Capitolo 86
«Avrà fame.»
«Andate a chiamare la balia.»
Rumori di passi battenti sul pavimento si fecero sempre più lontani.
«Mi sembra che ora stia bene.»
«Sembra anche a me. Dopo quello che ha passato, ricordate in che condizioni era?»
«No, preferisco non ricordare. Ho passato notti insonni a pregare il Signore.»
«Povero scricciolo! Non so cosa avrei fatto se...»
La voce della donna si interruppe dall'accelerare dei singhiozzi.
«Non pensiamoci più, ora è finita. Piuttosto, preghiamo perché goda di buona salute.»
«Ha già sofferto abbastanza per quanto mi riguarda.»
«Ora andiamo, sta facendo buio.»
Le ante della porta si avvicinarono e una conosciutissima sensazione di quiete si riappropriò di quella stanza.
Un debole raggio caldo si fissò sulla palpebra di un occhio quando l'alba era già trascorsa. Avevo sognato molte volte di essere sveglia ma poi tutte quelle volte si erano rivelate frutto della mia immaginazione. La mia mente mentiva spudoratamente. Il fascio di luce proseguì il suo percorso e mi deliziò del suo calore dapprima sulle labbra e poi sul petto esile.
«Chiudete la tenda, non vedete che ha la luce del sole puntata proprio sul viso?» esclamò una voce maschile che sembrò aver quasi perso la pazienza.
Le mie orecchie fecero fatica a riabituarsi a dei rumori così forti. Stropicciai la bocca.
Qualcuno eseguì l'ordine ma quasi per uno scherzo del destino quel fascio di luce sbucò nuovamente e indisturbato finì ancora sul mio volto. Raggrinzii gli occhi ed emisi un piccolo gemito.
Staccai le palpebre tra di loro con una rapidità che che fece quasi male. Da quanto tempo stavo dormendo? Aprii gli occhi e mi trovai di fronte le stesse scene bucoliche, gli intrecci di fiori e le decorazioni dorate.
Ero viva! Ero dannatamente e felicemente viva! Tirai un sospiro di sollievo, così profondo che fui quasi contenta di risentire l'aria gonfiare i polmoni. Alzai le mani e le guardai. Erano bianche e affusolate, più fine di quanto ricordassi. Mi toccai il volto, tiepido e liscio, il ventre ancora gonfio e il petto che si alzava e si abbassava come un tamburo. Ero viva e non stavo più sognando.
«Ti sei svegliata finalmente!»
Udii quell'armonia venire proprio da lì, una dolce musica forse venuta giù dal cielo dove ero stata intrappolata in quel tempo non quantificabile. Era lì vicino e fu la cosa più bella, e forse l'unica, che avrei udito.
A tratti timorosa mi girai ma il dolore proveniente dal collo quasi mi fece andare gli occhi fuori dalle orbite. Da quanto tempo versavo immobilizzata in quella posizione?
Il principe era seduto vicino al mio letto, adagiato su di una poltrona dallo schienale largo. Aveva vegliato il mio corpo addormentato fino a quel momento? Indossava una camicia di lino, forse quella che gli lavai io la prima volta, aveva i capelli sistemati e una quiete riconquistata a fatica dopo tanta paura. Sorrise amorevolmente, come se due peonie fossero sbocciate sul suo volto. Una sensazione di miele mi sciolse. Ero così incredibilmente felice di essere lì in quel momento.
La mia attenzione fu tuttavia catturata dalla fragile crisalide che stringeva tra le braccia possenti. Provai ad avvicinarmi per fare capolino ma una fitta nel basso ventre mi fece desistere.
«Non fare questi movimenti così bruschi, non ancora. Il dottore ti ha medicata e ti ha messo dei punti. Ha detto che dovrai stare a riposo e che dopo che ti saresti svegliata sarebbe venuto a farti visita.»
Allora fu lui ad alzarsi e ad avvicinarsi a me e nel farlo nascose il viso nell'incavo del mio collo e mi avvolse con il braccio libero. Adagiai il mio capo al suo e chiudemmo gli occhi. Respirammo grati per quel ricongiungimento.
«Ho avuto così paura di perderti che ringrazio il Cielo di averti qui con me! Non oso immaginare cosa avrei fatto, cosa sarei stato io senza di te...»
A questo punto adagiò con il massimo della cura un fagottino bianco e profumato tra le mie braccia.
Nel vederlo mi sentii lacerata e per quanto provassi a contenermi non ci riuscii. Più provavo a frenarmi e più piangevo. Quelle lacrime bagnarono il suo visino intatto, qualcuna finì sulle sue labbra rosse e piccole e lui quasi per istinto le mosse. Asciugai le altre come potei ma fu quasi inutile. Ero diventata un fiume in piena.
La convinzione che non avrei mai conosciuto mio figlio era solo un lontano ricordo perché proprio in quell'istante dormiva beato tra le mie braccia. Oh poteva esserci altro al mondo di così perfetto?
Era un bambino piccolo, dato il parto prematuro, ma mi sembrava fosse in salute. Era bellissimo, poco rassomigliante alla sorella, ma ugualmente da togliere il fiato. Pelle madreperla, ciglia lunghe, naso delicato e bocca rossa e dalle curve sinuose. Riposava con la freschezza della primavera e con quei dolci pugnetti sotto il mento.
«È un maschio.» esordì il principe.
«Un maschio.» ripetei sotto voce.
«Elhia.»
«Elhia. Mi piace come nome. Elhia e Amaranta.»
La notizia del mio risveglio fece il giro del palazzo e nel giro di poco la stanza divenne gremita di persone che accorsero curiose a vedere il miracolo.
Accolsi quella folla con una punta di disagio, feci dei cenni con il capo per ringraziare timidamente chi era venuto lì per me ma poi tornai a concentrarmi su mio figlio. Lo guardai e non avrei mai smesso. Prima di scoprirmi un seno per allattarlo gli sussurrai nell'orecchio «Benvenuto al mondo mio dolce Elhia!»
Trascorsi i giorni immediatamente successivi a rimettermi in sesto. La ferita bruciava e passò un mese prima che riuscissi a camminare senza che sembrassi una papera. Nel frattempo il bambino cresceva bene e in salute.
Nel mese che trascorse mi dedicai principalmente alla cura dei miei figli. Sembrava fossi nata per quello.
Quando Amaranta vide per la prima volta suo fratello storse il naso. Dapprima non si avvicinò anzi, si nascose triste dietro una poltrona per non essere vista. Provavo a chiamarla ma questa mi rispondeva sempre di no, anche in maniera arrabbiata. Successivamente dopo l'ennesima tentativo si fece coraggio e molto timidamente si avvicinò. Guardò quell'intruso con l'ingenua curiosità che le era propria, poi con la punta del polpastrello gli toccò la guancia e al contatto ritrasse il dito ridacchiando.
«Piccolo!» esclamò.
In sostanza non mi pesò affatto trascorrere le intere giornate accanto a loro.
Una maledetta sera, mentre stavo allattando Elhia, il principe entrò nella mia camera con uno sguardo che non presagiva nulla di buono.
«Qualcosa non va?» domandai con la paura di sapere la risposta.
I suoi occhi vagarono nello spazio per un istante poi decise di prendere una sedia e di sedersi vicino a me.
«Tra due giorni scenderemo nel campo di battaglia.»
Mi ammutolii. Per quanto ero consapevole dell'esistenza di quel flagello, da quando era nato il bambino la guerra si era trasformata in un ricordo remoto. La felicità che pensavo aver riconquistato venne spazzata via in un istante. La sofferenza fu tanta dunque. Il pensiero che sarebbe sceso nel campo di battaglia e che nel peggiore dei casi avrebbe potuto rischiare la vita mi provocò un giramento di testa. Presi Elhia e lo sistemai nella sua culletta. Nel giro di qualche secondo era lì che dormiva. Allora tornai in una luttuosa processione a sedermi su quella sedia e portai le mani alla faccia, come a voler scomparire il tempo necessario che avrebbe reso quella verità più sopportabile.
«Ci siamo dunque.»
Carlyle guardava fisso il panorama dalla finestra mentre si graffiava il labbro con un dito.
«I francesi sono pronti, i danesi altrettanto. Più interessati al loro bottino che al mostrare lealtà verso un sovrano che li ha sempre rispettati.»
«Credo il rispetto vada in secondo piano quando sono in ballo i propri interessi. Siamo pur sempre esseri umani, Carlyle.»
«Il destino di questo posto, la storia che i miei antenati hanno costruito, la mia gente, potrebbe andare tutto all'aria. Tra qualche giorno potremmo diventare sudditi inglesi senza neanche rendercene conto.»
«Non sai ancora se sarà questo il nostro destino.»
Solo in quel momento l'uomo mi guardò da quando era entrato nella stanza. Con una mossa fulminea prese le mie mani tra le sue e mi trafisse con i suoi occhi ghiaccio.
«Devi promettermi una cosa e se dico così intendo seriamente. Hai capito?»
«Non so, vorrei promettertelo ma ancora non mi dici a cosa ti stai riferendo! Diamine mi fai quasi paura!»
Carlyle espirò rumorosamente.
«Devi promettermi che se dovessimo cadere nelle mani degli inglesi...»
Come un fulmine intuii dove voleva arrivare. Ritrassi le mani dalle sue ma questi le riprese con più forza.
«No, Carlyle, non..»
«... che se dovessimo cadere in questa guerra tu e i bambini...»
«Non osare pensare che io possa andarmene. Non osare minimamente pensarlo e tantomeno pretenderlo!»
«Non solo lo pretendo ma te lo ordino. È ciò che farai.»
«Non voglio andare via come una fuggitiva e staccarmi da te! Io voglio stare con te! Perché dovrei andarmene? Io non capisco! E passare il resto della mia vita con la speranza di rivederti un giorno? Senza sapere dove sei, con chi sei, il tuo destino! Senza sapere se sarai ancora vivo!»
«Non pensare a me, piuttosto pensa a te e ai bambini! Ho bisogno di sapere che sarete al sicuro!»
Scoppiai in un pianto incontrollato.
«Credo che rendermi infelice sia il tuo obiettivo.»
I singhiozzi svegliarono Elhia e anche lui impaurito per esser stato disturbato nel bel mezzo del sonno eruttò in un pianto.
Quel richiamo mi fece alzare sull'attenti e accorrere da lui per cullarlo.
«Il mio obiettivo è sapervi al sicuro quando un intero reame potrebbe non esserlo!»
Non gli risposi perché sapevo che aveva ragione, che qualsiasi padre e uomo avrebbe voluto lo stesso, al tempo stesso il prezzo che pretendeva era talmente elevato da togliere il fiato.
Placò il tono della voce e mi parlò calmo ma altrettanto incisivo.
«Quando vedrò sul campo di battaglia che la situazione si sarà fatta troppo pericolosa verrà un emissario a informarvi di andare via. Allora prenderai tutte le vostre cose e salirete sulla carrozza che vi porterà via da qui e viaggerete per giorni e notti pur di andarvene abbastanza lontano da far perdere le vostre tracce. Arriverete in un posto sicuro dove nessuno saprà chi siete, nessuno vi conoscerà e solo allora sarete salvi.»
«Hai pianificato tutto e mi metti al corrente solo ora! Ormai è tutto fatto! Devo solo sperare che questo emissario non arrivi mai!»
Il principe in un lampo era dietro di me e mi avvolse in un abbraccio di conforto.
«Non disperare, un giorno ci rivedremo.»
«Mi stai facendo del male!»
«Ti amo e sai che sei l'unica donna che io abbia mai amato oltre a colei che non ho mai conosciuto. Voglio evitare ai bambini di vivere quello che ho vissuto io.»
Tirai su il naso e mi asciugai gli occhi gonfi.
«Ti amo anche io.»
Quella notte non dormii. Carlyle aveva trascorso le ore precedenti negli accampamenti e la sera prima non avevo avuto neanche l'occasione di salutarlo.
Ero devastata.
Il destino aveva impresso una svolta del tutto inaspettata alla mia vita. Forte di quell'inquietudine la mia testardaggine prevalse e si rivelò essere pericolosa.
L'indomani preparai i bambini, allattai Elhia e lo feci più del dovuto fino a che non cadde nuovamente tramortito dal sonno. Chiamai Hilde e le impartii alcuni ordini. Questa non capii.
Le risposi che non c'era bisogno di farmi domande e che era importante che lei facesse come le avevo chiesto.
Quando la donna parve aver recepito il messaggio mi vestii in fretta, presi del pane e del formaggio che riposi nella borsa e indossai un cappello. Allora andai da Amaranta e la baciai.
«Devi fare la brava, intesi?»
La bimba annuii senza forse neanche aver capito cosa le avessi detto. La abbracciai fortissimo fino a che lei non si lamentò. Raggiunsi Elhia che dormiva nella culla con i suoi pugnetti rivolti all'insù e mi sporsi per lasciare sulla sua fronte un lieve bacio che non lo disturbasse.
Prima di andarmene tremai chiedendomi se stessi facendo la cosa giusta.
Allora mi destai in piedi e mi asciugai le lacrime.
Quando uscii da palazzo non mi voltai indietro.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro