8.
Haylee Darling stava inutilmente tentando di aggiustare la macchinetta del caffè che aveva rotto. Daphne elogiava quella macchinetta del caffè come se fosse sua figlia: parlava dei suoi stupidi grani di caffè 100% arabica, del suo maledetto filtro e del suo fottuto cappuccinatore incorporato.
Haylee l'aveva rotta.
Probabilmente perché nel suo vecchio appartamento non era abituata ad avere delle macchinette del caffè che facessero tutte quelle cose. Per risolvere il problema, aveva preso quello che secondo lei era un cacciavite nella speranza di trovare una maniera per sistemare l'elettrodomestico senza che Daphne se ne accorgesse.
"Vuoi svitare una vite con una chiave inglese?"
Noah la fece sobbalzare: era poggiato contro lo stipite della porta e teneva un enorme pacco di patatine nella mano sinistra. Se ne portava una generosa porzione in bocca un poco alla volta mentre guardava Haylee con aria divertita.
Era lì da un po': si era poggiato con la spalla destra contro la cornice in legno della porta a scrigno e si era perso a disegnare il profilo delicato del naso, le foltissime ciglia piegate verso il basso, le dita sottili che cercavano di riparare il macchinario...
Haylee era piegata in avanti, rivelandogli giusto uno scorcio del tessuto del suo reggiseno blu, che fasciava evidentemente alla perfezione quel seno rotondo e sicuramente sodo...
Ah, se solo...
Haylee si fece perplessa.
"Una chiave inglese?"
"Quella che hai in mano," Noah indicò l'oggetto con la mano piena di patatine, "è una chiave inglese."
Haylee sollevò gli occhi in quelli di Noah che aveva il principio di un sorriso ad illuminargli gli occhi chiari, mostrandole anche una piccola fossetta sul lato sinistro del viso, appena sopra l'angolo delle labbra.
"Oh." Haylee lasciò cadere le braccia lungo il corpo e con esse la suddetta chiave inglese, poggiandola con fare annoiato sul marmo bianco del tavolo.
Noah si avvicinò, abbandonò il pacchetto di patatine sul tavolo e si pulì le mani su uno strofinaccio prima di schierarsi accanto ad Haylee.
"Questo è un cacciavite." Riprese, mostrandole un cacciavite che prese dalla cassetta degli attrezzi che Haylee aveva sistemato sulla sedia accanto al tavolo.
"Puoi sistemarla?" Domandò lei, spazientita: non voleva una lezione di ferramenta, voleva risolvere il problema!
"Oh, sì, certo..." Noah la incitò a muoversi con un gesto della mano, "mettiti un paio di scarpe da ginnastica e prendi un sacco della spazzatura."
Haylee, dapprima confusa, si decise a correre al piano di sopra per prendere al volo un paio di vecchie sneakers, che infilò in fretta e furia prima di tornare di sotto, dove Noah la stava aspettando con in mano un sacco della spazzatura.
"Dove la stiamo portando?"
"A riparare." Rispose lui, con fare ovvio.
*
"Questo è un negozio di elettrodomestici," disse lei, tra i denti "se avessi potuto permettermi di comprarne un'altra, sarei già venuta."
Noah la ignorò mentre cercava il reparto delle macchinette del caffè ed Haylee lo seguì, improvvisando una piccola corsetta per riuscire a stargli dietro.
Noah si sistemò davanti alla macchinetta del caffè come se dovesse essere lui a venderla.
"Eccola qua."
"Novecento diciotto dollari!" Esclamò allibita, dopo aver messo a fuoco il cartellino del prezzo, "non possiamo farci riparare quella che abbiamo?"
Lui non rispose.
"Noah!"
Noah si voltò a guardarla: era la prima volta che lo chiamava per nome. Noah sentì un qualcosa guizzargli nello stomaco nel momento in cui la voce di Haylee, delicata come una carezza, - anche se in quel caso si trattava di una carezza piuttosto infastidita -, pronunciò il suo nome.
"Cosa?"
"Novecento diciotto dollari." Ripeté, nel caso in cui non gli fosse stato chiaro.
"Avevo sentito. E so anche leggere."
"Io non ho tutti questi soldi... o meglio: ce li ho ma- se li spendo-" Haylee si passò nervosamente una mano tra i capelli, ravvivandoli corposi lungo le spalle: di certo non era il momento di parlare della sua precaria condizione finanziaria.
Noah la ignorò ancora una volta e la lasciò lì per andare probabilmente a cercare una commessa. Tornò poco dopo con una ragazzina che lo guardava come se fosse un miraggio in mezzo al deserto.
"Mi dispiace, è l'ultimo pezzo e non posso vendere quello che è esposto." Disse, appuntandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Noah le regalò uno dei suoi migliori sorrisi e lei arrossì. Tutta.
Haylee alzò gli occhi al cielo.
"Forse potrei fare qualcosa... se prometti di chiamarmi." Nel parlare, allungò la mano per farsi porgere il telefono da Noah, evidentemente per scriverci dentro il suo numero.
"È Janet, comunque," continuò, e nel parlare si accorse improvvisamente della scomoda presenza di Haylee "ah, scusate, non sapevo che..."
"Non stiamo insieme." Tagliò corto Haylee.
"Allora puoi chiamarmi," sorrise a Noah, "ci conto."
"Porto questa alla cassa! Vi serve altro?"
Noah si voltò a guardare Haylee. "Hai bisogno di qualcosa?"
"Certo. Di un trapano per trafiggermi le orecchie."
La ragazza le rivolse un'occhiata confusa.
Noah si portò davanti ad Haylee, come a nasconderla. "Sta... passando un brutto momento..."
Haylee ebbe l'istinto a ripararsi dietro quelle spalle ampie; invece, digrignò i denti e strizzò gli occhi.
"Un brutto periodo?" Domandò retorica, mimando delle virgolette immaginarie ai lati della sua testa.
Noah non si mosse dalla sua posizione né si sentì minacciato da quegli occhioni verdi. "Sicura che non ti serve niente?"
"Beh? Hai vinto alla lotteria?"
Noah le rivolse uno sguardo piuttosto eloquente: lui non aveva bisogno, di vincere alla lotteria.
Haylee schioccò la lingua. "Giusto. Comunque: no, grazie. Non vorrei fossi costretto a... dare il tuo cellulare a tutto il negozio." Concluse, in un tono che avrebbe preferito suonasse meno infastidito di com'era uscito.
"Sono loro a darmi il loro numero, non il contrario." Rispose lui, con tutta calma.
Noah Washington si voltò dandole le spalle e lei disegnò la curva delle spalle larghe e del fondoschiena, scuotendo la testa quando una serie di pensieri non proprio adatti ai minori di quattordici anni si fecero largo nella sua mente. Forse aveva ragione Noah: non ci stava più tanto con la testa.
Noah si mosse verso la cassa e lei lo seguì ancora una volta.
"Ho detto che ne pago la metà!"
Un paio di clienti, attirati dalla scenetta, si voltarono a guardare quei due che parlottavano come una coppia di pensionati.
"E io ti ho detto che pago tutto con la carta e poi mi dai i contanti."
Haylee incrociò le braccia al petto. "Molto bene."
All'uscita dal negozio, Haylee si fermò a prelevare e Noah si prese tutto il tempo del mondo per osservare la curva rotonda del suo sedere stretto dentro un paio di pantaloni della tuta scuri. L'avrebbe presa anche lì, davanti a tutti.
"Tieni." Gli disse, quando tornò da lui con in mano qualche banconota.
Noah guardò le banconote e poi guardò di nuovo negli occhi verdi di Haylee.
"Non mi piace tenere i contanti nel portafoglio."
Haylee ridusse le labbra ad una linea sottile: Noah le dava un po' sui nervi.
"Li puoi mettere sul tuo conto in banca."
Noah annuì e buttò un occhio all'orologio che stava sul suo polso.
"Daphne tornerà tra poco, dobbiamo sbrigarci." Le disse e cominciò a camminare verso il parcheggio sotterraneo.
Lei lo seguì innervosita fino a quando non raggiunsero la macchina.
"Perché lo hai fatto?" Fu ciò che chiese Haylee non appena rimisero piede in auto.
Noah si strinse nelle spalle.
Haylee si prese qualche secondo per osservarlo: il profilo del suo naso era sottile e con la punta all'insù; le sue ciglia folte erano in contrasto con la pelle chiara e le sopracciglia appena più scure dei suoi capelli biondi. Le sue mani erano strette attorno al volante: Haylee tracciò il disegno delle sue vene e delle dita lunghe.
"Non la chiamerò." Disse, risvegliandola dal flusso dei suoi pensieri.
"Hm?"
"La ragazza." Specificò, continuando a guardare di fronte a sé.
Non sapeva perché si era sentito in dovere di giustificarsi, – o meglio: lo sapeva ma non lo voleva ammettere –, ma sperò che Haylee non pensasse che fosse quel tipo di persona.
"Ah... e perché farti dare il suo numero?"
"Per ottenere quello che volevo."
"Ci rimarrà male."
"Domani non si ricorderà nemmeno la mia faccia." Rispose e mise la freccia per svoltare a destra.
Haylee lo guardò confusa. "Avresti dovuto svoltare a sinistra..."
Noah le rivolse un'occhiata di traverso. "Mi offri la cena, sei contenta?"
Haylee ebbe un tuffo al cuore. "E Daphne..."
"Ho mentito," rispose in una scrollata di spalle, "Daphne fa il turno di notte. Strano che io sappia i suoi turni e tu no, che dici?"
Haylee schiuse le labbra, senza sapere esattamente cosa dire: sì, in effetti avrebbe dovuto conoscere gli orari di Daphne...
"Cosa... perché?"
"Perché avresti dovuto conoscerli? Non saprei, vivete assieme..."
"Parlavo della cena."
"La pizza, ti piace?" Le domandò senza aspettare che finisse di completare la frase.
"A chi non piace la pizza?"
Noah accennò un sorriso e frenò bruscamente non appena trovò il parcheggio. "Scusa." Le disse, riferendosi alla manovra improvvisa.
"Non fa niente."
Noah spense l'auto ed estrasse le chiavi.
Haylee diede una rapida occhiata al suo abbigliamento: un paio di pantaloni della tuta neri ed un vecchio paio di All Star era molto all'Avril Lavigne e poco adatto ad una cena al ristorante.
"Non sono esattamente vestita per una cena... fuori."
Poi, guardò Noah, ed anche lui indossava un pantalone della tuta e una maglietta bianca a maniche corte sotto al pesante cappotto scuro. Stranamente, Noah li indossava con molta più eleganza e disinvoltura rispetto a lei.
Noah scese dalla macchina e cominciò a camminare, lei gli corse dietro a piccoli passettini.
"Perché cavolo fai così?"
"Così come?" Chiese, confuso.
"Cammini veloce!" Esclamò, facendogli notare quanto la distanza tra loro fosse abissale.
"Oh."
Noah non se n'era nemmeno accorto. Era talmente tanto nervoso che non si era nemmeno reso conto che aveva il passo veloce.
L'aspettò e lasciò che camminasse a fianco a lui finché non raggiunsero un piccolo chiosco all'angolo con l'insegna rossa. All'interno, c'era a malapena lo spazio per loro due.
Il profumo di pizza e formaggio fuso solleticò le narici di Haylee e le aprì anche lo stomaco.
Noah la sfiorò appena sopra il tessuto del cappotto. "Che cosa vuoi?"
"Hm." Haylee si fece pensierosa e si mise a guardare la vetrina con estremo interesse.
Noah, invece, guardava lei: le labbra a cuoricino erano imbronciate in un'espressione seriosa, come se dalla scelta di quella pizza dipendesse l'intero destino dell'universo; i capelli, invece, se li sistemava dietro l'orecchio quando le solleticavano il viso.
"Prendo la pepperoni con doppio formaggio e una soda." Disse, sorridendo all'uomo dietro al bancone.
"Prendo lo stesso ma con una coca. Grazie." Si avvicinò a lei ed Haylee riuscì a sentire il suo respiro solleticarle il collo. "Chi ordina più la soda?" Le chiese in un sussurro che per poco non la fece rabbrividire.
Haylee si schiarì la gola ignorando quella sensazione che non volle definire e poi alzò gli occhi al cielo, superandolo per andare alla cassa a pagare.
"Può mettere in conto ad Aaron Wells, per favore?" Domandò Noah all'ometto cicciottello che stava dietro la cassa, prima che Haylee potesse estrarre le banconote dal portafoglio.
"Bene. Buona giornata." Disse loro, congedandoli con un sorriso cordiale.
Noah prese le pizze e fece cenno ad Haylee di uscire dal locale.
"Sei proprio un avvocato." Esordì lei, schierandosi al suo fianco.
Noah scoppiò a ridere di cuore e lei classificò la sua risata come una delle cose più belle che avesse mai visto e sentito.
"Vieni."
I due si sedettero sulla scalinata della Columbia University che a quell'ora era quasi deserta: gli studenti stavano tornando a casa a cenare o a prepararsi per qualche festa. Haylee se lo ricordava quell'orario, quando il suo unico pensiero era quello di studiare e il suo unico desiderio quello di uscire a divertirsi.
Un velo di nostalgia la colse e lei lo lasciò fluire: era bello ricordare un passato spensierato, ricordare quanto fosse cresciuta e quanto le cose fossero diverse, ora che era diventata grande per davvero e non come credeva di essere a diciannove anni.
I gradoni di pietra su cui si sedettero erano un po' freddi, così come il venticello serale che smosse i capelli scuri di Haylee.
Il sole iniziava ad impallidirsi con l'arrivo dell'autunno e le giornate stavano evidentemente cominciando ad accorciarsi: erano le sette e il sole era già quasi nascosto dietro i pesanti palazzi, riflettendo i suoi raggi dorati sulle vetrate ampie e scure dei grattacieli.
"Venivo spesso qui, quando andavo al college." Disse lei, rompendo il silenzio.
Noah, – come sempre –, la stava già guardando quando lei parlò: il suo profilo sembrava disegnato: un dipinto ad olio perfetto e dai colori caldi.
"Anche io."
Haylee si voltò a guardarlo, stranita. "Venivi alla Columbia?"
"Sì." Rispose lui, assorto. Noah sorseggiò un goccio di coca-cola che gli solleticò il palato e parlò ancora. "Poi mi sono spostato ad Harvard, per la specializzazione."
"Non ti ho mai visto qui... tu mi hai mai vista?"
Noah si schiarì la gola e guardò altrove. "Non che ricordi, no..."
Che senso aveva dirle la verità? Con che coraggio le avrebbe detto che la stava inseguendo da tre lunghissimi anni senza nemmeno saperne il motivo? Le avrebbe dato del pazzo. Forse, pensandoci, un po' pazzo lo era.
Ci fu un momento di silenzio. Stranamente non era un silenzio imbarazzante ma un silenzio calmo, in cui entrambi stavano godendo della reciproca compagnia.
"Com'è fare l'avvocato?"
Noah poggiò il bicchiere di carta della coca-cola accanto a sé. "Che intendi?"
Haylee si era sempre chiesta, come fosse urlare 'Vostro Onore!' Durante un processo.
"Sei un penalista, no? Com'è difendere una persona che ha ucciso qualcuno?"
"Oh. Quello," Noah si passò una mano a scompigliare i capelli chiari appena mossi dal vento. "Tecnicamente non ho ancora difeso nessuno. Al momento sono... assistente." Disse, con un pizzico di imbarazzo nella voce.
"Ed è meglio, no?" Lo incoraggiò lei, che poggiò una mano aperta sul suo ginocchio.
Lui osservò quella mano piccola e sottile, desiderando di intrecciare le dita alle sue.
"In che modo dovrebbe essere meglio?"
"Così, quando toccherà a te non rifarai gli stessi errori." Disse con naturalezza, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.
Haylee diede un morso alla sua pizza e Noah annuì piano, riflettendo su quello che lei aveva detto.
"Hai ragione."
"Lo so."
Noah la osservò masticare con calma. Si fece più vicino e raccolse un poco di coraggio per appuntarle una ciocca di capelli che le solleticava la guancia dietro l'orecchio. Lasciò la punta delle sue dita ad esitare sul suo viso per una frazione di secondo prima di poggiare la mano sulla pietra fredda, a qualche centimetro dalla coscia della ragazza.
"Grazie." Borbottò lei, ignorando le stramaledette farfalle svolazzanti nel suo stomaco. "Mi stava dando fastidio ma non volevo lasciare la pizza."
Noah sorrise. "L'ho notato."
Un altro momento di silenzio. Noah la guardava e si disse che avrebbe tranquillamente potuto passare il resto della sua giornata, e di quelle a venire, così.
"Come hai incontrato Steven?"
"Sua nipote viene all'asilo da me. È venuta a prenderla un paio di volte e..."
"Vi siete messi insieme." Concluse Noah al posto suo.
Haylee appoggiò con delicatezza la pizza rimasta nel cartone e si pulì le mani con un tovagliolo.
"Te l'ho detto, non stiamo insieme. Insomma..." Lasciò correre i palmi sul tessuto della sua tuta, "se stavamo insieme prima non lo so ma adesso sicuramente no. Mi ha... mollata, credo."
Noah cercò di trattenere l'entusiasmo per quanto avrebbe potuto stappare una bottiglia di champagne se solo ce l'avesse avuta davanti.
"Lui ha mollato te?"
Haylee scoppiò a ridere. "Oh sì... Non poteva stare con una persona che è... sospettata di omicidio."
Noah la guardò incredulo per poi scoppiare a ridere a sua volta.
"Mi prendi in giro?"
Haylee parlò continuando a ridere. "Oh, no. È davvero andata così."
"E non gli hai detto che non era vero?"
Haylee scosse la testa. "Lasciamoglielo credere... perlomeno me ne sono liberata."
"Perché ci stavi insieme, allora?" Domandò, perplesso.
La risata di Haylee scemò pian piano, tanto che Noah si pentì di averle fatto quella domanda: era bello, vederla ridere.
"Immagino che... mi facesse un po' di compagnia ogni tanto. Non lo facciamo tutti? Di... stare con persone che non vogliamo per non sentirci meno soli?"
"È quello che stai facendo ora?"
"Ora sono sulla scalinata della Columbia con uno che ha appena speso novecento diciotto dollari per una macchinetta del caffè che io ho rotto..." Concluse, guardandolo dritto in quegli occhi azzurri: placidi come il mare in estate, brillanti come il sole che riflette sulle onde... "Perché lo hai fatto?"
Noah sollevò di nuovo la mano per poggiarla sul suo viso: Haylee Darling era illuminata dai raggi ramati del sole che avevano portato i suoi occhi ad un altro livello di verde, rendendoli quasi dorati.
Lei si lasciò guardare, accarezzando con lo sguardo il disegno della curva delle sue labbra.
"Perché la uso anche io, quella macchinetta." Le disse in un sussurro, come se le stesse confessando uno dei suoi più oscuri segreti.
Haylee scoppiò a ridere, in una risata speculare a quella di Noah.
Noah si fece, se possibile ancora più vicino. Haylee gli facilitò l'azione, avvicinandosi a sua volta, tanto da sentire il profumo dei suoi vestiti e della sua pelle.
"Ehi non... non ti ho ringraziato per l'altro giorno, alla stazione di polizia..."
Noah le rivolse un'occhiata genuinamente confusa.
"Sei rimasto lì, mi hai... aiutata a darmi una ripulita... grazie."
Haylee abbassò lo sguardo al ricordo di quella notte, improvvisamente interessata alle dita di Noah che, esitanti, sfioravano la sua coscia con la punta delle dita.
Noah voleva baciarla. Era stupido ripeterlo, no? Come se non fosse già abbastanza chiaro, che non aspettava altro se non chiamarla sua.
"Non ringraziarmi." Disse, in un sussurro.
Haylee abbassò istintivamente il tono della voce. "Perché non dovrei?"
"Perché l'ho fatto perché ne avevi bisogno. Volevo che stessi bene."
Haylee schiuse le labbra, boccheggiò alla ricerca di aria: mai nessuno era stato così onesto nei suoi confronti. Insomma: a malapena si conoscevano! Perché dirle quelle cose? Mica le pensava veramente...
"Andiamo?" Domandò improvvisamente lei.
Noah la guardò, confuso. "Hm? Sì, certo."
Noah si alzò e tese la mano nella sua direzione per aiutarla ad alzarsi. Haylee intrecciò esitante le dita alle sue e quasi si ritrasse quando una scarica elettrica le fece sfarfallare lo stomaco.
I due si scambiarono un'occhiata: smarrimento, stupore... chi le aveva mai provate quelle sensazioni? Era normale? E se si fossero fatti del male?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro