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Capitolo 1

Let it hurt.
Let it bleed.
Let it heal.
And let it go.

Cinque anni dopo...

BLAKE

«Siamo quasi arrivati».

La voce del tassista mi risvegliò dallo stato di trance in cui mi trovavo. Dopo aver viaggiato per più di una giornata, fatto due scali e due eterne ore di macchina, non riuscivo a collegare nemmeno quel paesaggio così familiare a tutto quello che avevo passato in una vita che mi sembrava essere accaduta in un'altra epoca.

L'ultima volta che avevo visto quelle vetrine, percorso quei marciapiedi e frequentato quei bar, era l'inverno di cinque, lunghissimi, anni prima.
Avevo lasciato Breckenridge per trovare me stesso. Ero partito con una borsa e la mia chitarra e ora vi stavo per fare ritorno con la stessa borsa e la stessa chitarra.

Il tempo trascorso a Berlino mi aveva fatto bene, mi aveva reso un uomo e aveva spazzato via quel ragazzino perso. Ero finalmente maturato e avevo finalmente raggiunto un livello di consapevolezza tale da poter fare ritorno dalle persone che amavo, senza avere il costante terrore di farle soffrire.

Certo, il mio primo pensiero era stata lei.

Olivia era stata il motore della mia vita per tutti quegli anni lontani. Non era passato un solo giorno, una sola ora, un solo minuto, in cui non avessi visto il suo sguardo davanti a me. Era il pensiero del suo viso contrariato che mi aveva impedito di compiere sciocchezze, il suono della sua voce che durante le notti insonni che mi aveva cullato come una ninna nanna, era stato il pensiero di rivederla che mi aveva motivato a non mollare.

Molti sostengono che la lontananza rafforzi un amore. Probabilmente solo qualche anno fa gli avrei riso in faccia, ma dopo quell'esperienza avevo finalmente capito cosa fossi in grado di provare.

Da Berlino ero volato a Milano, sperando di trovarla.

Mentre la città continuava a scorrermi davanti agli occhi, portai inconsciamente una mano a massaggiarmi lo zigomo ancora dolorante e leggermente violaceo.

Me lo ero meritato, sicuramente.

Non mi aspettavo di certo un ritorno sereno, con le persone che avevo abbandonato pronte ad aspettarmi a braccia aperte, ma cavoli! Non mi aspettavo di sicuro un pugno da parte di William Wilson.

Aveva aperto la porta, aveva sbarrato gli occhi probabilmente cercando di capire se stesse sognando e se fossi realmente davanti a lui in carne ed ossa e quando lo aveva capito, aveva deciso di mollarmi un bel destro in pieno viso. Mi ero scansato per miracolo, altrimenti mi sarei ancora trovato sotto i ferri a farmi ricostruire il naso.

Il pugno mi aveva provocato dolore al viso, ma quello che mi aveva devastato davvero erano state le sue parole.

Sparisci e non farti più vedere.

Immaginavo che Olivia avesse sofferto. In realtà ero ben consapevole che la mia immaginazione non avrebbe mai reso giustizia a tutto il dolore che la avevo sicuramente causato.

In cuor mio, tuttavia, speravo che qualcuno fosse rimasto dalla mia parte.

Era proprio per quel motivo che, dopo essermi accertato che Olivia non abitasse più a Milano, avevo preso il primo aereo disponibile ed avevo fatto ritorno a Breckenridge. Ero diretto verso l'unica persona rimasta nella mia lista che, forse, sarebbe stata disposta ad aiutarmi, o almeno speravo fosse almeno felice di rivedermi.

«Eccoci qui», annunciò il tassista mentre l'autovettura iniziava a rallentare fino a fermarsi del tutto.

Osservai l'imponente casa dal finestrino, trovandola esattamente nello stile del mio migliore amico, ma soprattutto della sua... moglie, di sua moglie.

Ryan e Zoe si erano spostati quattro anni prima, pochi mesi dopo la nascita della loro bambina. Avevo tristemente stalkerizzato le foto del profilo Instagram di Zoe, dove ogni anno, pubblicava un nuovo scatto di quel giorno.

Non premevo dalla voglia di farmi gli affari loro, a dirla tutta quegli scatti mi creavano solamente nuovi nodi alla bocca dello stomaco. Ciò nonostante vagavo nei loro profili alla disperata ricerca di qualche foto di Olivia, ma decisamente con scarsi risultati. Sembrava essere diventata un fantasma. Mi ero chiesto se dopo tutta quella confusione avesse mantenuto i contatti con qualcuno, ma persino Carol Hopkins non sembrava aver più nessuna sua notizia.

«Grazie», risposi al tassista porgendogli i soldi utili per la corsa.

Aprii lo sportello, strinsi la borsa con l'altra mano e mi assicurai che la cinghia della chitarra reggesse nell'uscire da quell'auto.

«Signore!» mi richiamò il tassista.

«Tenga pure il resto», lo anticipai sorridendo appena. Quella guancia mi faceva davvero un male cane.

«Grazie», concluse prima che chiudessi lo sportello.

Diedi le spalle all'auto che sentii partire e mi bloccai ad osservare quella casa. Era sicuramente una delle più grandi che avessi mai visto a Breckenridge, ma sapevo quanto Ryan avesse fatto carriera in quegli anni e ricordavo bene la sua promessa di donare a Zoe tutto quello che fosse stato nelle sue capacità.
Era un avvocato di enorme successo e mi sarei aspettato che prendessero il primo volo per New York, invece avevano scelto di rimanere in quella cittadina che ci aveva visto crescere. Non conoscevo la reale motivazione, ma era pur sempre un barlume di speranza che mantenevo vivo, sperando che la decisione fosse stata presa anche in considerazione di Olivia.

L'entrata era maestosa: un vialetto di ciottoli bianchi che attraversava il giardino verde e conduceva alla porta d'ingresso posta sotto un portico con colonne di marmo bianco annesse. Tutta la casa era bianca, fatta eccezione per qualche dettaglio di un marrone talmente scuro da sembrare nero che riprendeva il colore degli scuri delle finestre grandi ed imponenti.

Sentivo il cuore in gola mentre memorizzavo ogni più piccolo dettaglio, cercando di immaginare il mio migliore amico vivere in una casa così grande insieme alla donna che amava e al frutto del loro amore.

Un sentimento di invidia mi attraversò il corpo, sino a raggiungere le viscere.

Tuttavia non potevo biasimarlo, lui aveva lottato ogni singolo giorno per quello che aveva, mentre io avevo deciso di allontanarmi da tutto e tutti. Spesso avevo avuto dei ripensamenti e più di una volta avevo avuto la voglia di mollare tutto e tornare con la coda fra le gambe a implorare il perdono di Olivia, ma in cuor mio ero consapevole che non sarei stato degno di lei.

In quei cinque - eterni - anni avevo imparato a conoscermi, avevo imparato a lasciare andare tutta quella rabbia, tutto quell'odio che mi avevano portato ad assomigliargli ogni giorno di più. Avevo scavato a fondo nel mio passato, avevo riconosciuto ogni mio sbaglio, li avevo accettati e poi, dopo averli analizzati per poter trarne le lezioni che non avevo acquisito all'epoca, li avevo finalmente lasciati andare.

Mi sentivo un uomo nuovo, l'uomo giusto per lei.

Fu un attimo soltanto. In una delle tre finestre che riempivano la facciata principale, si scostò appena la tenda, provocando un movimento quasi impercettibile data la distanza a cui mi trovavo, ma che mi diede la giusta spinta per iniziare ad incamminarmi verso quei tre scalini che precedevano l'entrata.

Ogni mio passo faceva eco al battito del mio cuore, sempre più in ansia, ma sempre più emozionato di rivedere il mio migliore amico dopo tutti quegli anni.

Quando fui a metà del vialetto, l'enorme porta d'ingresso si spalancò e una figura vestita di tutto punto mi venne incontro a passo spedito.

Non ci misi nemmeno una frazione di secondo a riconoscere il portamento di Ryan. Nonostante avesse messo su' parecchia massa muscolare, fosse cambiato - e invecchiato quel poco - nell'aspetto, avrei riconosciuto il color castano dei suoi capelli rasati ai lati e lasciati più lunghi in centro e soprattutto il colore azzurro cielo dei suoi occhi che in quel momento sembravano davvero furios...

Un pugno mi colpì sulla mascella, facendomi perdere l'equilibrio e finire a terra. La cinghia della chitarra si slacciò e cadde rumorosamente a terra a qualche centimetro da me.

«Ryan, ma che cazzo!» esclamai contrariato da quel benvenuto così simile a suo padre.

Lui non rispose, si limitò a stare in silenzio mentre i suoi occhi mi trafiggevano e il suo petto continuava a fare su e giù ad una velocità chiaramente non normale. Aveva la mascella così serrata da rendere la pelle visibilmente tirata sul viso.

«Me lo sono meritato», dissi alzando le mani in segno di resa e tentando di alzarmi.

Le mani pesanti di Ryan afferrarono il collo della giacca che mi aveva regalato Olivia prima che io partissi e non feci in tempo ad alzare il culo da terra che ci finii nuovamente, dopo un nuovo pugno, questa volta sullo zigomo buono.

«Ok, ora però stiamo esagerando», dissi ricambiando il suo sguardo pieno di rabbia.

Continuò a rimanere in silenzio. Odiavo quel genere di silenzio, avrei preferito che mi urlasse addosso tutto quello che pensava, invece non muoveva un muscolo e il suo sguardo stava iniziando a preoccuparmi.

«'Fanculo Blake», sputò quelle parole con un tono carico di rabbia prima di darmi le spalle e incamminarsi verso la sua casa.

Impiegai qualche secondo a rendermi conto di quello che era successo, ma non appena il mio cervello tornò a pensare lucidamente, scattai nella sua direzione e lo raggiunsi un attimo prima che salisse i gradini.

«Ryan, fermati ti prego!» lo supplicai. «Dammi modo di spiegare!»

Il mio migliore amico si voltò, con gli occhi lucidi e il respiro irregolare.

Mi odiavo. Odiavo vedere soffrire le persone a cui tenevo e odiavo sapere che fossi io la causa di tutto quel dolore.

«Cosa vorresti spiegarmi?» domandò con un tono apatico, che mi mise i brividi.

«Io...»

Avevo provato quel discorso mille volte, in mille modi diversi, pensando a mille scenari possibili. Eppure non avrei mai pensato di vedere il mio migliore amico - mio fratello - in quelle condizioni.

Rimasi in silenzio, mentre i nostri sguardi parlavano per noi.
Quante cose mi ero perso. Ryan era diventato un uomo e anche di gran successo. Mi ero perso alcuni dei passi più importanti della sua vita, i suoi successi migliori, ma soprattutto mi ero perso la possibilità di stargli accanto nei momenti in cui aveva avuto bisogno di me.
Potevo comprendere bene la sua rabbia, potevo comprendere bene il suo dolore.

«Lasciami», ringhiò strattonando il braccio dalla mia presa.

Era diventato molto più muscoloso di me, avrebbe potuto liberarsi da solo, ma non lo fece e io non lo lasciai andare.

«Lasciami», ripeté strattonando nuovamente, senza muoversi di un centimetro.

Era come se fosse contrariato, se non sapesse se uccidermi o abbracciarmi. La sua voce uscì spezzata e quell'impercettibile cambio di tono, mi provocò un magone all'altezza dello stomaco. Mi era mancato come l'aria.

Feci il primo passo e da quella stretta, lo circondai con l'altra stringendolo forte a me. Ryan grugnì contrariato mentre i palmi delle sue mani applicavano una media pressione sul mio petto. Voleva mandarmi via, ma allo stesso tempo si stava ancora rendendo conto che ero tornato, per davvero.

«Allontanati, cazzo», disse con voce tremante, mentre i singhiozzi prendevano il sopravvento.

Non lo ascoltai, anzi. Lo strinsi ancora più forte, beandomi della sensazione di aver ritrovato finalmente mio fratello.

Si lasciò andare ad un pianto disperato, continuando ad essere scosso da enormi singhiozzi. Sentii ben presto calde lacrime iniziare a rigare anche le mie guance, infinitamente grato di quel momento che non avevo la certezza di poter rivivere.
Non seppi precisamente per quanto tempo rimanemmo in quella posizione, ma veniva davvero difficile slegarsi da quell'abbraccio. La lontananza con Olivia era stata un inferno, ma quella con Ryan era stata un supplizio.

Il mio migliore amico era sempre stata la mia spalla, la persona su cui avevo fatto affidamento in tutti quegli anni e la persona che non aveva mai perso la speranza in me. Avevo perso il conto di quanto volte lo avessi ferito, ma avevo perso altrettante volte il conto di quanto lui mi avesse perdonato.

«Che diavolo ti è saltato in mente», disse dandomi uno spintone e allontanandomi da lui. L'espressione contrariata ancora dipinta sul suo volto non lasciava possibilità di replica.

«Tu hai idea di quanto mi hai fatto preoccupare?! Di cosa la mia mente sia andata a pensare!?» esclamò aggrottando ancora di più lo sguardo mentre probabilmente riviveva tutti quei momenti.

Me ne ero andato lasciando quell'unica lettera, arrivato all'aeroporto avevo spento il telefono e ne avevo buttato la SIM. Avevo bisogno di staccare da tutto e tutti, ma soprattutto di non avere possibilità di mandare tutto all'aria. Avere il numero in rubrica di Ryan e Olivia era troppo pericoloso. Sarei tornato indietro senza aver risolto nulla di concreto e non lo meritavano.

«Mi dispiace», dissi realmente dispiaciuto.

Lui scosse la testa, come se non volesse accettare quelle parole.

«Non è così semplice, Blake!» esclamò ringhiando. «Non c'eri. Non ci sei stato. Ci hai abbandonato e per di più facendoci preoccupare!»

«Ryan, io...»

«No!» tuonò irremovibile. «Cosa credi di fare? Tornare e trovarci pronti ad attenderti? Trovare una festa organizzata e pensata in attesa di un tuo ritorno?!»

Rimasi in silenzio. Aveva tutte le ragioni del mondo per urlarmi contro, per prendermi a pugni. Mi meritavo tutto, ma nel profondo ero felice. Se Ryan fosse rimasto in silenzio, mostrandomi indifferenza, sarei morto. Se riuscivo ancora a smuovere i suoi sentimenti voleva dire che teneva ancora molto a me. Avevo una chance di recuperare il nostro rapporto.

«Dovevo andarmene», dissi a denti stretti. «Dovevo...»

«No». Di nuovo, facendo un passò avanti, spintonandomi ancora.

«Dovevi rimanere!» Un altro spintone.

«Dovevi prenderti le tue cazzo di responsabilità!» urlò spingendomi ancora con più forza.

«Dovevi restare e affrontare tutto», disse crollando.

«Dovevi rimanere con Olivia», quasi sussurrò cadendo sulle ginocchia. «Con me».

Era un uomo e allo stesso tempo sembrava il bambino che avevo conosciuto molti, moltissimi anni prima. Così piccolo e indifeso mentre si chiedeva dove avesse sbagliato con me.
La verità è che non aveva sbagliato nulla, era stata la persona migliore che avessi mai potuto chiedere di avere accanto. Era vero, ci univa il sangue di una persona spregevole, ma fortunatamente nessuno aveva ereditato qualcosa da lui.

Mi accasciai sulle ginocchia, davanti a lui. «Ryan», lo chiamai cercando di fargli alzare il volto.

Due bambini infantili, che piangevano in cortile, ecco cosa potevamo sembrare. Invece eravamo finalmente diventati uomini, maturando a tal punto da capire quanto facesse bene esternare quei sentimenti che a lungo eravamo convinti di dover nascondere, quasi mirassero alla nostra mascolinità.

Non c'era nulla di più bello che trovare una persona con cui poter essere vulnerabile e avere l'assoluta certezza che non ti avrebbe mai abbandonato o usato le tue debolezze per ferirti.

«Ti voglio bene», dissi tra le lacrime abbracciandolo.

«Sei un coglione», replicò lui senza opporre resistenza.

Risi un poco. «Mi vuoi bene proprio per questo», puntualizzai.

«Non tirare troppo la corda, ho il terzo pugno pronto».

Rimanemmo lì, in mezzo ai ciottoli bianchi di quel vialetto curato. Eravamo spezzati, ma potevamo rimettere insieme i pezzi, però potevamo farlo solamente in un modo: insieme.

D'altronde, eravamo fratelli e quello non sarebbe cambiato mai.

Buongiorno! Bentrovate/i!

Sono davvero felice di aver iniziato questo nuovo viaggio con voi e non vedo l'ora di tornare a leggere i vostri commenti! 🥰Bello ritrovare subito Asher, eh?😂😂


Blake ha fatto il suo ritorno e devo essere sincera, descrivere questa scena ha fatto male al mio cuoricino forse più che scrivere della rottura di Olivia e Blake... spero che vi sia piaciuto questo 'ritrovarsi' e spero (per voi) che siate pronte al resto! 😈

Come già anticipato per me saranno settimane di fuoco, quindi vi chiedo gentilmente di avere pazienza e cercherò di garantire un capitolo alla settimana (e un capitolo di Mr. Winter) e come giorno terrei fisso il venerdì per questa storia!
Non so bene ancora gli orari del nuovo lavoro, forse potrei iniziare ad aggiornare alla sera o alla mattina presto se il capitolo è già pronto, ma se non volete perdervi nulla, vi ricordo la pagina instagram: AB.WATTPADSTORIES

Grazie per essere qui, come sempre 💘

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