ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 25 - Nostalgico
Proprio come aveva sperato, al rientro al suo monolocale Jane non vi trovò nessuno: la porta d'ingresso era stata accostata e non era più presente alcuna traccia del passaggio di Jeff e Smiley.
Si sentì sollevata, anche se sapeva che li avrebbe di certo incontrati ancora.
Quello stesso giorno segnalò all'amministratore condominiale che in casa sua dovevano essere entrati dei ladri mentre era assente e fece sistemare la porta, questa volta con l'installazione di una blindatura d'acciaio con doppio chiavaccio che le avrebbe garantito una sicurezza maggiore; se anche fossero tornati, cosa piuttosto improbabile, non sarebbero riusciti a entrare senza il suo consenso. Passò il resto della giornata a rimettere a posto il macello che quei due avevano creato, sistemando al loro posto tutti gli oggetti che erano stati riversati sul pavimento e ripulendo con cura ogni superficie; non che quella fosse la sua priorità al momento, ma aveva bisogno di far ordine tra i suoi pensieri; e nel sistemare l'ambiente, stava mettendo un po' apposto anche se stessa.
Non sapeva in che modo sarebbe uscita da quella situazione.
Aveva già saltato diverse lezioni universitarie, aveva smesso di studiare e non si sentiva lucida abbastanza per riprendere a farlo, se anche avesse trovato le forze di riaprire un libro. La sua vita era stata completamente stavolta e non sapeva se sarebbe più riuscita a tornare in carreggiata.
Passano diversi giorni, in cui la monotonia iniziò a logorarla.
Non ebbe più alcuna notizia di Jeff e Smiley, i notiziari avevano smesso di parlare della loro fuga e tutto sembrava tornato alla normalità; tutto tranne lei.
Quella mattina splendeva il sole, i cui raggi riscaldarono l'ambiente facendo salire la temperatura di diversi gradi; l'aria era pulita, non vi era neppure l'ombra di una nuvola passeggera. Jane lasciò il suo appartamento verso le nove, incamminandosi lungo il marciapiede in direzione della fermata del bus; si sarebbe diretta al centro commerciale per distrarsi un po', anche se già sapeva che non avrebbe fatto alcun acquisto. Lungo il percorso però riprese a pensare e, quasi senza rendersene conto, deviò il suo cammino prendendo una direzione differente.
Infilò le mani nella tasca della giacca, lanciando qualche sguardo distratto ai passanti che provenivano dalla direzione opposta, proseguendo la sua passeggiata fino a raggiungere un grosso cancello di ferro battuto sul quale si era arrampicata una grossa pianta di edera. L'ingresso principale della villetta della famiglia Arkensaw.
Non la vedeva da anni.
Seppur abitasse nello stesso quartiere di solito evitava di percorrere quella strada, e anche quando le era inevitabile farlo era solita a voltarsi dall'altra parte in modo da non dover posare lo sguardo su quella facciata dismessa e su quel piccolo giardino dove, quando era soltanto una bambina, aveva giocato miliardi di volte.
Sospirò.
Non sapeva dire come si sentisse davvero a trovarsi davanti a quel cancello, ma un sentimento inconscio l'aveva condotta fino a lì. Si chiese se avrebbe mai trovato il coraggio di entrarci dentro, o addirittura di trasferirsi a viverci stabilmente; di certo era più grande e accogliente della sua abitazione attuale, anche se le sue mura erano impregnate di ricordi così tanto dolorosi.
La ragazza restò immobile a fissare il vialetto d'ingresso ormai soffocato dalle erbacce che negli anni vi erano cresciute, fino a che non sentì una voce familiare poco distante.
-Hey-.
Si voltò in direzione del suono, scorgendo la figura di Jeff che si stava nascondendo tra le siepi. Una sensazione di sgomento la pervase nell'immediato: non aveva alcuna voglia di vederlo.
Sbuffando lo raggiunse. -Come sapevi che ero q..-.
Ancora prima che riuscisse a terminare la frase, però, lui la afferrò per una spalla e la trascinò nel vicolo, lontana da occhi indiscreti; non poteva di certo rischiare che qualcuno dei passanti avrebbe notato la sua presenza.
-Ma che fai!- sbraitò lei, liberandosi immediatamente della presa e respingendo con forza la sua mano.
-Shh!- replicò il killer, portando l'indice davanti al suo naso. -Non fare casino-.
-Non devi toccarmi- ghignò l'altra, minacciosa. Si guardò brevemente intorno, per poi addentrarsi nel vicolo di un altro paio di metri e rivolgere al suo interlocutore uno sguardo irritato. -Che cosa vuoi?-.
Stringendo le spalle il moro abbassò lo sguardo a terra, come volesse assicurarsi di non apparire in alcun modo minaccioso nei suoi confronti. Stava ancora indossando quella sciarpa a righe verdi, le cui estremità pendevano sul suo petto sopra al tessuto bianco della felpa. -Smiley ti cerca- si limitò a dire.
-Sono andata al penitenziario come mi avete chiesto- gli disse Jane, intrecciando le braccia sul petto. -Non sono riuscita a parlare con Toby ma so che verrà organizzato un evento da qui a poco, potrebbe essere l'occasione giusta- spiegò. -Ma la cosa non mi riguarda più. Quindi buona fortuna-.
Jeff sollevò lo sguardo su di lei, alzando le sopracciglia. -Ok, ma dovrai dirglielo di persona- insistette.
-Non se ne parla- fece lei, sforzandosi di non sbraitare. -Avevamo un accordo. E l'accordo era che mi avreste lasciata in pace-.
A quel punto il killer sospirò pesantemente, tornando a guardare a terra. Il suo comportamento era insolitamente calmo e rilassato, nonostante sembrasse del tutto sobrio. -Lo so, ma Smiley vorrà di certo sentire queste parole direttamente dalla tua bocca. Non si fida più di tanto, di me-.
Lei scosse la testa, indietreggiando di un passo. -Ma non mi dire- grugnì, con un tono chiaramente ironico. -Sei una persona così incredibilmente affidabile-.
Il moro tacque.
Avrebbe voluto replicare, ma non lo fece.
-Ad ogni modo...- aggiunse poi, dopo un secondo lungo sospiro -Penso sia più saggio incontrarlo. Lo conosco abbastanza da poterti dire che se non lo farai Smiley finirà per darti la caccia-. Le sue parole erano sincere e suonarono nella mente di Jane come una specie di avvertimento; per qualche ragione stava cercando di indicarle la via più sicura da seguire, come se fosse preoccupato della sua incolumità.
Assurdo anche solo da immaginare, visti i suoi precedenti.
Eppure, in quella precisa occasione, pareva che stesse cercando di aiutarla.
La mora strinse le mandibole, mostrando una certa indecisione. -Da quando ti preoccupi per me, uh?- replicò con asprezza. -Sarò comunque meno in pericolo di adesso, considerato che sono qui con te-.
-No, non credo- rispose Jeff istintivamente. Seguirono diversi secondi di silenzio, durante i quali il killer restò fermo ad osservarla.
Sembrava sinceramente preoccupato per la sua sorte e questo le fece provare un'ira tremenda. Avanzò verso di lui e spinse una mano sul suo petto, costringendolo a indietreggiare. -Puoi anche toglierti quella maschera da bravo ragazzo con me, sai?- sbraitò, mentre le sue mani avevano iniziato a tremare dalla rabbia. -Non pensare che possa dimenticare quello che mi hai fatto!-.
Una folata di vento freddo si insinuò nel vicolo, sollevando un mucchietto di foglie secche che si erano depositate a terra.
Lui non rispose nulla, continuando a tenere le mani in tasca. Non se la sentiva proprio, di affrontare quell'argomento.
Ma la mora, travolta da una logorante frustrazione, continuò a inveire. -Questa è l'ultima volta che voglio vederti. È chiaro?- esclamò. -Se ti farai vivo di nuovo ti giuro che chiamerò la polizia immediatamente. Ci siamo capiti?-.
E ancora una volta il killer tacque, tanto che lei stava iniziando a chiedersi se la stesse davvero ascoltando.
Girò le spalle nell'intento di andarsene via, ma si fermò subito dopo conficcando le suole nel fango. Si voltò poi nuovamente indietro, e con la voce rotta gli disse: -Perchè?-.
Il ragazzo questa volta la guardò, ma non chiese a cosa si stava riferendo. Già lo sapeva.
-Perché mi hai risparmiata, quella sera?- continuò l'altra, trattenendosi a stento dal pianto. -Hai ucciso tutti tranne me. Perché?-. Iniziò ad annaspare alla ricerca d'ossigeno, sentiva di essere in procinto dell'attacco di panico. Troppe volte quella domanda l'aveva tormentata, per troppo tempo aveva dovuto condividere con l'assenza di una risposta logica.
-Questa è l'ultima volta che ci vediamo- gli disse ancora, notificando che lui sembrava non avere ancora intenzione di proferire parola. -Quindi ti chiedo solo questo. Ti chiedo di dirmi perché-.
Gli occhi chiarissimi di Jeff erano adesso conficcati nei suoi, in un contatto visivo così forte che non sarebbe riuscita a interromperlo neanche se avesse voluto; lo vide allargare un sorriso appena percettibile, prima di risponderle con un filo di voce.
-Perché... Tu... Mi piacevi-.
Jane sentì un peso incalcolabile caricarsi sulle sue spalle, come se il terreno la stesse attraendo come una calamita. Quella risposta, per lei, non aveva assolutamente alcun senso.
-Cosa?- mormorò, con la voce che tremava a causa della rabbia e dello sconforto.
Lui chiuse gli occhi per qualche secondo, come se parlare fosse diventato uno sforzo eccessivo da sopportare. -Non avrei voluto farti del male-.
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