IN YOUR HEART
"Credi che le piacerà?"
"Tch, che domanda del cazzo. È ovvio."
Eren trattenne un sospiro, schiacciandosi tra i sedili e stirando il braccio per artigliare la borsina sul sedile posteriore. Hanji aveva fatto proprio un bel pacco regalo e sperava che il suo impegno nell'arricciare tutti quei nastri dorati avrebbe fatto passare inosservata l'assenza del biglietto di auguri. Aveva insistito parecchio con Levi - e insistito significava aver rischiato la morte, tornando sull'argomento quasi tutti i giorni delle due settimane trascorse dall'acquisto- ma non era riuscito a cavare fuori una sola sillaba di apprezzamento dalla bocca imbronciata del corvino. Nulla che potesse essere scritto su un bigliettino destinato ad un regalo di compleanno. Aveva quindi deciso di tenere per sé le proprie paranoie, ma l'umore di Levi non dava comunque segni di miglioramento. A dirla tutta, la tensione nello stretto abitacolo della Fiat Panda che condividevano si poteva facilmente tagliare con un coltello da burro. Era più calda e soffocante del riscaldamento eccessivo che usciva dalle ventole consumate di quel vecchio ferro. Ma Eren non si aspettava nulla di diverso. D'altronde, gli ultimi quattordici giorni erano stati testimoni delle parole taglienti di Levi e della perfezionata abilità di Eren di camminare sul bordo di una lama affilata.
"Non vedo cosa ci sia di tanto ovvio."
Abilità che però Eren tendeva a lasciare da parte, di tanto in tanto. Era pur sempre un ragazzo impulsivo e dallo scatto facile. Soprattutto quando l'amico di una vita non faceva che tenerlo sottopressione, inacidendolo con nervosismo mal represso ad ogni dialogo innocuo che il castano si arrischiava ad intavolare.
"E me lo chiedi? Ti moriva dietro al liceo e, a giudicare da come ti guarda, le poche volte all'anno in cui la incontriamo ti si farebbe volentieri. Avremmo potuto comprarle anche un bollitore. Il risultato sarà lo stesso."
Levi rafforzò la presa già salda sul volante, lanciando ad Eren solo un'occhiata fugace, ma abbastanza fulminea da richiamare il volto sorpreso dell'altro nel suo. Eren, gli occhi lievemente sgranati e le guance tinte di un rossore lusingato, si torturò il labbro per calmare il cuore alterato.
"Mikasa sta con Jean da quattro anni. Non le importa nulla di me, in quel senso. Siamo stati compagni di classe per tutto il liceo. É ovvio che le faccia piacere vedermi. Tutto qui."
"Con Jean si sono lasciati tre mesi fa. Sei stato tu a dirmelo."
Eren quasi sussultò di fronte a quel ringhio gutturale. Levi mantenne lo sguardo fisso sulla poca strada che li separava dalla destinazione. Il profilo perfetto di quel viso niveo era troppo impostato persino per la sua compostezza. Come se tanta perfezione fosse un telo adibito a nascondere un'esplosione confusa di colori più o meno accesi al di sotto. Eren non osava neanche sperare che reazioni così umane dipendessero dall'assenza di autocontrollo che avevano sperimentato insieme il Venerdì notte di due settimane prima. Tuttavia, il seme della dubbia speranza aveva continuato a crescere nel suo cuore ad ogni scivolone del corvino che, sempre più spesso, cadeva vittima dei propri scatti. Dopo quella notte in cui erano crollati l'uno sull'altro in un silenzio esausto, le cose erano corse tanto veloci quanto il taxi che li aveva riportati a casa. Il giorno seguente si erano staccati in fretta e furia. Era stato tristemente rapido riabituarsi al freddo delle mattine invernali di Shiganshina, in contrasto con il calore dell'abbraccio nel quale si erano cullati fino all'arrivo dei dipendenti del Sina. Se solo quei poveretti avessero saputo che incantesimo avevano spezzato, presentandosi alla porta con il materasso nuovo che dovevano consegnare. Dall'arrivo del letto, la routine dei due coinquilini si era prepotentemente infilata tra quello che sarebbe potuto succedere. Tra scambi di sguardi incerti e il vago imbarazzo di accidentali contatti fisici, erano stati via via seppelliti gli atti di quella notte proibita. I giorni erano passati e, guarda caso, le lezioni all'università di Levi si erano fatte più lunghe e i turni di Eren alla pasticceria più frequenti. I due non si erano più impegnati per coordinarsi e condividere il bagno, rivedendo altre spese per sostenere la bolletta dell'acqua. La paura di affrontarsi si era annidata tra quelle coincidenze troppo ragionate, ma, allo stesso tempo, nulla nel loro rapporto aveva lo stesso sapore di prima. Se i giorni erano facilmente gestibili con una lontananza imposta, le sere bussavano impetuose al cuore di entrambi. Dopo cena si trovavano irrimediabilmente a scrutarsi, soccombendo a quella voglia di perdersi nelle sfumature dell'altro. Rimirandosi da una distanza di sicurezza che stringeva le redini della loro repressione e avvitava alla bene e meglio i cardini di quell'amicizia che stava cambiando forma.
"Sì... Intendevo che sono solo tre settimane, Levi. Sicuramente pensa ancora a lui e, in ogni caso, non è interessata a me."
Eren si morse il labbro prima di azzardare quella risposta con il tono sommesso di chi cerca una tregua. Levi però non sciolse neanche lontanamente la sua posa di ghiaccio. Con lo sguardo assottigliato dritto in quello affranto di Eren, si limitò ad un ultimo ordine perentorio mentre parcheggiava la macchina di fronte a casa di sua cugina Mikasa.
"Non darle corda, Eren."
Levi restò immobile a fissare quel volto olivastro cambiare qualche gradazione di rosso. I denti bianchi a torturare il labbro carnoso. Un gesto che bastò a far rimpiangere a Levi un contatto tanto ostentato quanto la sua richiesta. Se lo ricordava come fosse ieri il modo assurdamente giusto in cui le labbra di Eren si modellavano con le sue. E quelle linee morbide erano una dolorosa mancanza nell'organismo sballato del corvino. Per quanto provasse a dare evidenza del contrario, Levi era totalmente stregato da quelle due linee piene e volubili. Conosceva a memoria tutte le loro pieghe. Dalle curvature di un broncio agli angoli più dolci di un sorriso. Oh sì, era ovvio che Levi volesse sentirle ancora. E quanto era disturbante resistere quando davano voce ai sogni più segreti del loro proprietario. anche essere alla quale l'amico rispose titubante e vagamente speranzoso.
"Sei geloso?"
Levi mancò un respiro agli occhi di Eren. Due gemme luminose sgranate e tramanti. Il verde e l'oro traboccavano di speranza. Così come le sopracciglia folte, piegate fino a solcare lo spazio liscio nel mezzo. Poté avvertire il petto del castano inabissarsi quanto il proprio. Ma le labbra di Levi erano più scaltre di quelle di Eren. Sapevano mentire, ingannare. Sapevano portare via l'abbagliante luce nello sguardo rovinoso alle quali si rivolgevano.
"Eren, sai bene che non voglio contatti con la mia famiglia. Ogni anno facciamo questa pagliacciata del compleanno di Mikasa e poi tanti saluti. Se ti mettesi a uscire con lei, c'è il rischio che rincontri zio Kenny o che so io. Non mettermi nei casini."
E la ringhiata risposta di Levi divorò il debole entusiasmo che iniziava a scaldare il cuore di Eren. Indurì la maschera già rigida del corvino e buttò entrambi fuori dall'auto. Movimenti frettolosi e sconnessi a calpestare la fastidiosa sintonia distorta della loro intesa. Il senso di colpa dilagava nel petto di Levi. Una macchia nera ad espandersi nel cuore graffiato dall'espressione amareggiata di Eren. Ma Levi era disposto a farci i conti. Meglio sopportare un ruolo che aveva già ricoperto, piuttosto che affrontare i veri timori che gorgogliavano nella sua mente contorta.
La festa era giunta, con gran gioia di Levi, allo scambio dei regali. Ovvero al tramonto di quell'apoteosi di ipocrisia. Era assurdo che parenti tanto lontani e indifferenti all'esistenza altrui, si sforzassero di trovarsi ogni anno per festeggiare tutti insieme. Levi ricordava a memoria ognuno di quei volti viscidi. Loro, che non si erano sprecati a dare una mano a sua madre quando, con la malattia e un figlio piccolo, avrebbe avuto più che bisogno. Ciascuno di loro era la motivazione che l'aveva spinto ad accettare la proposta del coach Erwin Smith. Levi aveva sopportato una popolarità che era un insulto per il suo carattere schivo e poco avvezzo alle lusinghe. Il tutto solo per utilizzare le proprie capacità al fine di non dipendere mai più da tali parassiti, con cui non intendeva mischiarsi. E poi la solitudine era durata meno di un battito di ciglia. Il ragazzo che ora sedeva offeso accanto a lui, aveva sfondato le sue pareti a testa bassa e, su quel terreno arido, aveva piantato radici salde come l'acciaio. Eren le aveva manovrate così bene da farlo persino cadere nella sua rete ammaliatrice. L'aveva irretito fino a levargli la maschera apatica che indossava comodamente come seconda pelle. E Levi avrebbe voluto esserne più infastidito. Eppure, nonostante si sentisse continuamente nudo di fronte agli occhioni che lo guardavano di sottecchi, Levi sapeva fin troppo bene che non avrebbe mai potuto farne a meno.
"Grazie ragazzi, mi piace tantissimo. La indosserò per quell'incontro a Sina."
E lo stesso ragazzo ora infrangeva anche l'aspetto apparentemente serio di sua cugina. Levi lo vedeva prendersi il sorriso tenero di Mikasa. Non gli era saltato al collo solo perché Eren, quanto meno, dimostrava una certa riluttanza nel risponderle. Riluttanza dovuta, o così Levi sperava, alle minacce che non era riuscito a tenersi da parte. Eren improvvisò l'abbozzo di un sorriso mentre, con la coda dell'occhio, captava la reazione di Levi. Quest'ultimo era sicuro che Eren vedesse più che limpidamente la rabbia furente sotto alle labbra pressate e alle braccia conserte. Per questo motivo, Eren si affrettò a scostare Mikasa che gli cinse le spalle in un abbraccio troppo caloroso.
"Figurati, Mikasa. L'abbiamo scelta insieme."
Si giustificò Eren, evitando l'ultima parte del discorso e sorridendo all'amica che avvolgeva la pesante sciarpa rossa intorno al collo. La vide guardare Levi di sbieco. Il cugino altro non fece se non fulminarla con un'occhiata gelida. Eren si sentì in mezzo a due fuochi ghiacciati, come sempre del resto. Era incredibile quanto fosse stato meticoloso il DNA degli Ackerman. Neanche tra un milione di anni, Eren avrebbe incontrato due cugini così uguali da sembrare gemelli. Altezza a parte, in cui Mikasa aveva un vantaggio schiacciante, quelli erano due pericolose gocce d'acqua. Eren ricordava ancora l'espressione stizzita dell'ex compagna di classe quando aveva scoperto che frequentava il cugino del quinto. Inutile soffermarsi sui commenti spietati alla convivenza che aveva intrapreso con lui dopo il diploma. Ogni anno era la stessa storia. C'era di buono che, facendo coppia con Jean, Mikasa non aveva più osato invitarlo fuori. Almeno fino a quel momento. Ed Eren di certo di avere la schiena perforata dai coltelli che Levi saettava con le iridi ardenti di rabbia. Per questo, fu più che mai contento quando l'amico si alzò senza troppi complimenti. Con poche parole sibilate a denti stretti, Levi calò il sipario su quello spettacolo ingessato.
"Ora dobbiamo proprio andare. Ci aspettano due ore di macchina e non ho intenzione di allungarle beccando il traffico delle sette."
Levi tuonò, scuotendo la cugina ed Eren dal loro scambio di sguardi inteneriti. Tutto quello schifo non faceva che provocagli istantaneamente una nausea non voluta. Eren si affrettò al suo fianco. Un saluto imbarazzato ad una Mikasa offesa e in poche falcate coprì la distanza che il corvino aveva provveduto a mettere con quel nido di vespe.
Eren contò allo sfinimento i secondi di quel viaggio terribile. Per tutto il tempo, non aveva fatto che respirare la tensione furente di Levi che si era riversata in una guida veloce, spericolata. Eren aveva soppesato ogni interazione con Mikasa, ma, pur avendole limitate il più possibile, il corvino era ben lontano dall'essere soddisfatto. La preoccupazione negli occhi di Eren si era mischiata ad un nervosismo più che giustificabile. Dopo settimane di silenzio schivo, era assurdo imporgli certe pretese, liquidandolo anche in malo modo al primo accenno di qualche sentimento tra di loro. Eren avrebbe solo voluto gettarsi tra le braccia di quel ragazzo spaventato che, reso coraggioso dall'alcool, l'aveva stretto possessivo in un abbraccio che agognava come l'aria che respirava. Tuttavia, non c'era traccia di una serratura da schiudere nelle alte mura che Levi aveva erto intorno a sé, sbattendo fuori anche lui. Lui che così, quasi per gioco, aveva avuto il permesso di entrare tanti anni prima.
Levi si era calato in un silenzio quasi religioso, concentrando ogni neurone su una guida più animata del solito. Al suo fianco, percepiva un Eren provato dalla tensione che si trascinavano dietro da settimane. Non gli era sfuggito neanche il suo pugno accartocciato sulla gamba perennemente in movimento o i respiri pesanti. Boccate affamate che il castano utilizzava per mitigare l'apnea psicologica in cui precipitava di continuo; pesante tanto quanto quella che bloccava anche il petto di Levi. Levi era ben consapevole che la situazione di stallo fosse per la maggior parte colpa sua. Aveva visto fin troppo la voglia scalpitante di Eren di affrontare la situazione in quei suoi sguardi ansiosi e nelle parole ricacciate in gola. Tuttavia, Levi era allo stesso punto di due settimane prima. Le solite convinzioni a picchiettare i chiodi fissi nella sua testa. Eren era tutto ciò che aveva e non poteva permettersi di prenderlo. Il che significava che il margine di errore era pressoché nullo. E Levi sapeva evitare le situazioni pericolose sia in campo che nella vita. D'altronde, per una buona riuscita era fondamentale tenere a mente l'obiettivo. Peccato che Eren fosse un avversario più tosto del previsto. La promessa di un appuntamento con una ragazza infatuata o un'espressione sconsolata come in quel maledetto viaggio di ritorno. Bastava davvero poco a far pulsare energico il sangue di Levi nelle vene, intimandogli di aprire la bocca serrata e gettare al vento i propositi di una vita con la promessa di qualcosa di migliore. Levi inspirò a fondo, ignorando l'inebriante aroma di vaniglia che si mischiava così bene con la sua colonia. Benedisse lo svelto parcheggio che fece sotto casa, portando entrambi fuori da quell'ambiente pesante.
Eren seguì Levi nel loro appartamento, tenendosi ad una distanza di sicurezza di ben due passi. Gli occhi però erano fissi sulla sua schiena, con tutta l'intenzione di aprire due buchi nella stoffa della sua camicia nera. Osservava le spalle del più grande, irrigidite quanto le braccia conserte e il collo teso, reso invitante dalla pelle nivea e dalla rasatura che spuntava sotto alle lunghe ciocche setose. Eren accettò quel misto di analisi di linguaggio non verbale e mera, cieca adorazione. Rubò fino all'ultimo fotogramma di quella visione, convinto che il suo coinquilino sarebbe scomparso tra le mura di camera sua. Dovette però ricredersi, ancora non sapeva se a malincuore, quando, entrato in casa, due mani gelide inchiodarono i suoi polsi al muro. Gli occhi plumbei di Levi saettarono affilati nei suoi, grandi di sbigottimento e confusione. Le sue labbra sempre sigillate soffiarono furiose a qualche respiro dal viso accaldato di Eren.
"Si può sapere che cazzo fai?"
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