Capitolo 3
Il servizio per la MAC era andato bene e la signora Allen si era congratulata per la mia collaborazione.
A dire il vero non era stato molto difficile, perché tutto lo staff era fantastico: con Mel ormai eravamo amiche, Jill è stata altrettanto carina con me, Kim sembrava un po' sulle sue ma non era stata affatto scortese e Leah sembrava una ragazza veramente dolce.
Il fotografo, Jacob, aveva fatto un sacco di battute e nessuno poteva trattenersi dal ridere; regnava un'atmosfera estremamente piacevole.
Il giorno seguente non mi lamentai affatto per la quantità e intensità di esercizi che Cowell mi stava facendo fare. Sapevo che per ottenere dei risultati bisognava lavorare sodo e non mi sarei sottratta a tale sforzo per nulla al mondo: non ora che le case di moda più famose avrebbero organizzato le campagne pubblicitarie della stagione primaverile.
A pranzo misi in forno un filetto di platessa e lavai dell'insalata, poi aspettai che il pesce fosse pronto.
Mi arrivò un messaggio da Anthony.
Stasera alle otto avremo Gabe come ospite a cena
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Per un po' rimasi così, ferma a fissare lo schermo.
Tentai stupidamente di tirare giù la schermata, come se ci fossero altri messaggi dopo quello che potessero smentirlo.
Digitai velocemente un "okay" e bloccai il telefono, poi lo feci scivolare al punto più lontano da me sul tavolo.
Non era di questo che avevo bisogno.
Avevo bisogno di più tempo per congelare di nuovo il cassetto "Gabe" nella mia testa, che si era scaldato con un solo sguardo. Nonostante fosse così semplice demolire il ghiaccio di cui l'avevo coperto nella mia mente, non dovevo demordere.
Dovevo continuare a buttare ghiaccio, sperando che i suoi occhi non lo bruciassero d'un colpo.
***
Alle sei la situazione era questa: c'erano quattro vestiti sullo stand nella camera che usavo come armadio esteso, cinque paia di scarpe che avrei potuto abbinare e tante idee per il trucco nella mia testa.
Io ero ancora in pigiama di pile.
Presi il telefono e scattai delle foto da mandare alle mie nuove amiche della MAC.
Avevo assolutamente bisogno di loro. Gabe doveva vedermi e rimpiangere di essere andato via, desiderare di abbracciarmi, baciarmi e recuperare quello che aveva lasciato.
Volevo che morisse dalla voglia di saltarmi addosso.
Poteva sembrare molto stupido, ma non potevo trattenermi dal provocarlo. Se lo meritava, dopotutto.
Kim mi consigliò di indossare il tubino blu notte, con un rombo aperto sul davanti che lasciava intravedere il solco fra i seni, abbinato alle scarpe color antracite a tacco alto.
Leah disse che avrebbe scelto le classiche scarpe nere con cinturino.
Ecco, nuovo dubbio.
Tutto sommato non ero messa malissimo: avevo ancora tre quarti d'ora per prepararmi e cucinare.
Tirai fuori il tacchino dal frigorifero e buttai via alcune parti, poi ci misi sopra sale e alcune spezie e lo infornai.
Ringraziai il cielo che Josefina avesse lasciato il sugo pronto stamattina. Quasi quasi le avrei alzato la paga.
Misi il sugo a scaldare sul fornello e corsi di sopra a truccarmi.
Feci attenzione a disegnare la linea di eye-liner sui miei occhi e passai generosamente il mascara sulle ciglia.
Scesi a controllare che nulla si stesse bruciando in cucina e tornai su a fare il contouring con terra e pennello. Passai il rossetto sulle labbra senza esagerare. Sì, decisamente un trucco azzeccato.
Corsi a spegnere la fiamma che scaldava il sugo, ormai bollente, e rigirai il tacchino, contenta che stesse venendo bene.
Indossai il tubino e allacciai un braccialetto argentato al polso, poi scesi portando le scarpe in mano.
Non avevo intenzione di tenerle ai piedi per più tempo del necessario.
Oltre il salotto aperto all'ingresso e alla cucina direttamente a destra, al pianoterra c'erano la sala da pranzo, accanto alla quale c'era il corridoio che si prolungava fin dietro le scale con la dispensa e lo sgabuzzino degli attrezzi, e una stanza che usavo sia per fare yoga o pilates, sia per fare esercizi con Cowell, sia per rilassarmi con i massaggi di Liu, una ragazza cinese che mi aveva fatto conoscere Sarah.
Andai in sala da pranzo a stendere una tovaglia nuova, azzurra, e ad apparecchiare con uno dei set di piatti migliori che avevo, intonati alla tovaglia.
Misi i bicchieri, le posate, i tovaglioli e diedi un'occhiata in giro per controllare che tutto fosse in ordine.
Josefina era stata perfetta. Penso che nessuno abbia mai avuto una donna al proprio servizio migliore di lei: era precisa, efficace, attenta, silenziosa, sorridente e spesso previdente.
Mi conosceva bene ormai e se dimenticavo di dirle qualcosa, di solito ci arrivava e lo faceva lo stesso.
Misi l'acqua per la pasta a bollire e guardai l'orologio: erano le otto meno un quarto.
Indossai le scarpe e attesi sul divano, sfogliando Cosmopolitan di questo mese.
Poco dopo le otto udii le chiavi girare nella serratura e feci un respiro profondo.
Perché non avevo detto ad Anthony di avere la febbre o qualche cazzata simile?
Era troppo tardi ormai per tirarsi indietro e rimpiansi di non averci pensato prima.
- Jess, siamo a casa! - urlò Anthony.
Mi alzai e lo guardai un po' seccamente. - Sono qui.
- Oh, eccoti. Hai già conosciuto Gabe, vero?
Annuii, lanciando un'occhiata all'oggetto della conversazione.
Gabe sembrava perfettamente a suo agio.
- Benvenuto in casa nostra, Gabe. È un piacere averti a cena. - gli dissi, adottando improvvisamente un tono dolce e gentile.
- Il piacere è tutto mio...
- Non farti problemi, chiamami pure Jess. - gli sorrisi, più cordiale che mai.
Gli scappò un sorriso, sicuramente per la farsa, mentre Anthony era girato ad appendere il cappotto.
- Vuoi appendere il cappotto? - gli chiesi.
- Sì, grazie.
Mi porse il suo cappotto e desiderai avvicinarlo al viso per sentire che profumo aveva. Vinsi l'istinto con uno sforzo enorme.
- La cena è quasi pronta, accomodatevi pure in sala da pranzo. Vi porto del vino?
Anthony mi disse che avrebbe provveduto da sé a scegliere il vino e ne fui contenta: una possibile figuraccia in meno.
Il tacchino fu pronto giusto un paio di minuti prima della pasta, ma non era un gran problema. Servii la pasta al sugo speciale di Josefina e mi sentii più a mio agio di quanto mi aspettassi mentre Anthony e Gabe parlavano di cose cui non stavo prestando attenzione.
Colsi qualche parola soltanto, ma non mi era di aiuto per inserirmi nella conversazione. Non che ci tenessi particolarmente, a dire il vero.
Notai che Gabe mi guardava di tanto in tanto. Non sapevo se esserne contenta o preoccupata.
Mentre mi alzavo per portare via i piatti, chiesi se la pasta fosse stata di loro gradimento.
- Ti sei superata, Jess. - mi sorrise Anthony.
La sua opinione pero' non contava molto: non capiva assolutamente nulla di cucina e quando qualcosa mi veniva palesemente male, per lui andava bene lo stesso ed era buonissima.
- Semplice, ma ben riuscito come piatto. Decisamente di mio gradimento. - commentò Gabe, facendomi l'occhiolino.
Mi spuntò un sorriso.
In cucina, disposi i piatti sull'isola e tagliai le parti del tacchino. Su ogni piatto aggiunsi qualche foglia di insalata, due pomodorini freschi e una salsa che Josefina mi aveva insegnato ad abbinare al tacchino, che faceva lei in casa.
Affidandomi ancora alle sue mani per la guida che mi aveva dato, portai i piatti in tavola e cercai di capire di cosa stessero parlando.
Affari.
Anthony era entusiasta del nuovo acquisto in azienda e aveva di Gabe un'opinione davvero spettacolare.
Non potei che fingere un sorrisino stirato quando volgeva lo sguardo nella mia direzione.
Mi chiesi a cosa stesse pensando Gabe.
Immaginai che gli affari non stessero occupando tutta la sua mente...
Un po' ci sperai che stesse pensando a me.
Chissà che cosa pensava di me.
Il tacchino era piaciuto molto ad entrambi e sinceramente anch'io riconobbe averlo fatto bene. Ringraziai ancora una volta mentalmente Josefina.
A cena terminata, Gabe salutò cortesemente, ma senza troppo calore.
L'amaro che mi lasciò in bocca fu trasformato in irritazione quando Anthony si mise a venerarlo.
Continuava a dire che era stata la decisione migliore che avesse mai preso per l'azienda.
Speravo che non si sarebbe ricreduto: se a venerarlo bastava così poco, a parlare male di lui probabilmente ci voleva ancora meno.
Un altro quesito si aprì nella mia mente.
Sarah era l'amica più stretta che avessi, ma di tanto in tanto la sentivo un po' fredda, specialmente negli ultimi tempi.
Non ero sicura di poterle parlare di Gabe.
Lei non sapeva niente di quando l'avevo frequentato al liceo e non poteva sapere che effetto mi faceva ora.
Quella notte non dormii tranquilla.
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KIWI!
Ho aggiornatoo🙈
Grazie a tutti voi che mi seguite, un bacio grande 💓💓
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