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Capitolo 87

«Non fatene parola con nessuno, intesi?»
Il cocchiere mi lasciò a qualche centinaio di metri dagli accampamenti. Ci avevo messo un po' a convincerlo ma alla fine ci ero riuscita. Fece cenno di sì con la testa e se ne andò titubante, incerto se sarebbe stato licenziato dopo aver commesso un atto simile.
Mi coprii la vista dal bagliore del sole e scrutai in lontananza delle cime di tende e qualche cavallo al galoppo. Ero diretta proprio lì. Afferrai dunque le balze della gonna per facilitarmi i movimenti, mi armai di coraggio e presi la rincorsa verso l'accampamento.
Ad un tratto fui fermata da un soldato a cavallo che comparve all'improvviso. Barcollai dallo spavento quando me lo ritrovai davanti.
«Ehilà, voi! Dove pensate di andare?»
«Sono diretta agli accampamenti!» grugnii in tono di sfida consapevole che mi avrebbe dato non poche grane. Non mi sarei di certo fatta fermare dal primo soldato.
«Tornate indietro! Non è un posto per donne questo!»
«Se sono qui è per una questione importante!»
«Vi ho già detto di tornare indietro e che le donne qui non sono ammesse! Al diavolo le vostre questioni importanti!»
«Dite la stessa cosa delle concubine con cui vi divertite da quando siete qui?»
Il cavallo spinto dalle briglie dell'uomo trottò per qualche passo e mi impedì il passaggio.
«Lasciatemi passare! Io sono...»
«So bene chi siete!» rispose con tono perentorio.
«Allora se sapete chi sono mi lascerete passare. Voglio vedere il principe!» ribadii la mia posizione in tono minaccioso.
L'uomo allora, quando capì che non avrei cambiato idea, scosse la testa e mi lasciò passare, non prima avermi lanciato l'ultimo avvertimento.
«Non ne sarà contento.»

Quando finalmente raggiunsi l'accampamento mi ritrovai ad avere la veste completamente infangata e i capelli in disordine. Provai come potei a darmi una sistemata e sgranocchiai quel tozzo di pane che mi ero portata dietro perché lo stomaco aveva cominciato a farsi sentire.
«Ehi voi, sapete dirmi qual è la tenda del principe?» domandai a un soldato disteso al sole più assonnato che pronto a combattere una guerra. Questi staccò una palpebra, mi guardò dubbioso e poi, quando capì che non aveva nulla da perdere, mi indicò con il dito una tenda non molto distante.
Raggiunsi il punto indicato e vi entrai. Intenti nel parlare e sottoscrivere pergamene vi trovai il primo ministro e due soldati di guardia.
Non appena feci il mio ingresso il primo ministro alzò la testa, si interruppe come a chiedersi chi potesse essere e poi rimase esterrefatto, se non deluso, nel vedermi.
«Cosa ci fate voi qui?»
«Ho bisogno di vedere il principe.»
L'uomo fece un cenno alle guardie e queste recepirono subito tanto che erano pronte a scortarmi fuori come se fossi stata un'intrusa.
«Riportate indietro la ragazza.» ordinò senza troppi giri di parole.
«Oh no! No! Ve ne prego! Per favore, sono venuta fin qui per vedere il principe!»
«A quale titolo? Non sapete che siete in un accampamento, che potremmo ricevere imboscate da un momento all'altro e che Vostra Maestà è in procinto di combattere una guerra?»
«So tutto» sottolineai «ma sono venuta fin qui perché ho una cosa importantissima da riferire al principe e temo che se non lo farò oggi non avrò altra occasione. Ho bisogno di vederlo!»
«Una cosa importantissima dite? Potete dire a me, sarò io a riferirglielo, avete la mia parola.»
«Non posso, preferirei essere io.»

Dopo un tempo interminabile che trascorsi seduta in un angolo, con le mani incrociate e lo sguardo rivolto verso il basso, come fossi stata io stessa una prigioniera di guerra in attesa di sentenza, udii da lontano passi di uomo. Erano svelti, voraci e incredibilmente rabbiosi. Il cuore prese a pompare all'impazzata nello sterno e cominciai a sudare freddo con la testa che mi pulsava.
Sapevo che non l'avrebbe presa bene perché gli avevo disobbedito.
Carlyle entrò nella tenda come una furia.
«Dove sei? Eccoti! Sapevo che eri testarda, ma non credevo al punto da arrivare a essere sconsiderata!»
Le sue parole quasi mi offesero. Carlyle mi fissava incredulo, cercando di mantenere la calma per quanto la sua ira fosse palpabile.
«Carl... Vostra Maestà... per favore, lasciatemi parlar...»
«L'unica cosa che voglio sentire adesso sono i tuoi saluti prima che faccia ritorno a palazzo! Voi! Preparate una carrozza che possa portarla indietro!» esclamò rivolgendosi a una delle due guardie. Questa lo guardò un po' confuso, non sapendo più che altro come eseguire gli ordini appena ricevuti, ma poi si incamminò alla volta di quell'incarico.
«Sei folle, mi fai arrabbiare e sembra che quasi ne trai godimento nel metterti in queste situazioni! Dio, Anthea! In un campo di guerra addirittura? Il tuo intelletto, che ho sempre reputato superiore alla norma, ti ha portato a questo?»
«Giuro che non lo avrei fatto se non per un comprovato motivo!»
Carlyle era fuori di sé, livido dalla rabbia e dalla paura che il conflitto sarebbe scoppiato prima che io potessi trovarmi in un posto abbastanza sicuro da non rischiare il peggio. Quel posto non era vicino a lui.
«Nessuna ragione può essere abbastanza importante da giustificare la tua pazza testardaggine!»
Quando intuì che sarei rimasta lì fino a quando non avessi finalmente parlato congedò con un movimento del capo tutti i presenti, compreso il primo ministro. Questi uscirono in una processione e rimanemmo soli, uno davanti all'altro.
Allora presi un respiro profondo, afferrai la sua mano e gli riferii con molta paura quello che pochi brandelli di pergamena avevano confessato, quel segreto oscuro e inconfessabile, che avrebbe fatto tremare un regno, una Corona, un patto di sangue e che per anni era rimasto oscuro, un segreto talmente profondo che aveva causato un terremoto dentro di me. All'udire le mie parole Carlyle non emise cenno, neanche un microscopico sibilo che mi lasciasse intuire che mi aveva udito, tantomeno sbatté ciglio. Chiesi se avesse capito, se si sentisse poco bene ma lo stesso muro impenetrabile fu la risposta che ricevetti.
Dunque estrassi la pergamena che avevo accuratamente ricomposto, gliela porsi e questi la prese tra le mani e la guardò come se avesse davanti il testamento della sua morte. Ogni scritta era perfettamente leggibile: il luogo, i protagonisti, la data, le loro firme.
«É una cosa di cui forse ho sempre dubitato ma che non avrei mai ammesso a me stesso. Ho avuto la verità sotto i miei occhi per tutto questo tempo e non l'ho mai voluta notare. Tutta la mia reggenza fino a ora è stata una farsa.»
Seguì un assordante silenzio che mi buttò in un profondo disagio. Afferrai la sua mano fredda e la strinsi nella mia.
«Per favore, torna indietro.» mi implorò provando a incurvare la bocca in un sorriso forzato.
Feci cenno di no con la testa. Volevo essere al suo fianco.
Allora Carlyle si rassegnò all'idea che non mi avrebbe convinta a tornare a palazzo ma non prima aver strappato dalla mia bocca la promessa che se la situazione fosse diventata critica o pericolosa per la mia incolumità allora sarei andata via, anche con la forza.
Le priorità restavano comunque per entrambe i bambini.

Il momento fatidico arrivò. Quel campo avrebbe ospitato di lì a poco una guerra anche se all'apparenza poteva sembrare tutto il contrario. Era incredibilmente calmo e perfettamente in ordine, addirittura mi parve di udire dei movimenti di animali tra gli alberi, ignari che in breve avrebbero assistito a scene terrificanti. Carlyle era sfavillante e maledettamente serio nella sua armatura, sul dorso di un cavallo nero. L'animale sbuffava e calpestava gli zoccoli a terra irrequieto. Forse non vedeva l'ora di sfrecciare alla volta del nemico.
Dietro di lui il primo ministro, anche lui in tenuta da combattimento e uno stuolo enorme di soldati con lance e baionette tra le mani.
L'agitazione era nell'aria. Strizzai le palpebre perché desideravo davvero che tutto quello fosse un incubo, ma quando le riaprii mi ritrovai di fronte lo stesso campo deserto e le stesse armature scintillanti al sole.
Era solo questione di attimi e quel silenzio sarebbe stato squarciato da grida disumane.
All'improvviso in lontananza sì notò l'elmo di un condottiero riflettere all'orizzonte, poi la cima di uno stendardo e infine uno stuolo di cavalieri al seguito. L'esercito inglese fece il suo ingresso intonando dapprima canti tipici di guerra e poi qualsiasi altra canzone che avesse potuto intimorire l'avversario. Sembravano un'armata di formiche per quanto erano fitte.
A quella vista sussultai dallo spavento e pensai ai miei figli e a quanto avrei voluto saperli al sicuro.
Non molto distante da Re Giorgio comparvero Jocelyn Hannover e Godwin Kynaston, anche loro a dorso di un cavallo e con indosso la loro accentuata sfacciataggine. Chi li avesse visti avrebbe giurato che erano sicuri di avere la vittoria in pungo, per motivi tra loro diversi.
Il campo di battaglia si riempì poco a poco dell'accento inglese alché un mormorio di paura si elevò tra i soldati del principato.
Carlyle allora percorse le prime file davanti agli sguardi impauriti degli uomini e in qualche modo, a me sconosciuto, infuse loro coraggio.
Le fazioni opposte erano a quel punto una davanti all'altra. Una tromba squarciò l'aria con il suo suono squillante e tetro e solo allora Re Giorgio avanzò verso di noi. Altrettanto fece Carlyle.
Un gemito di terrore fu l'unica cosa che riuscii a emettere e strinsi le mani cosi forte tra di loro che per poco non mi spezzai le dita.
Carlyle e Re Giorgio erano a una manciata di falcate distanti tanto che uno dei due sarebbe potuto perire sotto la spada dell'altro.
«Vostra Maestà, Carlyle Kynaston!»
«Re Giorgio!»
«Avrei voluto di certo incontrarvi in più felici situazioni eppure eccoci qua, a decretare un pezzo di storia che i posteri ricorderanno. Eppure, Vostra Maestà, è uno spargimento di sangue che potremmo evitare. Arrendetevi e non sarà fatto del male alla vostra gente.»
«Vostra Maestà, sottovalutate il valore della mia gente, il coraggio di chi intende difendere la propria patria, il posto che considera casa. Se siamo qui, se questa gente» e allora indicò i propri soldati ma anche gli inglesi poiché tra i due il destino non era poi così differente «ha salutato le proprie mogli, i propri figli per venire qui a rischiare la vita non è di certo per una mia scelta. É uno spargimento di sangue inutile dal quale a quanto pare non posso esimermi. Se la mia gente è qui è per difendere se stessa e la propria progenie dall'arroganza dell'usurpatore.»
«La vostra testardaggine purtroppo sarà la vostra rovina. Avete avuto occasioni e tempo per arrendervi a un destino già scritto.»
«Sono invece per la libera determinazione di ogni stato poiché non per forza la supremazia e i giochi di potere devono prevalere sulla libera coesistenza.»
«Siamo numericamente superiori a voi, state andando incontro a una mattanza preannunciata e siete voi a volerlo. Questa potrebbe essere la vostra ultima occasione.»
«Vi sbagliate, non c'è cosa che io ripugni di più...oltre al tradimento del sangue del mio sangue.» detto questo si rivolse a quella che era ancora a tutti gli effetti sua moglie e a sua fratello.
Jocelyn lo guardò con uno sguardo gelido che neanche il caldo torrido della steppa avrebbe scaldato. L'odio nei suoi confronti era scoppiato nei mesi in cui la principessa era rientrata in patria inglese: lo osservava con tutto il disprezzo che quel volto longilineo e spigoloso avrebbe potuto manifestare. Era chiaro che non lo aveva perdonato e che mai lo avrebbe fatto.
Quanto a Godwin osservava suo fratello con un ghigno sadico sulle labbra, tipico di chi desiderava che il proprio nemico soccombesse. Il duca tuttavia non sapeva ancora cosa avrebbe perso.
«É stata una vostra scelta!» ammiccò il re inglese freddo come la pietra. Allora questi abbassò l'elmo sugli occhi e altrettanto fece Carlyle.
Re Giorgio alzò il braccio in aria, senza mai distogliere gli occhi di fuoco dall'avversario. I soldati inglesi fremettero, pronti a partire alla volta del nemico. Era quello il segnale che avrebbe scatenato il pandemonio.
Si concretizzò finalmente il momento che Carlyle stava aspettando. Si voltò fulmineo verso un soldato e gli fece un cenno con la testa, prima che gli inglesi partissero alla corsa.
Una tromba allora, questa volta del principato, elevò il suo suono squillante e disperato nell'aria. Era il segnale.
Improvvisamente all'orizzonte in una marcia solenne e accompagnata da suoni trionfali spuntò la bandiera dai putti dorati.

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