ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 15 - Volubile
Sotto un cielo grigio che annunciava l'imminente arrivo di un forte acquazzone Jane corse via tra i vicoli del centro, avendo cura di scegliere le strade meno frequentate per non attivare attenzioni indesiderate. La sua mente era in subbuglio, tutto ciò di cui aveva bisogno era raggiungere il suo appartamento e chiudersi all'interno, finalmente al sicuro.
A tutto il resto avrebbe pensato dopo.
Camminava a testa bassa senza incrociare gli sguardi assenti dei passanti per paura che qualcuno avrebbe potuto riconoscerla, procedendo a passo svelto senza mai fare soste fino a che, qualche decina di minuti dopo, non fu giunta alla destinazione appena prima che le prime gocce gelide iniziassero a scendere giù dal cielo. Infilò la chiave nella serratura sbagliando angolazione più volte a causa del vistoso tremare della sua mano e poi, una volta che si fu rifugiata all'interno, un silenzio assordante la circondò.
Prese una serie di abbondanti boccate d'aria cercando di calmare i nervi. Ebbe più volte l'istinto di piangere, ma non si concesse quella debolezza.
Non adesso.
Era sopravvissuta alla follia di Jeff the Killer per la seconda volta in vita sua e ancora non riusciva a capacitarsi del motivo; nel trascorrere di quelle ore, che a lei erano sembrate decenni, non aveva immaginato neanche per un secondo che sarebbe davvero riuscita a tornare a casa tutta intera. O anche, semplicemente, a tornarci e basta.
Stritolando il colletto della giacca bagnata che indossava si sistemò a sedere sul divano del minuscolo soggiorno, ritrovandosi a fissare il vuoto con la testa tra le mani.
Ancora una volta il bisogno di scoppiare il lacrime la travolse.
E ancora nuovamente lo respinse.
Senz'altro adesso poteva dire che recarsi in piazza quel giorno era stata una delle peggiori idee che avesse mai avuto, ma anche una serie di domande iniziarono ad apparire una a una tra i suoi pensieri, scacciando tutti gli altri: perché Jeff aveva prelevato proprio lei, tra le centinaia di persone che componevano quell'enorme folla? Perché aveva deciso di risparmiarla? E che senso aveva avuto quella telefonata a vuoto che aveva chiesto di fare poco prima di lasciarla andare, contattando un numero inattivo?
Si soffermò per un attimo a pensare a quest'ultimo quesito, poi prelevò il cellulare dalla tasca e ispezionò l'elenco delle ultime chiamate inoltrate; quella era ovviamente la prima in alto. Osservò il numero telefonico impresso sullo schermo per un tempo indefinito, poi si chiese se a quel punto avrebbe dovuto contattare il numero emergenza.
Certo che avrebbe dovuto.
Era a conoscenza dell'attuale posizione del killer poiché era piuttosto sicura che nella sua condizione non si sarebbe più alzato in piedi, almeno fino a che non gli fosse passata la sbornia; le sarebbe bastata una breve telefonata e ogni cosa sarebbe, più o meno, tornata al suo posto. Sapeva di doverlo fare, ma qualcosa dentro di lei la stava bloccando.
Sospirò pesantemente, concedendosi qualche minuto in più per riflettere.
Allungandosi sul tavolinetto da fumo recuperò il pacchetto di sigarette che vi custodiva gelosamente e ne accese una; non era sua abitudine fumare, non lo faceva quasi mai, se non in momenti come quello. Ispirando fumo nei polmoni afferrò il telecomando e lasciò sprofondare la schiena nell'imbottitura del divano, rivolgendo uno sguardo esausto allo schermo del televisore.
"...icerche sono tuttora in corso. La polizia sta battento a tappeto l'intera area cittadina in un raggio di cinque chilometri dal luogo della fuga, ma al momento non è stato individuato alcun indizio sulla posizione dei due pericolosi criminali.
Aggrottò la fronte, osservando il voltò della giornalista che reggendo il microfono in mano stava comunicando le notizie in tempo reale.
"Ricordiamo ai cittadini le misure di sicurezza suggerite dalle forze dell'ordine: se possibile restare a casa, uscire esclusivamente per motivi di lavoro o di salute ed evitare il contatto con estranei non appartenenti alla propria cerchia di conoscenze. I due soggetti in fuga sono altamente pericolosi".
Jane fece una smorfia, aspirando un altro tiro di sigaretta. Il sapore la stava disgustando, non ne fumava una da troppo tempo.
"Ricordiamo anche il loro aspetto: Doctor Smiley, 32 anni, capelli neri con taglio corto, privo di tatuaggi o segni particolari incisivi. Jeff the Killer, 26 anni, capelli neri lunghi fino alle spalle, occhi molto chiari, presenta una evidente cicatrice su entrambe le guance.
Chiunque dovesse individuarli è pregato di recarsi immediatamente in un luogo sicuro e contattare le forze dell'ordine".
Con un gesto impulsivo spense la tv, gettando il mozzicone all'interno di un bicchiere vuoto. Di nuovo tornò a fissare il cellulare che aveva poggiato affianco a sé, ricordando ancora una volta a se stessa che l'unica cosa sensata da fare era chiamare subito i servizi di emergenza e comunicare alle autorità quando le era accaduto poco prima; era un dovere civico e morale, dal quale non poteva svincolarsi solo perché non le andava di farlo.
Così raccolse tutto il suo coraggio e compose il numero, non senza prendere prima una bella boccata d'aria.
-911 qual'é la sua emergenza?-.
-Mi chiamo Jane Arkensaw, sono appena stata aggredita da Jeff the Killer e conosco la sua attuale posizione-.
.....
La notizia della fuga di Jeff e Smiley aveva già aperto diversi dibattiti in diretta TV, che sollevarono seri dubbi sulla professionalità degli agenti che erano stati incaricati di sorvegliare l'evento in piazza. La fuga dei due ergastolani era senz'altro imputabile a una pessima organizzazione che aveva messo a repentaglio l'incolumità di tutti i presenti; un errore imperdonabile, come sottolineavano diversi opinionisti.
Quella stessa notizia era giunta persino all'interno delle mura del carcere di massima sicurezza, dove i detenuti si passavano l'informazione l'un l'altro ad ogni possibile occasione. Dopotutto si trattava di una notizia di quelle che non si sentono tutti i giorni.
-Tu, figlio di puttana!-.
Jason alzò lo sguardo quanto bastava per incrociare quello del secondino, che gli stava gridando contro dall'esterno della sua cella. Non sembrava esserne intimorito, al contrario era solo innervosito dalla sua presenza.
-Hai saputo che il tuo amico se l'è data a gambe ieri, non è vero?- ghignò l'uomo in divisa, sputando attraverso le sbarre in segno di profondo disprezzo.
-Smiley non è mio amico- ribatté lui, scuotendo lievemente la testa.
-Non solo lui. Se la sono svignata un due- continuò la guardia. -Scommetto che tu non ne sapevi niente, uh?- mentre parlava non gli staccava mai gli occhi di dosso, come se stesse solo aspettando un suo passo falso cercando un motivo per menarlo.
Ma Jason si dimostrò incredibilmente tranquillo e disinteressato, come se la situazione non lo toccasse affatto. -Neanche Jeff è mio amico, io non ho amici- rispose.
-Fantastico!- esclamò il secondino, iniziando a ridacchiare. -Allora non ti dispiacerà se facciamo quattro chiacchiere con lui!-. Nel pronunciare quella frase fece un paio di passi indietro, indicando con la punta del manganello la cella in cui Ticci Toby se ne stava immobile rannicciato in un angolo.
Jason tacque qualche secondo, ma finse di non cogliere la provocazione. -Buona fortuna, Toby è muto-.
-Beh magari con un piccolo aiutino possiamo convincerlo a parlare. Sai com'è, dobbiamo interrogare tutti gli altri detenuti che erano presenti all'evento in piazza, giusto per assicurarci che non esistesse un piano di fuga condiviso fin dall'inizio-. Quella era un'occasione come un'altra per dare un motivo in più al personale del penitenziario di sfogarsi sui detenuti; non che ne avessero bisogno, ma l'idea di farlo per uno scopo rendeva le violenze molto più emozionanti per loro.
Jason allargò un piccolo sorriso. -Bel modo per dire che non volete ammettere di avere fatto male il vostro lavoro-.
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