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ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 27 - Razionale

"A distanza di pochi giorni dal rovinoso evento organizzato con la partecipazione del sindaco, le forze di polizia locali unitamente al dipartimento di amministrazione penitenziaria hanno annunciato un nuovo entusiasmante evento, che si terrà presso il parcheggio dell'ex centro commerciale sulla diciassettesima strada.
Tra gli ospiti che presenzieranno vediamo il detective Jack Nyras, numerosi componenti dell'unità anticrimine locale, il direttore amministrativo del carcere Alan Walter e alcuni rappresentati dell'amministrazione comunale".

Jane strinse il cellulare tra le sue mani, fin quasi a rompere lo schermo.

"L'ingresso è libero, ma è prevista una raccolta fondi in loco per chiunque voglia collaborare. Tra gli argomenti che verranno discussi citiamo l'applicazione di norme mirate al contrasto della criminalità e la formazione scolastica in ambito di buona condotta sociale.
Durante l'evento, che durerà circa due ore, saranno esposti al pubblico dieci degli ergastolani attualmente detenuti presso l'ala D del carcere.
Il personale presente garantirà la massima sicurezza per tutti i partecipanti ed i liberi cittadini che faranno da spettatori, prendendo misure straordinarie. Vi invitiamo quindi a partecipare numerosi senza alcun timore".

Fece scorrere il pollice sullo schermo, dirigendosi nella sezione commenti sotto al video.

"Per me non ha senso mettere in mostra quei bastardi. Perché mai la società dovrebbe dar loro qualsiasi tipo di impatto mediatico?" recitava uno di questi.
"Ci andrei solo per sputare in faccia a ognuno di loro".

Sospirò, chiudendo la pagina di navigazione con un gesto distratto. A quanto pareva Jason non aveva mentito, le voci di corridoio che aveva udito si erano rivelate vere.
Erano trascorsi diversi giorni dal suo ultimo contatto con lui e Jeff, e proprio come promesso nessuno dei due si era più fatto vivo; non aveva idea se stessero ancora architettando un piano per liberare Toby, ma a quel punto si disse che non le importava più.
Aveva voltato pagina.
Più volte si era trovata a ragionare su ciò che le era accaduto e si domandava se avesse sbagliato a non avvertire la polizia; per quanto fosse stato per una buona causa, non poteva certo dire di aver agito nel modo in cui avrebbe dovuto. D'altro canto doveva ammettere che quel pazzo di Smiley era stato di parola fino alla fine, cosa che non si sarebbe mai aspettata.
Si preparò qualcosa da mangiare, ascoltando un video comico di sottofondo solo per scacciare via i pensieri; lo stress le aveva giocato dei brutti scherzi nell'ultimo periodo e adesso stava cercando in tutti i modi di recuperare una sorta di pace interiore. Molte volte ci riusciva, ma quando poi si ritrovava di notte nel suo letto a rigirarsi tra le lenzuola diventava molto più difficile mettere a tacere i brutti pensieri.
Le capitava spesso di pensare a Jeff, in particolar modo. E anche se non avrebbe mai osato ammetterlo neppure a sé stessa, nei meandri della sua mente realizzava sempre più che l'odio provato nei suoi confronti si stava indebolendo. Si ritrovava inconsciamente a immaginare il suo volto, attraversato da quella terrificante cicatrice che lo aveva sfregiato da entrambi i lati, e all'espressione di profondo vuoto che talvolta esso trasmetteva; per quanto lo detestasse aveva scorso più volte un dolore profondo nei suoi occhi, una pena così grande che forse nessun altro essere umano sarebbe stato in grado di sopportarla. Ripensò anche a quella sciarpa che lui portava al collo, recuperata chissà dove: con il senno di poi pensò che doveva essere appartenuta al fratello, nonché la vittima nei confronti della quale doveva avere un maggior senso di colpa.
Forse era proprio la sua, la voce registrata nella segreteria telefonica che lui ascoltava spesso.
-Ahh!-. Cacciò un urlo, scottandosi con l'acqua della pasta che stava riversando nel colino.
"Perché sono così sbadata".
Ma certo, si trattava quasi certamente di suo fratello, pensò. Navigando sul web alla ricerca di informazioni aveva appreso che la famiglia di Jeff si componeva di quattro persone, tra cui un certo Liuberth, deceduto nel massacro assieme ai genitori.
Fece una smorfia.
Era stanca di pensare a lui, ma ogni volta che provava ad allontanarli dalla mente quei pensieri tornavano più forti di prima; in parole povere, Jeff riusciva a tormentarla anche adesso che era lontano dalla sua vista.
Si mise a sedere al tavolo della cucina, girando la forchetta nella pietanza appena preparata cercando di raffreddarla. Ripensò ancora alle sue parole: "L'ho fatto perché mi piacevi", quelle stesse parole alle quali non era riuscita ad attribuire un senso.
"Volevo cancellare tutto" aveva aggiunto.
Che il Jeff ragazzino dell'epoca avesse una cotta per lei non l'aveva mai saputo, ma a quanto pareva questo era bastato a farla diventare una delle sue prime vittime, presumibilmente subito dopo i componenti più stretti della sua famiglia; forse nella sua follia aveva cercato di cancellare quel sentimento, che gli stava impedendo di perdere del tutto la sua umanità. E per qualche motivo, alla fine, quel poco di razionalità ancora viva in lui gli aveva impedito di ucciderla.
Iniziò a mangiare lentamente, ma dopo aver buttato giù i primi bocconi sentì il suo stomaco chiudersi. Non riusciva a fare un pasto decente da giorni.
Spostò il piatto di lato, poggiando entrambi i gomiti sulla tovaglia ricamata per poi racchiudere la testa tra le mani. Non ne poteva più di stare male in quel modo, ma non aveva idea di come avrebbe potuto fare per riprendere in mano la sua vita. Da oltre due settimane ormai non si presentava più all'università, aveva anche saltato un paio di esami molto importanti mettendo a repentaglio il suo percorso di studi.
Probabilmente non sarebbe mai più tornata sui libri.
I giorni successivi trascorsero con la stessa lentezza di quelli precedenti. Chiusa tra le mura claustrofobiche del suo piccolo monolocale Jane non faceva che ciondolare tra il letto e il divano come uno zombie, trovando conforto solo nella visione di qualche serie tv oppure in qualche breve passeggiata che faceva rigorosamente in solitudine. Il suo professore di criminologia aveva più volte provato a mettersi in contatto con lei, forse preoccupato per la sua improvvisa sparizione, ma non gli aveva mai dato la soddisfazione di rispondere a una delle sue chiamate.
Non ne aveva la forza.
Iniziava a credere che non sarebbe neanche più riuscita ad uscire di casa, stava sviluppando un qualche tipo di crisi depressiva e ne era ben consapevole.
Giunse il giorno in cui si sarebbe tenuto il tanto atteso evento nel parcheggio dell'ex centro commerciale, quello a cui avrebbe preso parte anche il povero Toby; quella mattina le capitò di pensarci, ma si disse che comunque sarebbero andate le cose quello non era più un suo problema. Certo, le dispiaceva molto per quel ragazzino, ma non era più disposta a rovinarsi la vita nel tentativo di aggiustare quelle degli altri: doveva pensare a se stessa. E così, proprio come ogni altro giorno, si svegliò verso le otto disturbata dal suono della sveglia che aveva impostato sul suo cellulare e che, puntualmente, ritardava di mezzora; ormai alzarsi era diventato uno sforzo considerevole per lei.
Con gli occhi puntati sul soffitto e la testa ancora affondata nel cuscino Jane rimase immobile per una lunga serie di minuti valutando se avesse davvero voglia di abbandonare coperte. Per fare cosa, poi?
Stava per tornare a calare le palpebre quando il trillo improvviso di una notifica catturò la sua attenzione. Era un evento strano, poiché non avendo familiari o amici vicini nessuno le scriveva mai, tantomeno a quell'ora; così, incuriosita, afferrò il cellulare che aveva riposto sul comodino e diede un'occhiata allo schermo, disturbata dalla luce che quest'ultimo emetteva.
Il suo sguardo tuttavia cambiò in un lampo, non appena si rese conto di avere appena ricevuto un messaggio da un numero sconosciuto.

08:12
"Non ci conosciamo, ma stammi a sentire: devi fermare Doctor Smiley prima che sia troppo tardi. Il ragazzino che sta cercando di salvare si è suicidato nella sua cella questa notte. E lui non la prenderà bene".

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