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ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 8 - Violento

Il giorno dopo, Jane saltò le sue lezioni universitarie e allo stesso modo non si presentò neanche a quelle successive.
Faticava a dormire la notte, aveva perso l'appetito e doveva forzarsi anche solo per uscire a prendere una semplice boccata d'aria. Quando riusciva ad addormentarsi, spesso stesa sul divano davanti alla tv accesa che riempiva il vuoto del silenzio attorno a lei, faceva incubi tremendi e si risvegliava con il fiato corto.
Sognava di trovarsi ancora a casa dei suoi genitori, riviveva i terrificanti momenti del giorno in cui la sua famiglia fu assassinata e non riusciva più a capire quando di ciò che vedeva erano costruzioni della sua mente e quanto fossero ricordi reali, che stavano semplicemente venendo a galla. E adesso che conosceva bene il volto di colui che compì quei gesti disumani, ormai diversi anni addietro, la ricostruzione di quegli eventi era diventata molto più semplice per lei.
Ma non avrebbe voluto ricordare.
Solo adesso si rendeva conto che la sua amnesia era stata una benedizione.
Per anni aveva combattuto per liberarsi da quel macigno e riprendere in mano la sua vita laddove l'aveva lasciata, dimenticare quel trauma o perlomeno confinarlo nei più profondi meandri della sua mente in modo che non sarebbe più potuto uscirne. Ma adesso sembrava che quel passato stesse tentando in tutti i modi di raggiungerla.
Erano le sette di mattina, quando la ragazza spalancò gli occhi emettendo un grido così forte che fu percepito da tutto il vicinato. Sollevò la schiena di scatto e si guardò intorno confusa per qualche secondo, realizzando di essere di nuovo caduta nel sonno senza rendersene conto; le stava capitando sempre più spesso, poiché il suo corpo iniziava ad essere stremato a causa dell'insonnia. Per cercare di calmarsi accese distrattamente la tv, lanciando un'occhiata alla finestra attraverso la quale potè intravedere un cielo parzialmente oscurato dalle nubi.
Era molto frustrata da quella situazione, ma una cosa in particolare la stava facendo letteralmente impazzire: non riusciva più a scrollarsi il volto di Jeff dalla testa, quel suo strano comportamento e quella inspiegabile sensazione di malessere che aveva provato quando lo aveva visto per la prima volta all'università. Doveva trattarsi del senso di colpa, si disse. Dopotutto lei non aveva mai fatto del male a una mosca in tutta la sua vita, e per quanto giustificabile il suo comportamento in quell'occasione fu del tutto estraneo al suo carattere e al suo abituale modo di pensare.
Sospirando iniziò a fare zapping tra i canali, almeno tra quelli che riusciva a vedere poiché a causa dell'antenna difettosa molti risultavano irraggiungibili.
"Dovrò farla sistemare, prima o poi".
Non era coscientemente pentita, ma ogni volta che ci pensava le saliva un groppo in gola. Non potè fare a meno di chiedersi che cosa avrebbero detto mamma e papà se avessero potuto vederla, ma anche questa domanda sarebbe rimasta per sempre senza una risposta proprio come tutte le altre.
Fece una smorfia, ritrovandosi a guardare le immagini di un vecchio film d'azione. Tentò in ogni modo di distrarsi ma non ci riuscì e così alla fine, esausta, afferrò il suo cellulare ed aprí il motore di ricerca; fissò immobile la tastiera aperta per qualche secondo, per poi trovare il coraggio di digitare l'argomento di suo interesse nella barra apposita: "Jeff the Killer".
Scrisse soltanto questo, anche perché non aveva idea di quale informazione stesse cercando per davvero.
Tra i risultati della ricerca trovò decine e decine di link che riportavano a diversi casi di omicidio, rendendosi subito conto che la fama che quell'essere immondo si era creato sulla rete era davvero considerevole; quotidiani e forum parlavano di lui, trovò centinaia di articoli che citavano quel nome, alcuni dei quali contenevano delle foto segnaletiche in cui il killer era stato ripreso in primo piano, mentre già indossava la camicia di forza. Trovò anche un paio di discussioni nelle quali alcune fan elogiavano le gesta di Jeff, dimostrandosi pazze non meno di lui.
Continuò a navigare.
Molti link riportavano a dettagliate ricostruzioni di scene del crimine a lui attribuite, tutte molto simili tra loro, talvolta con tanto di foto oscurate delle povere vittime che avevano avuto la sfortuna di finire nel suo mirino. Su ogni corpo senza vita che quel mostro si era lasciato alle spalle aveva inciso un terrificante sorriso sulle labbra, tutti tranne quelli dei suoi genitori, forse per questo al tempo la polizia non attribuì a lui quella strage. Non poté fare a meno di chiedersi come mai.
Forse questo significava qualcosa. O forse aveva iniziato a lasciare quella firma sui cadaveri solo da un certo punto in poi; dopotutto il famoso omicidio a casa Arkensaw apparteneva a molti anni prima.
Sospirò pesantemente, trascinata da un articolo all'altro come se non riuscisse più a sollevare lo sguardo dallo schermo del cellulare, fino a che non si imbatté casualmente in un link che riportava l'annuncio di un evento pubblico:

27 Novembre, Piazza centrale a lato della diciassettesima strada.
Mostra pubblica degli ergastolani con discorso del sindaco.
Ingresso libero, consentito solo ai maggiorenni.

...............

-Muovetevi, merde!-.
A causa della quasi totale assenza di finestre il tempo all'interno del carcere di massima sicurezza era scandito esclusivamente dalle routine alle quali i detenuti erano sottoposti, come la consegna dei pasti e le ispezioni di controllo da parte delle guardie, che venivano eseguite ogni due ore. Una volta alla settimana però ai criminali veniva concesso l'accesso alle docce condivise, unica occasione che avevano per ripulirsi e sgranchirsi le gambe quanto basta.
Quel giorno Jeff fu prelevato dalla sua cella come di consueto assieme al resto dei detenuti che erano stati confinati nello stesso corridoio e condotto al piano inferiore. Il procedimento era sempre lo stesso: ogni detenuto veniva completamente denudato e costretto a indossare delle catene ad entrambe le caviglie che permettevano loro di camminare liberamente ma non di correre, poi venivano allineati in fila indiana e condotti agli spogliatoi sotto lo sguardo vigile di almeno un paio di guardie armate, infine sorvegliati fino a che ognuno non fosse ritornato nella propria cella. Vi erano anche delle rigide regole comportamentali che tutti dovevano rispettare alla lettera, pena le più severe punizioni corporali; una tra queste, atta a evitare l'insorgere di risse, vietava qualsiasi genere di contatto tra un detenuto e l'altro.
Il moro quel giorno era il terzo della fila.
-Vi ricordo che se qualcuno tenta di scappare siamo autorizzati a sparare. Proseguite lungo il corridoio, forza!-.
Aveva imparato a sue spese che disobbedire agli ordini impartiti dalle guardie era sempre una pessima idea, perciò evitava lo scontro ogni volta che gli era possibile; anche perché sapeva che non sarebbe mai riuscito ad uscire vivo da quel posto, se anche ci avesse provato.
Il gruppo di detenuti disposti in fila fu condotto fino alle docce, dove avrebbero avuto esattamente dieci minuti di tempo per ripulirsi e indossare nuovamente le loro divise; lo spazio qui era piuttosto ampio, ma non vi era acqua calda e il sapone spesso non era sufficiente a garantirne una dose idonea a tutti quanti.
-Hey bello, vedo che sei ancora tutto intero... Più o meno-.
Nel riconoscere una voce familiare Jeff si voltò indietro riconoscendo la figura imponente di Jason sotto a una delle docce, intendo a sfregarsi un blocchetto di sapone sul petto. Detestava l'impertinenza di quell'uomo e più volte aveva fantasticato di trovare un modo per metterlo a tacere una volta per tutte.
-Sta zitto- ghignò.
L'altro mise in mostra un sorriso irritante, mentre si infilava sotto al getto di acqua gelata per risciaquare la pelle dai residui di sporco e di sapone.
Per qualche minuto il moro restò immobile ad attendere il suo turno, finché il suo sguardo non cadde distrattamente sulla figura esile di un ragazzino dai capelli castani che, evidentemente intimorito dalla presenza degli altri detenuti attorno a lui, se ne stava fermo in un angolo con un asciugamano stretto tra le braccia. Non ricordava di averlo mai visto prima, e si chiese se si trattasse di un nuovo ospite o fosse stato semplicemente trasferito di recente nell'ala D; curioso, dal momento che non sembrava affatto un criminale pericoloso.
Il suo corpo era piuttosto gracile e visibilmente denutrito, presentava inoltre diverse cicatrici che sembravano la conseguenza di gravi ustioni da fuoco.
-Ticci Toby, lo chiamano così-.
-Uh?- mugolò il killer, tornando a rivolgere la sua attenzione a Jason.
L'uomo dai capelli rossi nel frattempo era uscito dalla doccia e si stava asciugando il corpo davanti a lui, per niente imbarazzato dalla sua nudità. -Ma sì, quel piccoletto laggiù- rispose.
Jeff scorre lievemente la testa. -Non mi interessa. Non te l'ho chiesto-.
Rapidamente si infilò sotto al getto di acqua gelata e sentì la sua pelle rabbrividire al primo contatto; chiuse gli occhi e lasciò che scorrere tra i suoi capelli, restituendogli la sensazione che nonostante tutto fosse ancora vivo. E non era così scontato esserlo, all'interno di quelle mura.

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