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2.

Il sole stava probabilmente per fare una delle sue ultime comparsate dell'anno prima di lasciare definitivamente il posto all'inverno. Per chiunque stesse pensando in risposta che, di fatto, anche in inverno c'è il sole, ha ragione. Il sole in inverno c'è, però, è pallido, tetro ed è un po' una presa in giro quando sparisce e riappare dietro le nuvole grigiastre del cielo invernale.

Questo era ciò che frullava nella mente di Haylee Darling, rivolta col naso a fissare il cielo autunnale senza avere il minimo principio di fame.

Data la serie di rumori poco eleganti che proveniva dal lato del tavolo opposto al suo, – un misto tra il ruminare di una mucca e quello che Haylee dedusse potesse essere il suono di un banchetto medioevale –, era evidente che Steven stesse mangiando con appetito.

"Non capisco davvero come riesci a lavorare l."

Haylee rivolse un'occhiata perplessa al ragazzo, che le porse quella domanda in maniera quasi distratta mentre tagliava un pezzo di bistecca al sangue per portarselo alla bocca.

Si trattenne dal fare una smorfia – e un verso – di disgusto quando intercettò un rivolo di sangue misto al grasso della carne sfiorargli il labbro inferiore fino a solleticargli il mento pronunciato.

Haylee distolse lo sguardo e tornò a guardare fuori dalla vetrata del ristorante: un giovanissimo ragazzo, sui vent'anni, stava parlando con un'amica o la sua ragazza – quello Haylee non poteva saperlo – e lei continuava a fissare lo schermo del suo cellulare senza dargli troppa retta.

Eccola lì, l'ennesima ragione per non perdere tempo appresso alle relazioni. Ogni relazione, alla fine, si trasformava in quello.

"È un lavoro come un altro." Rispose, in una scrollata di spalle e usando un tono che non le piacque nemmeno: non aveva bisogno di giustificarsi sulle sue scelte lavorative, soprattutto con uno che per lavoro faceva il modello di scarpe. Lavoro che consisteva, tra parentesi, nel comprare scarpe di tasca sua, farci una serie di foto e commentarle... tutto da solo.

"Stare dietro ai bambini non è un lavoro," rispose lui, con un mezzo sorriso di scherno ad incorniciargli le labbra sottili.

Haylee si impettì. "E che cosa sarebbe, scusa?"

Steven spostò la sua attenzione dalla bistecca agli occhi chiari della ragazza dopo aver percepito il suo cambio di tono: aveva forse sbagliato a parlare? Si affrettò allora a rimediare al danno che non aveva compreso a pieno solo per evitare di finire in bianco per quella sera.

"No, insomma, voglio dire..." Si grattò il retro del collo "i bambini giocano tutto il tempo. Devi solo... guardarli giocare."

Haylee bevve un lungo, lunghissimo sorso del bicchiere di acqua frizzante che aveva davanti (immaginando nella sua testa che fosse vino, magari un bianco) e si morse la lingua per non sbagliare a parlare.

"Sarà meglio che vada," disse poi, dopo qualche secondo di silenzio "la mia pausa finisce tra poco."

"Così presto?" Domandò lui, guardandola con gli occhi di un cucciolo impaurito.

"Devo tornare a lavoro." Rispose freddamente, alzandosi dalla sedia per afferrare cappotto e sciarpa.

"Vai tranquilla," disse, accennando un sorriso, "pago io qui e ci vediamo stasera no?"

"Stasera ho quell'impegno... te ne avevo parlato." Mentì Haylee.

Haylee Darling non mentiva mai ameno che non fosse strettamente necessario. Ultimamente aveva imparato a sfruttare il fatto che Steven non ascoltasse una parola di ciò che diceva a suo vantaggio: non aveva alcun impegno, voleva solo levarselo di torno.

"Giusto, giusto!" Esclamò, fingendo di esserselo ricordato.

Le mandò un bacio volante e tornò a concentrarsi sulla sua bistecca. Haylee ondeggiò piano la mano per poi voltarsi e mettere un bel po' di distanza tra loro.

Probabilmente per spiegare a Steven che cosa significasse stare dietro ai bambini per un'intera giornata, avrebbe dovuto portarlo con sé, specialmente nella giornata dell'arte o in quella della musica, in cui la sua emicrania chiedeva pietà.

Quel giorno era stato abbastanza tranquillo, comunque: una sola caduta, due soli vomiti e soltanto quattro liti tra bambini. Doveva ritenersi fortunata visto e considerato che la sua collega Safiya era malata e lei aveva un'intera classe di bambini a cui stare attenta. A fine giornata quando finalmente si lavò quella giornata di dosso, si chiese come avesse fatto ad uscirne viva e se avrebbe avuto la stessa fortuna per la restante settimana che aveva davanti.

Haylee si sciolse i capelli dallo chignon disordinato che glieli teneva legati, si infilò un paio di pantaloni del pigiama, una canottiera chiara e scese al piano di sotto, sbadigliando.

Per quanto avesse fantasticato sulla sua serata in solitaria durante tutta la sua giornata – soprattutto mentre ripuliva il vomito –, in fondo, Haylee Darling sapeva che si sarebbe addormentata sul divano col telecomando in mano.

Casa di Daphne era a dir poco immensa e non c'era da stupirsi che si fosse offerta di ospitarla senza pensarci due volte. I suoi genitori avevano giusto un paio di hotel sparsi in tutto il mondo e le avevano gentilmente regalato l'ultima apertura, nell'Upper West Side. Hotel che la sua amica Daphne Greene, aveva ingegnosamente chiamato Evergreen. Lei poi, che era una maniaca del controllo, non tollerava l'idea che il suo staff lavorasse senza di lei ed era praticamente sempre a lavoro.

Haylee si stiracchiò pensierosa e si diresse in cucina alla ricerca di qualcosa di commestibile da mangiare. Decise di optare per un bel toast ketchup e formaggio fatto da lei, visto che il frigorifero di Daphne offriva una fetta di pizza della preistoria e un paio di altre cose non ben identificate ricoperte da una sottile patina verde e molliccia.

La giovane donna mise i due toast in un piatto e si spostò in soggiorno con l'intenzione di mettere qualcosa in tv. Tirò allora con la punta dell'indice la porta a scrigno della cucina per dirigersi in soggiorno e, quando nell'uscire andò ad urtare il petto di qualcuno, soffocò un urlo e il piatto le cadde per terra con un tonfo, spargendo cocci di ceramica e di conseguenza la sua cena, sul pavimento.

Haylee osservò con stizza e rabbia le grosse gocce di ketchup che macchiarono il pavimento come se il suo toast fosse stato un soldato appena trafitto e di conseguenza caduto in guerra.

Hai combattuto con onore, toast, disse Haylee nella sua testa, un giorno, forse, ci rivedremo... se non muoio di fame nel frattempo!

Haylee Darling corrugò le sopracciglia folte. Sollevò poi gli occhi verde smeraldo in quelli della causa per la quale il suo panino era morto.

"Ciao." Disse.

Mossa da una nuova consapevolezza – tra parentesi: un estraneo si era appena intrufolato in casa sua –, fece un paio di passi indietro fino a sbattere contro la porta socchiusa. Scivolò all'interno della cucina e la richiuse con forza, facendola tremare appena e cercando di fare resistenza affinché lo sconosciuto non riuscisse ad aprire.

Inutile dirlo, ma verrà detto lo stesso, che la forza di Haylee non fu sufficiente a bloccare una porta a scrigno di legno massiccio e che, tra parentesi, non fosse forte come il giovane uomo che stava dietro la suddetta porta.

"N-non ti avvicinare o chiamo la polizia." Disse, con voce tremante, quando lui la seguì dentro la cucina.

Haylee percorse un paio di passi indietro e fece il giro dell'isola della cucina, tastando in giro alla ricerca di un grosso coltello per difendersi dall'invasore nonché assassino di toast.

Con tutto il tempo che avevano avuto i ladri di entrare in casa di Daphne, avevano scelto giusto il giorno in cui si era trasferita lei!

"La polizia?" Il giovane uomo inarcò un sopracciglio, perplesso, "sono un amico di Daphne. Non ti ha detto che venivo?" Domandò, mostrando i palmi ampi in segno di resa.

"Un amico di Daphne?" Rispose incredula lei, lasciando che i suoi occhi vagassero a mettere a fuoco i contorni di quello sconosciuto che fino a quel momento non era nient'altro se non un potenziale serial killer.

Il cuore di Haylee pompava ritmicamente nel suo petto, riusciva a sentirlo persino rimbombare nella sua gola. Teneva gli occhi puntati nei suoi e per un attimo pensò che non stesse nemmeno sbattendo le palpebre per la paura.

Il giovane uomo, accortosi che la persona davanti a lui era seriamente minacciata dalla sua presenza – la cosa lo divertì e non poco anche se cercò di non darlo a vedere –, si portò una mano aperta all'altezza del petto, indicandosi.

"Noah." Disse semplicemente.

Haylee continuò a fissarlo, anche se la sua espressione passò dallo spaventato al perplesso. Lo sconosciuto, Noah, pronunciò il suo nome come se lei avesse dovuto sapere chi fosse.

"Tu sei Haylee." Aggiunse, quando si rese conto che presentarsi non era stato evidentemente sufficiente.

"Lo so chi sono" rimbeccò lei "me lo ricordo il mio nome."

"Daphne non ti ha detto che venivo, hm?" Chiese lui, lasciando cadere la mano lungo il corpo per poi fare un piccolo passo indietro.

"In questo momento sei solo uno sconosciuto che sa il mio nome e quello della mia migliore amica," Haylee ridusse gli occhi a due fessure e si fece pensierosa "provami che conosci Daphne." Concluse, senza muoversi dalla sua posizione oltre il tavolo.

Era divertente e ridicolo allo stesso tempo, pensare che quel tavolo fosse l'unico ostacolo insormontabile a impedire a Noah di farle del male.

"Provartelo?" Lui accennò un sorriso "i suoi genitori si chiamano Alexei e Cindy."

"Puoi trovare questa informazione ovunque, Noah. Sempre che questo sia il tuo vero nome."

Il sorriso di Noah si allargò ancora un poco, mostrandole una fila di denti bianchi e allineati.

"Non pensi che se avessi voluto ucciderti lo avrei già fatto? Sarei... che ne so... venuto armato?"

Haylee si mise le mani sui fianchi. "Non sono io la mente criminale qui, Noah."

"Puoi perquisirmi, se vuoi."

"Ah-ah-ah. Molto divertente. Stai prendendo tempo."

"Devi essere un'appassionata di Criminal Minds o equivalenti, hm?"

Haylee distolse lo sguardo.

"Daphne era una grandissima appassionata di Twilight, ai tempi della scuola. Si metteva le lenti a contatto colorate e si vestiva tutta di nero."

Haylee scoppiò a ridere. "Se è davvero così, la prenderò in giro fino alla morte."

La porta d'ingresso si aprì in quel momento, portandosi dietro proprio Daphne.

"Per quale ragione dovresti prendermi in giro?" Oh- ehi Wash. Haylee, hai conosciuto Noah?" Chiese, in tono casuale casuale, entrando in cucina e poggiando una serie di incarti sul tavolo.

Il sorriso di Haylee si spense piano piano fino a diventare un'espressione di ghiaccio quando incontrò gli occhi chiari della sua amica.

"Avresti potuto dirmelo, che veniva!"

Daphne sorrise, sadica. "E levarti il gusto della sorpresa?"

"Perché mai doveva essere una sorpresa per me?"

Daphne schiuse le labbra come se stesse per dire qualcosa, poi lasciò perdere.

"Noah, lei è Haylee. Haylee, lui è Noah. È appena tornato dalla sua specializzazione ad Harvard per lavorare nello studio legale di suo padre."

"Buon per lui."

A quel punto, Daphne e Noah cominciarono a parlottare del più e del meno ed Haylee si prese qualche minuto per osservare il giovane a qualche metro da lei: indossava un paio di jeans strappati della Levi's, un paio di sneakers bianche con il coccodrillo verde della Lacoste sui lati ed una maglietta di Tommy color azzurro cielo che riprendeva, suo malgrado, il colore dei suoi occhi.

Gli occhi di Noah erano azzurri come un mare caraibico in estate; i suoi capelli, biondo grano, erano corti e disordinati; i lineamenti del suo viso erano scolpiti e allo stesso tempo delicati... come le lentiggini che gli circondavano il profilo del naso ben disegnato.

Era sicuramente più alto di lei, che per un soffio sfiorava il metro e sessantadue; il suo fisico, era asciutto; le sue braccia riempivano il tessuto della sua maglietta.

Quando terminò di scansionarlo, Haylee Darling sospirò rassegnata.

"Vado a comprarmi qualcosa da mangiare." Disse, sperando che nessuno si accorgesse che sarebbe uscita in pigiama o che comunque non glielo facesse notare.

"Non ce n'è bisogno," intervenne Daphne, "ho portato un bel po' di avanzi del catering che abbiamo assunto per la festa di stasera."

Haylee le rivolse un'occhiata, indecifrabile per Noah ma perfettamente decifrabile per Daphne: aveva portato del cibo, quindi era parzialmente perdonata.

"Com'è andato il viaggio?" Domandò Daphne a Noah, che intanto si era accomodato ad uno degli sgabelli che circondavano l'isola della cucina.

"Normale." Rispose, tenendo gli occhi fissi su Haylee che invece stava curiosando nei contenitori portati da Daphne.

Aveva una cascata di capelli corvini, lucidi e sinuosi come il pelo di un gatto nero, che la sfioravano fino a metà della schiena e che faticava a tenere a bada. Gli occhi, di un verde brillante, erano adesso piegati verso il basso nascosti dalle ciglia folte incurvate verso l'alto; le dita, sottili e delicate, sfioravano gli incarti con estrema cura; infine, le labbra, carnose e imbronciate, erano la ciliegina su quel viso che le dava tutta l'aria di una bellissima, elegante, principesca, bambola di porcellana...

La voce di Daphne lo richiamò dal flusso dei suoi pensieri.

"Ho chiesto alla mia donna delle pulizie di passare di sotto a dare una sistemata nel tuo vecchio appartamento. Dovrebbe essere tutto a posto."

Noah annuì. "Ho già lasciato lì le mie valigie." Le rispose senza guardarla.

"Com'è che non sapevo della sua esistenza?" Chiese allora Haylee dopo aver esaminato il contenuto dei pacchetti portati da Daphne: aveva trovato spaghetti, rustici e patatine fritte quindi poteva ritenersi abbastanza soddisfatta.

Daphne parlò fermandosi i capelli con un mollettone, togliendosi un paio di ciocche dorate davanti al viso. Si scalciò poi le scarpe coi tacchi abbandonandole in direzione del divano.

"Che ne so. Mica ti parlo di tutti i miei amici, no? Insomma, guardalo: non vale mica la pena menzionare uno così."

"A Daphne non piace vantarsi." Disse subito Noah, interrompendo la sua amica.

Haylee schioccò la lingua, annoiata. "Non capisco di cosa dovrebbe vantarsi."

"Ci sarebbero un paio di cose, in effetti..." abbozzò lui, sorridendo.

L'eco di un ew da parte di Daphne, fece sorridere Haylee.

La giovane aprì la bocca per rispondere ma il suono del suo cellulare la fece sobbalzare.

"Ehi." Si limitò a dire Haylee dopo aver fatto scorrere il pollice sul nome di Steven. Si spostò poi in soggiorno a grandi passi e infine percorse la scalinata di marmo che portava al piano di sopra.

Daphne guardò Noah che osservava il punto in cui era sparita Haylee, come se si aspettasse di vederla ricomparire di nuovo da un momento all'altro.

"Quando cominci a lavorare da tuo padre?"

Noah era fin troppo immerso nei suoi pensieri per fare caso alla domanda di Daphne: avrebbe dovuto iniziare a lavorare come praticante avvocato da suo padre in un paio di giorni ed era piuttosto agitato anche se non lo avrebbe mai detto ad alta voce.

"Wash!"

"Hm?" Si voltò verso di lei. "Oh," si stropicciò il viso, "Beh... oggi è mercoledì."

"Oggi è martedì." Disse rassegnata. "Come fa a non entrarvi in testa?"

"Hm?"

Daphne alzò gli occhi al cielo. "Lascia perdere."

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