Capitolo 88
Quando Re Luigi comparve all'orizzonte seguito da uno stuolo infinito di soldati, Godwin capì. Anche se avessero vinto la guerra, cosa di cui era pressoché sicuro, sarebbe stato retrocesso a una condizione in cui non si era mai trovato poiché non sarebbe stato più signore di niente. Una condizione che dovette disgustarlo non poco. Da subito infatti gli fu chiaro che suo fratello lo aveva usato come merce di scambio e per un momento dovette ritenersi anche uno sciocco nel credere che ciò non sarebbe successo, ciò nonostante scoprirsi all'improvviso privo di titolo e di possedimenti fu per lui un fulmine a ciel sereno.
La rabbia lo travolse all'improvviso come un uragano, insieme al pensiero che come uno stolto si era convinto che non ci sarebbero state ripercussioni su di lui. Non ebbe però il tempo di riflettere su quella scoperta che il campo si era riempito della presenza francese.
Re Giorgio dapprima sembrò vacillare. Anche lui rimase sconvolto da quell'intrusione, tuttavia non lo diede troppo a vedere. Era pur sempre un re e come tale avrebbe dovuto mantenerne il portamento.
«Re Luigi! Tutto avrei potuto immaginare tranne che questo!» il volto del re era sprezzante e carico di disgusto «Non solo ci incontriamo oltreoceano ma anche qui!»
«A quanto pare ovunque, Re Giorgio!» ribatté Luigi con forte accento francese.
Il monarca inglese non si fece intimorire dalla presenza dello storico nemico, combatterlo nelle Americhe o vicino casa poco importava.
«Avete agito d'astuzia principe Kynaston, anche con un po' di codardia aggiungerei! A che punto è arrivata la vostra disperazione, se non paura oserei, per chiedere aiuto al nemico che lo stesso vostro padre ripugnava! Credete che questo possa farci dimenticare il vero motivo per cui siamo qui?»
«Ho trovato in Re Luigi qualcuno che sposa la mia causa e che disprezza tanto quanto me la tirannia.»
«...oppure semplicemente qualcuno per il quale ogni occasione è buona per allargare il conflitto e stremare le sue armate.» detto questo scoppiò in una grossa risata.
«Re Giorgio, noto che il vizio di parlare a sproposito è ancora il vostro migliore amico!»
«La spada e lo scudo e la baionetta sono i miei migliori amici!» puntualizzò inferocito, quando decretò che la cosa stesse andando troppo per le lunghe.
«Gettate le armi e poniamo fino a questo scontro inutile. Le nostre armate sono già abbastanza provate! Oppure la vostra ingordigia e sete di potere sono talmente elevate da arrischiare la vita dei vostri uomini?»
«In questa situazione voi siete l'ultimo ad avere il diritto di parlare. É una faccenda che riguarda me e costui che tra non molto non sarà più principe! Avete commesso un grave errore quest'oggi!»
La presenza della Francia aveva infervorato Re Giorgio a perseguire con più convinzione il suo obiettivo, tanto che questi senza perdersi d'animo abbassò nuovamente sul volto l'elmo e strattonò il cavallo affinché partisse alla volta dell'avversario e, insieme a lui, tutto il suo esercito.
Inaspettatamente il suono acuto della stessa tromba squarciò nuovamente l'aria.
Il Re inglese tirò le briglie e il cavallo si impennò per aria, allora si voltò indietro per capire da dove provenisse il tremore del suolo che a poco a poco si faceva più insistente.
Dalla parte opposta, proprio da dove lui stesso era provenuto con la sua armata, un esercito straniero fece il suo ingresso.
Una capigliatura biondo platino spuntò all'orizzonte seguita da soldati dagli occhi ghiaccio e dalla pelle diafana.
Riconobbi allora Re Cristiano e così altrettanto fece Giorgio nello stesso momento.
Il re inglese, deciso a mantenere salda la sua autorevolezza, fulminò Carlyle in una maniera che poco lasciava all'immaginazione: lo avrebbe ucciso con le sue mani se avesse potuto.
Il campo di battaglia era gremito di soldati, gli inglesi era circondati in ogni dove: l'armata del principato a ovest, i francesi a est e i danesi che chiudevano quel cerchio senza lasciare via di scampo. Se anche gli inglesi avessero voluto tentare la fuga avrebbero incontrato la spada e se anche avessero deciso di combattere avrebbero sicuramente trovato la morte. Il destino era comunque uno e uno solo in ogni caso.
Il terrore si sparse come una piaga tra i soldati di Re Giorgio. Sembrarono non essere più pronti o intenzionati a combattere.
«Re Giorgio, arrendetevi ora oppure la vostra gente verrà martoriata e voi verrete fatto prigioniero per essere giustiziato in pubblica piazza. Riconoscete la mia clemenza, fintanto che non cambi idea, poiché vi sto dando una possibilità che forse voi stesso non avreste garantito a me.»
All'udire quelle parole il re inveii contro Carlyle parole immonde che chi udì non avrebbe avuto desiderio a ripetere neanche dopo cento anni.
Jocelyn dal canto suo, da architettatrice di una guerra dai risultati quasi certi, si ritrovò a stringere tra le mani un pugno di mosche.
I soldati inglesi sbraitarono, scossero in aria le spade, gridarono al cielo e ai loro santi di risparmiarli da quella fine certa.
Re Giorgio, con un'ira che sapeva di morte, centrò Carlyle nelle iridi e le incendiò di astio e di mille altri presagi che maledirono la sua persona e la sua discendenza.
«Arrendetevi, Vostra Maestà.»
Ero immobile in un angolo della sala del trono. Carlyle aveva insistito affinché ci fossi anche io ma avrei preferito stare in qualsiasi altro luogo che non fosse quello. Strinsi le palpebre e pensai che forse di peggio c'era stato solo il campo di battaglia.
La guerra era per grazia del cielo un lontano e orrido ricordo. Il re inglese, di fronte alla morte, aveva deciso di gettare la spada senza prima minacciare il principe che vincere una battaglia non significava vincere una guerra. A quelle parole non venne dato più del significato che meritassero. L'esercito inglese batté la ritirata il giorno stesso e quel campo di terrore si trasformò in un campo di festa. Scorsero fiumi di sidro e di birra, qualcheduno si intrattenne con prostituite, altri di fronte a un focolare a intonare canti dalle melodie antiche e l'ubriachezza che ne derivò fu il simbolo della serenità ritrovata. Re Luigi e Re Cristiano si trattennero il necessario per festeggiare l'esito del conflitto ma poi furono costretti a tornare in patria, felici per lo scontro risparmiato e per il bottino ottenuto.
«La loro carrozza è arrivata, Vostra Maestà.»
«Bene, portateli qui.»
Sir Jacques fece un inchino e si diresse verso quegli ospiti che Carlyle attendeva da giorni.
La porta si richiuse e la stanza ripiombò nel silenzio. Avevo le mani che tremavano e il respiro mozzo. Carlyle se ne accorse e mi guardò tenero.
«Sta serena, non hai nulla di cui preoccuparti.»
Al suono di tacchi sbattere sul marmo del corridoio seguì quello del cigolare della porta.
Entrò ancora una volta Sir Jacques.
«Vostra Maestà, la principessa Jocelyn Kynaston, sir Godwin Kynaston e sir Orville Patel.»
I tre entrarono e si posizionarono in fila davanti al principe, senza fare riverenze o cenni di saluto. I loro sguardi erano criptici. Si guardarono a lungo prima di inoltrarsi nel buio dello scontro che sarebbe scoppiato.
«Godwin...» sospirò il principe, come se avesse desiderato trovarselo davanti in occasioni migliori.
Questi lo osservò iracondo e rispose al richiamo lamentoso del fratello con parole cariche di astio. La sua rabbia era senza controllo.
«Godwin...Godwin...Mi hai sottratto tutto! Mi hai privato dell'unico possedimento che avrei mai potuto considerare mio! Era una cosa che avrebbe voluto anche nostro padre ma hai pensato bene di cederla a quei sporchi francesi!»
«Nostro padre avrebbe invece ceduto il suo principato all'Inghilterra? Godwin, ti ho sempre teso la mano... anche quando sei tornato qui intenzionato a farmi la guerra anziché essere mio alleato e maggiore confidente. Godwin, sei stato tu il primo a privarmi dell'affetto che solo un fratello può dare, un affetto che non ho mai conosciuto e che spero invece i miei figli conosceranno.»
«L'ho fatto perché sei un debole!»
«Ti sbagli. L'hai fatto perché sei un codardo accecato dal potere!»
Da lì capii che Godwin avrebbe odiato suo fratello per il resto dei suoi giorni e che per lui non ci sarebbe stata redenzione, per quanto lo stesso Carlyle gli avrebbe teso la mano anche in punto di morte.
Allora lo sguardo si spostò sulla gracile immagine di Jocelyn. La donna si presentò come un misto di paura e di sfida, a ogni modo speranzosa che la clemenza di quell'uomo l'avrebbe perdonata.
«Jocelyn, vi ricordate il giorno in cui ci siamo sposati?»
«Certo, certo che lo ricordo, marito mio!»
«È stato un giorno di festa.»
«Un giorno bellissimo!»
«Avevate chiare le vostre intenzioni anche quel giorno?» la principessa capì dove il principe volesse andare a parare e la speranza che l'uomo potesse perdonarla svanì in un istante.
«Dovete ritenermi una folle, una pazza manipolatrice, se pensate che io abbia impiegato il mio tempo assieme a voi per tramarvi alle spalle. Ho sbagliato e sono qui per implorarvi pietà, per ricominciare da dove ci eravamo lasciati. Io vi ho amato Carlyle, e so di amarvi tuttora! Il mio amore per voi non è mai scemato anche quando mi avete umiliata e tradita in pubblica piazza!» disse rivolgendosi a me.
«C'è stato un tempo in cui vi ho amato anche io, quando facevo affidamento sulla falsa convinzione che potessi fidarmi di voi, come mia moglie e mia regnante. Quel tempo tuttavia è andato e appartiene a un passato in cui ero troppo ingenuo per capire chi eravate veramente.»
«Marito mio, mi offendete! Perché dite così? Perché dipingermi come un mostro quando soventi sono state le occasioni in cui avrei ucciso a ferro e fuoco pur di difendervi?»
«Non capisco se il vostro è sarcasmo o ingenua convinzione.»
La principessa sembrò confusa, disorientata e prese a tremare per lo smarrimento.
«Marito mio, io...»
«Non chiamatemi così, non sono vostro marito. Non lo sono mai stato.»
Piombai in uno stato d'allarme non indifferente. D'un tratto per Jocelyn fu tutto chiaro e comprese perché avesse perso per sempre l'uomo che amava.
Carlyle allora si alzò in piedi con fare solenne «Jocelyn, Godwin, avete tramato alle mie spalle dal primo giorno in cui vi siete conosciuti, addirittura da prima che il mio finto matrimonio fosse accordato.»
«L'avete scoperto!» urlò Jocelyn con la convinzione che in realtà lo stesse solo pensando. Questa cadde preda di una malsana pazzia mentre Godwin non batté ciglio.
«Pensavate che non sarebbe mai successo?»
«Come avete fatto? Chi è stato?»
Istintivamente mi ritrassi indietro e Jocelyn notò purtroppo quel gesto «Siete stata voi! Lurida! Cagna!» urlò puntandomi il dito contro dalla collera.
«Come io lo abbia scoperto non importa, non era un qualcosa destinato a restare nascosto. Piuttosto potrei rifarmi su di voi per la menzogna che avete intessuto alle mie spalle. Detto questo non permettetevi più di offendere questa donna davanti a me!»
«Non lo pensavo, ma lo desideravo. Ve ne prego, è stato un errore di gioventù, fatto più per goliardia che per altro. Credete che davvero ci fosse intenzione? Credete che io ci abbia mai dato peso?»
«Delle motivazioni non me ne curo, agli atti voi non siete mai stata mia moglie.»
«Ho amato solo voi in tutta la mia vita! Più di mia madre, di mio padre, dei miei fratelli...!»
«Addirittura più della vostra sete di potere?»
«Non ho mai avuto sete di potere, non più di quanto mi spettasse! Per favore, non date peso a un errore di gioventù!»
La voce di Carlyle si fece solenne «Voi e mio fratello vi siete uniti in matrimonio prima che ci unissimo noi a nostra volta. La vostra giovane età e l'indifferenza sulle conseguenze che un tale atto avrebbe comportato non sono una giustificazione al fatto che il matrimonio che avete contratto in seguito con me è un'offesa agli occhi di Dio! Siete sua moglie e lo siete sempre stata!»
«Eravamo giovani, infatuati l'uno dell'altra. Scambiammo un brivido per amore e chiamammo un prete per suggellare quel sentimento che svanì prima che ce ne rendessimo conto. Non ha valore, è come se non fosse mai successo! È stato tutto un gioco!» la principessa scoppiò in un pianto e io provai quasi pena per lei, nonostante tutto ciò che mi aveva fatto passare.
Il principe non vacillò e sentenziò quello che sarebbe stato il futuro per quelle due persone a lui così familiari «Vi dichiaro pertanto traditori del regno, per aver cercato di venderci allo straniero, per aver messo a repentaglio la mia gente, per aver minato alla mia corona e per non aver avuto il ben che minimo interesse alle conseguenze che la vostra sconsideratezza avrebbe portato. Vi condanno dunque a non mettere più piede su questo suolo. Jocelyn, farò pervenire alla vostra famiglia la dote che mi è stata concessa al tempo e con questo, nonostante tutto, auguro a entrambe di trascorrere una vita felice.»
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