Capitolo 90
L'anno che seguì fu il più frenetico della mia vita. Dover gestire due bambini piccoli e l'organizzazione di un matrimonio, non uno qualsiasi ma quello con un principe, mi buttò nel terrore di non farcela. Eppure di base a me non era richiesto il minimo sforzo. Erano i sarti, i fioristi e gli orafi a presentarmi le stoffe più pregiate, i fiori migliori della stagione o le gemme più preziose e io dovevo solo esprimere una preferenza, nulla più. In questo Carlyle mi aveva lasciato carta bianca.
Il giorno dell'ultima prova dell'abito quasi svenni dall'emozione. Era arrivata la modista di buon mattino e mi aveva intimato di indossare l'abito con il suo marcato accento italiano. Avevo optato per un qualcosa di ampio, color panna con rifiniture d'oro, con maniche longilinee e un bustino molto stretto. Qualcosa di completamente diverso dalla semplicità del vestito del mio primo matrimonio. Non sarebbe stata la mia prima scelta ma alla fine mi lasciai convincere da quella donna perché dal suo punto di vista a un membro della famiglia reale spettava un abito di medesima fattura, non sapendo se così facendo avrei assecondato più i gusti del principe o i suoi.
Il giorno della cerimonia arrivò. Il tempo era stato clemente e ci aveva deliziato con una dolce giornata di maggio. L'aria era mite e i colori della natura al risveglio preannunciavano un futuro roseo.
I preparativi erano cominciati dalla mattina presto: personale che entrava e usciva, la modista che apportava le ultimissime correzioni alla sua opera d'arte, la truccatrice che mischiava amido di riso e pigmento perlaceo per far risaltare il mio incarnato e tutti gli altri che cercavano di dare il loro contributo in quel giorno così solenne.
La mia stanza in pratica era in subbuglio. Io dal canto mio osservavo tutto da spettatrice, mentre i miei capelli venivano avvolti nel ferro rovente e fissati in un raccolto morbido.
Rintoccarono le dieci del mattino e la porta di fronte la quale ero rimasta ferma come un pezzo di ghiaccio si aprì. Stava succedendo veramente? Camminai lungo il corridoio accompagnata dal fracassare del cuore che mi scoppiava nel petto, scesi le scale e mi ressi alla balaustra per non perdere l'equilibrio. Avevo la testa che mi vorticava come la Terra attorno al Sole. In basso c'erano mia madre e Daisy ad aspettarmi. Non irruppi in un pianto solo per non impasticciare tutto quel miscuglio di polveri che avevo sul volto, ma la stessa cosa non valse per loro. Mia madre, che negli anni era stata investita da una vecchiaia irruenta, sembrava invece essere tornata fanciulla, con quell'abito color pesca e quelle gioie indosso che le aveva regalato mio padre quando erano ancora giovani spensierati.
«Sei bellissima, una vera principessa!»
«Mamma, principessa non lo sarò mai, è un titolo che non mi si addice.»
Ridemmo e poi ci accoccolammo in un abbraccio nostalgico.
Mi fecero strada verso la carrozza, ognuna su un lato per reggermi l'abito e il velo. Allora mi accomodai sul sedile in velluto e questa percorse quelle poche centinaia di metri che mi separavano dalla mia nuova vita. Una volta arrivata davanti la chiesa tutto divenne più surreale. Ero rimasta completamente sola davanti l'ingresso ma quasi come un messo divino Sir Jacques arrivò in mio soccorso.
«Anthea! Che bella che siete! Ma che brutta cera però! Suvvia un po' su con il morale, c'è dentro il principe che vi aspetta!»
«Théodore, apprezzo il vostro tentativo di farmi stare più tranquilla ma avete fallito miseramente. Credo che il mio stomaco cederà a breve.»
Questi mi strizzò l'occhio e con marcato accento francese mi pose una mano sulla spalla «Andrà tutto bene, vedrete! Ora fate un bel respiro e prendete coraggio!»
Sir Jacques mi fissò un secondo, il tempo per dirmi che di lì a poco avrebbe aperto le porte della chiesa e non appena lo fece la musica dell'organo ne permeò ogni angolo, fino a quando una ventata di broccati e perle catturò la mia attenzione.
Un mormorio di meraviglia si elevò e fu solo allora che Carlyle si voltò a guardarmi. In quel momento tutto scomparve e venni ricatapultata a qualche anno prima, quando ci eravamo appena conosciuti, quando provavo la più tremenda timidezza a calpestare solo i suoi passi. Tutto ricomparve davanti i miei occhi: l'incontro al fiume, da Margot's, la pioggia nel tempietto dell'amore, l'incontro nelle cucine, la gravidanza, Amaranta, Elhia, la proposta... e si concluse con lui che mi guardava estasiato e desideroso di farmi sua moglie.
Camminai lungo la navata e mi meravigliai di quante persone fossero lì per me. C'erano mia madre, Daisy, Hilde, c'era mio padre che mi sorrideva nel bagliore di una luce bianca e c'era anche Marfa, sentivo il suo spirito, con i suoi ricci molleggianti, la sua risata squillante e il suo sorriso vivo e coinvolgente. C'era poi Lydia in quel suo abitino verde acqua che carezzava la mano di Ethelwulf come se stringesse un cucciolo. Da qualche mese infatti i due si frequentavano e questa per me fu una grande notizia, soprattutto averlo lì, a testimonianza che il passato era passato. Scorsi anche Edwina in una delle prime file con il bastone in mano e un po' ricurva ma con la solita modesta eleganza.
«La mia mamma!» mi indicò Elhia dal braccio di sua zia. Questa scoppiò in un sorriso timido e gli passò dolcemente la mano sulla bocca per farlo tacere.
Giunta davanti l'alare, Carlyle mi afferrò per la mano e mi aiutò a salire.
«Sei bellissima. La cosa più bella che abbia mai visto.»
Avvampai sulle guance e abbassai gli occhi per non farmi vedere «Vorrei che fossimo solo noi due in questo momento, Anthea. Vorrei averti ora solo per me, carezzarti, baciarti, farti mia.» sussurrò così che nessuno potesse sentirlo.
«Ti ricordo dove siamo e che i tuoi pensieri non sono così segreti!»
«Oggi siamo qui riuniti nella casa del Signore per celebrare questo matrimonio...» padre Baruffaldi non perse tempo e diede inizio alla celebrazione. Ci furono le letture, le preghiere, i canti e le promesse. Lì seduta vicino a lui mi voltai per domandarmi ancora una volta se fosse tutto vero. E lo era. La luce che entrava dalle vetrate colorate rifletteva attorno al suo profilo un'aurea fluorescente tanto che se non avessi saputo si trattasse di Carlyle avrei potuto dire fosse un angelo sceso in terra. I capelli mossi e vaporosi, le ciglia folte e il naso appuntito, le labbra carnose e rosse e quel vestito blu e oro che aveva scelto: tutto nell'insieme era perfetto.
«È ora dello scambio degli anelli!»
Ci voltammo tutti verso l'ingresso della chiesa e sbucò Amaranta con un cuscinetto in mano e tanta vergogna ad accompagnarla. Si guardò attorno confusa, non del tutto sicura di quello che avrebbe dovuto fare. Il mormorio di voci vezzeggiatrici la gettò ancora di più nello sconforto tanto che per poco non scoppiò a piangere. Suo padre allora le fece cenno con la mano e le intimò dolcemente di avvicinarsi e così la bambina fece.
«Io, Carlyle, principe di Sommerseth, prendo te Anthea, come mia legittima sposa per amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.» suggellata la sua promessa, prese la mia mano e infilò l'anello d'oro nel mio anulare sinistro e poi mi baciò con dolcezza e desiderio a simboleggiare che ero sua e che lo sarei stata per sempre.
Padre Baruffaldi schiarì la voce e corrucciò le sopracciglia «Vostra Maestà, non era ancora il momento, ma va bene, lascerò correre.»
Chiunque, compresa la sottoscritta, rise.
Dunque toccò a me e per l'ennesima volta tutta la mia vita passò al setaccio. Afferrai l'anello e lo portai all'altezza della mano «Io, Anthea, prendo te Carlyle, come mio legittimo sposo, per amarti e esserti fedele sempre, per essere la moglie che desideri e la madre migliore per i nostri figli.»
In quel momento padre Baruffaldi consacrò la nostra unione e solo allora consentì allo sposo di baciare la sposa. Le campane della chiesa esplosero a festa e un fragoroso applauso eruppe subito dopo. Eravamo marito e moglie. Terminata la cerimonia i bambini si liberarono delle premure della loro nonna e corsero addosso a me e a Carlyle per avvinghiarsi come scimmie. Il resto degli invitati si avvicinò per congratularsi e condividere con noi i loro auguri: se fosse stato lì presente il pittore più abile e rapido che avesse conosciuto il mondo avrebbe suggellato su tela tutta la felicità di quel momento.
Ci spostammo verso la sala del ricevimento e nel viaggio in carrozza fissai quell'anello come stregata, per sincerarmi che fosse ancora lì e non solo frutto della mia immaginazione.
«Ti amo! Te l'ho già detto?» esordì il principe.
Sorrisi vergognosamente ma contenta che non ci saremmo più dovuti nascondere.
«Credo che non sia mai abbastanza! Ti amo anche io e non ho mai desiderato nessuno come desidero te.» mi prese per le mani e mi baciò di nuovo e ancora e ancora fino a quando non giungemmo a destinazione.
«Il principe Carlyle e la principessa consorte, Anthea Kynaston!» così venimmo annunciati una volta fatto l'ingresso nella sala del ricevimento. Mi tremarono le mani al vedere tutti quegli occhi puntati ma Carlyle le strinse a sé con vigore per infondermi sicurezza.
«Non temere, è qualcosa a cui ti abituerai presto.»
Allora i violini intonarono una musica solenne e il principe mi fece strada verso il centro della sala «Carlyle... ma cosa... non mi avevi preparato a questo! Un ballo? Ora?» bisbigliai.
«Per i reali funziona così, spesso si improvvisa ma bisogna sempre dare l'impressione di essere preparati. Anche questa è una cosa che imparerai con il tempo.» allora mi tirò a sé e mi strinse per il bacino. Le punte dei nostri nasi per poco non si sfiorarono e il suo fiato cosi caldo sciolse la ventata di paura e impreparazione che mi aveva colta. Danzai come se conoscevo quel ballo alla perfezione.
La musica si interruppe e fu così che cominciò il banchetto. Giunsero le pietanze più particolari e ricercate che le cucine del palazzo avessero mai sfornato. Ci fu addirittura chi si meravigliò di tanta opulenza. Il pranzo fu spesso intervallato da brindisi, auguri e omaggi di ogni tipo per la nostra coppia che si formava. Quando giunse il pomeriggio e gli animi di tutti erano rigonfi di serenità e desiderio di continuare con i festeggiamenti mi ritirai sul ciglio della finestra per guardare da lontano il frutto più prezioso che quell'unione aveva prodotto.
Amaranta e Elhia, che avevano resistito fino a quando la pesantezza degli adulti non aveva preso il sopravvento, si divertivano nel verde del cortile, a fantasticare storie su fate danzanti e leoni coraggiosi, tutto sotto lo sguardo vigile della loro balia che non li perdeva d'occhio neanche un secondo.
Una mano calda scivolò lungo la linea del mio collo «È tutto così perfetto. Stento a crederci.» sussurrai come una ragazzina malata d'amore.
«Siete voi ad averlo reso perfetto. Voi tre siete perfetti sotto ogni aspetto. E vi amo, ve l'ho già detto?»
Soffocai un sorriso «Pensi che sarò all'altezza di quello che mi aspetta? Non sono figlia di reali, non abbastanza figlia di questo mondo.»
«Tu ti sottovaluti Anthea, tu hai superato le aspettative, le mie le hai stese. Mamma orsa!» e mi chiamò come fece Hilde alla nascita di Amaranta. Mi feci scudo nel suo torace e mi voltai per baciarlo perché non c'era più niente che avrebbe potuto impedirmelo. Lo fissai ancora per un po' dritto nelle iridi e ripensai a come quell'uomo aveva stravolto la mia vita e a tutto ciò che avevo passato pur di stare al suo fianco. Io, Anthea, che volevo solo acquistare una fattoria.
«Che ne dici se io e te ci dileguiamo da questa massa? Lasciamoli ancora divertire per un po' prima che tornino alla loro noiosa quotidianità.»
Mi strinse a sé e sentii la sua virilità pulsarmi addosso.
Gettai un ultimo sguardo verso i nostri figli. Stavano ancora giocando. A un tratto, come interrotti da un richiamo, si voltarono verso di me e mi salutarono con le loro manine infantili. Li salutai a mia volta e inviai loro un bacio. Come li amavo e come ero completa da quando erano nella mia vita.
Sgattaiolammo da quel crogiolo di festa senza farci vedere. Carlyle mi tenne per mano senza mollare mai la presa e corremmo tra i corridoi di palazzo come bambini che non volevano essere scoperti. Divorammo le scale a ritmo di cavalli da corsa mentre ridevamo spensierati e estasiati per l'inizio di quel capitolo di vita. Davanti la porta della nostra camera di nozze non resistemmo dal baciarci appassionatamente perché vittime senza speranza delle nostre carni e poi, come assuefatti, riflettemmo ancora una volta su quanto dovevamo esser stati fortunati a incontrarci.
«Prego! Prima tu!» ammiccò facendomi entrare.
Serrai la porta a chiave mentre Carlyle si sbottonava già il colletto e ci rinchiudemmo come prigionieri felici di quell'angolo di mondo per annientarci in ciò che a moglie e marito era concesso fare.
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