ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 23 - Comprensivo
Jane non chiuse occhio per tutto il resto della nottata, vigilando sui suoi due aguzzini per assicurarsi che non si avvicinassero a lei per nessuna ragione.
Li osservava in silenzio, poteva scorgere le sagome dei loro corpi anche attraverso l'oscurità; e mentre Smiley era tornato a distendersi, questa volta nel suo letto, Jeff si era messo a sedere a terra accanto alla porta d'uscita proprio come aveva fatto prima. Fu su di lui che la ragazza concentrò maggiormente la sua attenzione, perché non si sentiva affatto al sicuro: il killer aveva iniziato a dondolarsi avanti e indietro come un pazzo fissando il pavimento e lo stava facendo, letteralmente, da ore.
Anche se non sembrava intenzionato ad attaccarla non sapeva in che modo avrebbe dovuto interpretare quello strano comportamento, seppur se infondo non le importasse: pregava soltanto che il mattino sarebbe giunto presto.
L'attesa parve interminabile, la sua schiena e le sue gambe erano doloranti a causa della posizione mantenuta per così tanto tempo; ma alla fine i primi raggi del sole raggiunsero i vetri delle finestre, iniziando ad illuminare l'ambiente interno. Proprio come lei anche Jeff non si era mai mosso per tutta la notte; ad un certo punto aveva finalmente smesso di doldolarsi, e ora teneva semplicemente le braccia avvolte sul petto.
Alzandosi in piedi lentamente la ragazza si avvicinò al frigorifero, dal quale prelevò un po' d'acqua. Continuava a dargli le spalle, ma era certa di avere lo sguardo di quel pazzo puntato addosso e questo non poteva che farla rabbrividire.
-Cazzo- intervenne la voce di Smiley, che si era messo a sedere sul bordo del letto intento a stiracchiarsi come un bambino. -Questo materasso è fottutamente comodo. Sarà che sono abituato a quelli del carcere ma...- continuò a dire. -Mi sento rinato-.
Jane gli lanciò uno sguardo stanco. Fare conversazione era l'ultima cosa che desiderava adesso. -Quindi posso andare, ora?- esclamò, sorseggiando dal bicchiere. Era letteralmente esausta.
L'uomo si alzò in piedi e le sorrise. -Oh, ma certo. Credo che le visite possano essere fatte a partire dalle otto-.
Lei annuì brevemente. -Dove ti troverò per dirti ciò che ho scoperto?- chiese poi, recuperando la giacca che aveva riposto sul tavolo per indossarla. -Ti ritroverò qui?-.
L'ex dottore le si avvicinò, poggiando amichevolmente una mano sulla sua spalla. -Mi farò trovare, non preoccuparti. Mi raccomando però, non mi deludere Jane-.
Senza aggiungere altro la mora si affrettò a raggiungere la porta d'ingresso mentre stava ancora chiudendo i bottoni della giacca; Jeff la attendeva proprio lì davanti con le mani in tasca.
-Levati- gli disse con freddezza.
Lui stranamente obbedí, ma prima che potesse raggiungere la maniglia le porse un oggetto che stava stringendo tra le mani. Lo guardò confusa, si trattava del suo cellulare.
Senza pensarci troppo lo afferrò e lo ripose in tasca.
-Aspetta, gliel'hai restituito?- commentò Smiley, tanto incredulo quanto rigettante. -Non hai detto che volevi tenerlo?-.
Jeff strinse le spalle. -Se la lasciamo andare non avrà bisogno di quello per allertare la polizia- commentò, con uno strano atteggiamento disteso. -E poi è suo-.
Camminando a passo svelto Jane percorse il vialetto e si precipitò in strada, affogando i suoi polmoni in un'immensa boccata d'aria gelida. A quell'ora erano numerose le auto di passaggio poiché molte persone si stavano recando a scuola o a lavoro; e forse per la prima volta in vita sua si sentì sinceramente rassicurata dalla presenza di tutta quella gente attorno a lei.
Si incamminò lungo il marciapiede nella direzione giusta, era cerca che Smiley da lontano la stesse ancora osservando; poi, alla prima occasione, svoltò in un vicolo e si fermò portandosi entrambe le mani alla testa. Strinse le palpebre e sospirò intensamente, aggrappandosi con una mano ad un muretto di mattoni. Ancora una volta aveva pensato che non avrebbe mai più visto la luce del sole, e ancora una volta era stata lasciata andare. Perché mai era destinata a questo?
Riprese a camminare in una direzione qualunque solo per cercare di schiarire i suoi pensieri, ma più provava a ragionare più le forti emozioni che stava provando le rendevano impossibile farlo. Sapeva che l'unica cosa sensata da fare in quel momento sarebbe stato correre alla più vicina stazione di polizia e denunciare la presenza dei due criminali in casa sua; ma sapeva che loro dovevano aver tenuto in considerazione quella possibilità e dunque adesso, quasi certamente, avevano già abbandonato il monolocale per rintanarsi da qualche altra parte.
Avvertire la polizia sarebbe potuta essere una lama a doppio taglio, poiché nell'eventualità che gli agenti fossero corsi a casa sua e l'avessero trovata vuota era probabile che Jeff e Smiley sarebbero venuti a saperlo; non sapeva in che modo avrebbero potuto reagire a quel punto. Magari le avrebbero dato la caccia, magari l'avrebbero cercata per vendicarsi.
Sospirò ancora.
Si sentiva spossata e non ricordava più neanche quante ore fossero passate dall'ultima volta che aveva chiuso gli occhi.
Ripensò ancora una volta alle parole di Smiley, poi alla storia di quel ragazzino che era stata pubblicata online. L'aveva visto una volta sola, esposto su quel palco davanti alla folla; e le era sembrato spaventato, non aveva affatto le sembianze di un crudele assassino a sangue freddo.
Decise che lo avrebbe aiutato per davvero.
....
Un timido raggio di sole penetrava attraverso un varco tra le nubi grigie che ricoprivano il cielo, adagiandosi sulla facciata di cemento armato del penitenziario.
Quando lo vide per la prima volta Jane rimase piuttosto stupita dell'imponenza di quella struttura, nonché dall'aspetto macabro che la caratterizzava; era circodandato da una lunga rete metallica che ne ricopriva interamente il perimetro, a sua volta seguita da un imponente muraglia dal colore grigiastro sulla quale col tempo era cresciuto del muschio. Il cancello principale, alto più di quattro metri, era posizionato al centro e munito di una guardiola, dove un addetto alla sicurezza monitorava costantemente ogni ingresso e uscita.
Con una buona dose di insicurezza la ragazza si avvicinò al vetro, poggiandovi sopra il proprio documento d'identità in modo che fosse visibile dall'interno.
-Salve, mi chiamo Jane Arkensaw, sono qui per fare visita a un detenuto-.
La guardia dall'altro lato poggiò distrattamente il cellulare che aveva in mano e le rivolse uno sguardo disinteressato; aveva appena interrotto la visione della sua serie tv preferita. -Le visite iniziano alle 8- rispose.
Jane diede una rapida occhiata all'orario indicato dell'orologio digitale appeso nella guardiola, che indicava le sette e cinquantadue.
-Torno tra otto minuti, allora- replicò aspramente.
Ma prima che potesse voltarsi di schiena, d'un tratto la guardia sembrò decidere di prenderla in considerazione. -Aspetti, mi mostri di nuovo il documento per favore. A chi vorrebbe far visita?-.
Compiaciuta di quell'improvviso cambio di atteggiamento Jane sorrise lievemente, tornando ad esporre la sua carta d'identità. -Tobias Rogers- rispose con fermezza.
La guardia sollevò lo sguardo, evidentemente sorpreso. -Prego? Ma quello è un detenuto dell'ala D- le rispose.
La ragazza scosse il capo, aggrottando la fronte. -Come dice?-.
-È recluso nella zona di massima sicurezza- spiegò la guardia, intrecciando le mani tra loro. -I detenuti dell'ala D non possono ricevere visite, mi dispiace-.
Jane sospirò, infilando il proprio documento in tasca. Avrebbe dovuto aspettarselo. -Oh, questo lo so- mentì. -Ma vede, sono una studentessa di criminologia e sto facendo una tesi proprio sul suo caso... Avrei proprio bisogno di...-.
-Ok, ok, ho capito- la interruppe l'uomo, alzandosi dalla sua postazione. -Quindi ti aspetti che chiuda un occhio, è così?-.
Lei tacque, sorpresa da quella risposta inaspettata. Pensò che probabilmente avrebbe dovuto pensare a cosa dire prima di arrivare, prepararsi un discorso, una storia plausibile; ma con la foga di risolvere quella questione e sbarazzarsi di Smiley, era finita per agire senza pensare abbastanza.
-Senta, mi bastano dieci minuti al massimo- tentò di spiegare, assumendo un tono quanto più amichevole possibile. -Devo soltanto fargli un paio di domande-.
La guardia la osservò con le braccia conserte, facendo una smorfia. -Sei fortunata, ragazza. Ti lascio passare ma solo perché sei molto carina- le disse, con un tono viscido che la fece rabbrividire. -Ma vedi di essere fuori entro mezz'ora o verrò a cercarti-. Dopo aver pronunciato quella frase le fece l'occhiolino, scansionando più volte il suo corpo attraverso il vetro della guardiola quasi come se avesse voluto saltare addosso.
Jane lo ignorò, disgustata.
Il grosso cancello di ferro fu sbloccato da un meccanismo automatico e iniziò ad aprirsi lentamente, emettendo un cigolio fastidioso. Stringendo i denti la mora avanzò i primi passi lungo la via cementata che conduceva fino all'ingresso principale, dal quale avrebbe avuto un vero e proprio accesso al carcere.
"Dì che sei in visita del 245" le aveva detto l'uomo alla guardiola. "I miei colleghi ti condurranno da lui".
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