiaro, perché è questa l'amicizia: lealtà e confidenza, chiarezza e fiducia. Non l'avrei lasciata andare. L'avrei seguita con un unico intento: dentro o fuori. Spettava solo a lei decidere. Ma la perdo di vista.
E, intanto, mi sento tremendamente elettrizzata. Vado fuori, fa quasi freddo rispetto a dentro. Nulla: sembra volatilizzata. Rientro in bagno, per vedere se è lì.
«È me che cerchi?» la sua voce pulita, chiara, mi desta da ogni pensiero, da qualsiasi turbamento. Sussulto e ho i brividi.
«Piergi? Sei tu!», pronuncio il suo nome meravigliata.
Contro ogni mia aspettativa Piergi è qui, sicuro, imponente, proprio dove non lo avrei mai cercato. Non pareva lui. Sembrava aspettarmi. Eppure fino a qualche minuto prima era stato sfuggevole, fugace come un ricordo, confuso come un pensiero.
Le spalle contro il muro, lo sguardo puntato su di me. Lo vedo, tuttavia, concentrato e turbato. Butta una sigaretta in terra, spegnendola con la scarpa. Si avvicina lentamente, un passo dopo l'altro, lento e misurato.
Dove se la sarà procurata?
«Dov'eri? Io ti ho cercato! Io...»
«Non è un caso. Volevo starti lontano, credimi» mi risponde cauto. Ma c'è qualcosa che non va in lui...
«Tu volevi stare lontano da me?» gli chiedo. Gli occhi lucidi, incastrati dentro i miei.
«Ho tentato di difenderti, con tutte le mie forze, da me, da noi, voi non lo meritate» si gira in una smorfia di dolore.
Voi non lo meritate. Chi non lo merita?
Sono spiazzata, non lo comprendo. Continuo a non capirci nulla.
«Non meritiamo cosa? Sii più esplicito.»
«Non meritate che io vi faccia questo.»
«Così non mi aiuti. Cosa non dovresti farci, cosa?»
«Ma poi...»
«Ma poi? Finisci, te ne prego!» lo supplico, desiderosa di vederci chiaro.
«Ma poi non mi è piaciuto che tu fossi lì.»
«Sì? Lì dove?» lo incito, spronandolo ad andare avanti.
«Tra le braccia di quel cazzone!» sputa velenoso.
«Tobias? Lui mi ha semplicemente... Tu non c'eri, io» scoppio a ridere, divertita e incredula, lusingata dal suo essere geloso. Ma la cosa non deve piacergli molto, perché avanza ancora verso di me, serio. Quasi mi fa paura.
«Non mi è piaciuto», afferma in tono secco.
«Non avrei comunque mai potuto ballare con te, ho bisogno di tempo, per...»
«Non mi è piaciuto. Punto», afferma scuotendo il capo.
Non è di certo così, a una festa che io avrei potuto rivelare a tutti il nostro segreto.
Ma non ho il tempo di pensare.
Mi prende per il volto, con una foga, con un'urgenza indescrivibile, e mi bacia, prepotentemente, avidamente, come mai avrei potuto pensare, come mai avrei potuto immaginare potesse accadere. Io e Piergi ci stiamo baciando, qui, nel bagno, mentre un mucchio di ragazzi festeggiano la nostra partenza, mentre io non odo più alcuna musica, né un rumore, se non il battito assordante dei nostri cuori.
E danziamo, sì, danziamo, sulle note di una melodia di cui non conosco ancora il ritmo, ma che è dolce come il miele ed è musica per le mie orecchie. E palpitano, i nostri cuori battono, correndo all'unisono. Ed è magia, turbamento, perché ho un mare dentro in burrasca, perché onde impetuose s'infrangono contro il mio io, contro me stessa. Perché ho timore di ciò che sono quando sono con lui, perché vorrei fuggire da ciò che divento quando mi sfiora. Eppure non ho più il comando, sono completamente fuori rotta.
Così, diventiamo piccolissimi in questa stanza immensa. E mi sento bene come non mi sono sentita mai prima d'ora, e perdo la cognizione, completamente abbandonata tra le sue labbra, e siamo qui, uniti, e continuiamo a baciarci, dimentichi di tutto e di tutti.
Perché io sono con lui, e non con uno qualunque, io sto baciando il mio Piergi, già, il mio Piergi Novak, ed è assolutamente indescrivibile, ancora una volta un'emozione unica.
E chi lo avrebbe mai detto?
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