ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 20 - Taciturno
Jeff infilò in tasca il mazzo di chiavi che aveva appena sottratto alla ragazza, poi prelevò anche il cellulare dalle mani di Smiley. Per qualche motivo ad un tratto sembrava avesse fretta di andarsene.
-Aspetta- esclamò l'uomo, mentre con naturalezza sfregava un asciugamano pulito sui suoi capelli neri, per asciugarli un po'. -Dove te ne vai?-.
Il killer si avvicinò rapidamente alla porta, poi si voltò indietro con aria scocciata.
-Dove cazzo vai?- ripeté ancora l'altro, questa volta assumendo un tono decisamente più autoritario che l'altro sembrava tuttavia ignorare del tutto. C'era un rapporto paritario tra i due, non esisteva un leader né un gregario.
-Torno tra un paio d'ore al massimo- si limitò a rispondere, poggiando una porta sulla maniglia del portone. Ma non fece neanche in tempo ad aprirlo, prima che Smiley richiamasse ancora una volta la sua attenzione: -Niente stronzate Jeff, mi hai capito?- sbraitò, gettando a terra l'asciugamano. -Vedi di non far saltare in aria la copertura, io non ci torno dentro-.
Il ragazzo strinse le spalle, mentre si accingeva ad uscire. -E tu ricordati che lei ci serve- borbottò, riferendosi chiaramente a Jane. Dicendo questo accostò la porta dietro alle spalle, seppur il meccanismo di chiusura fosse stato danneggiato dal loro primo ingresso, allontanandosi rapidamente dall'edificio.
Ormai rimasta sola con l'ex dottore la mora indicò lo schermo illuminato del suo pc, con un pesante sorriso che sembrava voler sottolineare quanto fosse esausta da quella situazione. -Non ho trovato niente, ma verifica tu stesso se vuoi- mugolò.
-In questo caso andrai direttamente al penitenziario e chiederai di lui-.
Smiley si mise a sedere al suo fianco con una rilassatezza disarmante, sollevando entrambi i piedi per poi poggiarli comodamente sul bordo del tavolinetto da fumo; e subito lei si ritrasse, allontanandosi per quanto lo spazio lo consentiva. Quell'uomo la disgustava, anche se poteva comunque dire di preferirono a Jeff; per quanto fosse un odioso viscido figlio di puttana, perlomeno non aveva nulla a che fare con la strage della sua famiglia.
Nella stanza calò il silenzio, fino a che la ragazza non si alzò per avvicinarsi al bancone della cucina. Gli occhi del suo sequestratore seguirono attentamente ogni suo più piccolo movimento, anche se non le chiese affatto che cosa avesse in mente di fare; anche perché la risposta giunse poco dopo, quando la vide afferrare la macchina del caffè.
Sorrise.
Gli andava proprio un bel caffè, non ricordava neanche quando fosse stata l'ultima volta che ne aveva sorseggiato uno.
Pensando a questo l'uomo sorrise, rivolgendole uno sguardo divertito. -Ho sempre saputo che eri quella giusta- commentò.
Lei si voltò indietro, facendo cadere involontariamente un poco di polvere sul pianale. -Uh?- mugolò.
-Guardati, sei così rilassata- insistette lui. -In questa situazione chiunque sarebbe fuori di testa-.
-Tanto che altro potrei fare?- gli rispose prontamente, riprendendo a preparare la moka per poi posizionarla sul fornello acceso. -Non mi sto di certo divertendo, sai-.
-Io sì, e parecchio- ridacchiò ancora l'altro, incrociando le gambe. -Comunque io lo bevo amaro, non aggiungere zucchero-.
...
Lunghi anni trascorsi da latitante avevano insegnato a Jeff a muoversi come un gatto, sottraendosi agli sguardi delle persone e scegliendo con attenzione ogni singolo passo prima di compierlo. Presentando segni particolari così evidenti, come l'insolito colore dei suoi occhi e il grottesco sorriso che solcava le sue guance, rischiava di essere immediatamente riconosciuto da uno qualunque dei passanti che avrebbe potuto incrociare; per questo motivo preferì attraversare i vicoli di periferia meno frequentati, talvolta nascondendosi tra le intercapedini dei palazzi in attesa di avere il via libera per proseguire, fino a raggiungere la sua meta.
Quando si trovò dinnanzi alla villetta degli Arkensaw sentì una spiacevole sensazione farsi strada nel suo stomaco, anche se fu come sempre piuttosto bravo a scacciarla via. Sollevò lo sguardo sulla facciata che era stata parzialmente ricoperta dall'edera, poi lo spostò sulle finestre chiuse e sul vialetto antistante, che con il passare degli anni si era ricoperto di erbacce. Era evidente che nessuno avesse più frequentato quella casa, che doveva essere vuota da molto tempo.
Con un balzo Jeff si aggrappò alle sbarre del cancello e saltò dentro, per poi ripararsi tra le frasche della siepe che si era ingigantita fin quasi ad ostruire il passaggio. Da qui potè raggiungere in sicurezza il portoncino d'ingresso, affrettandosi a infilare la chiave nella toppa; dopo un paio di tentativi, trovò quella giusta.
All'interno l'ambiente era parzialmente ingottito dall'oscurità, complici alcuni vecchi tendoni che erano stati tirati davanti alle finestre; provò a premere un interruttore, ma ovviamente la corrente elettrica non risultava disponibile.
In silenzio il killer iniziò ad avanzare lungo il corridoio guardandosi intorno con attenzione, il parquet sotto alle sue scarpe di tanto in tanto scricchiolava e le lancette dell'orologio appeso alla parete segnavano le ventitré da chissà quanto tempo. A differenza di Jane lui ricordava perfettamente ciò che era accaduto in quel luogo la sera della strage, ogni singolo dettaglio inclusi quelli più irrilevanti; forse per questo motivo adesso si sentiva così strano.
Si spostò nel salotto, dove un lungo tavolo di legno scuro troneggiava su un pavimento di marmo bianco. Proprio quella fu la stanza in cui appiccò l'incendio con l'intento di demolire l'intero edificio, a testimoniarlo notò che sulla parete era ancora presente un enorme chiazza scura che saliva fino al soffitto, dove le travi erano state annerite dal contatto con il calore; per qualche motivo non era mai stato eseguito alcun intervento per riparare a quei danni.
Sospirò, avvicinandosi alla rampa di scale che conduceva ai piani superiori e con essa al reale motivo per cui aveva deciso di tornare in quel posto: stava cercando qualcosa.
Iniziò a rovistare nei cassetti e nelle ante degli armadi scoprendo con un certo stupore che tutti gli oggetti erano ancora al loro posto: nulla era mai stato spostato. In quella che fu la camera dei genitori di Jane erano ancora presenti tutti i loro vestiti, i gioielli della madre riposti nel loro portagioie, le cravatte del padre disposte in fila nel cassetto; sembrava quasi che il tempo, tra quelle mura, avesse smesso di scorrere la sera stessa del suo arrivo.
Jeff strinse le mandibole, respingendo di nuovo quella fastidiosa sensazione di disagio.
Proseguì la sua ricerca nelle due stanze successive, finendo per spalancare un grosso armadio di legno verniciato che si trovava sul fondo di una di queste; e qui, finalmente, trovò quello che stava cercando.
Fece un passo indietro, colto da un'improvvisa indecisione; una sciarpa a righe era disposta in modo ordinato sul fondo di un ripiano, ripiegata su se stessa e posizionata affianco ad altri oggetti. Con la mano che già aveva iniziato a tremare la afferrò con estrema delicatezza, per poi portarla insistivamente al viso; sapeva bene che non poteva aver conservato per tutto quel tempo l'odore della persona che l'aveva indossata, ma nella sua mente immaginò di poterlo sentire.
Strinse la sciarpa con entrambe le mani mentre si lasciava cadere a peso morto sul letto, innalzando una nuvola di polvere; neanche si rese conto che già stava piangendo.
Quella sciarpa era appartenuta a Liu. Non la toglieva mai, neanche nelle occasioni in cui era richiesto che indossasse abiti eleganti; la portava sempre con sé. In quasi tutti i suoi ricordi del fratello, aveva quella sciarpa al collo.
Iniziò a singhiozzare in silenzio.
Non credeva che l'avrebbe ritrovata per davvero.
L'aveva portata con sé la sera in cui compì la strage a casa Arkensaw, ma all'arrivo della prima pattuglia era dovuto fuggire di fretta e l'aveva perduta; probabilmente non era stata presa in considerazione durante le indagini e dunque riposta assieme al resto degli averi della famiglia, credendo appartenesse a loro.
Era stato maledettamente fortunato a ritrovarla.
Con gesti estremamente lenti Jeff sistemò il tessuto morbido attorno al suo collo, lasciando le due estremità a penzoloni sul petto; sollevò poi lo sguardo sullo specchio appeso alla parete, fissando il suo riflesso con un'espressione indecifrabile a tingergli il volto.
Ebbe l'impressione di guardare il suo stesso fantasma.
Restò immobile in quella posizione per decine e decine di minuti finché poi, con gli stessi movimenti lenti e ben calcolati, recuperò il cellulare di Jane dalla sua tasca e compose un numero.
"Ciao sono Liu, purtroppo non posso rispondere in questo momento. Lascia un messaggio e ti richiamerò appena possibile.
E Jeff, se sei stato tu a chiamare... Ti prego, torna a casa.
Siamo tutti molto preoccupati per te"
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro