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5.

La voce alterata di Daphne proveniva dal bagno: imprecava e si lamentava ad intervalli regolari. Sembrava proprio che l'incontro di Haylee con Aaron non le fosse andato giù in nessuna maniera.

Adesso, mentre Daphne si spennellava gli zigomi alti di blush, stava dicendo: "Incredibile! Senza ritegno! Una vergogna! Da denuncia! Ah, ma menomale che non c'ero io." Quella era senza esagerazione la terza volta che ripeteva la stessa identica frase e nello stesso identico tono.

Haylee si stupì quando villano venne aggiunta alla lista dei coloriti insulti.

"Tutta colpa di Noah!" Disse ancora Daphne.

Haylee, che era pronta da mezz'ora, stava facendo penzolare le gambe fasciate da un paio di collant neri giù dallo sgabello della cucina.

Daphne stacchettò fino alla cucina. "E Wash, che ha detto?"

"E chi l'ha visto scusa? È tuo amico, non il mio."

Daphne ci pensò su. "Devo dirgli di restituirmi le chiavi."

Haylee si strinse nelle spalle.

"Che hai, si può sapere?" La incalzò Daphne.

"Steven mi ha dato buca di nuovo."

Daphne si chiese perché quella notizia dovesse essere degna di nota. "Ok? Chissene frega!"

Haylee evitò di dire che, in effetti, non gliene fregava poi così tanto. Allo stesso tempo, però, le dava fastidio. Era possibile? Haylee non lo sapeva.

"Sei pronta?! Andiamo! Su, su!"

*

L'odore di birra e sudore investì le narici dei due giovani uomini che, ancora in giacca e cravatta, si dissero che non erano affatto vestiti a tema con il locale. Era un locale decisamente troppo piccolo rispetto alla gente che c'era dentro. In pratica, era come stare intrappolati dentro una scatoletta sottovuoto.

Piatti con hamburger e patatine fritte schizzavano da un lato all'altro della piccola sala; la musica, una noiosa ballata anni sessanta, gracchiava fuori dalle vecchie casse appese in precario equilibrio sopra le loro teste.

Aaron si guardò attorno e arricciò le labbra.

Attirò l'attenzione di Noah, tirandolo lievemente per la giacca. "Che razza di topaia è mai questa?"

"Daphne dice che si mangia e si beve bene." Rispose lui, facendosi spazio tra la calca di persone per ricavarsi un tavolo libero.

Aaron gli afferrò di nuovo la giacca e Noah si girò di nuovo, stralunato.

"Cosa c'è?"

"Daphne?" Chiese lui, con un filo di voce.

"Daphne Greene? Alta, occhi grigi, bionda..." Disse con fare ovvio, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Aaron.

Aaron seguì Noah nell'unico tavolo libero che era rimasto e si sedette, senza che la sua smorfia di disgusto lasciasse la sua faccia, soprattutto quando la sua mano si appiccicò per un attimo sulla superficie in legno.

"Ricordo la mia ex, Noah." Riprese, cercando di ignorare la cosa, "e se venisse qua?!

Noah non rispose: aveva avuto una pessima giornata, stava morendo di fame e la conversazione non gli interessava.

"Secondo te il filetto è davvero filetto? O dicono che è filetto e poi..."

Aaron lo interruppe. "Ti ha detto se sarebbe venuta qui stasera!?"

Noah tornò a guardare il menù, confuso: era come se cercasse la risposta a quella domanda tra le pagine sbiadite e unticce.

"Ma io che ne so?" Domandò retorico e stralunato, "è un paese libero. E poi, sei persino andato a casa sua oggi. Hai pure visto..." Noah lasciò cadere la frase, "se la vedi, la saluti e torni a fare la tua vita."

Aaron non ci pensò nemmeno per un secondo ad aprire quel menù.

"Ma tu come l'hai vista, sta bene?"

"Chi?."

Aaron gli sfilò il menu dalle mani.

"Daphne, Wash."

Noah sollevò annoiatissimo gli occhi chiari in quelli color miele di Aaron. Poi, si allungò sul tavolo, poggiando gli avambracci sul quel tavolo e si disse che avrebbe dovuto portare il completo in tintoria.

"Perché ti interessa, scusa?"

Aaron, colto alla sprovvista, scrollò le spalle. "Non mi interessa volevo solo... giusto per fare conversazione."

Noah approfittò del silenzio per riprendere in mano il menu: ordinò distrattamente un cheeseburger (tanto secondo lui quello non era filetto) e aspettò che Aaron finisse di ordinare per parlare ancora.

"Possiamo parlare del caso a cui sta lavorando mio padre, allora."

Aaron osservò le sue impronte sul vetro appannato del bicchiere che si rigirava tra le mani: a lui, parlare di lavoro non piaceva poi così tanto. Noah, al contrario, avrebbe potuto parlare di tribunali e arringhe per tutta la giornata.

"Niente di strano" cominciò, "insomma... due ragazze: una studiava alla Columbia e una alla NYU. Sono state drogate e stuprate. Una non si ricorda niente..."

Noah annuì curioso mentre sorseggiava il suo gin e lime ghiacciato.

"L'altra, però, dice che era un po' che nel campus gira una specie di droga... e che a venderla è un certo Michael King. Lui, però, dice che non è vero..."

"Ovviamente." Rimbeccò Noah.

Aaron rubò una patatina dal piatto di Noah. "Dice che suo padre lo ha incastrato."

"Suo padre? Edward? E la droga è la stessa? Insomma, delle due ragazze..."

Aaron annuì. "Stessa droga stesso modus operandi. Per questo hanno accusato la stessa persona."

Noah ci pensò su. Era vero: la famiglia King forse una delle più ricche e potenti famiglie di New York; e si sa che, quando si è ricchi e potenti, non sempre le cose vengono fatte in maniera convenzionale. Certo, che Jeffery fosse arrivato ad accusare suo figlio... quello, era strano.

Noah era rimasto seriamente sconvolto dalla notizia, anche se, come al solito, non lo diede a vedere. Lui e Michael erano stati amici per una vita: i loro padri erano entrambi uomini d'affari ed entrambi frequentavano lo stesso gruppo di amici. Poi, un giorno, suo padre smise di frequentare il padre di Michael e così, le cose andarono via via perdendosi.

"Di che si occupano? I King..." Domandò Aaron, curioso.

Noah scrollò le spalle. "Imprenditori. Sono anni che salta fuori il nome dei King... insomma: abusivismo edilizio, corruzione, evasione... tanta teoria e niente pratica, comunque..." Noah parlava fissando un punto indefinito di fronte a sé, "non sono mai riusciti ad incastrarli veramente, però. Mio padre ci prova da anni."

"Ha detto che erano amici..."

Noah accennò un sorriso. Rigirò la cannuccia nel bicchiere, mandando un paio di cubetti di ghiaccio sul fondo. "Finché mio padre non ha capito che tipo di persone fossero."

Noah si accorse che non aveva ancora toccato cibo nonostante avesse una gran fame; si decise allora ad intingere una patatina nel ketchup e portarsela alle labbra.

"Dai, ci lavoriamo assieme: sarai il mio assistente."

Noah premette nervosamente la punta della lingua contro il palato. "Assistente?"

Aaron sorrise e a Noah diede un po' fastidio: era come se, in un certo senso, ad Aaron facesse piacere quella situazione.

"Non ti piace come idea?"

"Non vedo l'ora..." Noah si interruppe (per fortuna, visto che stava per mollare qualche battuta su quanto fosse che Harvard gli avesse permesso di fargli da assistente) quando intercettò la figura longilinea di Daphne venire verso di loro con ancora addosso il cappotto.

"Che diavolo fai qua da solo? Sei- oh." Daphne si bloccò sui suoi passi e ad Aaron andò di traverso la limonata che stava bevendo.

"Sembra che non ci siano altri tavoli... che fai qui ferma..." Haylee urtò la spalla di Daphne mentre camminava, chiedendosi che cavolo stesse facendo immobile, "oh."

Haylee si sporse oltre la figura di Daphne – più alta di lei – e incrociò quasi immediatamente gli occhi azzurri di Noah, già piantati su di lei.

Certo, con addosso quel tubino nero con la scollatura a cuore Haylee Darling era sicuramente lontana dal cappello di lana e la felpa color lavanda. Non che non l'avrebbe trovata attraente anche con addosso un sacco della spazzatura...

"Potete sedervi qui." Propose Noah.

Aaron gli diede un calcio sotto al tavolo.

"Ahia!"

Haylee soffocò una risata voltandosi verso destra.

"Ma davvero... no, Haylee ed io ce ne andiamo. Vero, Haylee?" Disse, afferrando malamente Haylee per la borsetta e facendole quasi perdere l'equilibrio.

Haylee si stava guardando attorno quando Daphne cercò il suo supporto. "Hm? Ma io ho già ordinato..." Concluse.

"Hai già ordinato!" Esclamò, come se le avesse appena detto di aver picchiato un anziano.

"Me l'hai detto tu."

Daphne si ravvivò i capelli lisci sulle spalle e si precipitò per sedersi accanto a Noah e quindi di fronte ad Haylee mentre quest'ultima si sedette accanto ad Aaron.

Gentile da parte di Daphne cederle il posto accanto ad Aaron dopo il piacevole incontro che avevano avuto quel pomeriggio.

"Noto che hai dei vestiti addosso..." Esordì Aaron, guadagnandosi un'occhiataccia da Noah e da Haylee che si trattenne dal mandarlo a quel paese.

"Di solito è così che si esce. Coi vestiti."

"Quello che dico anche io." Ribatté subito lui.

Noah teneva gli occhi piantati su Haylee: le sue guance soffici erano riempite da una sfumatura rosa tenue che risaltava il color borgogna delle sue labbra piene e imbronciate.

Haylee si disse che la situazione era già abbastanza tesa per mandare quel tizio a quel paese anche se lo meritava e non poco.

Il silenzio che seguì subito dopo – riempito solo dalla musica scadente e dal chiasso delle persone – si interruppe solo nel momento in cui venne servito dell'alcol e Daphne ringraziò il cielo per quella benedizione.

Prima che Haylee potesse iniziare a bere, Daphne aveva già terminato il contenuto del suo bicchierino e si era automaticamente tuffata su quello di Haylee.

Gli occhi verde smeraldo di Haylee Darling si riempirono di una punta di fastidio, seguita da un'altrettanta punta di rassegnazione e, ancora una volta, rimase in silenzio.

Noah non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, era come se, quando c'era lei nella stanza, tutto il resto diventava un contorno sfuocato e di poco conto. Lei avrebbe pensato che lui fosse un maniaco o un idiota.

In realtà, Haylee era talmente presa dai suoi pensieri che nemmeno se n'era accorta, che lui la stava guardando.

"Te ne ordino un altro, Haylee." Disse Daphne, dando forma ai pensieri di Haylee e poggiando il bicchiere sul tavolo con un tonfo.

Daphne ruppe il silenzio ancora una volta. "Allora, Aaron: come va la vita?"

"Bene, immagino." Rispose incerto, sperando in cuor suo che una voragine si aprisse sotto la sua sedia per trascinarlo via da quella conversazione.

"E Violetta, sta bene?"

Aaron rivolse a Daphne uno sguardo confuso, cercando poi aiuto negli occhi di Noah che, ovviamente, non lo aiutò. Lei aveva una sguardo colmo di astio nei suoi confronti; il che era strano, visto che era stata lei stessa a lasciarlo.

"Violetta?"

Haylee diede un morso al panino che aveva ordinato nel vano tentativo di estraniarsi da quella situazione mentre Noah, dopo aver definitivamente abbandonato il suo hamburger – con la certezza nel cuore che non sarebbe mai più tornato in quel posto orrendo – riprese a bere il suo drink come se nulla fosse.

"La ragazza italiana con cui mi hai tradito."

Haylee e Noah si scambiarono per la prima volta un'occhiata che non aveva di certo bisogno di parole: erano entrambi diventati spettatori di una telenovela che non avrebbero mai voluto vedere.

"Si chiamava Claudette ed era francese e quante volte dovrò dirti che tra me e lei non c'è mai stato niente, Daphne?"

Haylee esitò sul profilo di Aaron: aveva il naso marcato e un po' a punta, marcata era anche la sua mandibola e le ciglia scure circondavano un paio di occhi color miele. Era un bel ragazzo, ma niente di speciale secondo Haylee.

Inoltre, Daphne non lo aveva mai descritto con grandi parole di affetto; quindi, non poteva dire che le stesse simpatico. Poi, l'incontro della doccia le aveva sicuramente fatto passare ogni dubbio.

Di Noah, invece, non le aveva mai parlato. E il motivo era ancora un mistero per lei, visto che ogni volta che provava a tirare fuori l'argomento Daphne parlava di altro.

"Perché continui a... a mentire?" Disse lei, frustrata.

"Non sto mentendo, Daphne, non avrei mai..." Aaron si interruppe: si era dimenticato che stavano parlando davanti ad altre due persone e in mezzo ad un locale pieno di gente.

"Ho bisogno di aria."

"Daphne, aspetta."

Aaron e Daphne vennero inghiottiti dalla folla. Haylee li guardò allontanarsi come si guarda una nave che salpa e comincia a navigare finché non diventa un puntino e poi sparisce oltre l'orizzonte. D'un tratto, l'ipotesi di salutarla con un fazzolettino solleticò la mente di Haylee.

Noah si alzò subito dopo Daphne ed Aaron senza dire niente ed Haylee si ritrovò a tamburellare le unghie sul tavolo, dicendosi che non avrebbe mai immaginato questo tipo di esito per la sua serata libera. Non immaginava granché, in realtà: solo due chiacchere e una mangiata in compagnia ma a quanto pareva era davvero chiedere troppo.

Poggiò assorta la mano sulla sua guancia mentre con l'altra disegnava motivi immaginari sulla superficie in legno senza pensare a nulla in particolare.

Sobbalzò quando si accorse che Noah era tornato di fronte a lei con due bicchieri: un gin e lime per lui ed uno per Haylee.

"Grazie," gli disse stupita: era forse la prima volta che gli rivolgeva la parola dopo il loro primo incontro, "pensavo fossi andato via anche tu."

Noah scrollò le spalle. "Dove dovevo andare? Aaron è il mio passaggio ed è sparito."

Noah tornò a guardarla per un lungo, lunghissimo istante: Haylee Darling era vicina a lui ma lontana allo stesso tempo.

"Lei non si è mai ripresa." Disse poi lei, interrompendo il flusso dei pensieri di Noah.

La guardò, cercando di capire di che cosa stesse parlando. Poi, notò che Haylee stava guardando la porta d'ingresso del locale.

"Da Aaron? No."

Noah non era un tipo particolarmente loquace, quello Haylee l'aveva capito. Che fosse estremamente attraente, poi, era un altro discorso. Haylee pensò che avesse una bellezza di altri tempi, un Leonardo Di Caprio misto ad un James Dean con qualche lentiggine sul naso.

Haylee decise di prendersi di coraggio e fare un tentativo almeno con Noah: chissà se le avrebbe finalmente detto perché non sapesse della sua esistenza.

"Non mi ha mai parlato di te, però. Eppure, siete molto amici..."

"Lo siamo. Dai tempi del liceo."

Noah aveva un tono basso; le parole, dalla sua bocca, uscivano con calma. Haylee, al contrario, parlava in fretta anche se il suo tono era delicato come quello di una bambina.

Haylee imprecò mentalmente: non avrebbe cavato un ragno dal buco. Forse non c'era niente sotto. Forse non le aveva mai nominato Noah perché non era importante, e perché non avevano niente in comune... anche se avrebbe dovuto menzionare, secondo Haylee, di avere un amico così maledettamente... bello.

"E lei, non ti ha mai parlato di me?" Tentò ancora.

Noah esitò un secondo negli occhi grandi di Haylee, quella sera allungati da una punta di eyeliner.

"No, mai."

Haylee bevve pensosa un paio di sorsi dal suo bicchiere. Tornò il silenzio ma Noah moriva dalla voglia di rubare quegli attimi di solitudine per poter parlare con lei e sentire ancora il tono dolce della sua voce.

"E Steven dov'è, stasera?"

"Hm? Oh... non saprei, in realtà." Rispose, con un velo di imbarazzo ad incrinarle la voce.

Era la prima volta che aveva una 'relazione' del genere con una persona. Solitamente puntava a costruire qualcosa con qualcuno ma era evidente che con Steve avrebbe potuto costruire, forse, una casa fatta coi lego. Un paio di relazioni andate a male, comunque, avevano convinto Haylee che le persone non volessero più impegnarsi e tanto valeva adattarsi per sopravvivere.

Noah aggrottò le sopracciglia.

"Non stiamo insieme," specificò lei, "non abbiamo nessun... vincolo."

"Sono le migliori relazioni." Concordò lui.

Haylee sollevò gli occhi in quelli di Noah e accennò un sorriso. Noah si maledisse mentalmente: era la prima volta che gli sorrideva e il suo cuore aveva fatto un paio di piroette, fino ad arrivargli in gola.

"Lo sono per davvero?"

"Per alcuni, sì."

Gli occhi color del mare di Noah guizzarono ancora nei suoi ed Haylee si prese in quell'oceano, disegnando il contorno delle sue ciglia fino a scendere sulla curva del naso ben disegnato, con qualche lentiggine qua e là...

"E immagino che tu faccia parte di quegli alcuni..." Concluse, quando i suoi occhi si poggiarono sulle labbra di Noah: rosate e carnose al punto giusto.

Noah aprì la bocca per rispondere ma venne interrotto dall'arrivo di Daphne che si mise addosso il cappotto in fretta e furia e poi guardò Haylee.

"Possiamo tornare a casa?" Disse, con urgenza.

Aaron li raggiunse qualche secondo dopo senza nemmeno guardare Daphne in viso.

"S-sì, certo," Haylee si alzò in fretta, "pago il conto e..."

"Non ce n'è bisogno," disse Noah, "ho già fatto."

Haylee schiuse le labbra in una 'o' di sorpresa. "Oh. Allora... g-grazie, Noah e..." la giovane donna fece cadere la frase: non sapeva che cosa aggiungere ma una piccola parte di lei avrebbe continuato a parlarci volentieri, con Noah.

Noah aveva le movenze pacate e in generale un modo di fare che, stranamente, riuscì ad infondere ad Haylee un senso di calma che difficilmente acquisiva nella vita giornaliera.

"Haylee." La richiamò scura Daphne, mettendole fretta.

"Arrivo."

Haylee e Daphne incontrarono il freddo della sera. Si strinsero istintivamente nei loro rispettivi cappotti. Quel particolare quartiere era quasi deserto, l'unico rumore era il fruscio delle foglie e il click del loro tacchi che urtavano l'asfalto. Una lieve pioggerellina iniziò a cadere sulle loro teste, inzuppando loro i capelli. Entrambe rabbrividirono ancora una volta e accelerarono il passo con la speranza di raggiungere la macchina nel minor tempo possibile.

"Scusa se ti ho fatto andare via in quel modo," esordì Daphne, "ma non riesco a stargli vicino..."

Haylee le poggiò una mano sulla spalla. "Non importa." Rispose, comprensiva: Haylee detestava fare sentire in colpa la gente, anche quando avevano torto. Nel caso di Daphne, comunque, era comprensibile che incontrare un ex non fosse mai un evento piacevole.

"Tu e Noah stavate... parlando?" Domandò poi, curiosa.

Haylee si appuntò nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Oh, insomma... sì... due chiacchere..."

"Sai, Haylee..."

Daphne si interruppe quando si ritrovò ad inciampare in qualcosa di non ben identificato che le fece perdere l'equilibrio e sarebbe caduta se Haylee non l'avesse sorretta per il braccio.

"Giuro che non è l'alcol, credo di essere..."

Haylee schiuse le labbra e inclinò la testa di lato, perplessa. "Ma quella è..."

"Una scarpa."

"Col tacco."

"E di chi..."

Haylee e Daphne seguirono con occhi inorriditi una serie di dense gocce più o meno grandi che partivano dalla scarpa per arrivare ad un'aiuola dove c'era distesa una ragazza ansant.

"Daphne! Chiama il 911!"

Daphne afferrò il telefono con mani tremanti e compose il numero finché non riuscì a dire quel poco che bastava per farsi raggiungere da una volante della polizia.

Haylee si avvicinò a passi incerti: le mani le tremavano e aveva lo stomaco attorcigliato in un nodo che quasi le faceva mancare l'aria. Era una ragazza giovane, in età collegiale ed evidentemente vestita per una festa; i suoi capelli, zuppi, erano un po' appicciati sul viso pallido e sudato. Lei, poverina, a malapena riuscì a muovere gli occhi per puntarli in quelli addolorati di Haylee.

Le mani della giovane erano coperte di sangue, così come i suoi vestiti e parte del suo viso. Il buio e la pioggia non erano sicuramente d'aiuto a definire quale tipo di ferita avesse né quanto fosse profonda.

Haylee Darling sapeva solo che il suo labbro inferiore cominciò a tremare e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Le tolse un paio di capelli davanti al viso con la punta delle dita tremolanti. "Va tutto bene, tutto bene..." le disse meccanicamente. Non seppe dire se lo stesse dicendo più rivolta a sé stessa che alla ragazza.

Daphne chiuse col 911 e chiamò quasi immediatamente Noah, che le raggiunse, assieme ad Aaron, a tempo di record.

Noah guardò prima Daphne che si era fatta più vicina ad Aaron senza dire nulla. Poi, i suoi occhi cercarono la figura minuta di Haylee, inginocchiata nell'aiuola fangosa coi capelli e le guance tutte bagnate di lacrime e di pioggia.

"Haylee." Era la prima volta che pronunciava il suo nome ad alta voce e non nella sua testa. Era una musica, quel nome sulle sue labbra.

Haylee si voltò verso Noah con gli occhi confusi: la voce di Noah non era ancora entrata a far parte di quelle conosciute; in più, era talmente tanto traumatizzata da non riuscire a ristabilire un contatto con la realtà.

Noah si fece più vicino, si piegò appena sulle ginocchia e le spostò un paio di ciocche di capelli dietro la conchiglia delicata del suo orecchio con la punta delle dita.

Haylee guardò la ragazza e poi, col fiato corto, cercò conforto negli occhi azzurri di Noah, che nel frattempo cercò e trovò la sua mano per intrecciarla alla sua: la mano di Haylee era piccola, sottile e gelata. Lui cercò di darle calore con la sua.

"Vieni." Le disse, in un sussurro dolce.

Haylee si tirò su con le gambe che a malapena si reggevano in piedi e si lasciò trascinare oltre l'aiuola e di nuovo sull'asfalto. Era era talmente tanto sconvolta da non rendersi nemmeno conto che le loro dita fossero rimaste intrecciate e che quasi aveva lasciato a Noah dei piccoli solchi a mezzaluna sul palmo.

A lui sembrava non importare.

La polizia arrivò qualche minuto dopo: le luci blu infilzarono gli occhi di Haylee, ormai stranamente abituata al buio, tanto che inclinò appena la testa di lato, cercando rifugio dietro l'ampia spalla di Noah.

Una serie di passi indistinti raggiunsero i quattro giovani. Haylee si disse che stava bene lì, nascosta dietro quella spalla: mai nella sua vita avrebbe augurato a qualcuno di provare ciò che stava provando lei.

"Haylee?"

Haylee si spostò malvolentieri dalla sua posizione e Noah seguì i suoi movimenti, senza allontanarsi.

"Zach?"

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