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13 - Oh Freedom!

Mountforde Gardens era una via come un'altra di Short Strand, o almeno questo si era detto Gabriel non appena giunto a destinazione. Tuttavia, ciò che vide fu anche una casa che, tra le tante, spiccava per la sua stazza. La osservò da fuori, scrutando il suo giardino attraverso il grosso foro circolare del cancello di legno, e vi si aggrappò. Gli occhi azzurri che brillavano nell'angoscia, le pupille strette, ridotte a due piccole capocchie di spilli. Sospirò.

«Starà bene» si disse in un borbottio. Con quelle parole cercò di rassicurare Darrell, il quale, fermo al suo fianco, non faceva che fremere sul posto.

Le mani in tasca e le labbra martoriate dai denti. «Come fai a dirlo?» chiese in un sussurro.

A dirla tutta, neppure Gabriel credeva alle sue stesse parole, ma aveva bisogno di pronunciarle ad alta voce per provare a illudersi, per cercare di farsi forza. Inspirò a fondo e riprovò, lanciandogli un'occhiata di sguincio: «È una casa, Darrell. Cosa pensi che ci sia di pericoloso in una casa?». Storse le labbra in un'espressione irritata, forse anche rassegnata. «Delle scale? Un caminetto spento?» Sospirò e scosse la testa. «Andiamo, non essere così pessimista» lo rimproverò.

Strattonò il cancello e, vedendolo tremare sui suoi stessi cardini, si accorse che questo non era stato chiuso. Così batté le palpebre e, piacevolmente sorpreso, guardò Darrell, facendogli capire che quello fosse il momento giusto per avanzare nella proprietà.

Lui annuì e fu il primo a entrare. Si crucciò appena e, cercando di dissimulare la tensione, smosse un poco le braccia lungo i fianchi per sciogliere i muscoli. Fece qualche passo lungo il viale, fiancheggiato subito da Gabriel, e si trattenne dal correre verso la porta di casa. Deglutì. Poi, all'improvviso, gelò sul posto, perché sentì la voce lontana e ovattata di qualcuno dire:

«Dovrai camminare in silenzio fino a casa. E non avrai il permesso di allontanarti di un passo, intesi? Lì decideranno cosa farne di te».

Gabriel sgranò gli occhi e socchiuse le labbra come un pesce fuor d'acqua. Anche lui, come Darrell, aveva udito distintamente quelle parole e ne era rimasto terrorizzato, inorridito. Sapeva di trovarsi sul suolo de Il Grande Drago Rosso, perciò, in men che non si dica, si fece un'idea su chi potesse essere stato a dire una cosa simile.

Il pensiero volò subito verso Randy. «Non può essere» esalò. Si sentì afferrare malamente da Darrell e poco dopo si ritrovò nascosto dietro una siepe, con una mano sulla testa, sospinto verso il terriccio.

«Lo hanno preso» disse piano nella sua direzione. «Cosa cazzo hai intenzione di fare adesso? Vuoi fingere che non stia accadendo niente?» Arricciò il naso furioso, ricordando dell'attentato a casa sua.

In quel momento, la porta si spalancò sul suo uscio e fece uscire due uomini in giacca e cravatta, che si trascinarono dietro Randy e si fermarono nel portico per infilare le loro cappe mistiche nelle ventiquattrore.

«Non andrete lontano» grugnì Randy. Le sopracciglia aggrottate, quasi unite sulla sommità del naso, e le labbra tese che mostravano i denti. «Potete anche costringermi a seguirvi, ma vi assicuro che non riuscirete a portarmi a casa.»

«E cosa te lo fa credere?» chiese uno di loro.

Randy storse le labbra. Le mani in tasca e lo sguardo rivolto altrove. Fece spallucce e schioccò la lingua sul palato. «Diciamo che è un'intuizione.» Lo vide avvicinarsi, così cercò di proteggersi dal colpo che subito gli venne sferrato allo stomaco. Boccheggiò e si piegò in avanti.

«Non scherzare, Randy» cantilenò. Lo afferrò per i capelli e lo strattonò verso l'alto. «Non scherzare» ripeté, questa volta scandendo.

Gabriel serrò i denti dalla rabbia, osservando la scena attraverso le foglie. Gli occhi iniettati di rabbia e le mani che grattavano la terra del giardino. Avrebbe voluto alzarsi, ma sentiva ancora il palmo di Darrell premere sulla sua testa con forza e non riusciva a opporsi. Inspirava ed espirava profondamente, furibondo, con le narici allargate. «Lasciami andare» sibilò.

«Stai fermo, ti farai ammazzare» lo rimproverò, strattonandolo non appena questi provò ad alzarsi.

Gabriel si allontanò dalla sua presa e, grugnendo, saettò verso il portico. Le sopracciglia aggrottate e i pugni ben chiusi, rigidi lungo i fianchi. «Allontanatevi da lui!» esclamò.

Randy accennò un ghigno soddisfatto e sollevò il mento verso i due membri della setta per poi dire: «Ve lo avevo detto che il vostro piano non sarebbe andato in porto.»

Uno di loro si voltò nella sua direzione e tentò di colpirlo con la ventiquattrore, ma venne fermato a causa di una sassata che lo prese in pieno all'altezza della fronte e lo fece dapprima vacillare verso una colonna e poi cadere dalle scale.

Gabriel si spostò di un passo e afferrò Randy per un polso, gridando: «Corri!». Si voltò verso il cespuglio cui si trovava Darrell e, guardandolo, gli fece un cenno con il capo. «Darrell, sbrigati!» Lo vide annuire, poi scattare lungo il viale.

Tuttavia questi non riuscì a raggiungere il cancello incolume e venne ferito all'altezza della spalla da una lama che, passandogli accanto, saettò veloce nell'aria.

Gemette, chiuse gli occhi e si piegò appena in avanti. Poi si portò una mano sulla ferita e vi premette contro, scoprendola dolorosamente sanguinante.

Allora, continuando a correre impacciato, si voltò verso il portico e lo vide: aggrappato a una delle colonne, con la fronte madida di sangue e un solo occhio aperto, l'uomo che aveva colpito con la sassata lo guardava e ghignava soddisfatto. Annaspò, sentendosi su di giri, mentre Gabriel lo richiamava all'ordine con un:

«Muoviti, Darrell!».

Si umettò le labbra e restrinse lo sguardo, aggrappandosi al cancello di legno per poi sbatterlo alle proprie spalle in un moto di rabbia e continuare a correre col fiato corto lungo Mountforde Gardens.

Anche Randy aveva il respiro pesante. Ricordava ancora quel "Bentornato a casa" detto con cinismo e sentiva i brividi corrergli lungo la schiena. Sapeva che Gabriel era stato provvidenziale, che senza di lui non avrebbe avuto scampo. Perciò, con le lacrime agli occhi, continuava a lottare contro la voglia di gettargli le braccia al collo. Sarebbe stato troppo imbarazzante, fuori luogo, così si disse.

Deglutì, guardando le sue spalle e arrossendo appena. Nemmeno si accorse di quello che era accaduto a Darrell. Le orecchie ovattate, distanti, e la paura che gli camminava sotto pelle.

«Dobbiamo andarcene da qui il prima possibile» disse quasi in un sussurro. Chiuse gli occhi, poi si voltò e lo vide: era lontano, a quasi due metri di distanza, e correva in modo sconclusionato, con la fronte imperlata di un sudore freddo e una mano stretta attorno alla spalla opposta. «Cos'hai?» chiese, battendo le palpebre. La sua espressione mutò istantaneamente e divenne preoccupata, agitata.

Lui scosse la testa e disse: «Non preoccuparti, continua a camminare». Non era certo che quel genere di ferita fosse pericolosa, ma avrebbe pagato oro per vederla con i propri occhi. «È solo un graffio.»

Randy rallentò il passo e spostò lo sguardo dalla sua spalla alla mano che ciondolava vicino al fianco. Vide cadere dalle sue dita delle gocce rosse che subito riconobbe come sangue e inorridì, sgranando gli occhi. «Sei ferito» gemette senza voce. Un groppo in gola e la paura che gli annodava le corde vocali. «Gabriel, Darrell è ferito!» esclamò subito, aggrappandosi al suo cappotto e cercando di frenarne avanzata.

Questi si voltò. Gli occhi sgranati , sconvolti. «Non è possibile» disse. Non aveva mai davvero considerato l'idea che Darrell potesse farsi del male, perciò gelò sul posto. Deglutì, tornando a guardare di fronte a sé, e rigettò quell'idea fino a scuotere la testa.

Randy lo superò e, guardandolo negli occhi, ripeté: «È ferito».

«Non ho niente» negò Darrell.

Gabriel accennò un sorriso tirato e tentò di riprendere la sua posizione, afferrando Randy per un avambraccio e iniziando a muovere qualche passo veloce. «Ha detto che sta bene, sentito? Dobbiamo sbrigarci, dobbiamo andare via da Short Strand.»

Randy digrignò i denti. «Smettila di fare lo stronzo» sibilò furioso. Puntò i piedi in terra e lo tirò a sé per poi colpirlo con uno schiaffo.

Quel suono risuonò lungo la strada tanto quanto quelle parole nella sua testa. Gabriel si sentì un completo idiota e soffiò uno: «Scusa».

«Non è a me che devi chiedere scusa» disse. «È con lui che ti comporti di merda, che a malapena vi guardate in faccia.» Schioccò la lingua sul palato e poi sbuffò un: «Non è il momento, lo so, ma non ce la faccio a vedere tutto questo maledetto disinteresse». Arricciò il naso irritato, infine volse lo sguardo verso Darrell e si avvicinò a lui, chiedendo: «Ti fa male, cos'è successo?».

«Ti ho detto che non ho niente» sbottò a denti stretti, sfilando il braccio dalla sua stretta gentile per poi guardarsi attorno allarmato. Non voleva rallentare la fuga e avrebbe fatto di tutto, perfino farsi odiare, pur di farli muovere. Lo sentì sospirare, poi gli vide storcere le labbra in una smorfia e retrocedere per allontanarsi.

«Dove avete lasciato l'auto?» domandò Randy.

«Esattamente dove l'hai vista l'ultima volta.»

«Davanti alla tavola calda? Scherziamo?» Smise di guardare Darrell, consapevole del fatto che si trattasse di un suo capriccio, e ricominciò a stare al passo di Gabriel; tuttavia, di tanto in tanto, continuò a lanciargli delle occhiate per accertarsi del suo stato di salute.

«Non manca molto» disse Gabriel d'un tratto. Voltò la testa verso Darrell e sperò di vederlo rincuorato se non addirittura allegro, magari pronto a lanciare una delle sue battute infelici. Per questo mancò un battito di fronte a quella visione. E sgranò gli occhi, perse la voce, si sorprese del suo colorito cereo.

Lui era bianco come un cencio e aveva i muscoli del viso contratti a causa del dolore.

Gabriel inspirò a fondo. Non ricordava l'ultima volta in cui si era preoccupato tanto per lui; forse da ragazzo, quando Darrell era solo un bambino, chissà. Si fermò, raggiungendolo, e, dopo averlo guardato dritto negli occhi, fece passare il suo braccio illeso attorno alle proprie spalle. Sommessamente disse: «So che a breve crolleresti come un pugile messo K.O.». E gli parve di sentirlo sorridere, tuttavia non ne fu certo.

«Non sei poi così stronzo» mormorò Randy, addolcendo lo sguardo e seguendolo verso l'auto parcheggiata. Aprì lo sportello dei sedili posteriori e aiutò Gabriel a far sedere Darrell. Ma non riuscì nemmeno a raggiungere quello del passeggero, che lo vide crollare steso su un fianco. Sbiancò, con la mano sulla maniglia, guardando Gabriel da sopra il tetto della BMW color notte, «Che cazzo succede?» balbettò.

Gabriel impallidì senza avere il coraggio di guardare Darrell. Fissò Randy negli occhi, poi scandii: «Sali in auto, Randy, sbrigati». E lo vide annuire, agire automaticamente senza fare un fiato.

Si mise subito la cintura di sicurezza e, in totale silenzio, tirò su col naso. Poi spostò lo sguardo verso lo specchietto laterale e guardò Darrell. Il cuore in gola e l'ansia crescente. «Portiamolo in ospedale» propose agitato e speranzoso in direzione di Gabriel.

Questi si morse le labbra nervosamente, infine annuì. «Certo.» Indurì i muscoli del viso e mise in moto. Premette subito sull'acceleratore e fece sgommare l'auto lungo la silenziosa strada di Short Strand.

Randy si aggrappò al sedile e sbiancò. Fissò la carreggiata sgombra, mentre le unghie quasi rigavano la pelle nera. Non era abituato a una simile velocità, ma sapeva di doverla sopportare per il bene di Darrell. Così serrò le palpebre e, con lo stomaco sottosopra, si umettò le labbra. Teso come una corda di violino, provò a calmarsi inspirando a fondo.

E Gabriel mormorò: «Mi dispiace che tu debba passare tutto questo».

Allora riaprì gli occhi, lo fece lentamente, a fatica, e lo guardò. Voltò appena il capo nella sua direzione, indugiò sul suo profilo serio, infine, facendo spallucce, si lasciò sfuggire un: «È solo colpa mia, perciò non ho alcun diritto di lamentarmi». Ne era convinto, e non ci sarebbe stato niente che Gabriel avrebbe potuto dire per fargli cambiare idea. «Se non mi fossi allontanato all'improvviso, se non fossi scappato in quel modo, adesso Darrell non sarebbe in questo stato» disse, la voce ridotta a un debole lamento.

Dai sedili posteriori si levò uno sbuffo. «Smettila di commiserarti, Rondinella.» Darrell sollevò una mano e, pesantemente, la posò sullo schienale del sedile del guidatore. Mugolò di dolore, cercando di mettersi a sedere, e, facendosi forza, ci riuscì. «Vi preoccupate troppo, è solo un graffio.»

Gabriel storse le labbra in una smorfia. «Hai ancora la forza per fare l'idiota?» lo pungolò.

«Abbastanza per chiederti di fare una deviazione prima di tornare a casa.» Gli vide aggrottare le sopracciglia attraverso lo specchietto retrovisore, così continuò con una risatina: «Per lo Scotch, ricordi? Me ne devi una bottiglia, Fratellino».

«Non ho parole» borbottò questi, lasciandosi andare a un sospiro rassegnato. Si portò velocemente una mano al viso, spostando una ciocca di capelli che la corsa gli aveva fatto cadere fastidiosamente sulla fronte. «Sei incorreggibile. Anche mezzo morto continui a sorprendermi.»

«È un bene, no?» Ghignò. Lasciò la presa sul sedile e ricadde contro quelli posteriori. Chiuse gli occhi, soffiando: «Vuol dire che ho la pelle dura».

Randy si voltò completamente nella sua direzione. Posò un ginocchio sul sedile e si aggrappò allo schienale con entrambe le mani. Lo guardò preoccupato, indugiando su ciò che aveva da dire, e si trattenne, mordendosi le labbra. Poi sbotto: «Non pensi a Logan?». Le sopracciglia tremanti e un nodo in gola. Aveva come l'impressione che sarebbe potuto scoppiare a piangere da un momento all'altro.

«Certo che penso a Logan, per questo dobbiamo tornare a casa» sospirò. «Se tardassi troppo si chiederebbe che fine ha fatto suo padre, e Judy non riuscirebbe a calmarlo. Sono un padre modello, sai?»

Gli occhi di Randy si velarono appena. «Perfetto, continua pure a dire cose assurde finché non arriviamo in ospedale. Mi basta questo.»

Darrell lo squadrò attraverso le ciglia scure. «Così mi offendi» fece in un lamento. «Io non dico mai cose assurde.»

Randy sorrise. Un sorriso leggero, incerto, forse anche tremante; e le sue dita si strinsero con maggior vigore attorno allo schienale del sedile. «No, infatti, quello che dice cose assurde sono io.»

«Che strano. Quando hai iniziato a darmi corda?» Darrell aggrottò le sopracciglia, ma non riuscì a mantenere quell'espressione per più di qualche secondo. Storse le labbra e chiese: «Credi davvero che sia messo così male?».

«Un po'» ammise piano. Trattenne una risatina, poi si portò via una lacrima invadente dallo zigomo e sollevò gli occhi verso il tettuccio. Inspirò a fondo, infine minimizzò con la sua citazione: «Ma è solo un graffio, Darrell, lo hai detto tu».

«Non sarei in questo stato se non fosse colpa della mia stupida anemia» disse con un'alzata di spalle, che, subito, lo fece pentire di essersi mosso. Gemette a causa del dolore e restrinse lo sguardo. «Sono solo un po' debole, tutto qui.»

«Non fare lo splendido» lo rimproverò Gabriel, guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore. «Anzi, cerca di non fare altri movimenti bruschi fin quando un medico decente non guarderà quella ferita.» Ma non fece in tempo a dirlo, che lo vide togliersi la giacca con un grugnito. «Ma che parlo a fare» sbuffò.

«Hai sentito cos'ha detto Gabriel? Stai fermo!» tentò Randy, allungandosi verso di lui con un braccio teso.

Tuttavia, Darrell sfuggì dalla sua presa e iniziò a sbottonarsi la camicia. Sospirò, espose la spalla e spostò lo sguardo verso di essa, iniziando a fremere sul posto. Non riusciva a vederla nitidamente: era sdoppiata e rossa come un semaforo. Così deglutì a vuoto, muovendo le dita della mano opposta verso la ferita. La sfiorò, e subito si lasciò andare a un lamento. «Cazzo» imprecò a mezza bocca. I polpastrelli, tremanti e freddi, scivolarono per tutta la lunghezza del taglio. «Non è un graffio» constatò, a denti stretti.

«Stai fermo!» ripeté Randy. Si allungò ancora nella sua direzione e, grugnendo, colpì il dorso della sua mano. «Non toccarla, dannazione! Vuoi infettarti?» Lo fulminò con lo sguardo e arricciò il naso. «Sei un bambino, forse?» Lo vide sorridere, poi arrendersi contro i sedili e sospirare. Allora tornò a sedere composto e gonfiò le guance, irritato e offeso dal suo atteggiamento infantile. «Che idiota» borbottò.

«Ti preoccupi troppo» disse in un sussurro. «Vi preoccupate troppo» si corresse. «Mi hanno ferito al braccio, non sto morendo...»

«Scusa tanto» bofonchiò Randy, crucciandosi a braccia conserte.

Gabriel storse le labbra, irritato dal menefreghismo con il quale Darrell stava affrontando la situazione. «Hai perso molto sangue e a stento ti reggi in piedi» disse. «Ti sembrerà anche una ferita da niente, ma potrebbe essere pericolosa se qualcuno non la chiude alla svelta.» Lo sentì ridacchiare, poi dire:

«Hai sempre una parola di conforto, tu. Non è vero, Fratellino?».

Scosse appena la testa, poi borbottò un: «Avresti preferito che non mi preoccupassi?».

«No, va bene così.» Sorrise e chiuse gli occhi.

Sentendo quelle parole e vedendolo immobile attraverso lo specchietto laterale, Randy si tranquillizzò. Batté le palpebre un paio di volte, lasciandosi andare a un sospiro, dopodiché guardò Gabriel con la coda dell'occhio e sorrise soddisfatto.

Non sapeva perché, ma, per quanto tragica fosse, quella situazione gli aveva fatto capire che la loro sciocca faida poteva essere accantonata. E sperò con tutto se stesso che entrambi ci mettessero una pietra sopra, riuscì quasi a convincersene durante il tragitto fino al Royal Victoria Hospital.



Note:

Ciao, ragazzi!

Lo so, ho due personaggi che si spaventano con poco.

Darrell non è affatto in pericolo di vita, ma ha perso un po' di sangue ed è bene che qualcuno gli chiuda la ferita al braccio prima che ne perda altro. Perciò la risposta è: "Sì, ha ragione Gabriel".

E poi, diciamocelo, chiunque andrebbe in ospedale per una ferita d'arma da taglio - ovunque fosse! Non facciamo gli splendidi (semi-cit.) perché questo non è il luogo... Le ferite sono pericolose, soprattutto quando c'è bisogno di mettere dei punti.

Tra l'altro i miei personaggi sono così umani che, beh, si afflosciano facile, LOL.

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi una stellina, che a me fa tanto piacere. Un baciottolo.

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