Capitolo 9 - prima parte
Strinsi le gambe tra di loro per nascondere un minimo quella sensazione di bagnato. L'inizio del dibattito mi fece tuttavia drizzare la schiena e puntare le ginocchia.
Era salito sul leggio un uomo sulla sessantina, con gli occhi chiari e con una parrucca grigia. Estrasse dal suo panciotto un rotolo di carta e avvicinò agli occhi un paio di occhiali tascabili.
«Vostra Maestà» si girò con lo sguardo verso il principe che rispose con un movimento di testa «Signori del Consiglio» proseguì «ci troviamo qui per decidere in merito a un evento che chiama Sommerseth in prima linea e che potrebbe cambiare il resto della storia. Qui non si tratta di optare per la scelta più etica ma per la scelta più giusta, che potrebbe significare anche più egoistica. Signori miei, Vostra Maestà, sono qui per chiedervi a nome mio e a nome della fazione Bianca, di abortire la scelta della fazione Rossa di prendere parte alla spedizione britannica e prussiana contro la Francia.»
Si udì nella stanza un grande vociare derivante dall'ala alla sinistra del principe che evidentemente non approvava questa posizione. Consiglieri che battevano i pugni sui banchi, altri che scuotevano la testa in senso di disapprovazione e chi invece, noncurante del luogo in cui si trovava, urlava parole incomprensibili che non facevano altro che aumentare il baccano. Il Cancelliere alzandosi di scatto dal suo banco prese la parola.
«Per favore, per favore! Ognuno di noi avrà la parola ma abbiate il buon senso di lasciar terminare il discorso al vostro collega! Credete di essere al mercato?
Non avevo mai assistito a un dibattito politico di quel tipo, ovviamente. Pensai che però quell'episodio non fosse straordinario, ma che rientrasse nella pura normalità.
«Voi Bianchi siete dei folli! Non capite che risvolto geopolitico avrà la nostra assenza sul campo di battaglia!»
«Avete forse perso il senno? Dimenticate il patto che re Giorgio I ha concluso con il padre di Sua Maestà, il principe?»
Esclamazioni cariche di sgomento si alzarono dalla platea, senza però che fosse chiaro da chi provenissero.
«Sir Fernsby, vi prego, continuate la vostra dissertazione.» incalzò il Cancelliere con tono esortativo.
«Vi ringrazio Lord Cancelliere» sir Fernsby fece un respiro profondo e, solo dopo che il silenzio fosse risceso in aula, riprese il discorso «Il Principato gode di una sua autonomia da anni ormai. Da prima ancora che i miei genitori nascessero. Questo lo ha reso neutrale agli occhi dei più potenti stati europei. Se adesso Vostra Maestà decideste di far fuoriuscire Sommerseth dalla sua posizione di non intervento ci sarebbero due inevitabili conseguenze: la Gran Bretagna ci guarderebbe con gli occhi di chi pensa di avere sempre i nostri uomini alla sua mercé, mentre Francia, Prussia, Austria e Spagna diventerebbero sicuramente nostre nemiche e questo di certo non assicurerebbe la pace di cui il Principato ha goduto fino a ora.»
Sir Fernsby continuò il suo discorso impregnandolo di parole piene di costernazione con l'evidente intento di piegare l'ancora ignota opinione del principe a suo favore.
Una volta terminato il suo discorso, sir Fernsby arrotolò il suo gobbo e lo annodò con un cordino colorato, infilò gli occhiali dorati nel panciotto e, dopo aver fatto cenno di riverenza al principe, scese dal leggio e con passo lento tornò a prendere il suo posto.
Si avvicinò al leggio un altro uomo, con il viso arcuato dalla rabbia e con i pugni serrati. Pensai si trattasse del capo della fazione dei Rossi che corse lì impetuoso per rispondere alla dissertazione del suo collega e, da come si agitava, sembrava non volesse affatto mandargliele a dire.
«Vostra Maestà, Signori del Consiglio. In quanto capo della mia fazione sono qui per sottolineare la necessità per Sommersweth di prendere parte a un conflitto di così vasta portata che getterebbe una sorprendente luce sullo stesso Principato, luce di cui fino a ora non ha mai goduto. Mettiamo fine a questa indifferenza con cui Sommerseth è stato trattato fino a ora dalle altre potenze! Inviamo un chiaro messaggio! Sommerseth esiste e ha voce in capitolo anche di fronte agli Stati nazionali! Partire per la guerra significa sottolineare che il Principato è una macchina pulsante e non un semplice ingranaggio che viene attivato all'occorrenza. Vostra Maestà, date importanza all'occasione ci si è presentata di fronte e capite che saremmo solo degli stolti a farcela fuggire dalle mani!»
«Sanguinari!»
«Sommerseth pagherà un caro prezzo senza avere nulla in cambio!»
«Voi Rossi vi cibate di utopia sulle spalle dei nostri uomini!»
Il malcontento dei bianchi era palpabile. Le voci si accavallavano l'una sull'altra, con timbro sempre superiore, a testimonianza della legge secondo la quale chi grida più forte sorpassa gli altri. Come sarebbe stato evidente, una volta esternato il proprio schieramento a favore della Gran Bretagna, i membri del Consiglio sarebbero rimasti a occuparsi delle faccende economiche e politiche del Principato mentre sarebbe stato il ceto medio a versare il sangue sul campo di battaglia, tutto questo per uno sciocco desiderio di esibizionismo di fronte all'Europa.
«Sir Loughty, come pensate di finanziare una missione del genere?» Sir Fernsby, che durante la sua esposizione si era dimostrato calmo e sicuro delle suo ragionamento, in quel momento sembrò trattenere con difficoltà le parole di rabbia che in una sede diversa da quella presente avrebbe sputato senza ombra di rimorso sul suo opponente.
«Sir Fernsby ci sarei arrivato ora se non mi aveste interrotto prima. Converrete con me che una tale spedizione necessita di ingenti risorse che la sola corona non è in grado di sopportare, per questo ritengo che sia necessario estendere tale impegno a tutti i cittadini di Sommerseth...»
«In che maniera! In che maniera! Ditelo, lo so dove volete arrivare!» Sir Fernsby in quel momento era incontrollabile, tanto che il collega che era seduto vicino a lui dovette alzarsi e mettere una mano sulla spalla del suo capo fazione, per cercare di rabbonirlo ed evitare che la sua ira divenisse ingestibile.
Sir Loughty prima di rispondere guardò il suo gobbo, come in cerca della replica che avrebbe dovuto sganciare. Evidentemente la risposta di cui era in cerca non era scritta da nessuna parte, il ché lo rese cosciente che la sentenza era una e una sola ed era proprio quella che aveva impressa nella mente. I suoi occhi carichi di vigore fino a un secondo prima cambiarono forma e assunsero quella morbida delle onde, la sua bocca dalla quale erano uscite sentenze cariche di convinzione proferì poche parole, quasi a sussurrarle.
«Aumentando le tasse e in particolare il tributo di residenza che fino ad adesso ho giudicato personalmente troppo basso e incongruente con gli obiettivi per il quale è stato istituito.»
Era inevitabile che la risposta fosse quella, la guerra costava e c'era bisogno di soldi per finanziare una spedizione. Mi rivenne in mente quella serie di difficoltà e ritardi che i miei genitori si erano trovati ad affrontare per poter portare a termine i doveri che spettavano a ciascun cittadino di Sommerseth. La notizia in quell'occasione comportò non poco malessere nell'aula.
«Vostra Maestà se acconsentirete a questo la ribellione civile sarà inevitabile! Voi stesso siete a conoscenza della difficoltà di molte famiglie nel saldare il debito a ogni scadenza. Se il malcontento dilagasse tra i cittadini non ci sarebbe nessuna ragione per biasimarli!» esclamò una voce indistinta tra le file dei Bianchi.
«Ma sapete anche voi che rappresenta la maggior entrata per le casse del Principato e che il suo aumento terrebbe fede allo scopo per il quale è stato imposto!» le parole di Sir Loughty si fecero tuonanti.
Erano quasi diciotto anni che ero venuta al mondo e da almeno quattro mi ritenevo in grado di comprendere le questioni politiche ed economiche che un giorno avrebbero interessato anche me. Tuttavia, per quanto i miei genitori pagassero il tributo da sempre, non mi ero mai chiesta il motivo per cui era stato istituito e quella fu la prima occasione in cui il dubbio prese il sopravvento.
Da lontano vidi sir Jacques che si avvicinava verso di me, con movimenti molto agili e con passi leggeri, quasi ad aver timore di apparire troppo presente nell'aula dove si stava decretando il futuro di Sommerseth. Quando mi vide aprì gli occhi nocciola e sorrise come a voler dimostrare che era proprio me che stava cercando. Si mise proprio di fianco a dove ero, con le spalle alla balaustra di marmo. Era venuto lì per dirmi qualcosa ma non poteva parlare apertamente senza disturbare la platea. Rimanendo con lo sguardo in direzione del principe, abbassò un po' la testa in direzione del mio orecchio e con una bocca che tentava di mantenere la forma di un sorriso, mi chiese «Anthea, avete idea di dove si trovi la vostra compagna di stanza?»
«Marfa?»
«Beh sì, proprio lei, è almeno mezz'ora che la cerco e ancora non l'ho trovata! La principessa la reclama nella Sala grande!»
«No, sir Jacques mi dispiace, non ho idea di dove si trovi. Possibile sia scomparsa da un momento all'altro se è entrata nella stanza del Consiglio insieme a me?» il comportamento di quella ragazza iniziava a preoccuparmi. Prima i suoi silenzi e i suoi sguardi persi nel vuoto, poi la sua scomparsa nel bel mezzo di una riunione.
Cosa stava nascondendo? Era solo una coincidenza o c'era qualcosa di cui sarebbe stato bene preoccuparsi?
«A volte mi chiedo se voi tutte siete venute qui a palazzo per crogiolarvi tra tappeti persiani e mezzibusti in marmo. Buon Dio, e adesso dove la trovo!» il maggiordomo iniziò a lagnarsi come un bambino, in maniera sproporzionata al motivo del suo lamento. Se anche Marfa non si fosse ritrovata di certo non sarebbe stata colpa di Sir Jacques.
«Avete provato nei giardini?» domandai pensando di poter dare una mano in qualche modo.
«Avete idea di quanti ettari siano? Un pover' uomo come me non ha abbastanza fiato per percorrerli tutti in un giorno, immaginate per cercare una donna che si sta improvvisando fuggiasca.»
«Suvvia Théodore, addirittura fuggiasca!»
«Pensate che stia esagerando? Non avete idea di quante volte la vostra collega si sia comportata così! Oh buon Dio e ora come faccio?» la sua lagna sembrava non avere fine.
Dunque Marfa non era diventata imprevedibile dal mio arrivo, ma bene o male lo era sempre stata. Dovevo andare a fondo a questa storia e avrei dovuto farlo senza destare alcun sospetto altrimenti la mia compagna si sarebbe comportata in modo ancora più scostante. Non volevo che iniziasse a dubitare di me.
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