ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 22 - Protettivo
Un silenzio assordante la circondava.
L'unico suono che riusciva a romperlo era il leggerissimo ticchettìo delle lancette di un vecchio orologio a pile appeso alla parete, e il battito del cuore che le era salito fino in gola.
Incoraggiata dall'oscurità parziale che avvolgeva l'ambiente in un gelido abbraccio, Jane si alzò in piedi con una lentezza snervante assicurandosi che neanche il fruscìo dei suoi vestiti potesse essere udito; trattenne il fiato, avanzando i primi passi lungo la stanza con particolare attenzione a non calpestare nessuno degli oggetti che si trovavano riversati sul pavimento. Tentare di fuggire dalla porta d'ingresso le parve folle, siccome Jeff era assopito a terra proprio lì accanto, così valutò una possibile via di fuga alternativa: la finestra del bagno.
Il suo monolocale si trovava al pian terreno ed era stato ricavato da un vecchio garage, per questo motivo disponeva soltanto di alcuni finestroni orizzontali posizionati in alto, utili esclusivamente a permettere l'accesso alla luce esterna; quello che si trovava in bagno però poteva essere aperto. Sapeva che non sarebbe stato un gioco da ragazzi raggiungerlo e infilarsi nella fessura, ma se davvero voleva provarci quello sarebbe stato il momento migliore.
Muovendosi con la leggerezza di un gatto la mora raggiunse l'ingresso del bagno e lo varcò, per poi lanciare un'occhiata distratta all'immagine oscura che lo specchio rifletteva di lei: aveva un volto evidentemente esausto, con un paio di occhiaie che si stavano palesando sempre di più anche attraverso allo strato di fondotinta che aveva applicato sulla pelle.
Sospirò in silenzio, iniziando ad arrampicarsi sui sanitari nel tentativo di raggiungere la finestra chiusa. Per farlo senza emettere alcun tipo di suono si liberò delle scarpe, per poi posizionare un piede sul lavandino e l'altro sul bordo del wc; a quel punto, fu in grado di raggiungere con le mani il meccanismo di chiusura della finestrella sbloccandolo molto lentamente, ma si immobilizzò per un istante quando questo emise un breve suono metallico che ruppe il silenzio.
"Clack".
Deglutì a vuoto, afferrando con entrambe le mani il bordo della finestra che si stava inclinando verso il basso. Pregò che nessuno lo avesse udito.
Ma quando tornò a guardare alle sue spalle notificò con sgomento che Jeff era già lì, in piedi davanti alla porta spalancata, con entrambe le mani intrecciate sul petto e uno strano ghigno dipinto sul volto. Come diavolo aveva fatto a svegliarsi e raggiungerla in così poco tempo? Forse non era mai stato davvero addormentato, forse l'aveva addirittura guardata mentre in punta di piedi si era diretta fino nel bagno.
"Maledetto bastardo".
Il moro se ne stava semplicemente in silenzio a osservarla, ma le sue intenzioni non sembravano delle migliori; era facile comprenderlo dall'espressione dei suoi occhi chiari, che ora le conficcava addosso quasi come riuscisse a vederle attraverso.
Jane balzò a terra con un movimento lento, contraccambiando quello sguardo con coraggio.
-Dove te ne vai?- le chiese lui sottovoce. C'era un'insana cattiveria nel modo in cui le stava parlando, il tono della sua voce palesava una malvagità interna che scalpitava dal desiderio di uscire allo scoperto. Ed anche le sue pupille, adesso, sembravano riflettere tutto il marcio che lui aveva dentro.
Con un gesto disperato Jane afferrò il primo oggetto che le capitò sottomano, un portasapone in ceramica, per utilizzarlo come arma di difesa qualora ne avesse avuto bisogno. Cosa molto probabile. -Stai indietro- gli intimò, annaspando. Non poteva nascondere il fatto che fosse fortemente intimorita dalla sua vicinanza, ma non voleva neanche mostrarsi debole; non avrebbe mai più dato quella soddisfazione a quel verme.
Jeff allargò un ghigno sadico sulle sue labbra, piegando lievemente la testa di lato e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Era apparentemente disarmato, ma non poteva sapere se avesse qualcosa nascosto nelle tasche.
-Indietro- ripeté lei, con un nodo alla gola.
L'adrenalina provocava continui brividi nell'intero suo corpo, era pronta ad affrontare uno scontro in qualsiasi momento ma il killer continuava a fissarla immobile, come se godesse nel vederla con le spalle al muro in quel modo.
Poi, improvvisa come un fulmine a ciel sereno, un'ondata di incontrollabile rabbia la attraversò: si gettò su di lui come una furia, utilizzando tutta la sua forza per colpirlo dritto in faccia con l'oggetto di ceramica che aveva poco prima afferrato. Per sua sfortuna il moro bloccò il suo attacco afferrandole il braccio per poi spingerla violentemente contro allo specchio, che immediatamente si infranse in mille pezzi; l'arma improvvisata cadde a terra, rotolando fuori dalla sua portata.
Jane emise un grido, non per il dolore ma per la frustrazione di non essere riuscita nel suo intento: era sicura che a causa delle ferite il killer avrebbe avuto più difficoltà a difendersi, ma evidentemente si era sbagliata alla grande.
-Ammazzami, bastardo- urlò a pieni polmoni, assestandogli uno spintone sul petto. -È questo che vuoi, no?!-.
Era psicologicamente distrutta da tutta quella situazione, aveva perso il controllo al punto da non sentire più neanche la paura.
Non le importava di quali sarebbero state le conseguenze delle sue azioni, voleva soltanto che tutto questo finisse e che il suo sguardo non dovesse mai più incrociare il volto sfigurato di quel pazzo.
-Fallo e basta!-.
Lo vide avanzare verso di lei e tentò di sgusciare via di lato per raggiungere l'uscita, ma il killer la bloccò premendo una mano contro alle mattonelle che ricoprivano la parete. Si sentì definitivamente in trappola, ma non era ancora disposta ad arrendersi: con un movimento rapido afferrò entrambe le estremità della sciarpa che lui teneva al collo e iniziò a tirarla, mentre con il ginocchio destro tentava di assestare un colpo nelle sue parti basse. Ma non ci riuscì poiché lui, con una velocità che non si aspettava, la afferrò per la gola sbattendola contro alla parete. A quel punto tentò di colpirlo ancora mirando alla ferita presente sulla sua spalla, ma fu nuovamente bloccata dell'abilità del moro, che vantava di certo una considerevole esperienza in situazioni di quel tipo.
Lui la guardò dritta negli occhi, sfilando lentamente un coltello dalla tasca dei suoi pantaloni per poi adagiardo con la medesima lentezza sulla sua gola.
Jane trattenne il fiato, immobilizzata dinnanzi a quel ghigno animalesco che adesso si trovava a pochi millimetri dal suo volto.
Non ne poteva più.
-Fallo. Coraggio- lo incitò, con la voce che tremava. Sapeva che quella sarebbe comunque stata la sua fine, ma non intendeva dargli la soddisfazione di vederla pregare. Non avrebbe implorato. Non avrebbe pianto.
La lama che Jeff stringeva nel pugno sfiorava la sua pelle in modo appena percettibile, ma era così affilata che avrebbe potuto recidere la sua pelle con una minima pressione. Il killer continuò a fissarla per alcuni secondi, durante i quali anche lui iniziò a tremare.
-Non è... Affatto divertente così- commentò poi. Continuando a tenerla sotto tiro portò una mano sul volto e iniziò a massaggiarsi la fronte, come se stesse cercando di recuperare la lucidità. Era evidente evidente che desiderasse ucciderla, ma allo stesso tempo sembrava sforzarsi di trattenere i suoi stessi istinti.
Jane espirò lentamente dal naso, continuando a restare perfettamente immobile fino a che l'aggressore non allontanò finalmente la lama dalla sua gola. A quel punto lo vide fare un passo indietro, per poi sistemare la sciarpa che sul suo collo con degli strani movimenti attenti e delicati. -Potevi strapparla- commentò, distogliendo lo sguardo. -Non devi toccarla mai più-.
Nel dire questo Jeff si fece da parte, permettedole così di uscire fuori dal bagno; la ragazza non esitò un solo istante, e quando fu tornata viva e vegeta in soggiorno si accorse che Smiley si era messo seduto sul divano e aveva assistito in silenzio al loro scontro. Non le disse nulla, ma il sorrisetto sulle sue labbra lasciava supporre che si fosse sinceramente divertito.
-Ti consiglio di riposare Jane- le disse, sghignazzando. -La notte è ancora lunga-.
Lei annuì e tornò a posizionarsi sulla sedia senza più dire una parola, ma nascondendo avidamente tra le dita un frammento dello specchio rotto.
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