Capitolo 83
Quando Carlyle mi vide non parve meravigliarsi anzi, a malapena mi rivolse l'attenzione. Era come se sapesse che sarei tornata proprio quel giorno, proprio a quella ora e che precisamente in quell'istante avrei varcato la porta della sua preziosissima biblioteca per annunciarmi, non per dire che ero lì di nuovo, ma per avanzare una qualsivoglia richiesta.
Carlyle dunque non mi guardò ma si accovacciò raggiante e intimò Amaranta di piombare tra le sue braccia, come se fosse il gioiello più prezioso che avesse visto in vita sua.
La bambina dapprima si coprì vergognosa tra i lembi della mia gonna, strizzando gli occhi e sorridendo con le sue guanciotte rosse ma poi, dopo aver sedotto a sufficienza suo padre, sgambettò tra le sue braccia facendo anche sfoggio di quanto fosse migliorata nei movimenti.
Una volta arrivata questi la avvolse e la baciò in ogni angolo del collo e lei di tutta risposta sghignazzò canterina per il solletico, infine poggiò il capo sul suo torace per bearsi di quella presenza che senza ombra di dubbio le era mancata tantissimo. Allora Carlyle la sollevò da terra e la strinse a sé, le passò una mano tra i capelli e le sfiorò il naso con la punta del suo. Amaranta mantenne il contatto, gli afferrò le guance con entrambe le mani e dopo qualche secondo abbandonò nuovamente la testa su quella spalla così sicura.
«Tu hai intenzione di rimanere sull'uscio della porta ancora a lungo?»
Ritornai sulla terra con prepotenza.
«Perdona?» l'emozione mi fece traballare.
Mia figlia, quasi ad aver capito, allungò la manina verso di me e mi chiamò a sé.
Allora procedetti cauta e in fibrillazione, come se stessi avanzando verso un altare.
Come per magia, una luce soffusa brillò dalla finestra e avvolse le loro figure sbiadendone i contorni. Proseguii pensando che sarei stata inghiottita da quel fascio accecante fino a quando non mi ritrovai di fronte a due porte celesti, belle e sfavillanti.
Amaranta si affacciò per essere presa ma poi tornò indietro, non del tutto sicura che fosse quello ciò che desiderava veramente.
Da che sembrava aver sorvolato su di me, Carlyle cambiò attitudine e mi fissò come se fossi l'unica cosa presente in quella stanza, come un pianeta che ruota attorno a una stella e non si stanca mai. A fare da sfondo, lo scrosciante strepitio del mondo che ci vedeva riuniti. Increspò le labbra in una dolce curva e mi sorrise dolcemente, rivelando gli ultimi strascichi di un eco di nostalgia. Fece scivolare il dorso della sua mano sulla mia guancia mentre con l'altra sosteneva la bambina ancora avvinghiata a lui come un bozzolo.
«Ho sentito la vostra mancanza.» mormorò.
«Anche noi la tua.»
«È stato come svegliarsi a notte fonda e non avere più la luna.»
«...per me come vivere in un perenne inverno.»
«Il giorno in cui siete partite non credevo sareste state via tutto questo tempo.»
«Non lo credevo neanche io.»
Improvvisamente si allontanò quasi disturbato da un pensiero. Andò alla finestra e guardò fuori. Il rumore del trotto di un cavallo e di una carrozza fendettero per un attimo la quiete.
«Anthea, mi ami?»
«Più di me stessa.»
Carlyle non si mosse, sembrava un pezzo di ghiaccio. Tremai dalla paura. Che fosse arrabbiato con me?
«E tu? Mi ami?» domandai impaurita.
La risposta non arrivò e tantomeno un suo gesto. Non si voltò neanche per sincerarsi che l'agitazione non avesse preso il sopravvento.
Poi a un tratto si udì uno sparo di cannone in lontananza, in seguito un altro e infine un altro ancora. Sembravano pallottole per quanto erano ravvicinati e forti, quasi fossero stati esplosi in quella stanza. I vetri delle finestre vibrarono e le grida di un guardiacaccia distratto giunsero immediatamente dopo. Il principe non si scompose. Doveva averci fatto l'abitudine.
Allora intuii, non c'era bisogno di troppe spiegazioni e di parole ridondanti che occupavano solo spazio.
Spazzai via l'inquietudine e ne approfittai di quel momento privato per confessargli i sospetti che erano emersi durante la mia assenza.
«Carlyle, ho bisogno di parlare con te!»
Questi si voltò e fece scendere Amaranta che sgambettò verso un angolo per giocare con qualcosa di luccicante che aveva attirato la sua attenzione.
«Ti ascolto.»
Allora mi schiarii la voce «Orville Patel, colui che dopo una vita di rispetto e servigi verso la tua famiglia ha contribuito con le sue finanze a sostenere questa barbarie inglese, è in realtà più immondo di quanto tutti immaginiamo. Le sue mani oltre a macchiarsi di denaro sporco, estorto anche con vigliaccheria alla brava gente, si sono macchiate del sangue di un innocente!»
Il principe non si mosse ma una scintilla di curiosità esplose nei suoi occhi.
«Orville ha ucciso il futuro marito di mia sorella proprio il giorno del suo matrimonio!» proseguii con impeto.
«Cosa te lo fa pensare?»
Allora gli spiegai tutto dall'inizio, a partire dal giorno in cui lo conobbi la prima volta a quello in cui me lo ritrovai nel bosco da sola e gli confessai che in tutte quelle occasioni c'era stato da parte mia il rifiuto a un suo tentativo d'approccio. Il rifiuto era stata la ragione che lo aveva portato a commettere quell'infamia perché per una persona come Orville era impensabile non ottenere ciò che desiderava.
Vidi il principe stringere forte un pugno e con l'altra mano sfregarsi il mento «Potrebbe essere anche come dici tu ma le parole non bastano. Tutto deve essere provato, Anthea.»
«Lo so e hai ragione, ma devi fidarti di me e di quello che ti sto dicendo. Orville é un assassino e il suo arresto darà finalmente un pò di pace a mia sorella e giovamento alla Corona.»
«Per la Corona Orville Patel non è più nessuno.»
«Carlyle, ha palesemente cospirato alle tue spalle dopo anni di servigi e esclusiva tra i suoi antenati e tuo padre!»
«Credi che per finanziare la guerra basti il denaro che un usuraio elargisce? È stato d'aiuto ma non sufficiente a sostenere un conflitto. La Corona non ha più interesse a intrattenere rapporti con la famiglia Patel e sta di fatto che se un domani dovessimo uscirne illesi, lord Patel verrebbe condannato per cospirazione contro la monarchia. Comunque nell'una o nell'altra ipotesi, avrebbe il suo destino già scritto. Ma questo chi può dirlo...»
Sussultai. Avevo tremendamente paura che Orville non avrebbe mai scontato la pena che meritava ma ancora di più fremetti all'idea che lo scontro era alle porte. Conoscevo Carlyle e sapevo che era molto abile a indossare una maschera per coprire i suoi stati d'animo. Sapevo infatti che le fibre della sua mente erano in tempesta e che mai in vita sua avrebbe desiderato condannare il suo regno a quel destino.
Chiamai Amaranta quando la vidi dare i primi segni di cedimento e la presi in braccio. Questa allora si sedette con le gambine sopra la mia pancia così enorme e si abbandonò al sonno.
Carlyle orbene attese che la bambina si addormentasse e in seguito la spostò dolcemente su un divanetto. Improvvisamente poi, come se si fosse ricordato di aver bisogno di qualcuno con cui sfogarsi, che non fosse il solito politico o duca più interessato al proprio tornaconto che al bene comune, si abbandonò a una lunga dissertazione con me di cui non colsi i tratti più complicati.
La cosa che ebbe premura a sottolineare per prima, come se temesse che qualcuno potesse accusarlo del contrario, fu che l'intervento della Francia e della Danimarca era stato pagato a caro prezzo. I soldati danesi erano subentrati da subito, sia per necessità di conoscere il territorio in cui si sarebbe combattuta la guerra sia per proteggere la monarchia qualora fosse stata attaccata all'improvviso.
La strategia che aveva messo a punto era meramente difensiva, non avrebbe mai attaccato e per questo mai oltrepassato il confine. La guerra sarebbe potuta rimanere una mera idea per quanto lo riguardava e restare con i soldati in difesa per un tempo inquantificabile o, quantomeno, fino a quando qualcuno (anche lui stesso) non avesse cominciato a dare i primi segni di intollerabile avversione. Perché egli, per quanto fosse insofferente dal primo istante della dichiarazione di guerra, aveva sempre anteposto la libertà dei suoi sudditi alla tirannia inglese.
A differenza dell'alleanza con Re Cristiano, il patto con Luigi XV, firmato a Parigi, era estremamente privato e come tale doveva rimanere. La fortuna dell'aver scelto la Francia come alleato era riconducibile al fatto che in funzione di un trattato che aveva siglato con l'Austria qualche anno prima, nel caso in cui la Francia fosse stata attaccata, l'Austria sarebbe stata costretta a entrare in guerra a fianco di Luigi XV proprio in virtù degli impegni presi. Quel trattato insomma sarebbe giovato anche a Sommerseth perché c'era la possibilità che anche l'Austria scendesse a combattere contro l'Inghilterra.
In alcuni punti mi persi, in altri ebbi la debole sensazione di aver afferrato almeno parte di un discorso ben più ampio. Con molta probabilità ne sarei uscita più confusa di come ne ero entrata.
Il crepuscolo stava giungendo e con esso tutte le incombenze che ancora non erano state portate a termine «Non so se mi disgusta di più il desiderio di vendetta di mia moglie o l'odio del duca.»
«Non li vedi da allora?»
Scosse la testa «Si trovano in Inghilterra e non hanno più fatto ritorno. Jocelyn mi vuole annientato. Godwin morto.»
Emisi un grido di spavento e al tempo stesso mi meravigliai di quanto rimpianto trasparisse dalle parole di quell'uomo che, nonostante tutto, non aveva mai smesso di soffrire per il fratello.
Mi indicò dunque una catasta di lettere che solo allora notai.
«Quelli che vedi lì ammucchiati nella cera lacca sono tutti i tentativi di Godwin di portarmi alla resa prima del tempo. Tenta di spaventarmi ed è convinto che così facendo sia facile ottenere la vittoria. Pensa che che mi arrenderò e che il loro esercito sia più numeroso e forte del mio. È convinto che sia solo questione di poco e che presto capitolerò.»
«Tu invece cosa credi?»
Gli poggiai una mano sulla spalla e lo scrutai sofferente.
«Io credo che sia tutto così inutile.»
«Eppure temo non possiamo sottrarci.»
«Non mi sarei comunque sottratto. Porto addosso la responsabilità del mio popolo, della corona, dei miei antenati e della mia famiglia.» Dunque si voltò nuovamente e perse lo sguardo al di là dell'orizzonte.
«Se un domani dovessimo uscirne vincitori la principessa e il duca saranno chiamati a rispondere di alto tradimento.»
Aggiunse che un comunicato ricevuto dal tenente Choiseul qualche giorno prima gli aveva annunciato che l'esercito francese era già in marcia e che altri soldati si sarebbero aggiunti nei giorni a seguire. Saremmo diventati dunque terra di nessuno e punto di incontro di diversi mondi. Noi, che eravamo sempre vissuti all'oscuro dell'universo.
Era arrivato dunque il momento di rispondere agli impegni quotidiani. Il principe lasciò un lieve bacio sulla fronte di Amaranta e, afferrandomi per la nuca, ne stampò uno ardente sulla mia bocca. Stava per andarsene quando gli presi di colpo la mano prima che fosse troppo lontano «Solo un'ultima cosa ti chiedo.»
«Dimmi e spero di poterti accontentare.»
«Il tempo è quasi finito. Fatemi avere Hilde a corte, per favore.»
Carlyle sorrise ma non disse nulla. Avrebbe adempiuto la mia richiesta.
Il mese giunse al suo termine e come preannunciato i francesi fecero il loro ingresso a Sommerseth e si mischiarono ai danesi che parevano moltiplicarsi ogni secondo che passava. Carlyle, da rientro dall'accampamento, rimase meravigliato il giorno in cui ricevette una missiva firmata direttamente dal monarca francese in cui questi gli prometteva che sarebbe sceso al suo fianco nel campo di battaglia, insieme a Cristiano di Danimarca «per guardare negli occhi quella carogna inglese che crede di essere il signore del mondo.»
Tale gesto, se da un lato avrebbe probabilmente accecato di rabbia Godwin che ancora non sapeva che ben presto sarebbe diventato signore di niente, infervorò il cuore del principe tanto che per un momento che parve durare una vita si convinse che il destino non doveva essere proprio a suo sfavore.
Se il conflitto era senza ombra di dubbio la principale preoccupazione per il principe, non si dimenticò tuttavia della promessa che mi aveva fatto.
Una mattina mi svegliai di buonora e la prima cosa che udii fu un accento inglese che riconobbi prima ancora che varcasse la porta. Mi infilai una vestaglia e mi precipitai per le scale. Me la ritrovai lì con i suoi capelli argento intenta a dare indicazione su come sistemare i bauli nelle sue stanze. La vidi emozionata e quasi in imbarazzo. Dovevano essere passati anni dalla sua ultima volta a Livingstone.
«Hilde! Che bello rivedervi!»
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