Capitolo 22
[L'immagine è solo per le parigine]
Mi svegliai rannicchiata e infreddolita.
Gabe aveva rubato tutta la coperta e io stavo gelando.
Non avevo idea di che ore fossero, sapevo soltanto di essere veramente irritata.
Con Anthony non capitava mai che uno dei due rimanesse scoperto.
Tastai il comodino, alla ricerca del mio telefono e schiacciai il tastino rotondo in basso.
Erano le sei e mezza.
Normalmente dormivo di più, ma decisi di scostare le tende e non tornare a dormire.
Indossai un felpone oversize e un paio di parigine nere, poi applicai del trucco leggero e legai i capelli.
Tornai a letto con la coperta sulle gambe e la schiena appoggiata alla testiera, con il cuscino a rendere il contatto più morbido.
Gabe si girò, ancora immerso nel sonno, e invece di stringere il cuscino strinse la mia gamba, scoprendola dalla coperta.
Decisi di non dargli peso e controllare le notifiche del telefono.
Elizabeth mi aveva scritto dicendo che la MAC Cosmetics voleva aggiungere due nuove colorazioni alla linea di rossetti che avrei pubblicizzato io, perciò dovevo tornare per un servizio fotografico mercoledì alle due.
Cowell mi aveva mandato un messaggio alquanto intimidatorio:
Mi auguro per te che i tuoi muscoli non abbiano riposato neanche un istante! Lunedì si riprende l'allenamento wild mode.
Dovevo assolutamente dirgli di smetterla con quei messaggi, perché mi facevano accapponare la pelle peggio dei profumi scadenti.
Sarah mi aveva chiamata due volte, ma non aveva lasciato messaggi. Forse non era così importante quello che aveva da dirmi. Mi chiesi se l'avevo informata che ero a New York fino a quella sera.
Feci scorrere la schermata alla ricerca della chat con Anthony. Aveva visto il mio messaggio? Mi aveva risposto?
Un piccolo sorriso nacque sulle mie labbra quando realizzai che la risposta era sì.
Scusami, amore, si era bloccato il telefono e stamattina ha magicamente ripreso a funzionare. Passa una buona giornata <3
Rimasi con lo sguardo fisso sul messaggio per alcuni secondi, sorridendo. Che carino.
Aprire i social fu un errore invece: ero terrorizzata dalla quantità di notifiche su Instagram e Twitter, soprattutto dei messaggi privati. Non osai neanche pigiare il dito sull'icona di Facebook.
Decisi di scattare una foto per Snapchat, poi lasciai il telefono sul comodino.
Gabe dormiva ancora.
Giocai con il fiocchetto sulle parigine per qualche istante, poi decisi di svegliarlo. Non era giusto che dormisse molto più di me, dopo avermi lasciata infreddolita durante la notte.
Tolsi bruscamente la sua mano dalla mia gamba e lo feci voltare a pancia in su per una spalla.
Borbottò qualcosa di incomprensibile, ma non aprì gli occhi.
Allora gli presi il viso con una mano, premendo con le dita negli incavi delle guance, e strinsi un po'. Aveva la bocca a pesce.
Ridacchiai per la faccia che aveva.
Strinse gli occhi e li aprì, sbattendoli velocemente.
- Ma buongiorno! - gli dissi, con la vocina demenziale che si usa con i bambini piccoli.
Lui tolse la mia mano dalla sua faccia e si stropicciò gli occhi. Si mise a sedere e mi scrutò.
- Buongiorno. Dormito bene? - domandò, un po' spaesato.
Assunsi un'espressione piatta.
- Avrei dormito meglio sull'Everest in bikini.
Non capì.
- Ti sei tenuto tutta la coperta e io stavo gelando! - spiegai, un po' accaldata.
- Calmati, non è mica una tragedia.
Inspirai.
- Lo sai cos'è una tragedia? Non esserti nemmeno scusato! - attaccai.
Alzò gli occhi al cielo.
- Penso che le scuse non siano necessarie se l'azione è stata involontaria, come nel mio caso. - puntualizzò, con il tono di una make-up artist che spiega che il correttore in stick non è un rossetto.
Gli lanciai un'occhiataccia e sparii in bagno per sciogliere i capelli e piastrarli a dovere.
Perché gli uomini non capivano mai niente?
C'erano momenti, come la mattina presto, in cui discutere con una donna anche avendo ragione era come dire alla nonna di voler digiunare a Natale. Un suicidio.
Ero il tipo di donna testardo ed orgoglioso che in casi simili non avrebbe mai ammesso di avere torto, neanche di fronte all'evidenza più assoluta.
Anthony era più sveglio, ad essere sinceri, e grazie a questa sua accortezza particolare avevamo evitato una valanga di liti inutili. Inutili perché io non avrei ceduto e il clima di tensione e rabbia in casa nostra era veramente raro e strano. Eravamo abituati entrambi ad essere pacificamente armoniosi.
Fu per dargli una lezione che non risi alle battute di Gabe né gli prestai l'attenzione che chiedeva.
Invece di andare a Central Park o all'Empire State Building, come voleva lui, lo trascinai con me sulla Fifth Avenue, alla MAC Cosmetics.
Conoscevo quasi tutti i prodotti a memoria, grazie al tempo che investivo tenendomi aggiornata, ma era una piccola vendetta nei suoi confronti. E poi, non potevo annoiarmi lì dentro.
Comprai l'Instigator su cui meditavo da un po', per via della tinta decisamente forte, e lo Spirit, che nel mio punto vendita preferito a Miami avevano esaurito.
A pranzo invece fui costretta a dargli retta, perché eravamo invitati a casa del suo amico per discutere della pubblicità che stavamo mettendo in piedi per l'azienda.
Gabe mi aveva riferito che il suo amico, Caleb, era sposato da due anni e aveva un figlio di appena sei mesi.
Ero stata messa in guardia anche sui due cani che Caleb aveva. Giustamente, perché io e gli animali non andavamo molto d'accordo.
Prendemmo un taxi e durante il viaggio si udì solo il ronzare fastidioso delle notizie alla radio. Non ascoltai nemmeno.
Vedevo i grattacieli di New York sparire a raffica dalla mia vista, le persone camminare velocemente come macchie colorate che svanivano e si susseguivano, porte e finestre fuggire dalla visuale.
Osservai il cielo nuvoloso, con mille sfumature di grigio fra una nube e l'altra.
Circa un'ora dopo eravamo ad Oakland, di fronte ad una casa a due piani, molto grande e fatta per la metà orizzontale di pietra. C'era un piccolo portico davanti alle porte di legno dell'ingresso e tutto intorno alla casa fiori e piante.
Caleb e sua moglie, che si presentò come Suzie, ci accolsero calorosamente, pregandoci di non fare troppo rumore perché il bambino stava dormendo.
Caleb era un uomo non troppo alto, probabilmente della stessa età di Gabe, con i capelli castano chiaro e gli occhi color nocciola, con i tratti ben definiti.
Suzie era quasi della stessa altezza di Caleb, aveva lunghi capelli neri e occhi chiari, di un colore non ben distinguibile tra il grigio e l'azzurro. Era abbastanza formosa, aveva un sorriso molto dolce e benevolo e sembrava un tipo allegro.
Ci sedemmo a tavola con un pasticcio di carne davanti e diversi piattini con insalata, formaggi vari e salsine intorno.
Accettai di buon grado un bicchiere di vino rosso.
- Gabe, vecchio mio! Questa è la tua adorabile fidanzata? - domandò Caleb non appena ci fummo accomodati.
Io cercai di guardare il pasticcio per non correre rischi.
- Ahm... No, lei è la modella che farà da volto per la pubblicità. - spiegò Gabe, con tono non troppo felice.
Aveva la stessa espressione infastidita che avevo io quando il ferretto del reggiseno che mi aveva regalato la madre di Anthony per Natale mi grattava la pelle al minimo movimento.
Al suo compleanno le avrei restituito il favore. Tanto mancavano appena due settimane.
- Oh.
- Secondo me sareste una coppia fantastica! - si intromise Suzie.
Ma era stupida o cosa? Gabe aveva chiaramente spiegato che l'unica relazione sussistente fra di noi, esternamente, era quella professionale. Agli occhi degli altri non eravamo altro che collaboratori.
- Concordo, cara. - annuì Caleb.
Capii perché erano così felicemente sposati.
- Siete impegnati con altre persone? - domandò Suzie, mentre io ero assolutamente certa che suo marito stesse morendo dalla voglia di fare la stessa domanda.
- Io sono fidanzata. - risposi.
- Da quanto? È una brava persona? Che tipo è?
Mi sentivo più a disagio di quando avevo il ciclo e indossavo dei pantaloni chiari aderenti.
- Stiamo insieme da due anni ed è... È una bella persona, lo dico davvero. È buono, gentile, paziente, affettuoso, comprensivo... Ed è molto intelligente. Qualche volta penso che sia persino troppo per me. - confessai, con le guance arrossate.
Cercai di nascondere in un angolino buio della mia testa la gelosia scritta negli occhi di Gabe.
Non volevo pensarci, perché quello che avevo detto era vero.
Ero stata molto fortunata e non me ne rendevo nemmeno conto. Non capita spesso di trovare qualcuno che resta accanto a te nonostante un carattere rasente all'insopportabile, che si prende cura di te sempre, che ti mostra amore ogni giorno, restandoti accanto.
Fra tutte le cose di cui potevo rimproverare me stessa, l'aver tenuto accanto una persona senza conoscerne il valore era di gran lunga la peggiore.
Peggio di tutti gli ombretti e rossetti che marcivano inutilizzati in fondo al beauty, peggio di tutte le paia di scarpe da centinaia di dollari che si erano rovinate dopo due utilizzi, peggio dell'invidia rovente che provavo per Taylor Swift, Gigi Hadid e la pelle di Christina Aguilera.
I pugni stretti di Gabe sul tavolo furono dolorosi da vedere come trenta rossetti nuovi buttati nella spazzatura.
- Non dire così, Jess! Tu sei così carina e simpatica! Scommetto che hai una fila di uomini ai tuoi piedi! - continuò Suzie, l'entusiasmo intatto.
Le feci un piccolo sorriso, mentre il mio cuore pianse una lacrima alla mascella serrata dell'uomo accanto a me.
- Peccato che la fila per lei abbia la stessa importanza di un profilattico bucato.
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Partecipate in tanti e affrettatevi, perché si gioca a numero chiuso!
Baci❤❤
P.S. Cosa odiate invece di Gabe?
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