Capitolo 85
Hilde si precipitò su di me goffa e trafelata. Parve chiedersi come comportarsi, cosa fare, sembrava che stesse vivendo la sua prima volta e che non le era del tutto chiaro come comportarsi per evitare di peggiorare la situazione. Quando tornò a scorrerle il sangue nelle vene mi afferrò per un braccio e mi aiutò ad alzarmi, mi sistemó l'abito che era rimasto attaccato alle gambe e al vomito verde e mi fece strada verso la porta con una certa fretta ma sempre avendo cura a che non mi facessi male.
Théodore comparve all'improvviso nella stanza, con la stessa espressione con cui mi aveva trovata Hilde.
«Diamine cosa sta succedendo? Buon Dio ma...ma...non vi sentite bene? Cosa avete addosso? Santo cielo! Ma state partorendo! Dovete subito portarla nella sua stanza!»
«È quello che sto cercando di fare!»
«E devo anche chiamare un medico!»
«Un medico? Sì, sì dannazione. Chiamate un medico!»
«Il principe non sarà qui prima di domani sera!»
«Mandatelo a chiamare allora!»
«A chiamare? Non saprei dove trovarlo! So solo che avrebbe incontrato Re Cristiano e Re Luigi!»
Li interruppi «Potete per favore rimandare a dopo e farmi distendere su un letto? Temo che le mie gambe cederanno da un momento all'altro e che sarò costretta a strisciare.»
«Oh, oh certo! Sylvie! Sylvie! Dico proprio a voi! Mi state per caso ignorando? Sì... é con voi che ce l'ho e non guardatemi in quel modo signorina! Poi discuteremo della condotta che avete avuto questa mattina, ma non ora! Andate insieme a Clotilde e preparate la stanza della signorina Gleannes! Cambiate le lenzuola, stendete degli asciugamani sul letto, scaldate l'acqua... insomma preparate ciò che c'è da preparare e che sia tutto pronto per quando arriveremo!»
Le ragazze presero la fuga come due volpi.
«Non ce la faranno mai!» puntualizzò Hilde.
«Lo so, ma bisogna mettere un po' di fretta ai nuovi assunti.»
Sir Jacques mi prese per l'altro braccio e mi offrì sostegno per camminare.
«Non sono mica un ferito di guerra!» ammiccai con un velo di sorriso.
Arrivai nella mia camera dopo troppo. Non riuscii a camminare bene e soprattutto a tenere le gambe vicine tra di loro. Il travaglio era partito, non con la stessa dolcezza con cui le contrazioni erano cominciate con Amaranta, come un sussurro, come un lieve bussare alla porta, ma con violenza, velocità e arroganza. Avrei probabilmente partorito in pochissimo tempo e la cosa mi turbava assai. Non ero pronta.
Nel tragitto continuai a perdere rivoli di sangue che avevano segnato sulle cosce la trama di una ragnatela. Guardandomi indietro notai tante gocce di rubino in terra, come mollichine di pane, tanto che chiunque avrebbe potuto capire che ero passata di lì e dove ero diretta.
Quando me ne accorsi scoppiai in un pianto incontrollato «Hilde, per favore, ditemi cosa mi sta succedendo! Avete mai visto qualcosa di simile? Tutto questo sangue, perché? Ho... ho... paura di morire sapete? Ho paura che stia succedendo qualcosa di brutto a mio figlio!»
Hilde si fermò un istante a volto basso «Mia cara, dobbiamo attendere il medico.» furono le uniche parole che mi disse.
Inutile dire che avevo il cappio del terrore a strozzarmi la gola. Avevo estremamente paura per la vita di mio figlio e anche per la mia se non fossi sopravvissuta. I dolori erano strani e sentivo il bambino irrequieto, forse si era reso conto di stare in un posto molto stretto e che sarebbe voluto uscire. Forse aveva paura di morire lì soffocato.
Sir Jacques e Hilde mi aiutarono a distendermi sul letto ma quello non mi diede sollievo. La donna mi controllò ma disse che sembrava fossi ai primi stadi, come se in realtà non dovessi partorire affatto.
Eppure quello che percepivo era completamente l'opposto.
Il punto era che dovevo partorire il prima possibile perché avevo perso molto sangue.
«Avete fatto chiamare il medico, non è vero?»
Sir Jacques annuì ma si morse la lingua poiché quella domanda gli risuonò più come un rimprovero.
Era trascorsa un'ora. Il maggiordomo deambulava nella stanza senza tregua e ogni tanto, quando la realtà lo distoglieva dalla sua mania di controllo, gettava uno sguardo su di me che mi contorcevo come un serpente in preda alle fitte del dolore.
Hilde, dopo un'iniziale momento di panico, tornò in se stessa.
La vidi scaldare l'acqua, riassettare le lenzuola ogni volta che un mio brusco movimento le strappava dagli angoli, nel mentre si assicurava di asciugarmi la fronte con fare materno e non si risparmiava dal rimproverare il francese per farle venire il mal di testa con tutti quei volteggi frenetici.
«Eccolo! Eccolo! È arrivato! No... non è lui!» esclamò Théodore quando confuse una carrozza in lontananza con quella del medico.
«Lo avete fatto una volta e lo farete di nuovo!»Hilde al contrario della sottoscritta non si era persa d'animo.
La notte che trascorsi fu forse la peggiore della mia vita. Non dormii se non in qualche frangente in cui il dolore stesso parve stancarsi di darmi il tormento. Si trattò tuttavia di momenti velocissimi, comunque disturbati dal pensiero del sangue che avevo perso e dalla scoperta che avevo fatto poco prima. Quando il medico arrivò nel cuore della notte mi trovò sveglia. Accettai infatti che non avrei riposato fino a quando il bambino non fosse nato. Sir Jacques, che nel frattempo si era appisolato, scattò sull'attenti quando udì il rumore della porta aprirsi mentre Hilde tirò un sospiro di sollievo, ma non lo volle dare troppo a vedere.
Il dottor Keris, un uomo sulla cinquantina da poco arrivato nel principato, saltò i convenevoli e mi fece una serie di domande, forse anche un po' troppo tecniche a cui provai a dare risposte quantomeno plausibili. Mi domandò se avessi mai sofferto di cuore e se c'erano stati casi in famiglia, se avevo la malattia dello zucchero, se avevo avuto complicanze durante la gestazione e un'altra lunga sfilza di domande a cui risposi più per istinto che per convinzione.
Svolto l'interrogatorio, aprì la sua valigetta in pelle marrone e ne estrasse delle fiale, delle garze in cotone, altri attrezzi del mestiere e uno strano strumento costituito da due ali concave simili a cucchiai.
«Questo solo all'occorrenza.»
Indossò poi gli occhiali e mi intimò di svestirmi perché mi avrebbe visitata.
Non con la stessa materna dolcezza di Hilde ma con fare brusco, forse anche eccessivamente freddo, lo sentì toccarmi tra le viscere doloranti. Dapprima mi guardò e confermò la tesi della donna secondo la quale il travaglio era ancora alle fasi iniziali sebbene fossero passate più di dodici ore da quando avevo rotto le acque, dopodiché percepii le nervature grezze delle sue dita entrare dentro e tastare le mie interiora. Sobbalzai e gridai dal fastidio che quel gesto mi provocò, più per la maleducata invadenza che per altro.
Terminata la visita, Keris si tolse gli occhiali per sentenziare ciò che avrebbe sconquassato l'animo di tutti i presenti «Signorina, il bambino è podalico.»
Hilde urlò, quasi un fulmine l'avesse tramortita «Podalico?»
«Podalico?» mi eressi a fatica sul materasso «Cosa vuol dire? Qualcuno mi vuole spiegare?»
«Che non è in posizione per nascere.»
«Non capisco...non capisco...per fa...vore spiegatemi meglio...ho bisogno di capire!»
«Vuol dire, signorina, che vostro figlio non potrà nascere di testa, perché è letteralmente seduto su di voi. Parti come questo sono complessi e altrettanto dolorosi.» a questo punto, quasi a non volermi far udire, si girò verso Hilde «dobbiamo prepararci al peggio.»
«Quale peggio, ma cosa dite! Non azzardatevi neanche a pensarlo!»
«Peggio? Dottor Keris presumo abbiate parlato a sproposito, vi ricordo che il bambino è il figlio del...è il figlio del...principe e abbiamo interesse noi, come Sua Maestà, che tutto si svolga come tutti noi ci aspettiamo.»
«Non sono io a dirlo, è la natura.»
«Allora contrastate questa natura! Vi intimo caldamente a fare quanto in vostro possesso o conoscenza affinchè nulla vada storto!»
Alle prime luci dell'alba avevo ripreso a perdere sangue. Quel materasso si era convertito nel tavolo di un macellaio e l'odore nauseabondo che emanava non faceva che peggiorare il mio stato. Keris era scuro in volto e, nonostante un iniziale barlume di speranza, la costernazione si era dipinta anche sui volti di Thèodore e Hilde.
La sensazione di spade conficcate nella carne aveva lasciato il posto a un'estrema debolezza che sembrava volermi appiattire e rendermi difficile anche respirare. Mi guardai le braccia e sobbalzai con quel poco di energia che mi era rimasta in corpo. Erano estremamente pallide e vene viola tracciavano un orrorifico disegno.
«Dovete rimanere cosciente, non so più come dirvelo!»
«E io vi ho già detto che ci sto provando!»
Keris me lo aveva detto e addirittura urlato in certi momenti, ma non riuscivo a fare come lui mi indicava poiché la fiacchezza non faceva che tirarmi giù al suolo.
Quella stanza era diventata una camera chirurgica, un via vai di teli macchiati di sangue e candidi di bucato.
«La situazione sta solo che peggiorando.» sentenziò il medico verso le prime luci del tramonto.
Mi aveva visitata nuovamente, con la speranza che qualcosa nel frattempo fosse cambiato, progredito. Tutti speravamo in un miracolo. Dovette purtroppo costatare che ero rimasta a come mi aveva trovata.
«Tra non molto potremmo trovarci costretti a fare una scelta.»
I due si avvicinarono al mio capezzale.
«O lei o il bambino.» ascoltai quelle parole per caso, a metà via tra la realtà e l'aldilà. Dentro queste mi tramortirono, mi violentarono, ma un sordido lamento fu l'unica cosa che emisi.
Hilde scoppiò a piangere. Era la prima volta che la vedevo così.
Una donna così forte come lei?
Sir Jacques preferì uscire dalla stanza.
«Attendiamo ancora un po', ve ne prego!»
«Il tempo sufficiente prima che il fato faccia il suo corso.»
«Almeno che Sua Maestà torni!»
Keris annuì «Speriamo non faccia tardi.»
Era trascorso dell'altro tempo ma non lo seppi quantificare, forse un secondo, forse un anno. Il medico con luttuoso silenzio aveva predisposto tutto ciò che gli sarebbe servito per l'operazione. Avevo preso una vaga consapevolezza del mio destino. Hilde mi teneva la gelida mano, Thèodore tremava con gli occhi gonfi di lacrime, desideroso forse di carezzarmi.
Il medico scoprì la pancia e vi passò sopra un liquido freddo. Mosse le mani come a voler prendere le misure e poi la ricoprì. Sapevo che quello sarebbe stato il mio ultimo giorno sulla terra.
Il primo pensiero andò ad Amaranta. Volevo rivederla prima che il mio destino arrivasse.
«Portatemela, voglio vederla!»
«Mia cara, credete sia il caso?»
«Come ho detto, voglio vederla.»
Hilde fece cenno a Sir Jacques di andare a prendere la bambina ma non appena il maggiordomo fece per aprire la porta questa si spalancò con violenza.
Avevo visto Carlyle arrabbiato, arrogante e dolorante nello stesso momento, ma mai come in quell'occasione. Era andato oltre il delirio. Aveva gli occhi fuori dalle orbite e le mani fremevano come vulcani che stavano per eruttare.
La prima cosa che vide fu il tavolo imbandito per l'operazione: vide il bisturi, delle forbici, un ago lungo e appuntito e dei fili spessi e lucenti.
«Buttate tutto quello che vedo prima che sia io a defenestrarvi!»
Keris, da che lo avevo visto autorevole e tutto d'un pezzo, si trasformò in un bambino tremolante. Fece per togliere via tutto ma poi l'istinto da fisico lo costrinse a confessare al suo sovrano la verità «Vostra Maestà, le probabilità che la ragazza arrivi al mattino sono scarse e così anche il bambino che porta in grembo. Abbiamo atteso quanto possibile, ma sta passando troppo tempo e potremmo perdere entrambi.»
Carlyle corrucciò la faccia in un'espressione grottesca. Allora si precipitò su di me e quando mi vide prese vera consapevolezza che un piccolo cuore batteva ancora e un altro lo seguiva con affanno.
Davanti a sé trovò un corpo consunto, freddo, martoriato e dal quale defluiva vita. Quando lo vidi sorrisi a fatica.
«Sei venuto da me!»
Afferrò la mia mano senza vita, la baciò e se la portò alla guancia. Carezzò il mio viso scavato e grigio ma non vi diede peso, mi guardava infatti come se avesse davanti la più bella delle creature terrestri.
«Certo che sono venuto da te! Come avrei potuto fare altrimenti! Al diavolo la guerra, i re e tutto il resto! Al diavolo la mia corona, questo palazzo, il mio sangue. Non posso perderti e tu invece mi stai facendo questo!»
«Carlyle, io...»
«Non posso immaginare questa vita senza di te. Dicono che io sia un principe, ma sono solo una persona come tante in questo mondo. E tu per me sei il mio mondo!»
Il briciolo di forza che mi era rimasta mi fece dirompere in un pianto silenzioso.
«Vorrei non fosse così difficile. Non sono morta ma è come se lo fossi già. Per favore prenditi cura dei nostri figli.»
«Tu rimarrai con me Anthea, mi hai sentito? Tu rimarrai con me, non puoi andartene!»
«Vorrei mi bastasse che fossimo solo io e te in questo momento.»
«Ed è così e così sarà. Tu non mi abbandonerai!»
Purtroppo, proprio in quel momento, le forze vennero meno e percepii il resto della vita defluire dal mio corpo. La testa cadde ai bordi del cuscino e le orbite degli occhi rotolarono all'indietro.
«Anthea!» gridò Carlyle con tutti il fiato che aveva in gola.
«È ora. Non possiamo più aspettare.» sentenziò Keris. Sarebbe andato contro anche ciò che gli aveva detto il principe pur di salvare una vita, pur di seguire i principi per i quali aveva giurato quando era diventato medico.
I dolori erano scomparsi come anche la consapevolezza del mio corpo. Non ero più cosciente e vivevo quello che mi succedeva attorno come se non fossi lì presente. Tutti i suoni erano ovattati, per poi scomparire del tutto. Anche i movimenti delle altre persone erano rallentati. Pensai a mia madre e a mia sorella. Avrei voluto dire loro addio, ma non sapevo che le cose sarebbero andate così. Pensai a mio figlio e che mi stavo sacrificando solo ed esclusivamente per lui. Pregai affinché fosse diventato un uomo o una donna forte, affinché il futuro riservasse per lui solo cose belle. Pensai ad Amaranta e a quanto fossi stata fortunata per averla vissuta in quei due anni. Allora il cuore si strinse in una morsa ma compresi che era il momento di lasciarmi andare, che nulla mi avrebbe più tenuta stretta a quella vita terrena.
Intorno a me un viavai di persone, chi piangeva, chi disperava e chi pensava a svolgere solamente il suo mestiere. Il principe impazziva precipitoso, Théodore si mostrò in tutta la sua fragilità e Hilde nella sua impotenza. I bordi sfocati di Keris si avvicinarono a me con lo scintillio della lama, spostò le lenzuola sudice e scoprì le vesti. Allora il principe si precipitò su di me un'ultima volta e sussurrò parole malinconiche e cariche d'amore nelle mie orecchie e infine mi baciò con un bacio cosi intenso che gli sarebbe bastato per il resto dei suoi giorni.
Improvvisamente, forse il miracolo della vita o forse un mistero che non avrebbe mai avuto un nome, un silenzioso sprazzo di vita mi concesse il privilegio di avere un'ultima chance.
Il mio corpo riconobbe quella sensazione inconfondibile di spingere e così feci per allargare le gambe.
«Non è possibile!» gridò Keris incredulo.
Le altre figure sbiadite accorsero per assistere alla rivelazione.
«Vostra Maestà! Vedete anche voi?»
Carlyle, con il viso umido di lacrime e sudore, annuì con il capo incredulo.
Allora fu il momento di spingere ma solo la parte di me più umana ne provò la fatica e la sofferenza. Keris per agevolare quella venuta al mondo prodigiosa lacerò con il bisturi le mie carni e solo dopo un'altra breve e interminabile spinta ne uscì fuori quello che il mondo aveva richiesto.
Una lucertolina acquosa e rannicchiata, viola e impregnata di sangue, fece il suo primo saluto alla vita.
La salutai con un sorriso sopraffatto. Ce l'avevo fatta. E fu così allora che finì tutto nel buio.
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