ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 26 - Innocuo
-Stai... Stai scherzando-.
Jane scosse la testa sbattendo le palpebre in modo compulsivo, incredula delle parole che aveva appena udito. -Non dici sul serio, non può essere questo il motivo- balbettava.
Ma l'espressione seria sul volto di Jeff, che non era cambiata di una sola virgola, le stava suggerendo il contrario.
Annaspando la ragazza continuò a guardarlo dritto in faccia, con entrambe le mani serrate un due pugni stretti. La sua confusione mentale si trasformò presto in rabbia. -Mi stai prendendo per il culo?!- gridò. D'un tratto non le importava più che qualcuno nel vicinato avrebbe potuto sentirla, dopotutto il problema non sarebbe stato suo, in ogni caso.
Ma il killer distolse lo sguardo, visibilmente scosso. -No...- mugolò.
Senza dargli il tempo di reagire la mora gli assestò uno spintone con tutta la forza che aveva in corpo, per poi afferrare il cappuccio della sua felpa e iniziare a strattonarlo. -Maledetto psicopatico dal cazzo!- gridò.
Dopo un primo momento di sorpresa durante il quale Jeff si trovò vittima della sua ira, d'un tratto reagì afferrandole una mano per liberarsi dalla presa; le impedì di reagire, girandole il braccio dietro alla schiena mentre la immobilizzava contro al suo petto. Non aveva intenzione di ferirla, ma neanche di lasciarsi prendere a sberle.
-Lasciami!- gridò lei, iniziando a divincolarsi. Detestava più di ogni altra cosa il contatto con il suo corpo, e sentirsi impedita nei movimenti.
Senza lasciarselo ripetere due volte il moro lasciò la presa, dimostrando ancora una volta di avere davvero buone intenzioni; l'espressione sul suo volto sembrava ora tuttavia cambiata, come se quel poco d'azione fosse stata sufficiente a risvegliare qualcosa di malvagio in lui, qualcosa che adesso si sforzava con ogni mezzo di sopprimere.
-Non fare così-.
Jane si allontanò di un paio di passi, lanciandogli uno sguardo carico d'odio e rancore. Sentiva di detestarlo con ogni fottuta cellula del suo organismo. -Tu mi hai portato via.... ogni fottuta cosa...- balbettò, con il fiato corto. -E tutto per cosa?-.
Il volto sfregiato del ragazzo si distese in uno sguardo stanco, quasi privo d'espressione. Questa volta esitò a rispondere, forse perché temeva che lei avrebbe nuovamente reagito male; rimase semplicemente in silenzio, e questo non poté che alimentare nuovamente la sua rabbia.
-Rispondimi!- gridò, esasperata.
Il corpo di Jeff fu scosso da un tremito. -Non voglio parlare di questo-.
-Me lo devi!- ribatté lei, afferrando nuovamente un lembo della sua felpa. -Merito almeno una spiegazione!-.
Un silenzio assordante si frappose tra i due, tanto violento da far fischiare i timpani. Jane gli teneva lo sguardo addosso nell'attesa di udire una qualsiasi risposta uscire dalla sue labbra, mentre lui si limitava a respirare lentamente respingendo ogni istinto violento che adesso stava nascendo con sempre più forza nella sua mente.
Poi, finalmente, parlò.
-Volevo... Cancellare tutto...- mugolò.
-Tutto cosa?- ribatté la mora, con una risata nervosa. -Neanche ti conoscevo, cazzo!-.
-Tutto quello che ha avuto un significato per me- le rispose, con un filo di voce.
Restò a scrutarlo con il fiato sospeso, incapace di dare un senso a quelle parole. Aveva sperato tanto di udire quella risposta, ma adesso che l'aveva ottenuta non riusciva a comprenderla.
Non aveva alcuna memoria di avere incontrato Jeff prima della sera in cui si era presentato a casa sua completamente fuori di sé e aveva sterminato la sua famiglia; ma sapeva che erano cresciuti nello stesso quartiere, quindi era plausibile che lui l'avesse già vista. E per quanto le sue giustificazioni fossero insensate, in qualche modo sembravano coincidere con la realtà: ancor prima di compiere quegli atroci atti, infatti, Jeff aveva assassinato la sua stessa famiglia.
-Sei... Se solo...- balbettò ancora la ragazza, che ormai tremava come una foglia. -Uno squilibrato del cazzo...-.
Lui annuì, con un'aspra ironia. -Ti accompagno da Smiley- mormorò poi, cambiando in un attimo la rotta della loro conversazione.
Jane tentò di calmarsi, regolarizzando il ritmo del suo respiro. Per quanto avrebbe voluto saltargli alla gola e strappargli le vene a morsi, una sensazione e impotenza la stava assalendo con prepotenza. Lo guardò mentre con una tranquillità disumana tornava ad infilare le mani in tasca e si incamminava lungo il vicolo, e quando fu lontano da lei diversi metri si decise a iniziare a seguirlo.
Mentre a fatica metteva un piede davanti all'altro, sincronizzando l'andatura, la sua mente continuava a galoppare sull'assurda conversazione che aveva appena avuto e su quanto quelle parole fossero sembrate soltanto i vaneggiamenti di un malato di mente alla ricerca di una giustificazione; ma qualcosa le diceva che non fosse proprio così. Lui le aprí la strada su una serie vicoli e intercapedini che si allungavano ai piedi dei palazzi, poi sul retro di un parco giochi pressoché deserto, fino a che non si ritrovarono dinnanzi a quella che pareva una vecchia baracca in disuso: una piccola struttura di tavole e lamiere che un tempo doveva essere stata utilizzata come capanno degli attrezzi.
-È lì dentro?- domandò Jane, senza rivolgere direttamente il suo sguardo al killer.
Quest'ultimo annuì con un rapido movimento del capo, facendole cenno di avvicinarsi all'ingresso.
-Smiley, sono io- esordì poi, prima di spingere la vecchia porta scardinata con una spalla.
All'interno lo spazio calpestabile era molto ristretto e non c'era alcun tipo di pavimentazione, tanto che a terra erano presenti alcuni arbusti che si erano infilati tra le fessure delle pareti alla ricerca della luce del sole; l'ex dottore attendeva proprio lì, seduto su una vecchia balla di fieno ormai ammuffito.
-Eccola qui, la mia eroina!- esordì, non appena vide la sagoma di Jane dietro alle spalle del moro. -Com'è andata?-.
La ragazza entrò di fretta, visibilmente agitata. Voleva chiudere la questione in fretta. -Basta cazzate Smiley, sono davvero stanca- esclamò. -Adesso ti dirò com'è andata e poi non voglio più vedere nessuno dei due. Questi erano i patti, giusto?-.
-Giusto- rispose immediatamente lui, alzandosi in piedi. -Quindi?-.
-Toby è vivo, si trova ancora al penitenziario. Ma non sono riuscita a farlo parlare- spiegò. -Magari poteva essere utile dirmi che è muto-.
L'uomo sghignazzò divertito. -Beh, questo è vero solo in parte-.
-Comunque ho parlato con il detenuto della cella di fronte, quello con le braccia tatuate- continuò lei, con un pesante sospiro che svuotò la sua cassa toracica. -Dice che stanno organizzando un evento e che quasi sicuramente Toby ne farà parte-.
-Hai parlato con Jason, quindi. Sta bene quel figlio di puttana?- replicò ancora Smiley, intrecciando le dita.
Ma Jane scosse energicamente la testa, mostrando tutto il suo dissenso. -Basta con queste stronzate. Ho fatto quello che mi hai chiesto, adess...-.
-Aspetta aspetta, aspetta!- le interruppe l'interlocutore, tentando di darle una pacca sulla spalla, che lei schivò arretrando. -Non così in fretta-.
-No, basta!-. Esausta la mora lo guardò dritto in faccia, con il volto contorto in un ghigno di frustrazione e le mandibole strette. -Non ne posso più di tutto questo-.
L'uomo sembrò ancora una volta divertito dalla sua reazione, come se trovasse davvero divertente il modo in cui lei sembrava esasperata. -Hai fatto un ottimo lavoro, Jane- le disse, tornando improvvisamente serio. -Ti ho spiegato quanto è importante questa cosa per me-.
Lei tacque, distogliendo lo sguardo.
Certo che lo sapeva, ma sentiva che quella situazione le stava un po' troppo sfuggendo di mano; la sua ultima conversazione con Jeff, poi, le aveva lasciato un amaro in bocca che difficilmente avrebbe scacciato via.
E il moro, in piedi a poco più di un metro di distanza, le lanciò uno sguardo falsamente indifferente, senza osare intromettersi nella conversazione.
-Ti ringrazio- disse ancora Smiley, allargando un tiepido sorriso. -E non ti costringerò ad aiutarmi ulteriormente, come promesso-.
Le deglutí saliva, senza sapere che cosa rispondere. Non si aspettava che sarebbe davvero stato così facile, ancor meno che quel pazzo avrebbe effettivamente fatto fede alla parola data.
-Bene, allora... Con permesso, io me ne vado- concluse, sistemando il colletto della sua giacca. Passò proprio affianco a Jeff senza degnarlo di un singolo sguardo, per poi spalancare ciò che restava della sgangherata porta d'ingresso; prima di uscire, però, tornò a voltarsi indietro.
-Chiamerò la polizia se dovessi rivedere uno di voi due da qualsiasi parte- esordí. -Siete avvisati-.
E così, con un nodo alla gola che a stento le permetteva di respirare, si incamminò a passo svelto lungo la strada confortata dai raggi del sole che riscaldavano la sua pelle.
Questa volta era finita per davvero, pensò.
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