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10 - Deep in Love

Non ricordava quanti anni fossero passati dall'ultima volta che qualcuno gli aveva letto una storia prima di andare a dormire; solitamente era lui che le raccontava ai ragazzini della setta, e di certo non potevano definirsi fiabe o favole.

Dicendoselo, Randy prese ad abbottonarsi il pigiama di flanella che gli aveva dato Gabriel e, in un attimo, si ricordò del terribile evento della notte passata. Rabbrividì, non sapendo se augurarsi o meno che Darrell mantenesse la parola data, e guardò l'abat-jour rotta nel cestino accanto alla scrivania.

Poi sospirò, spense la luce e lasciò la porta socchiusa, facendo in modo che il riverbero luminoso del corridoio lo conducesse fino al letto. Solo allora, sentendo bussare, si voltò.

«Posso entrare?»

Guardò Darrell nella penombra e annuì senza quasi accorgersene, infilandosi sotto le coperte. «Per la storia, s'intende» ci tenne a precisare.

«Per la storia, certo.» Mostrò il libro che aveva in mano e lo agitò appena. Poi scostò le coperte di Randy e si fece spazio accanto a lui.

Questi gelò. Si chiese come mai non avesse preso posto sulla sedia, ma non disse una sola parola in proposito. Si schiarì la voce e divagò con un gesto dell'indice sinistro. «Non c'è l'abat-jour, l'ho rotta, mi dispiace» disse, cercando di rompere il ghiaccio.

Lui sorrise e posò il libro chiuso sulle cosce. «Me ne sono accorto» disse retorico, poco prima di sistemarsi con la schiena contro la testata del letto. «Vorrà dire che dovrò raccontarla, invece che leggerla.»

«È un problema?»

«No, posso farcela» minimizzò, scrollando le spalle. «La conosco molto bene.» Carezzò piano la copertina liscia del libro, poi disse: «Dunque, chiudi gli occhi e prova a immaginare una piazza immensa». Attese qualche istante e chiuse gli occhi a sua volta. «Lo hai fatto?» chiese, sentendolo mugolare con assenso. «Bene, in quella piazza c'era una grande statua posta su un piedistallo altrettanto grande. Era ricoperta di sottilissime lamelle d'oro e rappresentava un principe con una spada dall'elsa decorata con un grosso rubino. Tutti la chiamavano "Il Principe Felice" a causa della sua espressione sorridente e, passandogli accanto, sospiravano sognanti, sperando di poter essere felici come lui.»

Randy aprì un occhio nella penombra e chiese: «È lui il protagonista di questa storia? Una statua?». Sentì Darrell ridacchiare e storse di poco le labbra.

«Sì, ma una statua condannata all'immobilità. Sai, le statue non possono muoversi, Rondinella. È triste, non trovi? Ad ogni modo, stavo proprio per parlare della rondine, una piccola ritardataria, che stava migrando verso sud, verso l'Egitto, e che si era distaccata dalle altre. Per ripararsi dal vento, questa provò a nascondersi ai piedi del Principe, ma all'improvviso si accorse che aveva iniziato a piovere e alzò il capo. Era contrariata, decisamente irritata. Arrivò a dire: "A che serve una statua se non riesce nemmeno a proteggermi dalla pioggia?". Solo allora si rese conto che si trattava delle lacrime del Principe e, curiosa, volle conoscere la ragione del suo dispiacere.»

«Mi chiedo perché mai lo abbia fatto» borbottò Randy tra sé e sé. «Sarebbe stato meglio tornare in volo al più presto, riunirsi alle altre rondini verso sud. Così facendo non avrebbe conosciuto la tristezza del Principe e non si sarebbe lasciata coinvolgere.»

Darrell fece un sorriso amaro e continuò: «Anche il Principe si lasciava coinvolgere. Vedeva la miseria del popolo dalla sua incredibile altezza e non poteva fare a meno di essere triste. Ma era condannato all'immobilità e, consapevole di essere prezioso, aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a spogliarsi dei suoi averi».

«Questa storia sta diventando troppo triste, smettila» sussurrò. Le dita strette attorno alle lenzuola e lo sguardo basso.

Lui lo ignorò. «Così chiese alla rondine di staccare il suo rubino, poi le lamelle d'oro, infine i suoi occhi di zaffiro, e di consegnare ciascuna sua parte a una famiglia disperata per salvarla. Cure mediche, cibo, fuoco nel camino...»

«Darrell, basta» lo pregò sottovoce.

«La rondine lo aiutò fin oltre le sue forze e gli promise di stargli accanto. "Ora che sei cieco resterò con te per sempre", disse. E a nulla valsero le proteste del Principe, che voleva mandarla in Egitto, dalle sue rondini compagne, perché poté solo ascoltarla parlare e raccontare di posti mai visti, sconosciuti, fin quando non cadde in terra morta.»

Il cuore di Randy ebbe un sussulto, mentre le sue braccia, rabbrividendo, lo accompagnarono in un silenzio tombale. Provò a schiudere le labbra per dire qualcosa, tuttavia le richiude quando Darrell continuò:

«La statua spoglia del principe ebbe un duro colpo, che mandò in pezzi il suo cuore di pietra, di fronte alla morte della rondine. Fu allora che il Sindaco, sconvolto dall'orrore, fece portare via il corpicino della rondine e decise di fondere la statua del Principe per creare una statua a propria immagine e somiglianza. Tuttavia, durante l'opera, il cuore del Principe non si volle sciogliere, così venne gettato via assieme al corpo della rondine».

La pausa fu così lunga che Randy pensò si trattasse della fine della storia, perciò chiese: «È così che finisce il Principe Felice?».

«No, tuttavia non credo in Dio, perciò la fine che venne scritta da Wilde non la racconterò.»

«È solo una storia» mormorò. «Puoi raccontarla.» Lo sentì sospirare, poi dire:

«Non lo hai capito? Non è solo una storia, non per me. Mi hai chiesto da dove derivi il tuo soprannome, Rondinella, e ho cercato di spiegartelo. Non pensavo che fossi così poco attento».

«Temo che tu mi stia idealizzando» fece piano. «Io non posso essere la tua rondine, se è nel Principe Felice che ti rispecchi. Non ho viaggiato tanto quanto lei e non ho così tanto da raccontare. E poi cosa potrei dirti? Vuoi sentir parlare della setta? Di mia nonna o di mio padre?»

Darrell trattenne una risata. «Non è solo questo che ha fatto per il Principe Felice.»

«Ah, no? A me è sembrato così.»

«Allora sei davvero poco attento.» Cercò di scendere dal letto, ma si fermò quando Randy disse:

«È per il cuore, vero? Il finale, quello vero, racchiude la vera ragione del mio soprannome. E tu, da bravo stronzo, non ti sei nemmeno sprecato a raccontarlo».

«Lo hai detto, è per il cuore» confermò sottovoce. «Un cuore di pietra.» Allora si sentì afferrare per un braccio e, strabuzzando gli occhi, finì steso sul letto di Randy. Lo guardò dal basso, sormontato dalla sua figura nella penombra. Poi accennò un piccolo ghigno. «Cosa c'è?» chiese.

Lui non rispose, si avventò semplicemente sul suo collo e prese a suggello piano. Lo sentì irrigidirsi e deglutire, ma non si fermò, mentre con una mano scorreva sul suo petto e scivolava verso il basso.

Darrell ansimò. Gli occhi lucidi, fissi sul soffitto, e il cuore che prendeva a battere più forte che mai. Gli passò piano le dita tra i capelli, sulla nuca, sul collo, sulla schiena, infine sulle natiche, laddove si artigliò con foga. Un debole grugnito gli scivolò dalle labbra. E dovette impiegare tutte le proprie forse, mordendosi le labbra, per non cedere alla tentazione. Inspirò profondamente, sentendo l'eccitazione crescere aldilà della propria biancheria, mentre Randy la stuzzicava da sopra il pigiama.

«Fermati» disse. La voce seria, impostata, arrochita.

Randy si bloccò di colpo e ritirò la mano come scottato. Gli occhi spalancati e le labbra umide di baci. Arrossì vistosamente e benedì l'oscurità della stanza. Balbettò un: «Perché?». E si scostò di colpo, mettendosi a sedere sul suo bacino, dove premette contro il sesso gonfio. «Non era questo che volevi?» chiese, guardandolo dall'alto col fiato corto. «Mi hai baciato, mi hai raccontato quella storia, eri sdraiato nel mio letto...»

«Non hai davvero capito niente» gemette a fatica. Un nodo in gola e il sangue che, copioso, gli rombava a forza nelle orecchie. «Non è così che ti voglio. Non per senso del dovere, non come quella gente.» Deglutì, sentendo la gola improvvisamente secca. Poi si passò una mano sul viso e, titubante, ne avvicinò una al fianco di Randy. «Scendi, per favore, prima che io possa pentirmene.»

Lui mancò un battito. Lo guardò stranito, forse anche perplesso. Si spostò automaticamente e non osò aprire bocca, mentre Darrell, silenzioso, lasciava la sua stanza.

Rimase in quella posizione, con le ginocchia fisse sul materasso e gli occhi spalancati, per altri, interminabili minuti; poi si decise a scendere dal letto e, rosso di vergogna, mentre si chiedeva cosa diamine gli fosse passato per la testa, si diresse a grandi falcate verso il piano inferiore.

Percorse le scale velocemente, come un gatto, scalzo e al buio, fermandosi solo quando raggiunse il mobile dei liquori nel salone principale. E iniziò a cercare tra di essi con un rumore fastidioso, a tentoni, sperando di trovare la bottiglia aperta che aveva visto riporre a Gabriel qualche tempo prima.

«Che soprannome del cazzo» borbottò tra sé e sé. Schioccò la lingua sul palato e arricciò il naso. «'Fanculo.» D'un tratto, accecato dalla luce si coprì gli occhi mugolò ferito. «Merda!» imprecò a gran voce.

«Cosa stai cercando?» domandò Gabriel, fermo ai piedi delle scale. Si strinse bene la vestaglia di lana, poi infilò una mano in tasca e si avvicinò alla porta del salone.

Randy si voltò nella sua direzione e sbuffò, facendo un passo indietro. «Niente di prezioso, tranquillo. Non sono qui per derubarti.»

«Difficile derubarmi di un Rum» sottolineò questi con un sopracciglio sollevato. Allora mosse ancora un paio di passi verso di lui e, posata una mano contro lo sportello vetrato, chiese: «Davvero, Randy, cosa stavi cercando?».

«Volevo bere qualcosa.» Si strinse nelle spalle e, sotto il suo sguardo, si sentì tremendamente a disagio. «Oggi è stata una giornata orribile» si giustificò in un mormorio stentato, mantenendo gli occhi bassi.

«E credi che bere qualcosa ti aiuterà?» Lo vide stringersi nelle spalle e lo sentì mugolare di nuovo, così, sospirando, prese posto di fronte ai liquori e scelse la bottiglia già aperta di Scotch di Darrell per poi precederlo verso il suo studio. «Vieni, avanti» lo invitò con un cenno.

Randy guardò le sue spalle e, per un attimo, si chiese se lo stesse prendendo in giro. Poi, battendo le palpebre, lo raggiunse. Gli vide accendere la lampada sulla scrivania, infine prendere posizione sul divano con un sospiro stanco, quasi assonnato. Una luce fioca, giallina, invase presto la stanza, mentre Gabriel, allungando il braccio con lo Scotch nella sua direzione, si portava una sigaretta alle labbra per accenderla. Lui l'afferrò e subito si sentì invadere le narici da una zaffata di fumo.

«Conoscere Simon ti ha scosso così tanto?» domandò. «A cena non hai quasi toccato cibo.»

«Non è solo quello...» iniziò a dire, ma subito si fermò e, nella nube grigiastra, storse il naso. Stappò la bottiglia e, posato il tappo sulla scrivania, vi si attaccò. Bevve grosse sorsate sotto lo sguardo attento di Gabriel, il quale, dal canto suo, non smise di osservarlo con la sigaretta stretta tra le dita. «Non ho voglia di parlarne» boccheggiò d'un tratto, smettendo di bere, con le labbra che sapevano di saliva e Single Malt.

«Deduco che c'entri Darrell» borbottò. Il fumo scivolò denso dalle sue narici e lo ammantò come un'ombra. «Cos'ha fatto questa volta?»

«Niente» sussurrò. «Forse è proprio questo il problema. Mi aspettavo che facesse qualcosa e non è stato così. Mi ha fatto sembrare uno stupido.»

Gabriel si portò di nuovo la sigaretta alle labbra e sospirò. «Ci hai provato con lui?» chiese piano. Non sembrava arrabbiato, piuttosto deluso, e a Randy quella reazione sembrò così esagerata da fargli corrugare la fronte.

«Non ci ho provato» negò veementemente. «Semmai è lui ad averci provato con me. È successo questa mattina, in bagno.» Detto ciò, tornando a guardare la bottiglia, sorseggiò con rabbia lo Scotch. Lo guardò di sguincio e studiò il suo profilo contratto. Le labbra ancora posate sull'imbocco della bottiglia, sussurrò: «Mi ha baciato».

«E cos'è che ti rimproveri di non aver fatto, allora?» indagò. Si voltò nella sua direzione fino a posare un ginocchio sul divano e una mano sul bracciolo. «Volevi andare oltre?» Gli vide assumere un'espressione torva, indignata, così sollevò un sopracciglio e gli ricordò: «Sei stato tu a dire che ti ha fatto fare la figura dello stupido, no?».

«Non sai di cosa stai parlando» borbottò nervoso. Gli diede le spalle e camminò attorno alla scrivania fino a raggiungere la poltroncina girevole. Solo allora si sedette e sospirò. «Non volevo che mi baciasse, non lo volevo affatto.»

«Dunque?»

«Poco fa è successa una cosa strana.» Si rigirò la bottiglia tra le mani, soppesò il liquido rimasto, facendolo gorgogliare contro il vetro. Socchiuse gli occhi, iniziando a sentire come l'alcol gli annebbiava i sensi. «Ho fatto una cazzata, perché pensavo che fosse l'unica cosa giusta da fare, ma la verità è che non era affatto normale. Ed è colpa mia, delle mie abitudini del cazzo, di tutto ciò che ho passato quando ero ne Il Grande Drago Rosso e di quello che mi hanno inculcato in testa.»

«Di cosa stai parlando?» incalzò curioso.

Serrò i denti, avvicinandosi la bottiglia alle labbra. Sentì il vetro freddo contro di esse, le schiuse appena, ma non bevve una sola goccia, beandosi di quella sensazione. Poi, di scatto, la batté sulla scrivania in un moto di rabbia. Tremò vistosamente e chiuse gli occhi, nascondendosi dietro i palmi sudati. «Ho cercato di fare sesso con lui e mi ha allontanato» disse, vuotando il sacco. Il respiro corto, le lacrime agli occhi. «Sono un coglione. Non so proprio come mi sia venuto in mente, cazzo. Nemmeno mi piace tuo fratello.» Premette maggiormente le dita contro la fronte e si sbiancò le nocche, i polpastrelli. Poi gli sentì dire:

«Sono felice che ti abbia allontanato».

E fu come una goccia d'acqua piovana in un mare in tempesta. Lo riscosse, gli fece sollevare il capo e, nella confusione, lo portò a schiudere le labbra perplesso. «Perché?» chiese. Vide la sua espressione seria e trattenne il respiro.

«Non ti meriti di andare a letto con una persona che conosci così poco, non dopo tutti quello che hai passato.»

Randy trattenne una risata cinica. «Che ne sai di quello che ho passato? Non ti ho raccontato praticamente niente. Per assurdo sa più Darrell di te.»

«Posso immaginarlo» mormorò. Gli vide aggrottare le sopracciglia e, nonostante fosse conscio di doversi fermare, continuò: «Hai partecipato a dei riti particolari, riti a cui avresti preferito non essere neppure presente».

Paonazzo, distolse lo sguardo e ricordò le parole di Darrell al riguardo del libro di Gabriel. Gli occhi chiusi, si lasciò sfuggire una lacrima e arricciò le labbra in una smorfia. «Cazzo, perché devi sempre indagare sulla mia vita?» sbuffò.

«Lo sai il perché» disse. Il tono basso, quasi dispiaciuto. Subito ottenne in risposta un'occhiata di sguincio e gli sentì dire:

«È per il libro».

«Già, il libro» confermò sommessamente. Lo vide stringersi nelle spalle, carezzarsi le braccia e aggrapparsi con le dita al pigiama di flanella nella speranza che questo potesse scaldarlo dall'interno come un abbraccio.

E si sentì in colpa, un infame.

Deglutì, mentre Randy si mordeva le labbra e ammetteva con voce tremula ciò che lui aveva già scoperto online:

«Riti orgiastici, magia sessuale...» Si fermò, con un groppo in gola, poi chiuse gli occhi e disse: «Beh, è inutile che continui, dopotutto lo sai già. Non mi stai nemmeno intervistando, quindi non c'è motivo che io parli a ruota libera anche se non ne ho voglia».

Gabriel si portò la sigaretta alle labbra dopo aver fatto ciccato nel posacenere di vetro, che si trovava sul piccolo tavolo che aveva di fronte. «Sei libero di non dire niente. Non è un argomento piacevole e non è il momento in cui vorresti parlarne, perciò puoi anche continuare a bere senza darmi spiegazioni. Sappi che non ti farò alcuna pressione e che resterò qui per farti compagnia.»

«È gentile da parte tua» mormorò.

«Mi sembra il minimo, dopo quello che ha fatto mio fratello; non avrebbe dovuto azzardarsi a baciarti, non so proprio cosa volesse dimostrare con un gesto simile.»

Randy fece spallucce per minimizzare la questione e, con un suono divertito tanto quanto amareggiato, disse: «Lucia».

Gabriel si alzò dal divano e lo guardò confuso. «Cosa c'entra Lucia?» Il cuore iniziò a pulsare velocemente e gli occhi si sgranarono. Sembrava arrabbiato, certo, ma non con lui; Randy non ne dubitò un solo istante.

«Non lo so, ma anche Darrell ha detto che ricordo lei.» Prese una piccola pausa per sorseggiare un goccio del poco Scotch che restava. «Sai, Gabriel, inizia a pesarmi come cosa. Io non so niente su di lei, sulla relazione che vi legava, eccetto ciò che mi hai raccontato questa mattina. Ma sembra che la sua ombra mi gravi addosso in ogni fottuto momento. Ed è terribile, asfissiante.» Abbassò la bottiglia, fermandola tra le ginocchia. Ormai alticcio, con gli occhi socchiusi e la testa reclinata all'indietro, sullo schienale di pelle della poltroncina girevole. «Dunque, spiegami: era la tua fidanzata ed è la madre di Logan. Sia tu che Darrell la rivedete in me. Ma perché? Sono i capelli? Darrell dice che sono anche quelli. O gli occhi? Tu dici che sono gli occhi.»

Gabriel indugiò. La mano a mezz'aria, con il mozzicone quasi ridotto a un cumulo di cenere. Deglutì e si fece la stessa domanda senza riuscire a trovare una vera risposta, perciò si strinse nelle spalle. «Non saprei, forse entrambe le cose o nessuna di esse. So solo che quando ti guardo mi sembra di tornare indietro nel tempo.»

«Indietro a quando?»

«A prima del giorno delle mie nozze» soffiò una nube grigia. Non si accorse nemmeno della cenere che cadde in terra, gli si avvicinò. «Posso bere anch'io?»

Randy sollevò la bottiglia quasi vuota e disse: «Certo che puoi, è tuo. Ma è quasi finito, scusa...».

Sorrise, poi afferrò la bottiglia e l'avvicinò alle labbra per sorseggiare un po' a sua volta. Solo allora, con il sapore del Single Malt sulla punta della lingua, disse: «Darrell ha mandato all'aria il mio matrimonio». Guardò Randy negli occhi, scoprendolo confuso, e poi si allontanò con la bottiglia. Spense la sigaretta nel posacenere, mosse nervosamente qualche passo nello studio e, sotto lo sguardo curioso di Randy, continuò: «Ha fatto sesso con Lucia poco prima dell'inizio della cerimonia. Li ho visti nella cappella della chiesa».

Si bloccò di colpo, senza fiato, mentre l'ultimo goccio di Scotch tintinnava contro il vetro della bottiglia. E si rese conto di quanto Randy fosse scioccato quando, spostando lo sguardo su di lui, lo vide con le labbra schiuse e gli occhi spalancati. Forse, si disse, non si aspettava una reazione tanto infame da parte di un fratello.

«Io vi ricordo una faida» scandì allora. Un'esclamazione divertita e inorridita al tempo stesso gli scivolò dalle labbra, mentre le palpebre, umide di lacrime, gli calavano verso il basso. «È così ridicolo... Non ho alcuna intenzione di giocare a fare il fantoccio per voi. Non sono e non sarò mai Lucia.»

Gabriel bevve ancora e non rispose, certo che Randy avrebbe frainteso qualsiasi cosa avesse potuto dire.

«Non parli?» lo spronò lui. Schioccò la lingua sul palato e arricciò il naso. «Mi sarei aspettato che almeno negassi, ma non sei capace di fare niente, nemmeno quello, cazzo.»

«Non posso negare nulla, dopotutto si tratta di una tua sensazione.»

Restrinse lo sguardo e scosse la testa. «Assurdo. Darrell prova a fregarmi dicendo cazzate, mente di continuo con una tendenza al mieloso da fare schifo, mentre tu non ci provi nemmeno se sono io a chiederti di farlo.»

«E perché dovrei?» chiese e posò la bottiglia sulla scrivania. «Non sei il tipo che vuole essere privilegiato o trattato con i guanti, giusto? Perché dovrei mentire? E, soprattutto, cosa dovrei dirti?» Corrugò un poco la fronte, vedendolo scattare verso la bottiglia e attaccarsi alla stessa per finire l'ultimo goccio rimasto. «Vuoi che ti dica che tengo a te? Perché non è vero, Randy, non ti conosco abbastanza.» Ebbe come l'impressione che Randy si stesse imbrunendo, tuttavia continuò: «Oppure vuoi che ti dica che non sei all'interno di una faida vecchia di anni? Eh, è questo che vuoi? Una bugia?». Restrinse lo sguardo, mentre Randy serrava i denti e puntava gli occhi fuori dalla finestra. «Perché, sai, non posso dirti nemmeno questo. Se lo facessi, finiresti presto in qualche situazione ambigua a causa di Darrell e mi daresti la colpa per aver mentito. Quindi no, non lo farò.»

«Sei uno stronzo.»

«Davvero?»

«Sì, davvero.» Posò la bottiglia ormai vuota sulla scrivania e disse: «Desideravo solo una bugia, niente di speciale. Sono stato circondato da bugie per una vita intera, una in più non mi avrebbe fatto male». Singhiozzò e si morse il labbro inferiore per cercare d'indursi il silenzio. Poi si portò una mano al viso e, imbarazzato, lo nascose dalla vista di Gabriel. «Cazzo!» imprecò; detestava piangere.

«Ti chiedo scusa» disse. Il tono basso, roco. «Vorrei renderti felice, davvero. Magari potrei anche farlo, ma non così, non mentendo.»

Randy trattenne il fiato e iniziò a mordersi nervosamente le labbra, mentre con la mano libera si artigliava al margine della scrivania cui era poggiato con il bacino. «Sei troppo onesto, Gabriel, mi dai fastidio» grugnì.

Lui sorrise. «Già, immagino.» Fece spallucce, poi gli si avvicinò e lo abbracciò. Ebbe come la sensazione di sentirlo tremare sotto il proprio tocco, perciò sollevò le mani in segno d'innocenza e arretrò di un passo; tuttavia non riuscì ad allontanarsi, perché Randy gli si aggrappò subito al collo e, serrando gli occhi, singhiozzò contro il suo petto:

«Non lasciarmi, non adesso».

Così, avvicinandosi di nuovo, gli posò le mani dietro la schiena e lo tenne stretto a sé. In silenzio, mentre respirava il fastidioso odore del Single Malt che avevano bevuto entrambi, lo sentì piangere contro il suo pigiama e non ebbe il coraggio di dire niente.



Note:

Ciao, ragazzi!

Lo so, questo capitolo è leggermente più lungo degli altri. Di poco, pochissimo, ma lo è. Non riuscivo a troncare la scena, senza contare che l'ho scritto interamente fuori casa, a mano, e non potevo contare le parole, che di solito sono il mio pallino. Mi sono regolata a occhio, con le pagine di un quadernino, e ho strafatto in abbondanza. Chiedo venia. L'ho partorito completamente durante Il Cenone, tra una portata e l'altra, e devo dire che è stato anche abbastanza divertente fare più cose contemporaneamente e spiegare agl'invitati che "Sono un'aspirante scrittrice, attualmente scrittrice a tempo perso" (cit). Adoro.

Come al solito, se il capitolo vi è piaciuto vi sarei infinitamente grata se lasciaste un commento o una stellina!

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