🔥 Signore del Fuoco Alexander 🔥
«Alex?»
La porta della sala lettura venne schiusa, un paio di occhi scuri lo abbagliarono dallo stipite. Aveva le guance in fiamme, non era una novità, e Alexander si spaccò a metà tra il trovarlo delizioso nella sua goffaggine e indispettirsi perché ancora non riusciva ad abituarsi alla sua presenza dopo tutto quel tempo.
«Harvey, mio caro, accomodati. Fatti pure un bicchiere... è arrivata la corrispondenza?»
«Uhm, sì» il ragazzo infilò la porta in un movimento aggraziato e poi la richiuse. «Milady non gradisce l'idea che occupiamo la sala da lettura per le nostre... faccende.»
Sulle sue labbra si disegnò un sorriso gelido. «Non ha detto "faccende", vero?»
«No.»
«Che termine ha utilizzato? Sono curioso... aspetta, provo a indovinare: sciocchezze.»
Il tono di Harvey si abbassò. «Scempiaggini.»
«Beh» esclamò, allargando il sorriso. «Per mia madre sono tutte scempiaggini, e lei non gradisce mai nulla di quello che faccio. Tanto vale procedere. Hai le lettere con te, dunque?»
«Io... sì, certo.»
Sollevò il calice colmo di vino. «Ti aggrada l'idea di un bicchiere?»
«Oh, no, grazie. Devo lavorare, tra poco.»
Fu lui a prendere un sorso per nascondere una smorfia di disappunto. «Splendido. Allora, in quanto mio segretario opportunamente assunto per l'occasione, ti invito ad aprire la prima lettera, annunciarmi il mittente e proclamarne a voce alta il contenuto.»
Harvey tossicchiò. Si allineò davanti a una poltroncina, gli rivolse uno sguardo titubante e solo al suo annuire di conferma si accomodò. «Ti avverto, non sono molto abituato a leggere.»
«Fandonie! Sono certo che farai un lavoro incantevole.»
Harvey tossicchiò di nuovo, si aggiustò sulla sedia e arricciò le labbra in una smorfia per riprendere il controllo sul viso. «Allora!» afferrò una busta dal plico che aveva tenuto in mano e in quel momento poggiava sulle sue gambe. Era possibile provare invidia per delle buste da lettera? A quanto pareva era così. «Missiva numero uno. Mittente: James, della... divinità?» occhieggiò verso Alexander, che annuì. «isabel-giacomelli. Il contenuto è il seguente: Bene, visto che sei così insicuro a parlare delle tue passioni, raccontami. Se mi annoio te lo dico subito, non preoccuparti.»
«Oh.» Le sue passioni. Beh, doveva ammettere di averne nel cassetto un numero discreto. «Da dove iniziare... ogni tanto mi diletto a scarabocchiare un po'. Disegno dal vivo, soprattutto. Paesaggi, ritratti, natura morta...»
«Scarabocchiare?» Harvey aveva sollevato un sopracciglio.
«Sì, beh, perlopiù schizzi, niente di troppo rifinito.»
Vide che sollevava anche l'altro. «Alex–»
«Mi interesso anche di moda! Sì, fosse per me acquisterei solo vestiti. E profumi. E alcol. Ma i vestiti... i vestiti sono importanti. Ed è importante anche suddividerli a seconda del momento della giornata. Per esempio, portare un soprabito da giorno dopo l'ora del tè diventa sconveniente, è opportuno sostituirlo con uno da sera. Non pensi, Harvey?»
«Non saprei. Io ho solo un soprabito, e me l'hai regalato tu perché il mio si era strappato. È da giorno o da sera?»
Sbatté le palpebre per ingoiare una spiegazione ben più lunga di quanto appropriato. «Da sera» liquidò. «E non dimentichiamoci di leggere! Sì, amo tanto leggere, il mio autore preferito è Goethe ma in generale sono un grande appassionato di letteratura tedesca. Trovo che trasmetta un senso della realtà secondo solo al verismo italiano, ma si conserva in qualche modo più romantico. Mio caro, devi ricordarmi di fornirti qualche traduzione in merito, penso che alcuni titoli potresti apprezzarli, se conosco i tuoi gusti.»
«Non c'è affatto bisogno di–»
«Non è un bisogno, è un piacere. Un onore, persino. Ma ora andiamo avanti... la musica! È da quando sono bambino che amo suonare il piano, oltre che, com'è ovvio, la musica mi piace ascoltarla. Non saprei dire quale sia il mio compositore preferito... c'è Debussy, Vivaldi, Schubert... e questo solo dal punto di vista strumentale. Poi c'è Verdi, per esempio, il più grande compositore per voci umane della storia...il che mi porta all'amore per il teatro, in particolare il teatro d'opera. Tant'è che, tra tutti i teatri di Londra, quello che mi vede più spesso è senza ombra di dubbio il Royal Opera House. E... santo cielo. Harvey, perché non mi hai fermato? Da quanto tempo sto elencando queste sciocchezze? Sono appena alla prima domanda!»
«Hai bisogno... hai bisogno che controlli il tempo? Scusami, non si era parlato di questo...»
Alexander prese un grosso sorso e poi con la mano libera si massaggiò la base del naso. «No, no, non è colpa tua, non preoccuparti. Andiamo con la prossima lettera.»
«Certo. Dunque... parla Nick, della divinità Fraxinusexcelsior: Nella tua presentazione ho letto che sei un pianista. Come ti sei avvicinato o hai scoperto questa tua passione? Potresti suonarci poi il tuo brano migliore?»
«Oh!» quella sì che era una domanda facile. «Quando ero un bambino, all'età di sei anni, mi è stato insegnato a leggere sia l'alfabeto che, allo stesso tempo, gli spartiti musicali. Era un desiderio di mio padre, amante da sempre del piano. Sia io che mio fratello Hector abbiamo preso per dieci anni lezioni di musica, e quando è stato tempo di interrompere lui ha abbandonato gli studi mentre io ho deciso di proseguire in autonomia. Non appena mi sarà possibile, mi diletterò volentieri in qualche esercizio insieme a voi. Prima di decidere che pezzo offrire, però, ho bisogno di conoscere eventuali preferenze degli spettatori. Posso adattarmi a tutti i gusti e a tutte le orecchie!»
«È tanto che non suoni per me» commentò Harvey, in un borbottio quasi indistinto.
«Hai ragione, caro. Non amo ammorbarti con le mie frivolezze, ma sai che se lo desideri sarò sempre più che felice di accontentarti.»
«Non sono frivolezze. Non sento mai della musica, e sai che amo... sai che amo quando a suonarla sei tu.»
Tutte le volte che suo fratello e sua madre lo avevano pregato di smetterla di esercitarsi e impiegare il tempo in qualcosa di più utile gli scossero il petto, e le labbra tremarono mentre teneva su un sorriso affettato. «Ogni tuo desiderio è un ordine. Quando troveremo entrambi un attimo di tempo per noi, suonerò. Potresti proseguire, ora?»
«Oh, io... sì. Terza missiva. Parla Padma, della divinità fantAsilena. Scusa, questa è più lunga delle altre due...» lo osservò aguzzare lo sguardo.
Forse l'aveva assunto per un compito crudele, in effetti sapeva che Harvey non era molto avvezzo al leggere. Eppure credeva che gli avrebbe fatto piacere arrotondare di qualche sterlina la sua paga settimanale, e assumerlo come segretario appena per un'ora era sembrata un'ottima idea, al tempo. Aveva anche sperato che gradisse la sua compagnia, anche se in quel momento appariva in difficoltà.
«Ebbene?»
«Sì. Sì, subito. Prima domanda: di quale risultato vai più fiero nella tua vita?»
Alexander spalancò gli occhi e sbatté le palpebre. Dopo un attimo di riflessione, affondò nella poltroncina e riportò il bicchiere alle labbra. «Facile... nessuno! La prossima?»
«Alex!» esclamò Harvey, la fronte corrucciata. «Nessuno?»
«Beh, non ho mai ottenuto alcun risultato, quindi non ho nulla tra cui scegliere.»
«Ho capito, risponderò io al tuo posto. Il risultato di cui io andrei più fiero se fossi in te sarebbe... oh, cielo, sono così tanti... la vostra educazione.»
«Non farmi ridere, ti prego. La mia educazione?»
«Sì. Sei stato allevato in questa casa da tua madre insieme a Hector, e sei molto più educato di entrambi loro. E anche più gentile. È evidente che non lo sei per merito loro, dunque dico questo.»
Sono così tanti, aveva detto. Quindi lo ammirava? Quali erano questi altri risultati di cui andar fiero? Avrebbe ucciso per scoprirlo, ma non gli sembrò giusto chiedere di più. Deglutì. «Da bravo, mio caro, vai pure avanti.»
«Quali sono le tue aspirazioni?»
«Che buffa domanda. Scusa, Padma, non intendevo essere scortese. Nei miei sogni febbrili più scandalosi, la mia aspirazione è trovarmi il più lontano possibile da mia madre, insieme alle persone che amo, libero di disporre della mia parte di eredità per invecchiare nel lusso e magari anche felice. Ciò che succederà, invece, sarà che mia madre mi troverà una moglie rispettabile, mi infilerà in qualche studio notarile per aumentare il patrimonio di famiglia, e mi terrà sotto la sua asfissiante ala genitoriale sinché non passerà a miglior vita e mi assegnerà a quella di Hector.»
Harvey non commentò. I suoi occhi tornarono sulla pagina, lo vide spalancarli e scuotere la testa. «No.»
«No?»
«No, perdonami, Alex. Trovo certe domande fuori luogo e inopportune, tu... non le meriti. Perdonami, non intendo chiederti nulla di simile.»
«Mi dispiace, ma è la regola. Non posso saltarne neanche una.»
«Allora la salterò io per te» sbuffò. «Chi sono queste persone? Siete davvero in confidenza sino a questo punto? Non mi avevi mai parlato di alcuno di loro.»
Un angolo delle labbra di Alexander si piegò all'insù. La voce di Harvey si era fatta tesa, infusa di una tinta di veleno. Gelosia? Poteva essere. «Non direi che abbiamo confidenza, no. Si tratta di un semplice esperimento. Ti prego, amico mio, tu poni la domanda e vedrò di rispondere nel tono che riterrò più opportuno.»
«Perfetto» borbottò. Riusciva a essere adorabile anche scontroso, e quantomeno non si imbarazzava più anche solo a respirare in sua presenza. Gli piaceva così, spontaneo. «Ho saputo che tuo padre ha perso la vita in guerra, cosa provi ripensando a lui?»
Alexander, nel mezzo di un sorso, si ritrovò a tossire. Strizzò gli occhi e si schiarì la gola, boccheggiando per prendere aria.
«Tutto bene?»
Dio, che comportamento poco elegante e per nulla da gentiluomini. «Sto benissimo» si affrettò. «Ebbene sì, mio padre ha perso la vita in Africa a combattere per la corona. Mia madre avrebbe adorato che seguissi le sue orme e prendessi la strada dell'arma, ma non fa per me. Morire per un pezzo di terra su cui la maggior parte degli inglesi non metterà neanche mai piede è un modo davvero poco romantico di finire la propria esistenza, e mi piacerebbe che la mia uscita di scena fosse più poetica di così» sospirò. Avrebbe dovuto riempire di nuovo il bicchiere. «In quanto a quello che provo... non saprei dirlo. Ricordo poco di lui, ero piccolo, e qualunque sentimento sembra sbiadire sempre più nella mia memoria. Non credo di dispiacermi davvero per mio padre, non più, ma... ma piango l'idea di lui. A volte ho l'impressione che mi amasse. Mi chiedo come sarebbe stato averlo accanto quando non c'era nessuno, e poi mi rispondo che non avrebbe fatto nessuna differenza. Non mi ama mia madre, non vedo perché mio padre avrebbe dovuto farlo. Si tratta certamente di uno scherzo della memoria che tinge la mia infanzia di una nostalgia romantica del tutto scollegata dalla realtà.»
«Non è detto.»
Non ebbe la forza di incrociare il suo sguardo. «Per favore. Non c'è un'anima a questo mondo che mi abbia mai amato, non vedo come avrebbe mai potuto farlo un ufficiale delle forze armate della regina. Procedi pure con la domanda successiva.»
Afferrò la bottiglia dal tavolino accanto e riempì il calice quasi sino all'orlo. Silenzio.
«Harvey?» si decise ad alzare gli occhi, anche il ragazzo lo stava guardando. Era immobile, non proferiva parola, ma il suo sguardo lo bucava. «Tutto bene?»
«No.»
Alexander si accigliò. «Beh, parla, dunque. Ti ascolto.»
Harvey lo osservò per lunghi secondi, in perfetto silenzio. Schiuse le labbra, le richiuse, poi fu lui a distogliere lo sguardo, abbassandolo sulla lettera che teneva tra le mani. «Qual è il tuo abbigliamento preferito e perché? Fai caso a come si vestono gli altri?»
Non voleva rispondere a quelle domande. No. Voleva domandare il motivo di quel silenzio e di quello sguardo. Voleva insistere. Cos'aveva detto di male? Harvey si era incupito. A volte era così, si chiudeva a riccio ed era impossibile capire la ragione. Non poteva permetterselo, per cui rispose e basta.
«Il mio abbigliamento preferito su di me, immagino. Beh, che dire... trovo che il capo che mi dona di più sia il gilet, tanto che non vi rinuncio neanche quando fa davvero troppo caldo. Ho l'impressione che mi dia un'aria più slanciata.» Si osservò il busto, il fazzoletto al collo oscurava un po' la vista ma il suo gilet verde bottiglia allungava la figura del suo corpo persino da seduto. «Non trovi, Harvey?»
«Co... cosa?»
«Pensi che il gilet mi doni?»
Beh, di certo quella domanda aveva funzionato a spazzare via la sua espressione imbronciata. «Certo, cioè, non sono la persona più qualificata per dirlo, ma, come dire... sì, presumo di sì.»
«Lo presumi?»
Alexander faticava a credere che un volto umano potesse diventare tanto rosso. «Sono sicuro.»
«Beh, grazie mille» sorrise compiaciuto. «Per quanto riguarda il notare gli abiti altrui... ahimè, devo ammetterlo. Non mi ritengo una persona tanto superficiale, ma trovo che l'occhio in effetti voglia la sua parte. Non sopporto tra le signorine chi non si cura del colore dell'abito, non tutti gli incarnati vengono risaltati in egual misura da tutte le palette disponibili... e ogni colore ha un significato. Abbigliarsi di giallo a un matrimonio, per come la vedo io, è un gesto davvero cafone e sfacciato. Mentre sui gentiluomini apprezzo sempre le giacche che mettono in risalto un bel taglio di spalle. Le spalle spioventi sono la rovina dell'estetica. Due belle spalle dritte, d'altro canto...» notò che Harvey lanciava una veloce occhiata di sbieco per controllarsi, il suo sorriso si allargò. «Non crucciarti, amico mio, le tue spalle sono più che notevoli. Andiamo pure avanti.»
Harvey fece una smorfia e tentò goffamente di nascondere il volto arrossato dietro la lettera che era intento a leggere. «So che sei un grande lettore, qual è il tuo libro preferito e perché?»
«Come detto, il mio autore preferito è Goethe. Adoro il suo "I dolori del giovane Werther." Lo trovo di una delicatezza e una malinconia rare, e tratta di disturbi dell'animo con una sensibilità che per me è del tutto sorprendente.»
Alzare il sipario e svanire là dietro, questo è tutto, scriveva Whether, poco prima di togliersi per sempre dalle pene di questo mondo. E perché allora queste paure e queste esitazioni? Forse perché non si sa quello che c'è là dietro? O perché di là non c'è ritorno?
Pensarci faceva ancora male. Pensarci lo portava di nuovo di fronte alla finestra. Pensarci...
«Tutto bene, Alex?»
«Il mio classico del cuore è l'Iliade, invece» buttò fuori, alzando la voce per coprire il chiasso che gli era esploso nella testa. «Ha tutto quello che dalla letteratura si può sperare di ottenere.»
«Non ti facevo tipo da storie di guerra» commentò Harvey.
«Credi che l'Iliade sia questo? Una storia di guerra?»
«Non lo è?»
Sbuffò una risata. «Le uniche persone che credono che l'Iliade sia una storia di guerra sono quelli che non l'hanno mai letta.»
Harvey si fece più piccolo sulla poltroncina. «Già, in effetti... non l'ho fatto.»
«Perdonami, amico mio, non intendevo sminuire la tua conoscenza. È senza dubbio vero che uno degli argomenti dell'Iliade è la devastazione della guerra... ma, a mio modesto parere, l'Iliade è più una storia d'amore.»
«Una storia d'amore?»
«Ma certo! Tutto iniziò dalla fuga di Paride ed Elena, sottratta a suo marito Menelao e portata a Troia. E come non menzionare Ettore e il suo amore per Andromaca? Senza parlare di... vedi» sospirò. Si sarebbe fatto sfuggire troppo? Al diavolo, avrebbe parlato solo della verità. Quella era l'interpretazione più comune del mito sin dall'antichità, i greci stessi non avevano mai inteso quel rapporto in altro modo. «I due poemi omerici, in originale, hanno una struttura metrica molto raffinata, divisa in esametri dattilici. Non entrerò nella specifica di ciò che questo comporta, ti basti sapere che è un testo curato sino al minimo dettaglio e nulla è lasciato al caso. Parte di questa progettazione, comune a entrambe le opere, è che la prima parola in assoluto del testo – chiaramente in lingua originale – rappresenta la sua perfetta sintesi. Ora, la prima parola dell'Odissea è Àndra, uomo... infatti, come indica persino il nome, l'Odissea è la storia di Ulisse, in greco Odisseo. La prima parola dell'Iliade è Mènin, che significa...»
«Amore?»
Alexander sorrise. «No. Ira.»
«Allora...?»
«L'ira di Achille è ciò che pone in essere le premesse senza cui l'Iliade non inizierebbe. Achille è adirato con Agamennone per aver rubato la sua schiava prediletta, Briseide. Questo per lui era un affronto imperdonabile. Non c'era niente che avrebbe potuto riportarlo sul campo di battaglia, benché i suoi compagni e i suoi amici stessero morendo proprio a causa della sua assenza. E qui veniamo alla seconda ira di Achille, che lo spingerà a mettere da solo fine alla guerra. Il suo amante, Patroclo, muore per mano di Ettore, così Achille porta i greci alla vittoria solo e unicamente per vendicarlo.»
«Il suo... amante?»
«Oh, sì. I greci hanno vinto la guerra di Troia solo perché Achille ha avuto la spinta a tornare sul campo, assassinare Ettore, fare scempio del suo corpo davanti a sua moglie, e poi far strage di quanti eroi troiani poteva trovare sulla sua strada. Capirai bene che, con un motore d'azione simile, non posso che amare quest'opera.»
«E l'Odissea, invece?»
Alexander si strinse nelle spalle. «Diciamo che Ulisse era ben più farfallone di Achille e molto meno devoto. Beh, direi che mi sono dilungato abbastanza. Continua pure.»
Harvey tornò alle sue buste, impensierito. Quel discorso sembrava averlo turbato. Chissà, forse aveva davvero capito. «Missiva di Lady Violet Della divinità...» assottigliò gli occhi e corrucciò la fronte. «LadyAngelFanwriter. Che dice...» Harvey tacque. Voltò la lettera da un lato, poi dall'altro. «Non capisco» mormorò, tanto piano che lo sentì a malapena. «Credo che ci sia scritto Alexander? Sì, di certo. Eppure... mi dispiace.»
«Ti prego, mio caro, non ti angustiare, talvolta la scrittura a mano può essere impossibile da decifrare. Passami pure la busta e cercherò di raccapezzarmi io stesso.»
«Mi dispiace, davvero, non devi pagarmi, io–»
«Smetti di proferire sciocchezze e allungami la busta, avanti, il tuo lavoro è stato egregio sino a questo momento e non sarà certo questo minuscolo inconveniente a maldispormi. Vediamo...» l'occhio gli cadde sulle prime frasi. «Ed ecco svelato l'arcano! La prima domanda di questa lettera è posta in francese, e la seconda frase è in tedesco. Dicono rispettivamente "Buongiorno, Alexander, come stai?" e "Parlo anche tedesco." Ecco, ora puoi proseguire.»
«Scusami.»
«Non ti scuso perché non c'è nulla di cui scusarti. Leggi, avanti.»
Harvey tornò con gli occhi sul foglio. «Ovviamente, parlo anche inglese. Tu dove hai imparato? A scuola o sul campo, viaggiando nei vari paesi?»
«Allora, beh, in collegio ho imparato il francese. Per quanto riguarda l'italiano e il tedesco, ho studiato da autodidatta per poter consultare testi che mi interessavano di prima mano senza necessitare di traduzione alcuna. La mia famiglia ha una residenza a Parigi, in cui mi sono recato spesso, e dunque ho esercitato il francese più volte anche dal vivo. Sono stato solo una volta in Germania, a Monaco, difatti il tedesco lo mastico con un poco più di difficoltà, preferisco leggere e scrivere in questa lingua perché la mia pronuncia è barcollante. Non sono mai stato in Italia, ma sarebbe un sogno poterla visitare.»
«Bene, vado avanti.»
Mentre Harvey scartava l'ennesima lettera, prese un altro sorso di vino. Era da un po' che non ne beveva, Harvey come sempre catturava tutta la sua attenzione. Come biasimarlo? Era perfetto.
«Missiva di... Kolt, della divinità Mari_Blackstar.»
Ad Alexander scappò da ridere.
«Mh?»
«No, niente. È solo... una persona a cui non piaccio.»
Vide lo sguardo del ragazzo affilarsi, un angolo delle sue labbra tremare in un leggero spasmo. «Perché mai non dovresti piacergli, sentiamo?»
«Che domande, perché ha un cervello»
«Un idiota, senza dubbio» pronunciò Harvey in quell'esatto momento.
Alexander scosse la testa. «Orsù, leggi, avanti.»
«Bene» rispose, in tono più asciutto. «Sono due scritture differenti, credo che due persone diverse abbiano posto due serie di domande diverse. La prima è: qual è la tua lingua preferita – inglese escluso – e perché? Che tu la sappia parlare o meno è indifferente.»
«Oh, wow, non ci avevo mai pensato...» esclamò, concedendosi un attimo per riflettere. «Se le lingue morte sono ammesse, il latino e il greco antico hanno una musicalità ineguagliabile. Complice la metrica, ma... il proemio dell'Iliade in originale greco lo ricordo ancora a memoria nella sua interezza, è pura magia. E le Bucoliche di Virgilio? Più dolci di qualsiasi melodia possa mai replicare col mio piano. Se invece si parla di lingue correnti, non intendo aggirare la domanda con il greco moderno, per cui dirò che il russo è una lingua dal suono delizioso e amerei studiarla, se non altro per poter leggere una quantità sconfinata di capolavori senza necessità del tradimento di una traduzione.»
«Bene. Vado avanti...» Alexander bevve un altro sorso. Aveva iniziato a bere da prima di cominciare, perché l'effetto tardava tanto ad arrivare? «Ti sarebbe piaciuto suonare altri strumenti oltre al pianoforte?»
«Sono un amante del violino, ma non credo che amerei suonarlo. Mi piace il pianoforte perché è a suo modo romantico, poter suonare a quattro o addirittura a sei mani, avere qualcuno seduto accanto... però sarebbe delizioso saper cantare, questo sì.»
«Arrivo alla scrittura differente: quando hai cominciato a bere?»
«Mio padre ha perso la vita nel settantatré, avevo otto anni non ancora compiuti. Mia madre ha iniziato a bere, la faceva stare meglio, così ho iniziato a farlo anch'io. Con lei funzionava, ero convinto che avrebbe funzionato anche con me. Le chiedevo ogni tanto un bicchiere e lei me lo allungava, credo per farmi star zitto. Quando ho compiuto dodici anni ho iniziato a bere anche da solo, a prescindere dai momenti in cui era lei a farlo. Aiutava a... tamponare il mio umore.»
«Mh.» Harvey non aggiunse altro. La prima volta che lo aveva visto, ricordava di avergli fatto notare che era di poche parole. Alexander aveva sempre creduto che le persone con più cose da dire finissero sempre per essere quelle che poi all'atto pratico ne pronunciavano meno, e Harvey gliene aveva dato conferma soltanto esistendo. Lo vide accigliarsi, perplesso. «Hai mai portato i capelli lunghi?»
Rise, e gli parve vedere le spalle di Harvey rilassarsi al sentirlo. «Santo cielo, no. Che orrendo crimine sarebbe! T'immagini?»
«Che taglia di camicia porti?»
«Oh, non ne ho idea. Le mie camicie sono tutte fatte su misura per me, non acquisto nulla di preconfezionato.»
«Ultima busta!» Harvey la sventolò, vittorioso, e Alexander seppe che non vedeva l'ora di andarsene da lì.
Sorrise. «Bene, ti libero subito, così potrai tornare ai tuoi affari. Procedi pure.»
Lui si bloccò. «Alex, tu lo sai che sono felice di passare del tempo con te, non è vero?»
«Ma certo» rispose. Del resto, lo stava pagando per leggere qualche lettera, come poteva essere altrimenti?
Sembrò avergli letto nel pensiero. «Io sono al tuo servizio, sempre... perché sono tuo amico. Puoi farmi chiamare quando hai bisogno, non occorre pagarmi. Io aiuto te e tu aiuti me, perché è bello farlo.»
Sentì il sorriso che si addolciva. Sì, forse si sarebbe concesso di credere almeno a questo. «Leggi, avanti.»
«Missiva da parte di Charlotte, della divinità . Si apre così: posso chiamarti Alex?»
«No.» Alexander non riteneva di aver dato una risposta più veloce di quella. «Sono desolato, davvero, ma permetto solo alle persone che amo molto di chiamarmi in quel modo, sono davvero poche e non vi conosco abbastanza da ritenervi una di queste. C'è altro?»
«Alex?» Harvey era tornato a osservarlo.
«Sì, mio caro?»
Un angolo delle sue labbra si piegò all'insù. «Niente. Mi assicuravo solo che stessi ascoltando.»
«Ti do forse mai l'impressione di non farlo? In quel caso me ne dispiaccio.»
Il ragazzo tornò con gli occhi sul foglio, ma sembrava tornato di buon umore. Buon umore che sfumò in perplessità non appena proseguì a leggere. «Hai mai fatto una figuraccia durante un appuntamento?»
«Oh, una domanda piuttosto sfacciata» commentò, aggiustandosi sulla poltroncina e bevendo un sorso di vino. «Non ho ancora avuto il piacere di intrattenermi nell'arte del corteggiamento, ma dubito davvero di esserne portato, quindi è probabile che, quando mai comincerò, accadrà.»
«Sono sicuro che saresti un ottimo corteggiatore» si inserì Harvey.
«Questa tua fiducia in me mi rinfranca molto, ma temo di essere davvero goffo con chiunque susciti anche solo lontanamente il mio interesse.» E come poteva Harvey non averlo capito? Ogni volta che si incontravano, Alexander finiva per mettersi in ridicolo.
«Allora non devo piacerti affatto, perché goffo è davvero l'ultimo termine che utilizzerei per descriverti» commentò, d'un tratto freddo.
«Sì? E che termine utilizzeresti per descrivermi, allora?»
Harvey fece una smorfia. «Al momento, un po' troppo curioso. Vado avanti!» Tornò alla lettera che si era un po' irrigidito. «Qual è la tua dolce metà ideale?»
«La mia dolce metà ideale» ripeté, per sentirne il sapore sulla lingua. Per amore della sintesi, avrebbe amato poter rispondere: Guardati dentro e troverai la risposta. Tutto inizia e finisce con te. Non avrebbe potuto pronunciare quelle parole, per cui si sforzò di pensare a un altro modo. Del resto, cosa gli piaceva di Harvey? Troppe cose per elencarle tutte, ma cosa gli piaceva di più? Lampeggiò alla mente la dolcezza con cui teneva la sorellina tra le braccia appena sveglio e seppe la risposta. «La mia dolce metà ideale è... affettuosa.»
«Affettuosa?»
«Sì. Mi piace pensare... mi piace pensare che, se mai avrò qualcuno accanto, quel qualcuno terrà davvero a me. Mi piace pensare che mi farà sentire... amato.»
Lo vide deglutire a vuoto ed esitare qualche istante. «Nient'altro?»
«Beh, certamente dev'essere una dolce metà attraente... l'ho detto che l'occhio vuole la sua parte, è ovvio. Mi piace pensare anche che sia affidabile, leale, e altruista. Sì, direi che i tratti fondamentali sono questi.»
Harvey deglutì ancora. «Sono certo che troverai presto una fanciulla che corrisponde alle tue preferenze e che ti amerà tantissimo. Vado avanti.»
Come poteva essere così ottuso? «Sciocca, anche» sospirò.
«Come?»
«La mia dolce metà ideale è una dolce metà sciocca, è evidente.»
«Sciocca? A te non piacciono gli sciocchi.»
«Lo credevo anch'io, ma anche i migliori sbagliano.»
«Vuoi davvero una moglie sciocca?»
«Non mi pare di aver parlato di una moglie.»
«Hai parlato di "dolce metà".»
«Appunto.»
Lo vide arrendersi con un sospiro. «Ultima domanda. Se tu avessi la possibilità di vivere per un giorno nei panni di qualcuno che conosci, in che panni vivresti?»
«Rispondere la regina Vittoria è considerato valido?»
«Non saprei. Immagino dipenda da cosa si intende per "conosci".»
«Uhm. Beh, nel caso in cui la risposta non sia accettabile...» spese qualche istante per riflettere. «Forse Hector.»
Harvey arricciò il volto in una smorfia. «Hector?!»
«Sì, Hector. Lui piace alle persone. Piace persino a mia madre. È una versione migliore e più affabile di me.»
«Una versione migliore di te?!»
«Come mai ripeti ogni cosa che dico in tono oltraggiato?»
«Tuo fratello non vale neanche l'unghia del tuo mignolo.»
«Lo dici perché non lo conosci.»
«Certo che lo conosco. Conosco come mi guarda, solo perché non ho un titolo nobiliare davanti al nome, o un lavoro rispettabile. Conosco come mi guardi tu. La differenza è abbastanza, per me.»
Che buffo. Non riteneva che Harvey conoscesse come Alexander lo guardava, altrimenti sarebbe uscito da quella stanza senza guardarsi indietro, o rimasto al suo interno senza più neanche un indumento addosso. «Immagino che sì, conti anche questo.»
Fu allora che il ragazzo si alzò. «Abbiamo finito, devo andare. Il signor Johnson mi aspetta, non posso permettermi di arrivare in ritardo.»
«Vai. Manderò George ad accompagnarti in carrozza.»
«Non voglio essere di alcun disturbo.»
«Non disturbi affatto. Verrò a prenderti al termine del turno come sempre, ti consegnerò le sterline pattuite per i tuoi servizi di questo pomeriggio molto presto.»
«Te l'ho detto, non occorre pagarmi.»
«Beh, io lo farò lo stesso. Harvey...» esitò. «Grazie per essere stato con me, oggi.»
Lo vide espirare, il suo volto rilassarsi. «Non c'era altro che avrei fatto più volentieri di questo. Ci rivedremo stasera» liquidò, e dopo aver posato il plico di lettere sul tavolino, sparì oltre la porta.
Alexander chiuse gli occhi e si abbandonò allo schienale della poltroncina. Chissà quanto sua madre sarebbe stata furiosa del suo monopolizzare la saletta da lettura per tutto quel tempo... almeno, si disse, aveva passato la serata in piacevole compagnia.
Cercò la bottiglia a tentoni e bevve dal suo collo senza curarsi di usare il calice, da solo non aveva bisogno di badare all'etichetta.
Alla fine, sarebbe potuta andare molto peggio.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro