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Capitolo 7

Anthony aveva imparato, osservando la mia dieta, che per mangiare dei dolci in casa era costretto a farli da sé. Ignoravo sempre quelle schifezze tipo bustine di zucchero o lievito, preparati per torte e confezioni di panna o crema chantilly.

La fantasia di Gabe lo portò a radunare farina di grano saraceno, uova, zucchero e burro in fondo al ripiano della cucina. Trovò una scodella e mischiò gli ingredienti, poi prese una padella, accese il fuoco e ci versò dell'impasto.

Non so come, ma riuscì a gestire sia la pasta sia le frittelle. Io avrei bruciato qualcosa senza dubbio.

- Ma... Le frittelle non si fanno per colazione? - domandai, perplessa.

- Non penso che abbiamo molte alternative per dessert. La tua cucina è tristemente povera di ingredienti per dolci. - si lamentò lui.

- Sai che non le mangerò, vero?

Saltò una frittella, poi mescolò la pasta.

Io tolsi la carne dalla griglia e successivamente le carote.

Impiattai il cibo e lo misi in tavola.

- Vorresti rifiutare le mie frittelle improvvisate? Mi offenderesti nel profondo. - rispose infine, mostrandomi quattro o cinque frittelle impilate l'una sull'altra.

Pensai all'inflessibilità di Cowell.

Non potevo, non potevo, non potevo.

- Buon appetito. - gli dissi, mangiando il primo boccone di pollo alla griglia.

- Niente pane? - domandò.

Alzai le spalle. - Io non ne mangio, ma Anthony lo compra. Dovrebbe essercene un po' là sopra.

Indicai l'armadietto superiore vicino al frigorifero.

Gabe prese il pane e lo mise in tavola.

Vide una bottiglia di vino rosso sul ripiano della cucina e ne versò un bicchiere a ciascuno.

- Allora, - esordii, mentre lui si versava la pasta sul piatto per poi occuparsi dell'ultima frittella - cos'hai fatto in questi quattro lunghi anni?

- Lunghi eh? La mia assenza è stata molto sentita, vedo. - ridacchiò.

- No, lunghi perché possono succedere tante cose. È un periodo di tempo non proprio breve. - lo corressi.

Lui condì la pasta con un po' di olio e la assaggiò.

- È deliziosa, dovresti provarla. - disse con convinzione.

Feci un'espressione piatta.

- Okay, ho lavorato. Non so che altra risposta darti. Ho fatto di tutto per acquisire esperienza e darmi un futuro. Penso che sia quello che fanno tutti, no?

- Non tutti partono all'improvviso senza dire se o quando torneranno, per poi sbucare dal nulla quattro anni dopo. Non lo fanno tutti, non dire cazzate Gabe. - replicai.

Il silenzio che seguì le mie parole confermò il mio sospetto: io ero una delle ragioni della sua improvvisa partenza.

- Volevi dimenticarmi? Non ti piaceva come stavano andando le cose? - chiesi, improvvisamente trovando coraggio.

- In parte penso che sia stato quello. Avevo una paura terribile di affezionarmi troppo a te e che magari mi presentassi ai tuoi genitori. Che cosa avresti potuto dire allora se non "ecco a voi il mio ragazzo"?

- Non c'è niente di male ad essere fidanzati. - osservai.

Sospirò e mangiò dell'altra pasta.

- Ora lo so. Quattro anni fa la mia famiglia e i miei amici mi avrebbero preso in giro se avessi detto loro che non volevo partire a causa di una ragazza. Una ragazzina, anzi. Mio padre voleva spedirmi in Svizzera per farmi camminare con le mie gambe, per insegnarmi un po' della vita vera. Che uomo sarei stato se avessi rifiutato? - spiegò.

Mi stava dicendo che contavo troppo poco per farlo rimanere.

Era triste.

Io ero triste a saperlo.

- E ora perché sei tornato? In Svizzera ti trovavi bene, se non sbaglio.

I suoi occhi color cioccolato scrutarono i miei, alla ricerca di qualcosa. Voleva che lo convincessi a dirmi la verità? Non capivo.

- Sono tornato perché - inspirò - ho lasciato qualcosa indietro, quando sono partito. Ne ho sentito la mancanza, terribilmente.

L'intensità del suo sguardo mi fece quasi sciogliere.

Non poteva dirmi quelle cose con quella voce e quegli occhi. Era dannatamente dolce.

Io e i dolci eravamo nemici, pero'.

Taylor Swift sulla copertina di People lampeggiò nella mia testa.

Maledizione.

- Come hai fatto a sentire la mancanza di qualcosa per quattro anni e resistere senza tornare subito indietro a riprendertela? - azzardai.

- Speravo di poterne fare a meno. - disse semplicemente.

Scossi la testa. Mi sembrava assurdo.

Se avesse voluto portarmi con sé sarebbe bastato chiedere. Per quanto tenessi a lui allora, avrei fatto di tutto per assecondarlo.

Sciocca ragazzina.

- E... Cos'è cambiato adesso?

Aggrottò la fronte.

- Continuo a non capire perché sei qui. - riformulai la domanda.

- Jess, l'uomo è arrogante per natura. Pretende di essere speciale per Dio, pretende addirittura di assomigliargli. Dio è perfetto. L'uomo dovrebbe raggiungere la perfezione per essere come Lui e, anche se sa di non poterla raggiungere, continua a provarci per tutta la vita. Ora, quale perfezione potrebbe mai essere incompleta?

Il discorso filava.

- Ti metti pure a fare il filosofo adesso? - ridacchiai.

- Sono serio, l'incompletezza è l'unica cosa che mi ha riportato qui.

Nonostante avessi capito che si riferiva a me, avevo bisogno che fosse un po' più esplicito.

Finii le mie carote e appoggiai la forchetta sul piatto con un tintinnio.

Gabe aveva finito da poco la pasta e stava ancora mangiando il pollo. Lo guardai masticare, con le labbra lucide per l'olio.

Vecchi ricordi di labbra soffici sulla mia pelle riafforarono.

Ci passò la lingua e i miei ricordi si accesero, vividi più che mai, procurandomi una scarica elettrica che mi percorse tutta.

Dovevo pensare a qualcosa di casto e puro... Maria. Giuseppe. Gesù. L'arcangelo Gabriele. Gabe. Dannazione.

L'uomo fin troppo sexy seduto davanti a me finì di mangiare e si alzò a prendere le frittelle.

- Una ciascuno. Almeno. - impose.

Scossi lentamente la testa. Non ne avrei mangiata una briciola.

Mi alzai e tolsi dal tavolo i piatti che non servivano più.

Anche Gabe si alzò.

Aveva un pezzo di frittella infilzato nella forchetta.

Mise una mano sotto il mio mento e portò la forchetta alla mia bocca.

Serrai le labbra.

- Oh, andiamo! Un boccone, non chiedo di più! - protestò.

Rimasi immobile.

- E va bene - disse, mangiando quello stesso boccone - Vorrà dire che sentirai il sapore in un altro modo.

Mandò giù e spostò la mano dal mio mento alla mia guancia.

Mi baciò senza che io potessi fermarlo.

Spinse la lingua nella mia bocca e io presi fuoco.

Sentii le labbra impazienti di ricambiare le sue e non le fermai.

Non volevo più.

Mi era mancato troppo.

Pose l'altra mano sul mio fianco e la mia gamba risalì sul suo fianco. La mia scarpa tacco dodici chiuse la sua gamba in una morsa.

Le nostre lingue si accarezzavano, si colpivano, si cercavano.

Assaporai con gioia il gusto della frittella, anche se a mente fredda mi sarei schiaffeggiata per averlo fatto.

Presi fiato per mezzo secondo prima che lui riprendesse a baciarmi intensamente. Feci salire anche l'altra gamba e le intrecciai insieme.

Le sue mani mi tenevano su, senza mostrare segni di cedimento.

Lo sentii quasi come un bacio disperato quando le mie mani tennero il suo viso fermo.

Dio, quanto avevo bisogno di questa passione.

Al confronto, Anthony era un bradipo.

Col fiato corto, mi staccai brevemente da Gabe.

- Ti senti ancora incompleto?

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TOUCH IT!

Un gentilissimo Grinch mi ha fatto notare che è stato crudele da parte mia tagliare il capitolo 6 così. Quiiiiindi, eccomi con il capitolo 7!

Ironia di vita vuole che quando sono in vacanza faccia un freddo che manco in Siberia, quando invece torno a casa si muoia di caldo. Ma fuck.

A preeeesto 😘❤❤

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