ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 9 - Egoista
Jeff restò per diversi minuti sotto al getto d'acqua, godendosi quel piccolo lusso finché avrebbe potuto; chiuse gli occhi e ascoltò immobile il suo scrosciare sul pavimento, il cui fracasso cancellava tutto il resto dei suoni attorno a lui.
Quando riaprì le palpebre afferrò un asciugamano e iniziò a strofinarlo sul corpo infreddolito, notificando subito dopo che il ragazzino che aveva intravisto poco prima avesse preso posto nella doccia dinnanzi alla sua e lo stava osservando in modo piuttosto intenso. Dapprima lo ignorò del tutto, spostando invece lo sguardo sulla coppia di guardie che supervisionavano l'area standosene in piedi davanti al corridoio; ma quando dopo aver finito gettò a terra l'asciugamano bagnato si rese conto che il nuovo arrivato non gli aveva ancora staccato gli occhi di dosso. Non sembrava guardare lui, ma le sue braccia: seppur fosse ben felice di tenerle sempre ben nascoste sotto alle maniche della divisa in quelle occasioni non aveva modo di poter celare le cicatrici che le ricoprivano, profondi segni di molteplici lesioni che si era autoinflitto nel corso del tempo e che adesso facevano sembrare i suoi arti della carta straccia su cui un bambino stava imparando a colorare.
Detestava che gli altri potessero vedere quei segni, perché erano testimonianza di quelle sue debolezze interiori che nascondeva con fermezza.
E così, notando con quanta insistenza il castano le stava fissando ormai da qualche minuto, Jeff perse il controllo molto rapidamente.
-Che cazzo vuoi, uh?- esclamò, lanciandosi su di lui nonostante l'impedimento delle catene ai suoi piedi. Assestò al castano uno spintone che lo fece andare a sbattere contro alle mattonelle ammuffite della parete, per poi fissarlo minacciosamente a pochi centimetri di distanza, pronto a colpirlo ancora.
-Che cazzo hai da guardarmi così?-.
Il ragazzino si coprì la testa con le mani, senza reagire in alcun modo; non rispose niente, restò in silenzio sgusciando lentamente via di lato sotto agli sguardi divertiti degli altri detenuti attorno.
Dal fondo della stanza la voce severa di una guardia raggiunse subito dopo le sue orecchie. -Stai al tuo posto, bestia!-. Ma ciò non lo scoraggiò affatto dall'assestare un pugno sul volto del ragazzino, che scivolando sul pavimento bagnato finì a terra.
Con la visuale offuscata dagli schizzi d'acqua delle doccie aperte Jeff perse di vista il piccoletto, ma sentì un paio di mani forti afferrarlo per la spalle subito dopo e capí che non poteva trattarsi di lui.
-Jeff, ma che stai facendo imbecille!-.
Si ritrovò davanti la figura slanciata di Smiley, che gli assestò una energica spinta a sua volta con il volto teso in un ghigno di rabbia. -Vuoi mettere nei guai tutti quanti?-. Aveva già indossato la sua divisa, ciò significava che doveva essere tornato indietro soltanto per sedare la rissa.
-Voi due laggiù!- gridò la guardia, estraendo prontamente il manganello. -Fate due passi indietro, immediatamente!-.
Ma Jeff ignorò il comando ancora una volta, reagendo all'intervento dell'ex dottore con molta più rabbia del dovuto. Tentò di sferrargli un pugno che l'altro schivò prontamente, finendo per sbattere le nocche contro alle piastrelle della doccia. -Non azzardarti a toccarmi, Smiley- ghignò, fingendo di non sentiere il dolore pulsante che adesso proveniva dalla sua mano.
Nel frattempo fu raggiunto dalla guardia di turno, che senza fare domande gli sferrò un colpo di manganello dritto sul collo e lo afferrò per i capelli, costringendolo ad allontanarsi dalla zona delle doccie. -Riportate di sopra questo bastardo- esclamò rivolgendosi ai tre colleghi che nel frattempo, allarmati dalla situazione, lo avevano raggiunto. -Ma non consegnategli i vestiti. Un po' di freddo lo aiuterà a schiarirsi le idee-.
Il moro fu così riaccompagnato dalle guardie fino alla sua cella, passando davanti a quelle di molteplici altri detenuti che non persero tempo per schernirlo; gli erano state legate le mani dietro alla schiena, non solo per renderlo inoffensivo ma anche per impedirgli di coprirsi i genitali.
Fu spinto nella sua cella con un calcio, mentre una delle due guardie ridacchiava divertita; quella stessa sera, come ulteriore punizione per il suo comportamento inadatto, gli fu negata la consegna del pasto.
Tra le mura lugubri del carcere si respirava aria fredda, poiché l'impianto di riscaldamento era pressoché inesistente; non era inusuale che qualche detenuto si ammalasse d'inverno, e quando capitava lo sfortunato di turno veniva lasciato morire perché i decessi per "cause naturali" erano un modo efficace per contrastare il problema del sovraffollamento.
E Jeff, che si ritrovò sbattuto nella sua cella senza vestiti e con i capelli che ancora gocciolavano, quella notte rischiò l'ipotermia; tentò di riscaldarsi come poteva rannicchiandosi contro alla parete avvolto nell'unico misero lenzuolo sporco a sua disposizione, ma il suo corpo continuò a tremare violentemente per ore. A causa del freddo non riuscì a chiudere occhio, ritrovandosi a camminare avanti e indietro in quei pochi metri quadri a sua disposizione nel disperato tentativo di aumentare la sua temperatura corporea. Qualche cella più avanti qualcuno stava piangendo sottovoce, mentre un detenuto malato di mente pisciava nel corridoio attraverso le sbarre.
Solo quando sentí i passi della prima guardia mattutina il killer capí di essere riuscito a passare la notte, poiché sapeva che il primo turno di vigilanza veniva effettuato alle cinque in punto.
Si mise a sedere nel suo letto, spostando lo sguardo a terra ove i suoi piedi nudi erano adagiati su un pavimento ricoperto di muffa e sporcizia incrostata tra le piastrelle; purtroppo per lui l'agonia non era ancora finita, perché non sapeva che quel giorno sarebbe stato nuovamente prelevato dalle guardie.
-Tu, sacco d'immondizia, mettiti questi- esclamò una di queste, infilando una mano tra le sbarre e lasciando cadere a terra una divisa di qualche taglia più grande del dovuto. -Datti una mossa-.
Obbedí senza fare domande, ma capí subito che stavano per portarlo da qualche parte, supposizione di cui ebbe conferma solo un attimo dopo quando gli fu passato anche un bicchiere pieno di acqua mischiata con una buona dose di tranquillanti. Anche questo rientrava nella prassi, doveva ingoiare quella roba ogni volta che doveva essere portato all'esterno del carcere, poiché riduceva la sua aggressività e anche suoi riflessi; un piccolo accorgimento che rendeva i trasferimenti più sicuri. Anche questa volta, buttò giù tutto senza dire una parola.
Fu nuovamente bloccato nella camicia di forza e fatto uscire dalla cella, poi condotto lungo il corridoio assieme ad altri detenuti tra i quali riconobbe immediatamente Smiley e, con una buona dose di stupore, anche il ragazzino smilzo che aveva aggredito nelle doccie la sera prima.
Iniziò a chiedersi dove sarebbero stati condotti, sperava solo che non si trattasse ancora dell'università in cui aveva incontrato Jane; e nel pensare a questo, per qualche ragione, sentì una sorta di dolore allo stomaco.
-Pss, Jeff!-. Sussurrando l'ex dottore richiamò la sua attenzione mentre continuava a camminare, stando ben attento a non attirare anche quella delle guardie più vicine. -Ci portano in piazza, ci sarà anche il sindaco-.
Il moro fece una smorfia, quella non era la prima volta. Di tanto in tanto era il carcere stesso ad organizzare eventi come quello, che altro non erano che occasioni per metterli in mostra trasformandoli in fenomeni da baraccone sui quali il popolo non vedeva l'ora di poter sputare. Una disgustosa dimostrazione di cosa non funzionasse all'interno della società.
Ma fu la frase che Smiley pronunciò subito dopo ad attirare davvero la sia attensione: -Forse so come possiamo filarcela-.
Lo guardò accigliato, non aveva idea di cosa avesse in mente.
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