ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 12 - Malvagio
Il luogo che Jeff aveva scelto come nascondiglio era un vecchio edificio abbandonato che si erigeva su tre piani, schiacciato da ogni lato da palazzine che erano state costruite molto più di recente. La struttura era fatiscente, presentava danni strutturali piuttosto evidenti con crepe che si estendevano lungo i muri e numerosi segni di cedimento degli stessi; nonostante questo i pavimenti apparivano ancora piuttosto solidi, inclusi quelli dei piani superiori.
Jane si trovò costretta a salire le scale seguita dal suo sequestratore, inspirando mal volentieri quell'aria stantìa che puzzava di muffa e di umidità; avrebbe atteso il momento giusto per darsela a gambe, sperando che lui non le avrebbe fatto del male nel frattempo.
Salì fino all'ultimo piano, dove a causa di un parziale cedimento del tetto si erano formate evidenti chiazze di muschio sulle pareti e la luce proveniente dall'esterno veniva ridotta sensibilmente dalle tapparelle abbassate e dalla presenza di alcuni vecchi mobili che erano stati accatastati ai lati della stanza. Qui Jeff fece un rapido giro d'ispezione, tornando immediatamente dopo da lei probabilmente perché temeva che altrimenti avrebbe tentato di fuggire.
-Liberami- le ordinò severamente il moro, sollevando le braccia come a volerle indicare che si stesse riferendo alle manette che ancora bloccavano i suoi polsi.
La ragazza deglutí a vuoto, intimorita dallo sguardo gelido che le stava posando addosso. -E come dovrei fare?- mugolò.
Il killer le indicò un punto della stanza con un rapido movimento del capo e lei, voltandosi in quella direzione, altro non trovò che una pila di pietre generata dal crollo di una parete interna. Capì immediatamente che cosa avrebbe dovuto fare, così ne afferrò una e tornò da lui muovendosi molto lentamente; voleva assicurarsi di non sembrare aggressiva, in modo da non innervosirlo ulteriormente.
Jeff posizionò le braccia sulla superficie polverosa dell'unico mobile presente, un tavolo che sembrava appartenere almeno a un secolo prima; poi, impaziente, con un secondo cenno del capo indicò al suo ostaggio che avrebbe dovuto provare a colpirle. Con un po' di fortuna avrebbe rotto il meccanismo di apertura o, perlomeno, la catenella che univa le due manette tra loro.
-Muoviti, non c'è tempo-.
Lei gli si posizionò davanti con evidente titubanza, stringendo energicamente la pietra di forma ovoidale che aveva prelevato da terra. La sollevò lentamente con le mani che tremavano, poi si fermò per un secondo valutando che avrebbe potuto approfittare di quella situazione: se fosse riuscita ad assestare un colpo abbastanza forte sulla sua testa probabilmente lo avrebbe stordito quanto bastava a precipitarsi giù dalle scale, uscire all'esterno e correre in direzione della prima pattuglia di polizia che avrebbe incrociato.
Ma un dubbio la assaliva, impedendole di trovare il coraggio di compere quell'azione: se invece lo avesse mancato, oppure lui non fosse svenuto al primo colpo, in che modo avrebbe reagito dopo?
La ragazza sentì una goccia di sudore scendere sulla sua fronte nonostante le rigide temperature, cercando di decidere in fretta che cosa avrebbe dovuto fare; ma il killer sembrò cogliere immediatamente la sua titubanza, sollevando lo sguardo su di lei e lanciandole un'occhiata minacciosa, come avesse intuito che intendeva tradirlo. A quel punto Jane emise un sospiro e calò la pietra, puntandola sulla catenella di ferro distesa sulla superficie del tavolo. Questa si dimostrò più resistente di quanto avesse sperato, dovette infatti colpirla più e più volte prima che uno degli anelli finalmente non iniziò a cedere; a quel punto, un ultimo colpo decisivo la spezzò.
Finalmente libero il killer aprì le braccia e roteò le spalle per sgranchire la muscolatura mentre lei, chiaramente intimorita, iniziò a indietreggiare fino a sbattere la schiena contro alla parete retrostante. Lo osservò lanciando qualche rapido sguardo quà e là alla ricerca della migliore via di fuga possibile, cercando di non dare troppo nell'occhio; rincuorata, alla sua sinistra notificò la presenza di un corridoio parzialmente inghiottito dall'oscurità ove il pavimento era schiacciato sotto a cumuli di detriti e qualche bottiglia vuota. Tuttavua non poteva sapere se avrebbe trovato un'uscita dirigendosi da quella parte, per questo motivo valutò che sarebbe stato più saggio ripercorrere la stessa rampa di scale che aveva utilizzato per salire.
-Ho fatto quello che volevi- mugolò, stringendo i pugni per il nervosismo. -Adesso mi lascerai andare...-.
Il moro allargò un sorriso appena percettibile, che non sembrava promettere nulla di buono; le si avvicinò a passo lento fissandola come se avesse potuto guardarle attraverso, mentre con una i piedi nudi calciava una lattina. Adesso era libero di utilizzare a piacimento entrambe le braccia poiché le manette, seppur ancora presenti, erano state separate tra loro; questo lo rendeva molto più pericoloso di quanto non fosse stato fino a pochi minuti prima. Oltre a questo, Jane non riusciva a capire se stesse ancora impugnando il pezzo di vetro che aveva utilizzato per rapirla.
-C'è un problema, dolcezza- ghignò, piegando lievemente la testa di lato. Un ciuffo dei suoi lunghi capelli neri accarezzò la sua spalla destra e scivolò sul petto, prima che lui intonasse quelle poche parole che resero finalmente chiare le sue reali intenzioni.
-Sei appena diventata un testimone-.
Jane premette la schiena contro al muro, ritrovandosi all'improvviso senza fiato. Aveva sospettato fin dal primo momento che sarebbe andata a finire in quel modo, non le pareva proprio possibile che a quel punto l'avrebbe semplicemente lasciata andar via; ma udire quelle parole riaccese in lei una rabbia profonda, indomabile, che veniva fuori direttamente dalle sue viscere.
Non gli diede il tempo di aggiungere altro, e con un balzo avanti lo aggredì cogliendolo del tutto di sorpresa: con uno spintone gli fece perdere l'equilibrio mandandolo a sbattere contro allo spigolo del vecchio tavolo, poi tentò di sferrargli un calcio mirando alle ginocchia ma colpendo, invece, l'interno coscia. Jane sapeva di non poter avere la meglio in uno scontro fisico e per questo, approfittando di quel breve istante in cui il killer recuperava l'equilibrio, si fiondò in una corsa spericolata giù dalle scale che conducevano ai piani inferiori. Afferrando il corrimano traballante saltò gli scalini in gruppi da tre pregando che il pavimento non sarebbe crollato sotto ai suoi piedi, ma quando si ritrovò al primo piano dell'edificio sentì una mano afferrarla per il colletto della giacca e scaraventarla violentemente a terra, tra le scheggie di vetri rotti e tavole di legno marcio, generando una nuvola di polvere che subito penetrò nelle sue narici. Con un lamento guardò in alto scoprendosi sovrastata dalla figura minacciosa di Jeff, il cuo sguardo truce esprimeva senza dubbio alcuno una marcata disapprovazione; tentò di afferrarla per i capelli scoprendo però di avere tra le dita nient'altro che una parrucca, la afferrò quindi per un braccio issandola con violenza.
-Volevi fregarmi, uh?- esclamò, premendo il palmo di una mano sulla sua faccia fino a farle sbattere la nuca contro alle ante di un vecchio armadio. Era terribilmente arrabbiato, tanto che l'intonazione della sua voce sembrava d'un tratto completamente cambiata. -Mi credi così stupido?!-.
La ragazza provò a dire qualcosa, ma ancor prima che riuscisse a prendere aria si ritrovò lo stesso frammento di vetro appuntito puntato dritto alla gola; e in quell'attimo capí non sarebbe mai uscita viva da quel maledetto posto. -Ti... Ti prego...-.
-Chiudi quella cazzo di bocca!- gridò il killer, mollandole un pugno che impattò sulla sua mandibola. -Forse è giunto il momento di finire quello che ho iniziato anni fa-.
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