ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 24 - Depresso
Prima di quel giorno Jane non aveva mai messo piede all'interno di un carcere, anche se lo aveva sempre immaginato come un luogo molto neutrale composto da lunghi corridoi tutti quali, grandi spazi privi di arredamento e decine di celle tutte identiche disposte ordinatamente. In effetti fu proprio questo che vide non appena una delle guardie addette le chiese di seguirla, ma tutto questo cambiò nel momento in cui raggiunse la fatidica ala D, ovvero la zona in cui venivano collocati tutti i criminali ritenuti potenzialmente pericolosi, nonché coloro che dovevano scontare la pena dell'ergastolo a vita: qui, infatti, la monotonia di lunghi corridoi tinti di bianco e pavimenti lisci che facevano stridere le suole delle scarpe erano sostituiti da un ambiente incredibilmente macabro e insalubre.
-Da questa parte, prego-.
Mente seguiva i passi dell'uomo in divisa davanti a lei Jane faceva scorrere lo sguardo sulle enormi macchie di umidità che si annidavano sul soffitto e sui pezzi d'intonaco che queste facevano staccare, per poi infrangersi in tanti pezzettini ai bordi del corridoio piastrellato. L'ala D era versava in un così grave stato di incuria e totale mancanza di manutenzione che a colpo d'occhio poteva sembrare una porzione di edificio abbandonata da molti anni, ma a segnalare che così non fosse vi erano lunghe file di celle arrugginite dalle quali spuntavano le mani di un numero non meglio definito di detenuti.
Semplicemente, trattandosi di una zona che ospivatava individui che per le loro azioni avevano perduto i loro diritti, il personale non si preoccupava affatto di mantenere ordine e pulizia in quell'area.
-Il prigioniero 245 è nella penultima cella sulla destra. Ha dieci minuti esatti a partire da adesso, non un secondo in più-.
Jane avanzò con titubanza, e quando si ritrovò davanti alla porta giusta il suo sguardo penetrò attraverso le sbarre posandosi sul corpo gracile di un ragazzino che, date le sue condizioni, sembrava avere molti meno anni di quanti non ne avesse davvero. Toby era rannicchiato in un angolo sopra alle lenzuola sgualcite di un letto singolo, che si componeva di una semplice rete di ferro che era stata posizionata contro alla parete sul fondo, e con le braccia avvolte attorno alle ginocchia sembrava intento a nascondere il suo volto.
La prima cosa che percepì nel guardarlo fu un'immensa pena.
Sembrava ferito, almeno a giudicare dalle chiazze di sangue secco che imbrattavano il suo vestiario, e riportava una serie di grossi lividi scuri sulle mandibole e sul naso. Era evidente che fosse stato pestato violentemente.
-Tu sei Tobias Rogers, giusto?- gli domandò, con la voce più gentile che riuscì a fare.
Udendo quelle parole il castano sollevò la testa di pochi centimetri, scosso da un brivido. Era visibilmente spaventato dalla sua presenza e probabilmente si stava domandando per quale motivo una sconosciuta stesse richiamando la sua attenzione; il suo corpo fu travolto da una serie di violenti tic nervosi.
-Io mi chiamo Jane- continuò lei, tentando di rassicurarlo.
-Dolcezza, credo che tu stia perdendo tempo- recitò subito dopo una voce maschile proveniente dalle sue spalle, che tuttavia la ragazza si sforzò di ignorare. Il suo sguardo gentile era infatti fisso sul volto preoccupato del ragazzino, mentre poggiava la mano destra sulla porta di ferro della sua cella. -Tranquillo, vorrei solo scambiare due parole con te-.
Ancora una volta Toby non proferì parola, ma la frequenza dei tic che scuotevano il suo corpo sembrò ridursi; Jane allargò un timido sorriso, espirando lentamente aria dal naso.
-Non voglio costringerti, ovviamente- continuò ancora, assumendo un atteggiamento quanto più amichevole possibile. -Ma se potessi dedicarmi qualche minu...-.
-Toby è muto, ragazza- intervenne ancora la voce di poco prima. Disturbata la mora si voltò finalmente indietro: a parlare era stato un uomo dalla corporatura slanciata e muscolosa, che riconobbe come Jason The Toymaker; non che avesse mai avuto a che fare con lui, ma lo aveva visto all'università e le risultò facile riconoscerlo per via del colore insolito dei suoi capelli, e del tatuaggio completamente nero che ricopriva entrambe le sue braccia.
-Muto?- ripeté piuttosto sorpresa, chiedendosi allo stesso tempo per quale motivo Smiley avesse omesso di darle un'informazione così importante.
Jason ridacchiò, compiaciuto dall'aver finalmente catturato l'attenzione della ragazza. -Beh non proprio, ma quasi- rispose. Si alzò in piedi e si avvicinò alle sbarre arrugginite della sua cella, sporgendosi per quanto queste ultime glielo permettessero. -Diciamo che parla solo con me, ma soltanto quando è molto tranquillo. E non è questo il caso-.
Jane annuì vagamente, avvicinandosi all'interlocutore. Chiaramente non si fidava delle sue parole a priori, ma aveva potuto lei stessa constatare il fatto che il ragazzino non sembrasse intento a comunicare. E questo era un problema.
-Quindi che posso fare?- mugolò, lanciando uno sguardo al corridoio. Voleva assicurarsi che la guardia che l'aveva accompagnata fosse abbastanza distante, perché non voleva che potesse origliare la loro conversazione.
Jason sorrise, guardandola negli occhi con un'espressione strana che non riuscì a interpretare. -Dipende. Che cosa vuoi da lui, esattamente?- le domandò, beffardo.
-Aiutarlo- fece la mora, sottovoce.
L'individuo dai capelli rossi sorrise compiaciuto, avvolgendo le sue lunghe dita sulle sbarre. -Allora...- sussurrò. -Ti manda Smiley, è così?-.
Udendo quelle parole Jane si immobilizzò, restando a fissarlo con il fiato sospeso. Non si aspettava di sentirle, e soprattutto non aveva idea che quel tipo conoscesse l'ex dottore; a mente più lucida le sarebbe stato facile immaginarlo, siccome erano stati detenuti nella medesima area.
Non rispose direttamente alla sua domanda ma annuì con un cenno del capo, lanciando una seconda occhiata alla guardia per verificare che non si stesse avvicinando.
-Non è ancora ufficiale, ma ci sarà un grosso evento tra alcuni giorni- bisbigliò Jason. -Gli sbirri vogliono riacquistare la fiducia della gente dopo il casino che è successo l'ultima volta. È probabile che Toby venga selezionato, siccome è facile da gestire- aggiunse.
Lei annuì interessata. -Pensi che...-.
-Penso che sarà quasi impossibile replicare le gesta del tuo amico- la interruppe l'altro, beffardo. -La sicurezza verrà di certo triplicata-.
La ragazza deglutí a vuoto, chiudendo le palpebre per qualche istante. Sapeva bene che aveva ragione, difficilmente Smiley o chiunque altro sarebbe riuscito anche solo ad avvicinarsi al palco, questa volta.
-Vi servirà un grosso diversivo- aggiunse ancora l'uomo, abbassando ulteriormente il tono della sua voce. -E anche una generosa dose di fortuna-.
Jane indietreggiò di un passo, tornando a rivolgere la sua attenzione al ragazzino dai capelli castani ancora rannicchiato nel suo letto. Anche se quella questione non la riguardava personalmente non riusciva ad immaginarlo passare il resto della sua vita dietro a quelle sbarre; Toby sembrava assolutamente innocuo e, in ogni caso, sarebbe dovuto trovarsi in una clinica psichiatrica dove potesse ricevere delle cure e non certo in quel posto orribile circondato da pedofili e assassini. Oltre a questo, le risultava evidente dalle sue condizioni che stesse venendo sistematicamente maltrattato dalle guardie nel peggiore dei modi.
Si avvicinò di nuovo alla sua cella, tentando un'ultima volta di comunicare con lui. -Ti aiuterò Toby, vedrai che andrà tutto bene- mugolò sottovoce.
Il castano mantenne lo sguardo basso, ma il suo corpo fu scosso da un violento tic nervoso che lo costrinse a stringere la testa tra le ginocchia, quasi come volesse rannicchiarsi all'interno di sé stesso.
Solo un attimo dopo, il suono freddo dei passi della guardia rimbalzò lungo il corridoio. -Tempo finito, la riaccompagno all'uscita-.
E mentre Jane si incamminava lanciò un ultimo sguardo a Jason, che ricambiò facendole l'occhiolino. -Fai attenzione, ragazza- mormorò, seguendola con lo sguardo fino a che la sua figura non fu del tutto sparita.
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