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Capitolo 1 - Welcome Home

Tregiorni prima



Nonera la prima volta che Yole sentiva parlare di quel posto, anche senon c'era mai stato e, soprattutto, non aveva mai creduto possibilefrequentarlo.

L'istitutoVan der Meer era un college privato tra i più rinomati d'Europa,composto da alte mura eleganti, sorgeva al limitare di un immensobosco nella campagna scozzese.

Yolearrestò un attimo il passo e, con aria di sfida, puntò lo sguardosulla vastità di quel panorama. Il clima di quei primi giornisettembrini era appena pungente, ma nulla a cui il ragazzo non fossegià abituato. Il cielo intorno al castello era terso e grigiastro,un colore strano, difficile da definire, un miscuglio di sfumaturesimili ai suoi occhi. Yole pensò di nuovo a cosa potesse significarestudiare in un luogo simile.

Aglienormi benefici che un diploma alla Van der Meer poteva portare, atutte quelle porte che gli si sarebbero aperte davanti con unafacilità impressionante.

Frequentarel'istituto significava poter beneficiare dei migliori corsi con idocenti più preparati, laboratori avanzati, un'istruzione di primolivello imparagonabile a quella ricevuta nelle comuni università.

E,cosa ancora più importante, non c'era modo di accedere alla Van derMeer se non con una dura selezione indetta dal Preside, un'analisiattenta della carriera scolastica, delle capacità individuali, delQI, oltre a una predilezione per le famiglie prestigiose che ormai dasecoli frequentavano quella scuola.

Inpoche parole, solo il meglio del meglio poteva accedere adun'istruzione tanto superiore.

Yoleera rimasto stupito quando aveva ricevuto la sua lettera diammissione, ancora di più perché non occorreva inoltrare alcunadomanda per accedervi.

Erala scuola stessa a selezionare gli studenti fra centinaia di ragazziche avevano compiuto l'età giusta per poter essere ammessi. Così, adiciotto anni, Yole aveva afferrato quella busta, l'aveva aperta ene aveva letto il contenuto con lo stupore negli occhi.

Siamolieti di informare il Signor Yole Björk che è stato ammesso allafrequenza del nostro istituto.Con quelle parole era arrivata anche una decisione fondamentale daprendere per il suo futuro.

Nonera stato semplice lasciare casa sua, soprattutto dopo le numeroseproteste della madre, ma alla fine ce l'aveva fatta.

Lastruttura che si ergeva davanti ai suoi occhi era un castello d'epocadi straordinaria bellezza ed eleganza, la sua imponenza volevachiaramente intimidire chiunque si trovasse davanti al suo cospetto,ma questo non era il caso del ragazzo.

"Amore...non stare lì, sbrigati a entrare dentro o prenderai freddo!" disselamadre, avvicinandosi al giovane con sguardo allarmato.

Yolenon rispose, si limitò a procedere verso l'interno del palazzo persfuggire alle attenzioni asfissianti di quella donna che tantodetestava.

Ilcalore lo avvolse immediatamente una volta varcata la sogliadell'ingresso, tirò fuori le mani dalle tasche e per un momentorimase a fissare il pallore delle sue dita, sottili e scarne comequelle di un cadavere, forse persino più pallide.

Funuovamente la madre a distogliere il ragazzo dai suoi pensieri,destandolo.

"Ascoltamibene, piccolo mio" cominciò, prendendogli il viso fra le mani,"sai che puoi chiamarmi quando vuoi? Se questo posto non ti piace,ti riporto a casa, non farmi preoccupare, va bene?"

"Certo"rispose Yole, con la sua solita voce priva di un tono particolare.

"Rispondisempre al telefono e mi raccomando, ricorda di prendere le tuemedicine. Copriti bene quando esci!" continuò la donna.

"Holasciato la tua dieta alla cuoca della mensa, domani mi premurerò achiamare di nuovo. Non si sa mai."

"Ok,posso anche andare da solo adesso" mormorò monocorde il ragazzo.

"Vabene..." gli occhi della donna riempirono di lacrime, nonostantecercasse di sorridere. "Mi mancherai da morire, piccolo."

"Anchetu."

Nonera vero, dentro di sé Yole non vedeva l'ora di liberarsi di lei.

Pronunciòquelle parole in un tentativo di tranquillizzarla e così spingerlaad andarsene davvero.

Nonera colpa sua, dovette ricordare a sé stesso il ragazzo.

Leinon riusciva a smettere di preoccuparsi, forse quello era un trattocomune a tutte le madri, anche se per Yole, quel suo sguardocostantemente allarmato, non faceva altro che sottolineare quanto luifosse debole e bisognoso di cure.

Decisedi mettere quei pensieri da parte e di concentrarsi sul corridoiodavanti a sé.

Ilpiano superiore era gremito di studenti, molte matricole eranodirette nella sala conferenze, dove, in base a quello che gli erastato detto dalla segretaria, si sarebbe tenuto il discorso dibenvenuto del preside.

Yolenon aveva mai visto così tanti ragazzi in vita sua, il petto gli sistrinse appena.

Avevavissuto quasi sempre nella sua abitazionesolitaria in Svezia, lontano dalla città, dalle scuole e daicoetanei.

Pertutta la vita aveva ricevuto un'istruzione privata nella solitudinedi casa sua e adesso si chiedeva se sarebbe davvero stato all'altezzadella Van der Meer. Per un attimo quella domanda gli fece tremare leginocchia, ma il ragazzo la cacciò via con ferocia dalla mente.

Nonavrebbe esitato, non sarebbe stato debole.

Lasala conferenze era piuttosto grande e, in quel momento, dovevacontenere circa quattrocento studenti.

Yolesi incamminò con lentezza, frastornato sia da quel caos vibrante,che dalla lucentezza con cui risplendevano i pavimenti di marmo delpalazzo. Non solo la facciata del castello era di una bellezzamozzafiato, ma anche l'interno era impeccabile, decorato in ogni suaparte con mobili d'epoca, arazzi antichi e quadri settecenteschi.

Ilragazzo non seppe dare un valore preciso a quello su cui i suoi occhisi posavano, ma era certo fosse inestimabile.

Ognipiccolo dettaglio era lì per un motivo, ogni studente venivaaccuratamente selezionato proprio come le componenti diquell'arredamento.

Poil'attenzione dei ragazzi fu rivolta verso il palco all'estremodella stanza, dove un uomo si era fatto avanti fino a raggiungere ilmicrofono che accese subito dopo.

Avevauno sguardo luminoso, intelligente e indagatore, occhi chiari inaperto contrasto con i capelli neri, ben tirati indietro in unapettinatura composta.

Anchei suoi vestiti erano ricercati ed eleganti. Yole capì subito di chidoveva trattarsi.

"Desiderodare un caloroso benvenuto a tutti voi, cari studenti della Van derMeer. Questa sarà la vostra nuova casa per i prossimi anni!"l'uomo parlò con voce alta e gioviale, c'era una certa gentilezzaadesso nei suoi gesti.

Poicontinuò, "per chi tra di voi non mi conoscesse ancora, lasciateche mi presenti, il mio nome è Viktor Van der Meer, sono il presidedi questa scuola. Come già saprete, sono stati i miei antenati afondare questo college e io ho l'onore di dirigerlo come toccò a miopadre e a mio nonno prima di me. Lo farò con lo stesso rigore eserietà che ci si aspetta da un luogo come questo." fece una brevepausa prima di continuare: "voi tutti siete dei privilegiati, manon dimenticate che studiare qui è una concessione che può essererevocata. Se sarete sorpresi a infrangere delle regole, a causaredanni a cose o persone, l'espulsione sarà dietro l'angolo. Inquesta scuola non sono ammessi comportamenti del genere, sieteavvisati."

Yoleascoltò attentamente quelle parole, ben presto il tono del presidemutò ancora e da severo divenne di nuovo gioviale.

"Insegreteria avete ricevuto delle chiavi con una targhetta, vicondurranno alle vostre camere. Mi auguro caldamente che questo postosia un trampolino di lancio per tutti voi. Non esiste soddisfazionepiù grande del vedere dei giovani ragazzi trovare la propria stradae farsi avanti nel mondo con orgoglio. Spero che la Van der Meer siatutto questo e credetemi, il vostro futuro dipende interamente davoi, quindi impegnatevi al massimo, sviluppate la capacità didiscernere ciò che è bene da ciò che può danneggiarvi."

L'uomoconcluse quell'ultimo pensiero con uno strano tono affranto, per unattimo i suoi occhi indagatori scandagliarono i volti dellematricole, come in cerca di qualcosa.

Poitornò in sé e sorrise, "lascio la parola al vicepreside che viillustrerà nel dettaglio il funzionamento della scuola. Vi auguro unbuon inizio di anno! Specialmente ai nuovi arrivati."

Yolevide il preside lasciare il campo a una nuova figura che iniziò amostrare le attività proposte dalla scuola. C'era alcune materiecomuni a tutti, più dei laboratori extra che avrebbero permesso aglistudenti di specializzarsi in un settore ben preciso.

Laspiegazione andò avanti ancora per un po' e quando finalmente furonoliberi di andare, Yole si sentì lieto di poter lasciare quellastanza così affollata, cominciava a mancargli l'aria.

Andòa recuperare la sua chiave in segreteria e seguì le indicazioni chelo avrebbero portato al

dormitorio.

CorridoioA, stanza numero 7.

Presele scale, fino a raggiungere il corridoio del secondo piano, qui siritrovò a doversi appoggiare al corrimano per un momento.

Provòa riprendere respiro e maledì se stesso per aver già bisognodell'inalatore. Portò in bocca il beccuccio e inalò la medicina, aquel punto procedette.

Ilcorridoio A si trovava in fondo all'ala destra del castello, Yolecercò di leggere i numeri di ottone impressi sulle porte, quello nonera più territorio solo per matricole, si rese conto.

Diversiragazzi affollavano il passaggio e molti di questi sembravano piùgrandi di Yole che, però, continuò a procedere senza lasciarsiintimidire.

Allafine raggiunse la porta numero 7 e, con il sollievo nel cuore, laaprì.

Primache potesse entrare, la sua attenzione fu catturata da un improvvisocambio d'aria a pochi passi da lui, si voltò e contemporaneamentesentì la voce arrabbiata di un ragazzo sollevarsi.

"Dovecazzo vai? Perché non guardi avanti, coglione?" ringhiò il tizioa pochi metri da Yole.

Eraun tipo alto e dall'aria minacciosa,aveva lisci capelli corvini lunghi poco sotto le spalle, lasua pelle era chiara e il corpo leggermente ossuto.

Indossavala divisa ma non in modo elegante e composto come tutti quelliintorno a lui, non c'era traccia della cravatta e tre bottoni dellacamicia erano slacciati. Le maniche della giacca erano arrotolate ascoprire parte dell'avambraccio, una lunga catena sottile e argentatapendeva sul suo petto, il ciondolo rivelava un teschio dello stessocolore, con due pietre nere al posto degli occhi.

Ilragazzo a cui aveva urlato era tremante e immobile contro un muro,gli occhi sgranati mentre il moro sembrava una montagna prossima aschiacciarlo.

"M-midispiace..." mormorò l'altro, nel panico.

"Masentilo, ti dispiace, cosa credi che me ne faccia del tuo dispiacere,coglione?" continuò quell'altro con tono aggressivo, "se gliocchi non li usi per guardare dove cazzo vai, tanto valestrapparteli, no?"

Ilsuo interlocutore li aveva serrati per la paura, coprendosi il visotra le mani "s-senti, non volevo, ti supplico. Perdonami."

"Negan."

Ilmoro con i capelli lunghi si voltò malvolentieri verso un ragazzoche si era avvicinato ai due, questo aveva un'aria molto autorevole,notò Yole.

"Staidi nuovo disturbando la quiete degli studenti? Gran bel passatempo."il suo tono tradiva una certa noia, ma anche ostilità.

Ilragazzo di nome Negan sorrise, stirando le labbra in una posaspaventosa, sollevò le braccia facendo ondeggiare leggermente ledita.

"Roger,io non l'ho toccato e se non lo tocco non puoi farmi un cazzo."

"Milimiterò a farti un richiamo per il linguaggio e un altro per ilsolito abbigliamento non regolamentare, come ci si sente a iniziarel'anno con l'aver accumulato ben dieci ore di punizione ancora primadell'inizio delle lezioni?" commentò quello, annotando qualcosa inun taccuino che aveva tirato fuori dalla tasca della giacca.

"Piùpiacevole delle seghe che mi fa tua madre" rise Negan e gli strizzòl'occhio.

Yoleera stupito da quella scenetta e non sapeva esattamente comecomportarsi, persino gli altri studenti sembravano sulle spine, tantoche nessuno si mosse o disse nulla per tutto il tempo.

PoiNegan infilò le mani in tasca in una posa che lo faceva appariretutt'altro che rilassato, lanciò un'ultima raggelante occhiata altipo ancora terrorizzato e lasciò il corridoio con passo lento epredatorio.

Yoledecise che era meglio togliersi di mezzo, così si rifugiò nel suodormitorio.

Quandovarcò la soglia fu subito accolto da un immenso salotto di enormeeleganza, si guardò intorno con aria smarrita, poi i suoi occhicaddero automaticamente sui divanetti morbidi e dall'aria comodaaccanto a lui.

C'eratutto quello di cui qualsiasi essere umano poteva avere bisogno, apartire da un carrello con tutto l'occorrente per preparare dellebevande calde, fino alla libreria mastodontica piena zeppa dienciclopedie e testi informativi. A quel punto il ragazzo notò dueporte ai lati opposti della stanza, le targhette sopra riportavanodue cognomi, sulla sinistra c'era anche il suo.

Cosìinfilò la chiave e aprì la porta della stanza, anche quella eraparecchio spaziosa, con due grossi letti a baldacchino e due bellescrivanie in frassino.

Lasciòsubito la sua valigia accanto al letto.

Erafelice di essere ancora da solo.

Yoletornò nella sua parte di stanza e decise di iniziare a sistemarsiper la notte, così tirò fuori la valigetta con le medicine e, amalincuore, le sistemò accuratamente sul comodino.

Poisi spostò per dare un'occhiata al bagno, era molto spazioso conuna grossa cabina doccia che permetteva anche l'utilizzo anche dellavasca.

Malauguratamente,mentre si muoveva, incrociò la sua immagine allo specchio, cercò diignorare quella visione, ma i suoi occhi non erano intenzionati adassecondare il cervello, così rimase prigioniero di quel riflesso.

Yolenon si guardava mai troppo a lungo, perché quello che vedeva non glipiaceva, detestava ogni componente del suo aspetto. A cominciare daicapelli bianchi e fini che scendevano lungo le sue spalle simili apaglia, la sua pelle era così chiara da sembrare fatta di porcellanae trasmetteva la stessa sensazione di fragilità, le labbra eranosempre di quel colore simile al viola.

Spessosi chiedeva perché uno come lui stesse ancora respirando, larisposta era molto semplice: era nato nel periodo sbagliato. Lamedicina moderna lo teneva ostinatamente in vita, anche se moriresarebbe stato per lui infinitamente più facile. Era un errore dellasua specie, qualcosa che per Darwin non sarebbe neanche dovutoesistere. Persino il suo nome, che significava viola,come il fiore, era un testimone della sua fragile esistenza, dellasua detestabile vulnerabilità. L'albino era arrivato ad un patto conse stesso, se l'asma o l'anemia non lo avessero ucciso prima, alloraavrebbe vissuto per emergere, per erigersi sopra gli altri, nonavrebbe mai permesso che il suo aspetto fosse il suo limite, la suacondizione non lo avrebbe seppellito. Avrebbe sfruttato quelladebolezza per dare agli altri quella sicurezza che gli sarebbe statafatale. Era come una pianta carnivora, una di quelle meravigliosecreature della terra, tanto bella da attirare a sé sprovvedutiesseri viventi che poi si sarebbe divertita a consumare.

Yoledistolse lo sguardo dal suo riflesso lasciando il bagno, finché lesue malattie non lo avrebbero ucciso, sarebbe stato rovina perchiunque si fosse messo in mezzo alla sua strada.

Poila sua attenzione fu catturata da un suono che provenivadall'ingresso, forse era arrivato il suo coinquilino. Yole siprecipitò a vedere di chi si trattasse e capire con chi avrebbeavuto a che fare d'ora in avanti. Avrebbe messo le cose in chiaro sefosse stato necessario.

Aprìla porta della camera quel tanto che bastava per poter osservare ilsalottino comune, adesso occupato da due ragazzi. Erano entrambi altie ben piazzati, si somigliavano parecchio nonostante il primosembrasse quasi divertito dallo sguardo affilato dell'altro. Ilragazzo che stava venendo redarguito era senza dubbio il più giovanedei due, forse si trattava di una matricola come lui, pensò Yole. Loguardò con attenzione, passando in rassegna il biondo miele deicapelli, fino a notare gli occhi azzurri e vivaci. Era ben vestito etutto in lui sapeva di benessere e ricercatezza. Indossava unacamicia chiara con sopra una polo grigia, sul viso aveva un'ariadistesa ma il suo sguardo tradiva una profonda intensità. Nonostantel'altro ragazzo sembrasse seriamente intento a raccomandargliqualcosa, il più giovane annuiva in modo distratto e annoiato,lanciando occhiate di interesse lungo la stanza, senza dare troppopeso al suo interlocutore.






"Tienitilontano dai guai, Abel. Non costringere nostro padre a sopperire alletue mancanze come ha sempre fatto, è arrivato il momento dicavartela da solo."

Killianaveva finalmente dato fondo alle sue raccomandazioni che suonavanopiù come una minaccia a quel punto, poi dedicò un'ultima occhiatacarica di disapprovazione al fratello minore e proseguì.

"Ese ti dovesse venire in mente un'idea che ti sembra brillante parlaneprima con me. Le tue idee non sono mai brillanti. Ci si vede domani."

Oanche no. Aveva pensato tra sé e sé l'altro, portando gli occhi alcielo.

Lapresenza noiosa e asfissiante di Killian era un altro dei numerosimotivi per cui aveva cercato con tutte le sue forze di evitare la Vander Meer, ma avrebbe fatto prima a chiedere in regalo un unicorno,vista l'impossibilità della cosa. I Blackburn frequentavano quelcollege da più di mezzo secolo, motivo per cui anche Abel avrebbedovuto attenersi alle regole, dopotutto, come continuava sempre aripetergli suo padre, non avrebbe trovato niente di meglio danessun'altra parte. Ma ad Abel sarebbe piaciuto espatriare,assaporare la libertà dei suoi diciotto anni, magari in America,lontano dalla tirannide della sua dannata famiglia. E poiquell'enorme castello settecentesco lo inquietava, sembrava quasi chea ogni passo avrebbe potuto incontrare lo spettro di qualche daminasconsolata, morta suicida in periodi antichi e ormai dimenticati.

Conquella immagine in mente Abel raggelò di fronte alla visionespettrale che adesso aveva davanti.

C'eraqualcuno che lo fissava oltre la porta che collegava la sua stanza alpiccolo salotto al'ingresso, una figura quasi evanescente perquanto era pallida. Soltanto dopo qualche attimo capì che sitrattava di un altro ragazzo, benché le sue fattezze non fossero deltutto canoniche. Era pallidissimo da fare paura, i suoi capellitendevano al bianco ed erano lisci, sottili e lunghi fino allespalle, perfino i suoi occhi sembravano quasi scoloriti. Lo viderantolare appena, sembrava sul punto di spirare davanti ai suoiocchi.

"Cazzo"sibilò Abel, incapace di trattenersi, "t-tu chi sei?" disse poi,dando voce ai suoi dubbi, anche se avrebbe voluto porre un altro tipodi domanda, come: Seiancora vivo?

L'altrosi mosse lentamente, venendo fuori dalla stanza in tutta la suafragilità, anche il suo fisico era magro, "mi chiamo Yole. Tusaresti il mio nuovo compagno di stanza?" chiese con un tonopiatto, ma una strana luce di sfida negli occhi.

Abelsi chiese subito che cosa fosse successo a quello vecchio, ma non osòdare voce ai suoi pensieri.

"DormitorioA, stanza 7." Controllò la targhetta sulle chiavi che tenevaancora in mano. Dannazione, pensò, era la stanza giusta.

"Direidi sì, sono il tuo uomo!" poi rise e provò a sdrammatizzare,mentre l'altro continuava a fissarlo con quello strano sguardo privodi colore.

Abelrimase interdetto per qualche attimo, non era così che avevaimmaginato il suo coinquilino, in realtà aveva sperato di potercialmeno flirtare un po'! Lui amava flirtare, era bravissimo nel farlo,ma non era poi molto ferrato negli approcci con i fantasmi.

Quelsilenzio lo stava mandando fuori di testa, così provò a spezzarlo,blaterando della prima cosa che gli era venuta in mente. Il suosguardo cadde sul carrello delle bevande e sorrise, "oh, ma pensaun po'. Questi stronzi della Van der Meer hanno pensato a tutto! C'èanche la cioccolata! Ne preparo due tazze?"

"Nonposso berla" commentò in fretta l'altro, ancora una volta il suotono era piatto.

"Checosa? Non dirmi che sei allergico."

Inrealtà pensava che quel tipo fosse una lunga serie di cose e chel'allergiafossesoltanto il minore dei problemi che sarebbero potuti capitargli.

"Metteròsubito in chiaro come stanno le cose, dal momento che tu ed iodovremmo condividere questo spazio per un periodo di tempo più omeno lungo, a meno che io non muoia prima e questa ipotesi non è daescludere."

"Ah,allora non sei già morto!"Abel si sentì immediatamente sollevato,finì per trovare posto sulla grossa poltrona del salotto, sotto losguardo piuttosto confuso dell'altro, poi chiarì "scusami, ma nonsei proprio il ritratto della salute."

L'altroproseguì come se niente fosse "sono anemico e asmatico. Questo èil mio unico amico" disse, tirando fuori dalla tasca un inalatore,"se restassi senza potrei morire. Oltretutto seguo una dieta ferreaa causa della mia anemia. Questo mio pallore è dovuto al mio esserein parte albino, anche se l'anemia ha fatto il resto. E'consigliabile che non mi esponga troppo al sole, in quanto sonofotosensibile per via del mio albinismo, ecco perché ti chiedo ditenere le tende tirate qui in salotto. Inoltre, sono generalmentemolto debole, evito il freddo perché una malattia aggressivapotrebbe provocarmi la morte, perciò il riscaldamento sarà sempremolto alto in stanza."

Abelrimase senza parole per qualche secondo, cercò di elaborare tuttequelle informazioni preoccupanti, poi finalmente si riprese "bene,adesso è tutto chiaro." Il suo coinquilino poteva anche non essereun fantasma al momento, ma il passo per diventarlo era davvero breve.

"Perfavore, cerca di non morire in stanza. Odio questo dannato castello,non è davvero il caso che tu muoia qui con me, anzi, ti aiuterò asopravvivere per tutti questi anni se è necessario. Dimmi se haibisogno di qualcosa e te la andrò a prendere in farmacia!"

Adessofu Yole a rimanere lievemente spiazzato, poi scosse appena la testa,il suo coinquilino doveva essere come minimo idiota.

"Vadoa farmi un bagno caldo"

Abelfu felice di poter interrompere quella conversazione imbarazzante.Lui era il Dio delle conversazioni! Sempre così brillante espigliato, ma come poteva mantenere il suo charme con un tipo cosìinquietante? Semplicemente non poteva. Decise di lasciare la stanza efare un giro nelle sala comune al piano di sotto, sapeva che Leroy lostava aspettando per dargli il benvenuto.

L'amicoera lì infatti, capelli neri sempre sparati in aria e quel sorrisocontagioso che risuonava lungo il grosso tavolo al quale sedeva. Eracircondato da gente come sempre, Leroy era il punto focale diqualsiasi festa, nonché la persona più dannatamente portata per gliaffari che Abel avesse mai conosciuto fino a quel momento. I genitorigestivano una lunga catena di Casinò sparsi per il mondo, questospiegava in parte la sua ossessione per il denaro e le scommesse.Anche lì alla Van der Meer portava avanti un giro di scommesse chegli dovevano fruttare un sacco, scommetteva praticamente su qualsiasicosa valesse la pena scommettere.

"Ohmio Dio, che cosa vedono i miei occhi!" Leroy lo aveva notato quasisubito, Abel si ritrovò a sbattere il pugno contro quello dell'amicoin segno di saluto, prima di dargli una pacca sulla spalla "AbelBlackburn! Finalmente è arrivato il fratello divertente. Non haiidea di quanto questa scuola abbia bisogno del tuo dannato sexappeal!" poi Leroy si era rivolto agli altri amici intorno altavolo "ragazzi, vi presento la leggenda dietro il suo nome!"

Abelstirò le labbra nel suo solito sorriso sensuale, reso ancora piùsexy dalle sue labbra carnose, ci fu un coro di acclamazioni.

"Abbiamoil nostro uomo! È lui, dannazione! È lui! Vincerà, me lo sento!Questa volta ce la faremo!" uno degli studenti aveva quasi urlato.Abel pensò che sembrava troppo su di giri per non aver fumatoniente.

"Vieni!Siediti qui! Dobbiamo parlare."

"Andiamo,Jeff ... fallo almeno ambientare!" ribatté un tipo biondo, sedutoaccanto a Leroy.

"Nonha bisogno di ambientarsi" garantì l'amico per lui "Abel èsempre pronto all'azione, soprattutto quando c'è in ballo unascommessa e un mucchio di soldi che lo attendono"

"Leroymi ha già accennato qualcosa questa estate, ma è voluto rimanerepiuttosto vago. Parlatemene, sono tutto orecchi." disse, sedendosial centro esatto del tavolo, acclamato ancora una volta dal gruppo.Adesso era molto interessato alla questione.

"Losapevo! Lo sapevo! Abbiamo dovuto attendere due lunghi anni perquesto momento, ma vi assicuro che Abel è il nostro uomo. Ho fattole superiori con questo ragazzo e sappiate che non ho mai visto invita mia una tale abilità nell'arte della seduzione! E' riuscito afar diventare gay il nostro capitano della squadra di football,dovevate vedere come gli andava dietro ..." Leroy sembrava quasiemozionato al ricordo, anche Abel portava quelle memorie in un postospeciale del suo cuore.

"Senzavoler enumerare il fratello della mia quasi matrigna, lo chiamavanoCasanova, si vantava di aver avuto le donne più belle del mondo ...poi ha incontrato me." Aggiunse quello, con il solito sorrisoaffascinante che catturò subito tutti.

"Mihai convinto. Punto tutto su Abel!" proruppe il ragazzo che avevaparlato prima, molti altri ragazzi annuirono, entusiasti.

"Aspettateun momento, voi la fate facile, ma io non ne sarei così sicuro.Frequento questa scuola da quattro anni e ho visto tutte le ragazzeassoldate da Leroy tornare da sconfitte. Stessa cosa è successa coni ragazzi. Quello è un osso duro, non cederà neanche stavolta"Abel si voltò verso la fonte di quella voce, apparteneva a unostudente magro e dal volto spigoloso, non sembra per nienteimpressionato dalla presentazione di Leroy.

"Staidicendo che non credi nelle mie capacità?"chiese Abel, lievementedivertito. I suoi occhi erano così profondi e diretti che per unattimo il suo interlocutore dovette abbassare lo sguardo.

"Insomma,non sei tu il punto, potresti anche essere Mister Universo, ma quellocon cui avrai a che fare è il ragazzo più incorruttibile che ioconosca. Non sono neanche sicuro che sia umano!" continuò il tipo,con espressione scettica sul volto, "seguiamo lo stesso laboratoriodi biologia e vi assicuro che tra lui e una macchina non c'èdifferenza. E' un dannato robot! Sarebbe più semplice fargli scopareun microonde."

Abelaveva riso forte di fronte a quelle parole. Era evidente che queltipo non aveva idea delle cose che lui era in grado di fare. Potevadefinirle vere e proprie magie, mai nella sua vita, Abel si erasentito dire un no. Non era così che funzionava e non riusciva aimmaginare che quella volta sarebbe potuta andare diversamente.

"Mettiamoin chiaro una cosa a questo punto. Qui state mettendo in dubbio ladannata fama che mi precede e state anche ferendo il mio orgoglio.Sappiate che non ho paura di dimostrarvi quanto vi stiate sbagliandosul mio conto. Quel tipo è già nel mio letto, ma non lo sa ancora.E adesso chi se la sente di scommettere su di me?" la voce di Abelnon era mai suonata così sicura, mentre dedicava un sorrisocalcolatore e affascinante agli altri ragazzi. Le sue parole furonoaccolte da acclamazioni sguaiate. La maggior parte degli studentitirò fuori il blocchetto degli assegni, altri misero mano aicontanti, sotto gli occhi avidi e luminosi di Leroy, adesso tuttointento a segnare le puntate dei suoi amici.

"Allora?Quanti per Abel?"

Moltisollevarono la mano, soltanto un gruppetto di scettici puntò controil biondo.

"Nonpuoi farcela, amico. Quello per me non va neanche con le donne, nonprendertela a male" disse uno degli studenti, assestando una paccaamichevole ad Abel.

"Iosono migliore di una donna, te lo assicuro. Non ho mai mal di testa,sono aperto mentalmente e soprattutto, quando ci riuscirò, Leroy mipagherà con la sua bellissima Ducati Panigale." Ribatté Abel,facendo ridere i ragazzi.

"Contutti i soldi che guadagneremo te ne potrei comprare anche due dimoto. Adesso statemi a sentire, anche per Abel vigeranno le soliteregole." Poi Leroy si voltò verso l'amico e abbassò lo voce,"dovrai avvicinarlo e concludere entro un mese, non un giorno inpiù, perché in quel caso la scommessa non sarebbe più valida. Deviportarci delle prove, delle foto o delle registrazioni potrannoandare bene."

ImprovvisamenteAbel fu assalito da un dubbio "E lui com'è? Se non mi piace ..."

"Tipiacerà. È figo, solo un po' strano, ma non importa. Non è chedovrai parlarci più di tanto" lo interruppe subito Leroy, il suotono era malizioso "bene, da domani ti passerò tutte leinformazioni che lo riguardano, così saprai dove e come trovarlo."

"Haiqualche consiglio strategico da darmi?" chiese Abel prima disollevarsi dal tavolo. Doveva cominciare a lavorarci primadell'inizio delle lezioni, avrebbe avuto meno tempo dopo.

"No,hanno fallito tutti e anche di brutto" commentò uno dei ragazzi,"le tipe troppo spigliate lo hanno fatto incazzare, quelletroppo timide non sono riusciti neanche a farsi guardare in faccia,quelle che hanno usato una via di mezzo sono state rifiutate. Cosìabbiamo pensato di provare anche con gli uomini! Tanto peggio dicosì, ma non è che sia andata meglio. Insomma, non c'è dastupirsi se la maggior parte della gente punterà ancora su Aiko"

Abelsollevò un sopracciglio, "Aiko? Che razza di nome è?"

"Èfinlandese" spiegò Leroy, ancora intento a segnare i cognomi degliamici sul blocchetto, poi prese altro denaro, improvvisamente ci fuun trambusto generale, i ragazzi si diedero delle gomitate l'uno conl'altro, in men che non si dica Leroy aveva ritirato tutti i soldi eli aveva abilmente nascosti all'interno del suo zaino.

Abelsi guardò intorno, confuso per tutta quella circospezione. Poi videun nuovo gruppetto di ragazzi entrare in sala e capì che dovevaessere attribuito a loro il motivo di tanta circospezione. Lamatricola sollevò lo sguardo sui due che aprivano quel corteo,sembravano risaltare in modo prepotente rispetto agli altri comunistudenti.

"E'il figlio del preside Van der Meer, meglio non farsi beccare ascommettere ..." Leroy si era avvicinato al suo orecchio e avevaparlato in un sussurro, osservando il viso rapito dell'amico,ancora rivolto verso il nuovo arrivato.

Abelstava osservando quello che doveva essere Lars Van der Meer, ilfiglio adottivo del preside, nonché uno degli studenti piùbrillanti dell'intero istituto, almeno a detta di Killian che nonfaceva altro che parlare di lui durante le sue brevi visite a casa.Era alto, spalle larghe, un viso piuttosto ferino, mitigato da labbracarnose, a forma di cuore, ma la componente che colpiva più di ognialtra cosa era lo sguardo. I suoi occhi erano grandi e allungati,contornati da ciglia scure e folte, ed erano del blu più assolutoche Abel avesse mai visto. Erano zaffiri preziosi, brillanti ma allostesso tempo distanti da qualsiasi cosa, quella fu l'impressione chediedero ad Abel. I suoi capelli erano castano scuro, lisci e tiratiall'indietro, creavano un contrasto perfetto con la pelle chiara e lelabbra rosee.

Abelera rimasto imbambolato, tanto che a risvegliarlo fu una voce bassa etagliente come vetro.

"Nonsbavare sul tappeto, probabilmente ha molto più valore di quanto neabbia la tua intera esistenza."

Lamatricola aveva sbattuto le palpebre e sollevato lo sguardo sulragazzo che gli aveva appena rivolto la parola. Era accanto a Lars efissava il biondo con uno sguardo di puro veleno, il viso eraaffilato e magro, gli occhi azzurri emanarono un bagliore minacciosoprima di passare oltre il volto di Abel, scuotendo appena la testaper il disappunto.

Leroyportò gli occhi al cielo e sospirò.

"Haigià fatto incazzare River Whalen. Aspettati una vita di merda quidentro. River non scherza."

"Checosa?" solo a quel punto Abel mise un freno a quella lunga fantasiaerotica che aveva avuto osservando il figlio del preside.

"Haicapito bene. Tieniti fuori dal suo radar. River non scherza." Dissedi nuovo Leroy.

Abelrimase interdetto, da quando in qua doveva iniziare a pagare ancoraprima che avesse effettivamente combinato un guaio?

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